Una vendetta crudele

di Alexandra_ph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Una vendetta crudele

Nota dell’autore:

Questo racconto è la continuazione di Fly with me ed è stato scritto nella primavera del 2003; la mia ispirazione, a quei tempi, procedeva in una direzione completamente diversa e non riusciva più a riallacciarsi alle puntate della settima serie, che stavo vedendo ma che trovavo un pò "poco shipper".  

Mi ero resa conto che stavo creando una specie di "storia parallela"... ma che avrei potuto farci? Nulla, credo... E così ho lasciato ce la mia ispirazione procedesse, sperando che piacesse a chi avesse letto...

Esattamente oggi, che ripubblico le mie storie, mi auguro altrettanto: spero che piaccia anche a voi. Buona lettura!



UNA VENDETTA CRUDELE




Capitolo 1


“Sei il solito arrogante presuntuoso!”

“Tu, invece, sei il solito bulldozer!”

Le voci del colonnello MacKenzie e del capitano Rabb risuonarono alte anche attraverso la porta chiusa dell’ufficio del colonnello. Il tenente Sims alzò il capo dai documenti che stava preparando per l’ammiraglio e cercò, con lo sguardo, il volto di suo marito. Il tenente Roberts le rispose con il suo solito cenno, che esprimeva rassegnazione e al tempo stesso poneva una domanda.

Harriet guardò in direzione dell’ufficio dal quale, ora, non provenivano più voci. Dai vetri, tuttavia, si potevano vedere due persone che si fronteggiavano con aria bellicosa. Ad un certo punto il colonnello girò attorno alla scrivania e si fermò un attimo davanti al capitano, per dirgli qualcosa. L’espressione era corrucciata. Poi fece per uscire, una mano già sulla maniglia della porta, ma il capitano la fermò, prendendole l’altro braccio. A quel punto il colonnello diede uno strattone per liberarsi e uscì, brontolando ad alta voce, infastidita: “Vai al diavolo, Harm!”

“Mac, aspetta…” il tono del capitano Rabb sembrava dispiaciuto, mentre la seguiva, uscendo anche lui dall’ufficio.

“Ne ho abbastanza!” Mac si girò come una furia verso il capitano “… è inutile continuare a discutere con te!”

“Signori!” la voce autoritaria dell’ammiraglio Chegwidden si alzò sopra le altre, gelando l’atmosfera della stanza. Tutti si voltarono. Il colonnello e il capitano ammutolirono e si misero subito sull’attenti.

“Ammiraglio…” dissero contemporaneamente. L’ammiraglio li guardò per una frazione di secondo con aria severa.

Poi disse deciso: “Capitano, colonnello. Nel mio ufficio. Immediatamente!”

“Sissignore!” risposero entrambi.

L’ammiraglio li fece entrare; quindi si chiuse la porta alle spalle. Non prima, però, d’aver rivolto un’occhiata severa agli altri presenti, che si erano immobilizzati ad osservare la scena. Lo sguardo non poteva essere frainteso: significava “lo spettacolo è finito!” Il personale dell’ufficio obbedì automaticamente.

Harriet, confusa, abbassò il capo sui documenti ai quali stava lavorando. Non capiva più nulla. Erano passati circa due mesi dalla sera in cui aveva parlato col capitano Rabb, per raccontargli come il colonnello MacKenzie fosse sconvolta, mentre lui era disperso in mare durante una tempesta. Aveva colto immediatamente in Harm uno sguardo di pura felicità, quando gli aveva comunicato la notizia che il matrimonio tra Mac e Mic Brumby non sarebbe più stato celebrato. Pensava che le cose, tra il capitano e il colonnello, fossero state chiarite e che i due avessero capito, finalmente, di amarsi. Invece sembrava che tutto fosse cambiato. Non solo quelli che vedeva varcare la soglia dell’ufficio ogni mattina, non sembravano per nulla due persone innamorate... Addirittura non sembravano più neppure amici. Anzi: sembrava proprio che non si sopportassero nemmeno. Scosse tristemente la testa, pensando quanto, a volte, gli uomini e le donne potessero essere stupidi e buttassero al vento qualsiasi possibilità d’essere felici. Sia lei che Bud avevano continuato a sperare che Harm e Mac, i loro più cari amici, finalmente si mettessero insieme. A quanto pareva, però, non sarebbe mai successo. Tornò a concentrarsi sui documenti che stava preparando: meglio rimettersi subito al lavoro e non dare all’ammiraglio un motivo per arrabbiarsi anche con lei.

Nel frattempo, il tenente colonnello Sarah MacKenzie e il capitano di fregata Harmon Rabb stavano subendo, in silenzio, una bella lavata di capo da parte dell’ammiraglio Chegwidden.

“Allora, mi dite cos’è questa storia?” tuonò l’ammiraglio. “Da quando lei è rientrato in servizio, capitano, sembra che non riusciate più ad andare d’accordo. Che vi succede?”

“Nulla, signore” risposero all’unisono il capitano e il colonnello. Uno sguardo del loro superiore, tuttavia, li fece pentire della risposta: all’ammiraglio non piaceva essere preso in giro. Assolutamente no!

“Vede, signore, abbiamo una divergenza d’opinioni riguardo al caso che stiamo seguendo” disse il capitano, con tono conciliante.

“Ah, davvero?” domandò sornione l’ammiraglio. “Oggi si tratta di una divergenza d’opinioni sul caso… E l’altro giorno? E la scorsa settimana? E un mese fa? Me la racconti giusta, capitano!”

Mac guardò Harm di sfuggita: l’ammiraglio non avrebbe lasciato correre, questa volta. Harm ricambiò il suo sguardo rapidamente e cercò di calmare l’ammiraglio: “Davvero, signore, si tratta di divergenze…”

“Capitano, non mi prenda per uno stupido! Voi due avete lavorato assieme per anni e, nonostante, a volte, abbiate avuto divergenze d’opinione, non vi siete mai comportati come state facendo da alcune settimane a questa parte. Per la precisione da quando lei…” e guardò il capitano “… è rientrato in servizio dopo la sua brutta avventura in mare, e lei… “ e questa volta squadrò il colonnello “… non si è più sposata con Brumby. Cos’è successo, tra voi due?”

“Forse abbiamo lavorato per troppo tempo assieme…” suggerì il colonnello MacKenzie.

“Cosa intende, colonnello? Che non vuole più lavorare assieme al capitano Rabb?” chiese l’ammiraglio, con un tono che stava ad indicare quanto fosse infastidito dall’eventualità di dover modificare certe sue decisioni.

“No, no, signore! “ si affrettò a replicare Mac. “Lo dicevo solo per spiegare il motivo per il quale, ultimamente, non andiamo d’accordo.”

“E come pensa di risolvere la cosa, se continuerà a lavorare col capitano?” l’ammiraglio la osservava con aria divertita, ora.

“Ecco, signore…” iniziò Mac, ma Harm la interruppe: “Ammiraglio, lei ha ragione.”  Mac guardò Harm con una luce omicida negli occhi. Lui continuò, evitando il suo sguardo:

 “Vede, signore, io e il colonnello abbiamo soprattutto delle divergenze personali. Tuttavia, ritengo che possiamo risolverle a breve, da persone civili!”

L’ammiraglio scrutò sia il capitano, sia il colonnello. Si divertiva un mondo metterli alle strette.

“D’accordo, capitano, vedrò di crederle sulla parola. Lei cosa ne dice, colonnello? Pensa di riuscire a risolvere i suoi problemi con questo diavolo d’uomo?” chiese con aria divertita.

“Farò il possibile, signore” rispose Mac, sospettosa di fronte all’aria quasi amichevole che aveva assunto l’ammiraglio.

“Bene, signori, perché non ho nessun’intenzione di modificare la mia decisione di farvi lavorare assieme! Ora potete andare” e li congedò, sempre con un sorriso divertito negli occhi.

Harm e Mac uscirono dall’ufficio dell’ammiraglio in silenzio. Si rivolsero uno sguardo carico d’astio e molto eloquente: entrambi ritenevano che la colpa fosse dell’altro. Negli uffici del Jag nessuno fiatò, quando li videro dirigersi alle rispettive scrivanie senza rivolgersi più la parola. Harriet seguì con lo sguardo prima l’uno, poi l’altra. Dopodiché si alzò dal suo posto e bussò alla porta dell’ammiraglio.

“Mi scusi, ammiraglio. Le ho portato i documenti che mi aveva richiesto.”

“Ah, tenente, grazie” e allungò una mano per prenderli. Il tenente Sims si congedò e fece per voltarsi ed uscire, ma la voce di Chegwidden la fermò: “Harriet, aspetti un momento, per favore”

Lei lo osservò, titubante.

“Si sieda, la prego...”

Harriet si sedette in silenzio, aspettando che l’ammiraglio parlasse.

“Lei sa cosa sta succedendo tra quei due? ” chiese, facendo un cenno del capo in direzione della porta.

“No, signore”, rispose Harriet.

“N’è sicura, tenente?” le chiese di nuovo, con uno sguardo indagatore “ero convinto che lei e il colonnello foste amiche. Inoltre il tenente Roberts è amico del capitano…”

“Mi creda, ammiraglio: anche io e Bud non siamo riusciti a capire cosa sia successo. Quando il capitano tornò dalla convalescenza dopo il naufragio, fui proprio io a dirgli della reazione del colonnello e del fatto che il matrimonio era stato annullato. Lo vidi felice, alla notizia… Pensavo che avrebbe parlato con Mac… Pensavo che si sarebbero chiariti. Quei due sono innamorati pazzi l’uno dell’altra, signore!” disse con enfasi, ma subito, osservando lo sguardo dell’ammiraglio continuò “Oh, mi scusi…”

“Lasci stare, Harriet” la fermò l’ammiraglio “anch’io sono convinto che siano innamorati. Quello che non capisco è il loro comportamento da un po’ di tempo a questa parte… Credevo che, almeno lei, sapesse qualcosa in più. Ma, a quanto pare, brancoliamo tutti nel buio! Pensavo di dover tenere a bada solo il capitano, di solito è lui che mi rende la vita un inferno!” e ricambiò il sorriso che era comparso sul volto del tenente Sims a quelle parole “… ma ora ci si mettono tutti e due! Possibile che il capitano sia riuscito a contagiare anche il colonnello, con la sua speciale capacità di crearmi problemi?” domandò quasi a se stesso.

Harriet sorrise di nuovo. Le piaceva proprio quell’uomo! Talvolta la sua aria burbera la intimidiva, ma lei aveva potuto costatare in molte occasioni che la sua severità spesso era solo una facciata, la maggior parte delle volte imposta dal suo grado.  Dietro quell’aria da duro, si celava un cuore tenero, ma guai a chi si fosse fatto sfuggire un commento simile! Eppure, lo si capiva da come si preoccupava per tutti loro... e non perché ne andava del lavoro, anche se era quello che voleva far credere a tutti. L'Ammiraglio considerava i sui subalterni un po’ come se fossero tutti figli suoi; in particolare aveva una predilezione per Harm e Mac. Bastava ricordare la preoccupazione che aveva avuto dipinta in viso, mentre il capitano Rabb era disperso in mare. E l’aria paterna con cui aveva osservato il colonnello MacKenzie, mentre era sconvolta, nell’attesa di notizie... No; l'ammiraglio Chegwidden poteva anche pensare di essere un duro, ma lei, ormai, lo conosceva bene!

“Se dovesse capirci qualcosa, me lo verrebbe a dire? So che non dovremmo intrometterci nella loro vita privata, ma quei due ragazzi mi stanno preoccupando. Ultimamente sembrano sempre sul punto di sbranarsi a vicenda…” disse pensieroso. Poi, notando lo sguardo compiaciuto e quasi tenero del tenente, si riprese immediatamente e aggiunse con tono più severo: 

“Non tollero che sul lavoro ci si porti dietro la vita privata! Devono smetterla! Altrimenti sarò costretto a prendere seri provvedimenti!”

Harriet represse un sorriso e rispose: “La terrò informata, signore.” Detto questo, uscì. Per poco non si scontrò con Mac.

“Colonnello… sta uscendo?” le chiese, vedendola con la cartella dei documenti.

“Si, Harriet… me ne vado. Ne ho abbastanza per oggi!” disse, rivolgendo uno sguardo seccato in direzione di Harm che la stava raggiungendo lentamente. Tornando a guardare Harriet, aggiunse con aria cospiratrice: “Inoltre ho un appuntamento“

“Un appuntamento romantico?” l’apostrofò Harm, scrutandola con aria divertita.

“Eccoli che ricominciano!” pensò Harriet tra sé.

“Molto romantico…!” rispose Mac con uno sguardo sognante; quindi continuò, rivolgendosi al tenente con voce dolce: “Buona serata, Harriet”. Poi, guardando negli occhi Harm, disse: ”Buona serata anche a te, capitano!”, e gli lanciò un bacio sulla punta delle dita, con la chiara intenzione di prenderlo in giro. Infine se ne andò.

Harriet osservò Harm fissare per qualche secondo la porta chiusa dietro di lei e poi ritornare nel suo ufficio, scuotendo il capo.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo 2


Finalmente quella terribile giornata lavorativa poteva dirsi chiusa!

Uscì dall’ufficio e s’incamminò verso l’auto. Stava per salire, quando un’inspiegabile sensazione lo colse… Si guardò attorno, scrutando attentamente le persone che passavano sul marciapiede. Una donna lo osservò compiaciuta, rivolgendogli un sorriso, quasi un invito. Contrariamente al suo solito, non accennò neppure a ricambiarlo.  Si sentiva teso, irrequieto. Aveva la strana sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Si guardò ancora un attimo attorno, poi decise di lasciar correre: forse quella giornata in ufficio lo aveva reso talmente nervoso, che s’ immaginava certe cose.

Eppure…

Difficilmente il suo istinto lo traeva in inganno. Di solito lo aveva sempre usato in tutte le occasioni in cui si era trovato in pericolo, e ce n’erano state parecchie nella sua vita.

Ecco di cosa si trattava: di una sensazione di pericolo imminente! Non aveva visto nulla, tuttavia, che potesse avvalorare la sua sensazione…

Per nulla rassicurato, decise comunque di salire, mettere in moto l’auto, ed andarsene da lì. Se qualcuno lo stava seguendo, meglio farlo uscire allo scoperto. Guidò lentamente, tenendo sempre d’occhio lo specchietto retrovisore. Non notò niente di sospetto. Ad ogni modo, avrebbe espresso le sue preoccupazioni all’ammiraglio, l’indomani, se avesse avuto ancora quella sensazione.

Sempre che l’ammiraglio Chegwidden lo stesse ad ascoltare, dopo la sfuriata di quel pomeriggio! Accidenti, come si era arrabbiato! Lui e Mac non avrebbero potuto continuare così, altrimenti li avrebbe cacciati dal Jag. Avrebbero dovuto trovare una soluzione. Harm, tuttavia, pensava che l’ammiraglio si divertisse anche un mondo a fare il burbero. Era meglio, in ogni caso, non sfidare troppo la sorte... Meglio non correre il rischio di fargli prendere una decisione che entrambi non avrebbero gradito.

Arrivò a destinazione e spense l’auto. Scese e si guardò attorno. Nulla: tutto sembrava normale. Recuperò dal sedile la borsa e chiuse l’auto. Dopodiché si avviò verso l’ingresso del palazzo.

Non si accorse che un’auto scura aveva parcheggiato proprio di fronte, senza che nessuno scendesse…



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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo 3


Sarah MacKenzie sorrise, mentre sfilava le chiavi dalla serratura, entrando nel suo appartamento. Aveva sentito una voce maschile provenire dal bagno: lui era già arrivato e stava canticchiando sotto la doccia.

Aveva fatto più tardi del previsto. Uscita dall’ufficio, con un taxi era andata a ritirare l’auto dal meccanico. Una settimana prima un guasto ai freni l’aveva costretta a portarla ad aggiustare. Fortunatamente si era accorta del problema mentre stava andando piano: era riuscita a sterzare e non aveva tamponato nessuno. Rabbrividì all’idea di cosa sarebbe potuto succedere, se solo il guasto si fosse verificato in un momento in cui stava andando a maggior velocità. Quella sera anche il meccanico aveva confermato d’aver trovato strano quel guasto. L’auto era relativamente nuova e in ottimo stato. Inoltre lei stessa era una maniaca dei controlli: l’ultimo risaliva appena a tre mesi prima. Tuttavia non aveva saputo dirle altro. Se sospettava una manomissione, certamente il lavoro era stato fatto in maniera accurata, in modo tale da non lasciare traccia. Impossibile, quindi, accertarlo. Andare alla polizia non sarebbe servito a nulla: sapeva quanto fossero necessarie prove concrete perché le forze dell’ordine prendessero in considerazione l’ipotesi di un attentato alla sua vita. 
Magari era stato davvero un caso. Doveva trattarsi di un caso! Del resto chi avrebbe potuto avere l’intenzione di farle del male di proposito? Decise di non pensarci più: meglio gustarsi la serata piacevole che l’attendeva, anziché continuare a tormentarsi con quelle supposizioni.

Posò la cartella da lavoro, si sfilò velocemente le scarpe e si diresse verso la camera per spogliarsi. Voleva raggiungerlo al più presto! Una bella doccia con l’uomo che stava canticchiando oltre la porta era proprio quello che le ci voleva, dopo la giornata appena trascorsa in ufficio. Era stata dura con l’ammiraglio. Non sarebbe stato facile, nei prossimi giorni, a meno che… Doveva riflettere attentamente su come risolvere la situazione, per evitare di incappare ancora nelle ire di Chegwidden, altrimenti poteva dire addio alla sua carriera al Jag.

Accidenti! Le cose, così, non potevano andare avanti!

Ora, però, non aveva nessun’intenzione di pensare anche a come risolvere i problemi che aveva in ufficio. Al momento voleva concedersi una bella doccia rilassante… e non solo!

Un capogiro le fece perdere l’equilibrio…

Cosa le stava succedendo? Altre due volte, nel corso dell’ultima settimana, le era capitato d’avere questi improvvisi giramenti di testa. Forse si trattava solo di stress causato dalla tensione in ufficio e dalle preoccupazioni per la faccenda dell’auto… Si sedette, fece un profondo respiro e cercò di calmare l’ansia. Domani avrebbe fatto un salto dalla sua dottoressa, per capire cosa non andava. Aveva sempre avuto una salute di ferro... Strani, questi giramenti. L’unico problema che, fin da ragazza, aveva avuto quando era sotto tensione, era il suo ciclo che ritardava.  Aveva imparato a convivere con il problema, anche su suggerimento della sua ginecologa. La dottoressa le aveva spiegato che spesso, il corpo, reagisce in maniera strana allo stress della mente. In alcune persone fa venire l’ulcera, altre soffrono d’emicranie terribili, altre ancora hanno ritardi.

Bhè... ora andava molto meglio! Doveva trattarsi proprio di stress, se dopo pochi respiri lenti e profondi immediatamente la situazione era migliorata. Non aveva davvero motivo di preoccuparsi.

La voce nell’altra stanza continuava nel suo monologo musicale. Era ora di raggiungerlo!

Prestando attenzione a non fare rumore, entrò di soppiatto in bagno. Aspirò immediatamente il profumo maschile che vi aleggiava e si sentì subito meglio. Poi, attraverso il vetro appannato della doccia, vide il suo corpo e sentì un calore invaderla completamente. Non si trattava del caldo del vapore… e neppure derivava dal capogiro di poco prima. Era inutile: ogni volta che posava gli occhi su di lui, reagiva come una ragazzina!

Aprì la porta della doccia e gli sfiorò la schiena con la mano. Pur avendola sentita, non si voltò immediatamente. Lei capì che desiderava che lo raggiungesse. Allora entrò sotto il getto d’acqua calda e gli si avvicinò, cingendolo da dietro, e posando le labbra sui suoi muscoli. Lentamente lui si voltò tra le sue braccia, la strinse a sé e le cercò le labbra. Sarah rispose a quel bacio, come ad ogni altro che lui le dava.

La cena avrebbe atteso ancora un po’…

 


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 4


L’uomo sull’auto scura posò il binocolo sul sedile. Poteva tornarsene a casa. Oramai era certo che non sarebbero usciti fino al mattino dopo.

Bene, bene, oramai sapeva quale era il suo tallone d’Achille! Dopo giorni di pedinamento, alla fine era riuscito a capirlo. Avrebbe dovuto sospettarlo già da tempo. Solo che certi avvenimenti lo avevano fuorviato.

Chi poteva immaginare che ora avrebbe potuto disporre di una così potente arma per piegarlo, finalmente, alla sua volontà? Era sufficiente aspettare il momento giusto, per coglierlo con la guardia abbassata. E poi avrebbe potuto mettere in atto la sua tanto desiderata vendetta!

Da quanto tempo aspettava un momento simile... Con un ghigno che voleva essere un sorriso, pregustò la scena, immaginandola nei minimi dettagli... Quanto odiava quell’uomo!  Doveva riuscire ad avere la meglio su di lui, altrimenti non sarebbe più riuscito ad avere pace.

Vide un poliziotto aggirarsi tra le auto in divieto di sosta, e subito si riscosse dai suoi sogni di vendetta. Doveva andarsene da lì. Non poteva permettersi di essere notato, soprattutto da un poliziotto.

Mise in moto l’auto e scivolò lentamente nel traffico serale, abbandonando la sua postazione sotto la casa del colonnello MacKenzie.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 5


Ogni giorno che passava, adorava sempre di più quell’uomo!

Sarah era stesa a letto, pigramente abbandonata a contemplare Harm, che si era fermato sulla soglia della camera con in mano un vassoio pieno di leccornie. Aveva una fame che avrebbe divorato tutto, lei sola! Ma sapeva che lui non glielo avrebbe permesso. Di solito divideva il vassoio carico di cibo, che quasi ogni sera le preparava, in due parti uguali: tutto quello che si poteva definire “vegetariano” era rigorosamente suo. A lei era concesso tutto il resto. Sarah lo adorava, perché, nonostante a lui non piacesse nulla che fosse anche lontanamente parente con un animale, per amor suo si sforzava di cucinarle i suoi piatti preferiti, che di solito erano spesso a base di carne.

“Uhmmm, che buon profumo!” disse, con sguardo famelico. Harm capì subito che questa volta lo sguardo non era rivolto a lui, ma al cibo.

“Cos’hai preparato di buono? ” chiese, mettendosi seduta. Lui la guardò e pensò che, contrariamente a lei, avrebbe ritardato ancora oltre la cena, lasciando anche raffreddare quello che aveva preparato con cura, pur di amarla di nuovo.

Era incredibile come non n’avesse mai abbastanza di lei!

“Harm! Che fai lì? Vieni a sederti qui, vicino a me “ gli disse, picchiettando leggermente con la mano sulle lenzuola al suo fianco. “Ho fame! Ho intenzione di mangiare tutto quello che mi hai preparato ” continuò poi.

Harm sorrise e si sedette accanto a lei. Era bello vederla così felice. E così affamata! Da qualche settimana non faceva altro che divorare tutto quello che lui preparava. Forse anche quel mezzogiorno, aveva saltato il pranzo…

“Non hai mangiato neppure oggi?” le chiese, sfiorandole una guancia con tenerezza.

“No. Anche oggi avevo lo stomaco chiuso. Sarà per tutte le litigate che faccio col mio partner in ufficio!” disse, mentre si portava alla bocca un pezzo di bistecca al sangue.

Come faceva ad ingurgitare quella roba? Eppure aveva un’aria estasiata. Doveva piacerle proprio! Harm la trovò molto sexy, anche mentre divorava la carne…

“Dobbiamo parlare proprio di questo…” replicò, mentre assaporava il suo pasto rigorosamente senza carne.

“Lo so…” sospirò Sarah. “ L’ammiraglio era proprio arrabbiato oggi, vero? ” gli chiese, con un sorriso negli occhi. “Quanto sono stata stupida a suggerire che i nostri problemi potessero derivare dal fatto che lavoriamo troppo assieme! Pensa se mi avesse preso alla lettera e avesse deciso di dividerci. Magari ti avrebbe messo in coppia con la Singer “ lo prese in giro, continuando imperterrita a mangiare.

“Diventeresti una belva se io lavorassi in coppia con il tenente Singer!” replicò lui, divertito.

“Quella ti sbava dietro! Non fa altro che aspettare l’occasione per poterti saltare addosso. Gioisce ogni volta che ci vede litigare” disse lei, aggredendo un altro pezzo di carne come se avesse nel piatto tanti pezzetti del tenente Singer.

“Ammettilo: sei gelosa!” la istigò Harm.

“Non sono gelosa! E’ che non la sopporto”

Lui la guardò divertito, in silenzio. L’aria sorniona con cui la osservava stava ad indicare che non le credeva.

“E va bene! D’accordo. Lo ammetto. Sono gelosa! Potrei strozzarla, ogni volta che ti fa delle moine ” ammise. “Anzi, meglio ancora: potrei ridurla in tanti pezzettini… ” ribadì, alludendo al piatto dove prima c’era un’enorme bistecca e al momento ne restavano pochi pezzi.

“Ecco che tiri fuori il Marine che c’è in te!” ridacchiò Harm.

“Sapere che sono gelosa gonfia il tuo Ego maschile, vero? ” lo stuzzicò lei.

“No… vederti gelosa mi fa venire solo voglia di far l’amore con te…” rispose lui, con una luce divertita negli occhi. Ma la sua voce era profonda, seria, e le procurò un brivido lungo la schiena.

“Ad ogni modo, ” proseguì “ l’ammiraglio non permetterà più litigate come quella di oggi. E se non ci sforziamo di litigare, mi spieghi come facciamo a non far capire che siamo follemente innamorati e che stiamo assieme? Ho sempre voglia di baciarti anche quando mi tratti in quel modo odioso! ” aggiunse, col suo solito sorriso affascinante che la seduceva sempre.

“Ah… e così sarei io a trattarti in maniera odiosa? E tu? Tu che mi dici che sono un bulldozer? ” replicò lei, cercando di fargli il solletico.

“Un bulldozer molto affamato! ” ripeté Harm, afferrandola a sua volta.

“Lasciami, Harm… Voglio finire la mia bistecca!”

“Oh, al diavolo la tua bistecca! Vieni qui…” e così dicendo la prese tra le braccia e iniziò a baciarla. Un bacio possessivo, esigente, meraviglioso. Simile a tanti altri che le aveva già dato in quei due mesi trascorsi dalla notte in cui le aveva chiesto di sposarlo. Ma ognuno diverso a suo modo. E sempre fantastico...

Sarah si rassegnò a terminare più tardi il suo pasto e rispose al bacio con passione.

 


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 6


Proprio non andava! Quella mattina aveva pure la nausea.

“Allora sei d’accordo, Sarah?” La voce di Harm, che si stava vestendo in camera, la costrinse a fare un respiro profondo e deglutire, sforzandosi di rispondere soffocando il conato di vomito che l’aveva colta. Quasi certamente stava covando una bell’influenza.  Un po’ strano, in estate… Forse si trattava di un altro virus…

“Sarah!” la chiamò di nuovo Harm, non sentendo risposta.

“Si, sono d’accordo” si decise a rispondere. Magari se avesse provato a mangiare qualcosa… Ma la sola idea la faceva star peggio.

“Che cos’hai?” chiese premuroso lui, raggiungendola in cucina, mentre si stava facendo il nodo alla cravatta. Era una giornata di fine estate, grigia e piovosa e Harm aveva optato per l’uniforme blu, completa di giacca e cravatta, al posto di quell’estiva bianca.  Più probabilmente l’aveva scelta perché doveva incontrarsi con il segretario della Marina assieme all’ammiraglio Chegwidden. Quella sera avrebbe dovuto pensare lei alla cena: quando Harm incontrava il segretario, di solito dopo era nervoso per tutta la giornata. E la stessa cosa accadeva all’ammiraglio!

 Oramai aveva portato da lei molti cambi di vestiario, il suo spazzolino e il suo dopobarba, con tutto il necessario per radersi. Per la verità, entrambi avevano duplicato certi effetti personali, per poterli avere a disposizione in ognuno dei loro appartamenti. Avevano deciso, di comune accordo, di passare le notti a volte da lei, altre nell’appartamento di Harm, per destare meno sospetti, qualora qualcuno si fosse preso il disturbo di cercare di capire cosa stava succedendo tra loro.

Si divertivano un mondo a giocare agli amanti clandestini, anche se avevano già deciso che, presto, si sarebbero sposati.

Ad onor del vero era stata lei ad insistere che provassero a convivere per un po’. Fosse stato per Harm, l’avrebbe sposata la sera stessa in cui glielo aveva chiesto. Però Sarah voleva che lui fosse davvero certo della sua decisione. Aveva sempre sperato di poter diventare sua moglie, ma lo conosceva molto bene e sapeva che le sue relazioni non duravano mai troppo a lungo. Harm non voleva sentirsi prigioniero di una donna, e Sarah non desiderava assolutamente che questo accadesse con lei. Era anche vero che lui non aveva mai chiesto a nessuna delle altre sue donne di sposarlo. Sarah, comunque, voleva essere certa che le cose tra loro funzionassero, prima di affrontare il matrimonio. Anche per se stessa. Già con Mic le cose si erano protratte fino al punto del non ritorno, e se non ci fosse stato l’incidente in mare, probabilmente ora sarebbe moglie di un uomo che non amava davvero.

Non aveva dubbi riguardo ai sentimenti che provava per Harm. Non avrebbe potuto amare un uomo più di quanto amasse lui! E in quei due mesi aveva avuto talmente tante dimostrazioni di quanto Harm l’amava, che anche la paura, provata inizialmente, che lui potesse stancarsi della loro storia, l’aveva finalmente abbandonata.

Non lo aveva mai visto tanto felice e sereno: faceva di tutto per stare con lei il più possibile, anche se i loro impegni spesso li costringevano a trasferte, e non sempre assieme. E mai, mai una volta, aveva colto in lui segni d’insofferenza, come le era capitato di osservare mentre stava con Renee, oppure negli ultimi tempi della sua relazione con il tenente Parker, quando Harm voleva tornare a pilotare i caccia e Jordan non capiva il suo desiderio.

Ad ogni modo aveva preferito, al momento, non dire nulla, neppure in ufficio. Quando il suo matrimonio con Mic era stato annullato, certe persone, invadenti e maligne, avevano fatto un sacco di domande, esprimendo curiosità e pena per il mancato matrimonio.  Non voleva che una cosa del genere potesse accaderle ancora. Sarebbe stata loro intenzione, quindi, far sembrare che il loro rapporto fosse amichevole come prima. Solo che non c’erano riusciti. Sia lei che Harm facevano fatica a nascondere la felicità che provavano nello stare assieme. Avevano preferito, allora, una soluzione diversa. Fingere di essere arrabbiati e litigare. Così riuscivano a reprimere la voglia di baciarsi che avevano in ogni momento!

All’inizio si erano divertiti molto nel mettere in atto il loro piano. Ora, però, stava diventando stancante. Inoltre, dopo la sfuriata di Chegwidden del giorno prima, avevano dovuto rivedere le cose, decidendo di ritornare, poco alla volta, allo spirito amichevole di sempre, per arrivare gradualmente a diffondere la notizia del loro legame.

“Tesoro, hai un aspetto terribile” disse Harm mentre la baciava sul collo.

“Grazie…” rispose lei un po’ imbronciata “ che bel complimento, mio caro!”

“Non voleva essere un complimento, ma una constatazione” rispose Harm, divertito dal tono di lei. “Non voglio litigare! Abbiamo deciso di cambiare tattica… ricordi?”

“Lo ricordo. Ora dobbiamo tornare ad essere i grandi eterni amiconi...”

“Cos’è questo tono leggermente polemico?”

“Niente…”

“Mac, cosa c’è?”

“Cominci già a chiamarmi Mac…”

“Cosa intendi? Un sacco di volte ti chiamo Mac!”

“Già… Mi hai sempre chiamato Mac, quando non stavamo assieme. Da due mesi, invece, mi hai sempre chiamato Sarah…”

“Ma solo quando siamo soli.”

“Perché, vedi qualcun altro ora?”

Che cosa le stava capitando? Era strana, quel giorno. Di solito non era così petulante e noiosa… Harm la guardò in volto e notò un pallore che di solito non aveva.

“Sei sicura di star bene?” chiese di nuovo, dolcissimo.

Vide due lacrime spuntare nei suoi splendidi occhi. Preoccupato l’abbracciò e chiese di nuovo: “Sarah, cos’hai?”

“Nulla… Sei sicuro che, tornando a comportarci da amici, non ti passi la voglia di sposarmi?”

“Sarah!” disse lui, sollevandole il viso “davvero credi che non vorrei più sposarti? Ti ricordo che sei stata tu ad insistere per non farlo subito. Fosse dipeso da me, saremmo già sposati da quasi due mesi!”

“Scusami… Hai ragione. E’ solo che oggi mi sento strana… Ad ogni modo, ora che sono tra le tue braccia, mi sento molto meglio.”

“Bene. Ora, però, devo andare. Altrimenti mi dovrò sorbire un’altra sfuriata dell’ammiraglio! Ci vediamo più tardi in ufficio?” chiese Harm, prima di baciarla.

“Si”

Dopo che lui fu uscito, Sarah si sedette a pensare: che strano! Anche il suo umore cominciava ad avere troppi alti e bassi, per i suoi gusti. Perché mai si era comportata con Harm come una donna piagnucolosa? Non sopportava quel genere di donna. E lei non lo era.  Inoltre era sicura dell’amore di Harm. Eppure…

Sbalzi d’umore, capogiri, nausee mattutine… e poi il suo ciclo che ritardava. Aveva dato la colpa, come sempre, allo stress. Se non fosse stata certa del contrario, avrebbe potuto pensare di essere incinta. Lei e Harm, però, erano sempre stati molto attenti…

Sempre?

Oh, Dio!  Forse non sempre…

Ritornò con la mente alla sera in cui lui l’aveva raggiunta a casa sua, poco dopo essere tornato dall’ospedale.  Ricordava ancora com’erano stati travolti dal desiderio… Avevano fatto l’amore… e non avevano usato nulla! Ora lo ricordava con certezza. E da allora erano passati circa due mesi…

Fece un rapido conto e sorrise. Altro che virus! Aspettava un bambino! Ecco perché si sentiva tanto strana!

Un bambino di Harm... Dio, che gioia!

Chissà come l’avrebbe presa lui? Ne sarebbe stato felice? Doveva esserne sicura, prima di dirgli qualunque cosa. Con un’improvvisa energia ritrovata, chiamò la dottoressa e si preparò rapidamente: l’avrebbe ricevuta a metà mattina.

 


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 7


L’uomo sorrise maligno, quando la vide uscire con un’aria estasiata dal negozio per bambini dove l’aveva vista acquistare un paio di scarpine di lana, quelle che si mettono ai neonati.

E così era vero! Il bel colonnello aspettava un bambino.

Il sospetto che aveva avuto quando l’aveva seguita in ospedale e l’aveva vista uscire sorridente dallo studio di una ginecologa, era stato confermato dall’acquisto di poco prima.

Non riusciva a credere che la fortuna stesse girando così dalla sua! E il padre non poteva essere che l’uomo che lui odiava tanto. Ecco finalmente giunto il momento di mettere in atto il suo piano! Quale momento migliore che portargli via la sua donna, appena scoperto che sarebbe diventato padre? Così gli avrebbe portato via sia la donna, sia il figlio. La sua vendetta sarebbe stata ancora più crudele!

Bastava aspettare fino all’indomani. Certamente la cara mammina non avrebbe atteso un altro giorno per comunicargli la lieta notizia. Altrimenti perché acquistare le scarpine?

Che tenera! Sotto quell’uniforme dei Marines si nascondeva uno zuccherino. Chissà, forse avrebbe potuto assaggiarlo un po’, prima di sbarazzarsene.

Salì in macchina e se ne andò, per prepararsi a mettere in atto il suo piano. Avrebbe agito subito l’indomani.  Meglio non aspettare oltre. Anche quella mattina, quando l’aveva visto uscire e salire in macchina, si era accorto che era guardingo, come la sera prima.

Quell’uomo aveva in istinto infallibile. Sembrava avesse un radar, al posto del cervello! Non voleva correre il rischio di metterlo troppo in allarme.

 


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 8


“Sarah”, chiamò Harm entrando in casa.

Era molto preoccupato. Non aveva fatto altro che stare in ansia per lei, da quando aveva saputo, rientrando dall’appuntamento con il segretario, che aveva chiamato per comunicare che non sarebbe andata in ufficio perché non si sentiva bene. Non avrebbe dovuto lasciarla, quella mattina. Era pallida, strana…

Le ore al lavoro gli erano sembrate interminabili. Avrebbe voluto chiamarla a casa, per avere notizie, ma aveva sempre avuto qualcuno intorno. Perché non rispondeva?

“Sarah!” chiamò di nuovo.

Nulla. Si tolse la giacca, posò il berretto dell’uniforme, sciolse il nodo alla cravatta e slacciò i primi due bottoni. Poi realizzò che dalla cucina arrivava un delizioso profumo di cibo… Se gli aveva preparato la cena, non doveva stare così male!
Si diresse in cucina, ma non la trovò; in compenso vide il forno acceso, dove stavano cuocendo delle lasagne. Nel lavandino una fila d’utensili e piatti usati. Sorrise. Sarah che aveva cucinato per lui! Non accadeva spesso. Di solito era lui che cucinava per lei.

Chissà dov’era finita? Mentre si dirigeva in camera, si sfilò la camicia dai pantaloni e slacciò i bottoni sul fondo, come sua abitudine. Aprì la porta della camera e vide il letto vuoto. Anzi, non era vuoto. Al centro vi era un pacchettino, avvolto in una carta giallo pallido. Un biglietto col suo nome stava appoggiato vicino. Incuriosito, si avvicinò e lo prese in mano: era molto leggero.

“Perché non lo apri?” la voce di Sarah lo fece voltare, sorpreso.

La guardò e rimase senza parole. Era stupenda! Indossava una leggerissima camicia da notte di seta azzurra, lunga fino ai piedi, che non le aveva mai visto. Di solito, per dormire, preferiva indossare le sue t-shirt perché, così diceva, adorava essere avvolta dal suo profumo. Oppure non indossava nulla. Harm la trovava irresistibile in entrambi i casi.

In quel momento non era irresistibile: era un sogno! Rimase fermo ad osservarla: lei si mosse leggermente e lui notò che sul fianco l’indumento si apriva fino alla coscia, lasciando scoperta la pelle leggermente abbronzata.

Non era irresistibile. Era molto provocante!

Lei gli si avvicinò, infilò le mani sotto la camicia aperta e lo baciò. Lui rispose al bacio, anche se un po’ sorpreso. Pensava di trovarla ammalata, invece…

“Che succede?” chiese, indicando il regalo. “Non è il mio compleanno.”

“Aprilo…” rispose lei, dolcemente.

Si sedette sul letto e aprì il biglietto. Solo cinque parole: Con tutto il mio amore.  La guardò incuriosito, ma lei non disse nulla. Allora si decise e aprì il pacchetto. Quando vide il contenuto, non capì immediatamente. La guardò di nuovo e vide sul suo viso un sorriso di pura felicità e una luce speciale negli occhi. Allora comprese.

“Sei sicura?” chiese, quasi timoroso di aver inteso male.

“Sono stata dalla dottoressa, oggi.“

“Da quando?” chiese di nuovo, con un sorriso.

“Circa due mesi” rispose Sarah, sollevata, vedendo che sorrideva.

“Lo sentivo! E’ successo la prima notte, dopo che sono tornato dall’ospedale, vero?”

“Penso di si” disse lei, intenerita dalla sua contentezza.

“Oh, Sarah, è meraviglioso!” La sollevò tra le braccia, stringendola forte, e cominciò a girare su se stesso, colto da un impeto di felicità.

“Avremo un bambino!” disse poi, cadendo sul letto con lei ancora tra le braccia.

“Harm, lasciami…” ridacchiò Sarah.

Ma lui non la lasciò. Voleva disperatamente baciarla e lo fece.

“Lo desideravo tanto…” le disse all’orecchio, tra un bacio e l’altro.

“Davvero?” chiese lei. “Temevo che non ne saresti stato troppo entusiasta!”

“Perché pensavi così?”

“Non so… un figlio è un impegno serio…”

“E temi che io non voglia impegni seri?”

“No… ma un figlio è qualcosa in più del matrimonio. Comporta tante responsabilità…”

“E per quale motivo credi che ti abbia chiesto di sposarmi? Io voglio una famiglia con te. L’ho desiderato dalla prima notte che ho trascorso tra le tue braccia.”

“Oh, Harm…”

“Quando abbiamo fatto l’amore appena sono rientrato dall’ospedale, mi sono subito accorto che non avevamo usato protezione… Immediatamente mi è venuto il dubbio che potessi averti messo incinta, ma la cosa non mi ha per nulla turbato. Al contrario: mi sono scoperto felicissimo all’idea! “

“Io, invece, me ne sono resa conto solo questa mattina. Dopo la mia scena patetica di stamani, ho cominciato a ripensare ai disturbi strani che avevo in questi giorni: capogiri, nausea, umore volubile… mi sembrava impossibile, siccome eravamo sempre stati attenti, anche se ero in ritardo. Ma a me succede, quando sono sotto tensione. Poi ho ripensato a quella notte di due mesi fa e mi si è accesa una lampadina. La dottoressa ha solo confermato quello che oramai già sapevo.”

“Sapessi quanto ti amo, in questo momento…” disse guardandola negli occhi e sfiorandole una guancia. Poi continuò: “Sei bellissima, sai?”

“Chissà se la penserai ancora così fra qualche mese, quando diventerò grossa…” disse lei, divertita.

“Sarai ancora più bella… “ la rassicurò lui, con voce roca. Poi iniziò ad accarezzarla e lei, come sempre, si abbandonò a lui.

Prima, però, gli ricordò, sussurrandogli all’orecchio: “Forse è meglio spegnere il forno, o troveremo le lasagne carbonizzate…”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 9


Quella mattina sembrava che anche il tempo avesse deciso di assecondare la sua gioia. Solo il giorno precedente era una giornata grigia e piovosa; invece quel giorno il sole splendeva in un cielo limpido, senza neppure una nuvola. 

Harm era stato fantastico, con lei! Ancora più premuroso e dolce del solito. Anzi, forse fin troppo apprensivo! Un sorriso le illuminò il volto, quando ripensò alle mille raccomandazioni che le aveva fatto prima di uscire e raggiungere il suo appartamento, per prendere un fascicolo che aveva scordato di recuperare la sera precedente. Dubitava molto che in ufficio sarebbero riusciti a nascondere la loro felicità. Tutti avrebbero immediatamente capito che c’era sotto qualcosa… Pazienza! Avrebbero accelerato i tempi previsti per comunicare la lieta notizia.

Stava per salire in macchina, quando uno stridio di freni turbò la quiete di quella mattina. Si voltò di scatto e vide un’auto che aveva fatto appena in tempo a frenare, evitando così di travolgere in pieno un anziano signore che stava attraversando la strada. Sarah, tuttavia, lo vide a terra. Un altro paio di passanti si era voltato, per capire cosa stava succedendo, ma lei era già arrivata vicino all’uomo, che si stava rialzando a fatica. Sembrava più spaventato, che ferito, ma Sarah voleva esserne certa.

“Come si sente?” chiese, preoccupata.

L’anziano uomo la guardò un attimo; poi le sorrise, incerto: “Bene, credo.”

“Venga con me, l’accompagno in ospedale per un controllo” disse Sarah.

“No, non si disturbi, sto bene” rispose lui. Però, mentre faceva un passo, barcollò leggermente.

Sarah cercò di sorreggerlo. Anche il giovane dell’auto che stava per travolgerlo lo guardò preoccupato: “Mi scusi, non l’ho vista…”

“Ha ragione, sono sbucato fuori all’improvviso” rispose il vecchio signore. “Mi sembrava di avere visto il mio gatto, sotto quell’auto parcheggiata… Sa, sono due giorni che non torna a casa e sono preoccupato…” disse, con la voce tremante, rivolto a Sarah.

“Capisco” rispose lei, mentre altre persone si avvicinavano. “Tutto bene, signori, non è nulla” comunicò ai passanti, prendendo in mano la situazione. Poi, rivolta all’uomo che aveva creato il problema, disse: “Lasci le sue generalità al negozio lì accanto, qualora fosse necessario. Ci penso io ad accompagnare il signore in ospedale per un controllo…”

“Lei è molto gentile, signora” rispose il giovane, prima di dirigersi nel negozio che lei aveva indicato. Aveva riconosciuto la divisa della Procura Militare, e non avrebbe mai osato disobbedire. Sarah fece un cenno al proprietario del negozio, che conosceva, visto tra le persone che si erano avvicinate. Sarebbe passata più tardi a recuperare i dati, nel caso l’anziano signore n’avesse avuto bisogno.  Anche una signora andò con il giovane: aveva visto la scena e poteva essere un’utile testimone.

“Venga con me, ora. La mia auto è proprio lì…” disse, rivolta all’infortunato.

Lo osservò, mentre in silenzio la seguiva: non era molto anziano, sulla sessantina forse, con una corporatura che sembrava più robusta di quanto le era apparsa in un primo momento. Il viso, però, pareva più vecchio… Era strano: era come se volto e fisico appartenessero a due persone diverse, e fossero stati uniti assieme da un buffo scherzo della natura.

Salirono sull’auto di Sarah e lei mise in moto, diretta all’ospedale. Dopo aver svoltato a sinistra, lasciando alle spalle la strada di casa sua, sentì su di sé lo sguardo dell’anziano signore. Si voltò a guardarlo e quello che vide la paralizzò.

Una pistola era puntata contro di lei.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 10


Uscì dall’ascensore fischiettando. Poi si diresse verso l’ufficio di Mac, prima ancora di posare borsa e documenti nel proprio. Non vedendola, si guardò attorno e scorse il sergente Galindez.

“Galindez, il colonnello è dall’ammiraglio?”

“No, signore. Non è ancora arrivata” rispose il sergente.

Harm guardò l’orologio e chiese: “Per caso ha telefonato anche questa mattina per avvisare che non sarebbe venuta?”

“No, capitano. Nessuna telefonata.” Galindez lo osservò, incuriosito. Il capitano Rabb sembrava preoccupato, ora. Prima, allegro e sorridente, ora preoccupato. Quei due erano davvero divertenti, pensò tra sé: fino il giorno precedente, sembravano sul punto di sbranarsi a vicenda e adesso… Fu distolto dai suoi pensieri dalla voce del capitano che domandava di nuovo: “Sa se doveva andare da qualche parte, prima?”

“No, signore. A quest’ora, il colonnello sarebbe già dovuta essere qui, come ogni mattina. Lei è sempre molto puntuale…” replicò Galindez.

“Già… a differenza del sottoscritto, vero? ” sottolineò, divertito Harm.

“Signore, non mi permetterei mai…” si scusò il sergente.

“Lascia stare, Galindez…” lo congedò allegro il capitano, con un gesto della mano, prima di dirigersi nel suo ufficio.

Ma quando fu dentro, l’aria allegra lo abbandonò subito. Per quale motivo Mac non era ancora arrivata? Cosa poteva esserle successo? Calma, amico! Perché andava subito a pensare che le fosse successo qualcosa? Magari aveva semplicemente trovato traffico ed era un po’ in ritardo…

Oppure era sulle nuvole, proprio come lui, e si era fermata davanti a qualche negozio per bimbi! Del resto, non lo aveva fatto anche lui, quella mattina?

Giocattoli!

Lui aveva perso ben quindici minuti davanti al negozio di giocattoli, ad ammirare quel grande orso esposto in vetrina. Quella sera stessa sarebbe passato a comperarlo. L’avrebbe già acquistato se non fosse stato trattenuto dal tipo di spiegazioni che avrebbe dovuto fornire in ufficio, se si fosse presentato con un orso grande quasi quanto lui, in braccio!

Provò a concentrarsi sui documenti prelevati da casa, che doveva esaminare. Ci provò, ma fu inutile. Da quella mattina, immagini di Sarah col pancione s’insinuavano continuamente nella sua mente… accompagnate da altre di loro due assieme al loro bambino…

Sarebbe stato un maschio o una femmina? Non aveva importanza. Era sufficiente, per lui, che fosse sano e che, sia Sarah sia il piccolo, stessero bene. Si allungò sulla sedia, le gambe accavallate alle caviglie, un dito che sfiorava le labbra, nella sua solita espressione di quando era pensieroso… Se fosse stato un maschietto, avrebbe potuto insegnargli a volare… E perché no ad una bambina?

Fu così che lo trovò il tenente Roberts, quando mise dentro la testa nell’ufficio del capitano Rabb per avvertirlo che c’era una telefonata per lui.

“Non ha detto chi è, capitano. Cosa faccio? Gliela passo?”

“Si, Bud, grazie” rispose Harm, ritornando a fatica sulla terra. Quando alzò la cornetta e sentì la voce contraffatta all’altro capo, gli si gelò il sangue.

“Buongiorno, paparino… ti manca tanto la futura mammina?”

Harm si alzò in piedi, all’improvviso: “Chi sei? Cosa vuoi?” gridò al telefono.

Bud guardò Galindez: anche lui aveva colto la voce preoccupata del capitano.

“Calma, paparino!” continuò lo sconosciuto. “Bella donna, il tuo colonnello! Un po’ testarda… proprio come te. Ho dovuto legarla, per farla star tranquilla...” lo sfidò.

“Lasciala stare! Giuro che se le torci un solo capello, ti ammazzo con le mie stesse mani!” la rabbia gli esplose in corpo, assieme al terrore per Sarah.

“Tu non puoi più dirmi quello che devo fare. Sono io che detto le regole, questa volta” replicò l’uomo con odio.

“Cosa vuoi?” chiese di nuovo Harm, la voce dura e decisa.

“A parte spassarmela col tuo bel bocconcino? “ lo stuzzicò di nuovo.

“Maledetto…” gridò, sbattendo una mano sulla scrivania.

Sentendo il colpo, Bud si preoccupò moltissimo. Il capitano Rabb era solitamente calmo, al telefono. Doveva essere successo qualcosa di molto grave.

“Voglio te, capitano...” proseguì la voce sconosciuta.

“Chi sei? Come ti trovo?” domandò deciso Harm: se quel bastardo voleva lui, lo avrebbe accontentato subito, purché lasciasse immediatamente libera Sarah. Sentì la paura serrargli la gola, come una mano che lo stringeva dall’interno.

“Vuoi sapere troppe cose. Ci risentiamo” e la voce interruppe la comunicazione.

“Maledizione!” sbottò Harm, scaraventando sulla scrivania la cornetta del telefono. Poi uscì come una furia dall’ufficio, dirigendosi verso l’ascensore.

“Capitano…” cercò di fermarlo Bud.

“Dì all’ammiraglio che rientro al più presto” gridò, mentre l’ascensore si chiudeva sul suo volto stravolto dall’ansia e dalla rabbia.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 11


Non si era mai sentita tanto stupida in vita sua. Come aveva potuto essere così irresponsabile e dare un passaggio ad uno sconosciuto? Ma quel maledetto, l’aveva architettata bene! Farsi passare per un povero vecchio, e per di più infortunato…

Chi poteva essere? Cosa voleva da lei?

Frustrata, provò a divincolarsi, ma l’aveva legata troppo bene e non riusciva neppure a muoversi.

Dov’era finito, ora? Erano circa tre ore, ormai, che era nelle sue mani.

Sentì il suo stomaco brontolare: quella mattina non aveva mangiato granché. La nausea le aveva impedito di ingerire null’altro, oltre ad un paio di fette di pane integrale e adesso aveva fame. E sete. Aveva moltissima sete. Ora avrebbe dovuto nutrirsi ancora meglio di quanto già non facesse… la dottoressa glielo aveva raccomandato tanto!  Prima di andare in ufficio sarebbe dovuta andare in farmacia ed acquistare tutte le vitamine che le aveva prescritto. Non voleva che il suo prezioso bambino potesse risentire in qualche modo della mancanza di vitamine. Sapeva quanto erano importanti, soprattutto nei primi mesi di gestazione.

Una lacrima premeva prepotente per uscirle dagli occhi: il suo bambino… Oddio, il suo piccolissimo bambino! Che cosa sarebbe successo al suo cucciolino?

Ripensò alla felicità letta negli occhi di Harm, quando gli aveva comunicato la notizia, e non riuscì più a trattenere le lacrime. Scivolarono sul suo viso, senza che lei potesse impedirselo.

Harm... Quanto doveva essere preoccupato anche lui, ormai!

Cercò di non pensare alla preoccupazione di Harm. Non avrebbe retto, altrimenti. Meglio concentrarsi per cercare di capire dove era stata portata. Si guardò attorno, ma la stanza anonima in cui si trovava, non le diceva nulla. Un tavolo, due sedie (su una delle quali era legata lei), un cestino per la carta, un termosifone, una piccolissima finestra, in alto, e la porta. Soltanto quello. Non un letto, non un lavandino…

Dopo che si era accorta dell’arma puntata contro di lei, il “vecchietto” che aveva soccorso l’aveva costretta a scendere, l’aveva legata, le aveva infilato un paio d’occhiali oscurati, per impedirle di vedere la strada, ma nello stesso tempo non destare sospetti, e aveva guidato per parecchie miglia, sempre con la pistola a portata di mano. Sarah aveva provato a capire la direzione che aveva preso, ma non c’era riuscita. Neppure ascoltare attentamente rumori e suoni, l’aveva aiutata. Per un po’ aveva sentito il classico rumore del traffico cittadino; poi sembrava che avessero imboccato una strada più tranquilla, ma non avrebbe saputo dire per dove. Erano scesi dall’auto circa un’ora dopo che erano partiti da casa sua. Quindi l’uomo l’aveva spinta brutalmente in quella stanza, l’aveva legata alla sedia, le aveva tolto gli occhiali, ma l’aveva imbavagliata, per impedirle di gridare. Questo le faceva sospettare che si trovassero in un luogo vicino a zone abitate o, quantomeno, che c’era la possibilità che qualcuno potesse passare accanto. 

Dopodiché se n’era andato e non era ancora tornato.

Un rumore alla porta la fece sussultare. Vide la maniglia che si abbassava e il suo rapitore entrò nella stanza. Aveva con sé un sacchetto che depositò sul tavolo e aprì: conteneva del cibo e dell’acqua.

“Allora, bel colonnello, come stai?” chiese l’uomo, con una voce molto diversa da quella del vecchietto spaventato, mentre le toglieva il fazzoletto alla bocca.

Sarah non rispose, ma lo guardò con odio: le era sembrato di riconoscere quella voce…

“Non rispondi, eh? Mangia questo” disse, cercando di imboccarla con pezzi del sandwich che aveva estratto dal sacchetto.

Pur avendo fame, Sarah voltò la faccia di lato, rifiutando il cibo. Non voleva sentirsi completamente nelle mani di quell’uomo.

“Non hai fame?” chiese lui. “Strano! Pensavo che una futura mamma dovesse mangiare per due”, continuò poi, sghignazzando nel vedere l’aria di sorpresa e angoscia negli occhi della sua prigioniera.

Un brivido di puro terrore percorse la spina dorsale di Sarah: lui sapeva che aspettava un bambino. Come faceva a saperlo? Probabilmente l’aveva pedinata…

“Chi diavolo sei? Cosa vuoi da me?” chiese duramente, fissandolo negli occhi.

“Da te? Nulla… “ rispose l’uomo, ma poi si corresse: “Proprio nulla, forse, no… Prima di portare a termine la mia vendetta, potrei anche divertirmi un po’ con te…” ridacchiò, mentre le infilava una mano sotto la gonna, accarezzandole la coscia.

Sarah cercò di divincolarsi, ma era inutile: l’aveva legata troppo bene.

“Bastardo… non toccarmi!” gridò.

Un violento schiaffo la fece tacere di colpo.

“Zitta! Stai zitta! Chiudi quella maledetta bocca…” la ammonì lui. “Siete degni l’uno dell’altra, voi due. Anche tu, testarda come quel grand’uomo con cui te la spassi. Il caro paparino! Ma dopo che avrò messo in atto il mio piano, non sarà più tanto spavaldo come il solito. M’implorerà, anziché dare ordini: vedrai! Ora mangia e taci!” le intimò, costringendola ad aprire la bocca per ingerire del cibo.

Sarah obbedì, suo malgrado. Mentre mangiava, imboccata da lui, la sua mente cercava febbrilmente delle risposte.

Harm... L’uomo si era riferito al padre di suo figlio. Doveva essere a conoscenza di molte cose. A quanto sembrava, sapeva di lei e di Harm. Era inutile cercare di nascondere i fatti. Decise di farlo parlare.

“Cosa vuoi dal padre di mio figlio?” gli chiese, dopo aver bevuto dell’acqua.

Lui la guardò divertito: “Perché non lo chiami col suo nome? Pensi che non sappia chi sia? Cosa voglio dal capitano Harmon Rabb jr?” ripeté beffardo.

“Si, cosa vuoi da lui?” domandò di nuovo Sarah. A quanto sembrava, quell’uomo sapeva anche del padre di Harm…

“Io voglio… LUI! Non voglio qualcosa da lui… Voglio LUI!”

“Perché?” chiese ancora lei.

“Mi ha rovinato la vita. Quel maledetto l’ha sempre avuta vinta! Fin dalla prima volta che l’ho conosciuto… Ma questa volta sarò io a piegarlo alla mia volontà… E tu e il tuo prezioso figlioletto servirete allo scopo! Mi ha intimato di non torcerti un capello, al telefono. LUI osa ancora dire a ME cosa fare! E’ sempre stato un presuntuoso arrogante, ma questa volta mi pregherà in ginocchio…” rispose l’uomo con rabbia.

Sarah lesse odio allo stato puro negli occhi del suo carceriere. Ebbe paura per sé e per Harm… Chi era quell’uomo che lo odiava tanto?

“Perché vuoi fare del male a me e al mio bambino?” domandò Sarah.

“Non a te e a tuo figlio… Alla sua donna e al suo prezioso bambino! Il tuo più grave errore è stato quello di metterti con lui. Avresti dovuto sposare l’australiano…”

Sarah deglutì: sapeva anche di Mic. Non era, quindi, un pazzo qualsiasi che l’aveva sorvegliata per pochi giorni. Si trattava di qualcuno che conosceva Harm da tempo.

“Non amavo Mic…” sussurrò appena.

“Lo so. Il tuo grande amore è sempre stato il caro Harm! Ora sarà la tua rovina. Tu e tuo figlio mi servirete da esca, per attirarlo nella mia trappola. Quel presuntuoso non lascerà mai la sua donna e suo figlio nelle mie mani, senza cercare di liberarvi. Lo costringerò a cercarti per giorni, dandogli inizialmente indizi falsi… Poi, quando deciderò che avrà sofferto abbastanza, gli dirò come trovarmi. E quando finalmente arriverà, metterò in atto la mia vendetta!” disse l’uomo con soddisfazione.

“Lo vuoi uccidere?” chiese Sarah, triste.

“Sì, ma non subito… prima dovrà impazzire di rabbia quando mi vedrà spassarmela con la sua donna… e poi soffrire le pene dell’inferno quando ti ucciderò davanti ai suoi occhi… Quando ucciderò te, incinta di suo figlio. Dovrà arrivare ad odiarmi quanto lo odio io, prima di ucciderlo!”

Sarah lo guardò sconvolta: quell’uomo aveva architettato un piano perfetto per distruggere Harm.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 12


Se non gli fosse servito per avere altre informazioni, avrebbe strozzato Webb in quel preciso istante, con le sue stesse mani, provandoci anche gusto!

“Perché non me lo hai detto prima?” chiese con rabbia.

“E’ successo quando eri in ospedale” rispose Clayton Webb, con suo solito fare tranquillo, anche se avvertiva già le mani di Rabb attorno al proprio collo.

“E dopo?” grido Harm “perché diavolo non ti sei degnato di dirmelo dopo?”

“In quei giorni soffrivi d’amnesia e non potevi sopportare notizie che avrebbero potuto ritardare il tuo processo di guarigione…” cercò di spiegare Webb.

Ma Harm lo interruppe come una furia: “Ti ho chiesto perché dopo non mi hai detto nulla!”

Clayton non si scompose e proseguì nel suo resoconto, apparentemente per nulla turbato dall’odio che leggeva negli occhi del capitano Rabb.

Per lui, quell’uomo, era uno stimolo continuo.

Harmon Rabb e Clayton Webb si assomigliavano in molte cose, pur essendo, all’apparenza, diversi sia nell’aspetto, sia nel carattere: entrambi molto intelligenti e acuti, pronti all’azione e rapidissimi nel prendere decisioni. Ma, mentre Webb era sempre calmo ed enigmatico, il capitano Rabb, se fatto arrabbiare, diventava una furia e non lo nascondeva. Si rispettavano a vicenda, anche se Harm non sopportava quando Clayton lo coinvolgeva, a volte a sua insaputa, nelle sue operazioni top-secret della CIA, e Webb impazziva ogni volta che Rabb agiva di testa sua, senza seguire i suoi ordini.

“Pensavamo di riuscire a catturarlo di nuovo, prima che tu ti riprendessi e venissi a saperlo. Anzi, eravamo convinti che cercasse di ucciderti mentre eri in ospedale. Per questo motivo avevo ordinato che ci fosse sempre qualcuno a tenerti d’occhio…” disse Clayton.

“Quindi mi hai usato come esca?” chiese, duro, Harm.

Clayton sorrise, enigmatico come sempre. Non riusciva mai ad imbrogliarlo. Harm scopriva sempre quando cercava di nascondergli qualcosa. Se non fosse stato per quel suo carattere impulsivo e poco incline ai compromessi, sarebbe stato un magnifico agente segreto! Possedeva un intuito infallibile, che sempre lo traeva d’impaccio, a dispetto della sua natura, che, invece, lo cacciava spesso nei guai.

“Diciamo che lo potevi essere, sì. Ma non si è fatto vivo. Allora abbiamo pensato che avesse placato la rabbia nei tuoi confronti e avesse preferito dileguarsi, magari andandosene all’estero, per non correre il rischio di finire di nuovo dietro alle sbarre. Non immaginavo che potesse cercarti ancora. Sei sicuro che si tratti di lui? Mi hai detto che hai saputo che Mac ha aiutato un vecchietto ad andare in ospedale, ma non c’è mai arrivata. Magari è un pazzo qualunque…” disse Clayton.

“Dimentichi che Clark Palmer è un mago nei travestimenti. Una volta mi ha rapito, ha usato la mia faccia per crearsi una maschera che lo facesse assomigliare in tutto e per tutto al sottoscritto e poi ha preso il mio posto in tribunale, riuscendo a beffare persino l’ammiraglio” gli ricordò Harm.

“Inoltre non c’è nessuno che mi odi quanto lui! Non ho mai ben capito perché ce l’abbia sempre avuta con me, fin dalla prima volta… Quell’uomo ha una vera fissazione nei miei confronti! Ora ha rapito Mac…” continuò con ansia.

Clayton lo guardò di sottecchi: Harm era troppo turbato, per essere solo in ansia per la sua collega. Ci doveva essere sotto qualcos’altro. La sua mente di spia cominciò a lavorare.

“Perché mai ha rapito Mac se è te che vuole?” chiese.

“Perché sa quanto tengo a lei… lo ha fatto per arrivare a me” rispose Harm, sicuro.

“E quanto tieni a lei?” chiese dubbioso Clayton. Sapeva dell’amicizia che legava quei due, ma rapire una collega, per arrivare ad Harm…

“E’ la mia migliore amica, lo sai, Clay! E’ la mia partner sul lavoro… Palmer lo sa e l’ha rapita per questo” rispose Harm, cercando di minimizzare la sua ansia per Sarah. Se Clayton avesse solo immaginato il vero legame che c’era tra loro due, avrebbe fatto di tutto per tenerlo all’oscuro di qualunque notizia, pur di non averlo tra i piedi. Non avrebbe mai sopportato di avere alle calcagna un innamorato angosciato per la sorte della sua donna e di suo figlio nelle mani di uno psicopatico. Cercò di non pensare a quel bambino che ancora non conosceva, ma non ci riuscì. Era in ansia da morire per Sarah e per la creatura che portava in grembo.

“D’accordo, allora. Cerchèrò d’indagare. Proveremo a mettere sotto controllo il tuo telefono a casa e in ufficio per tentare di rintracciare la telefonata. Ma tu fammi subito sapere se si fa ancora vivo…” disse Webb. Poi chiese: ”L’ammiraglio sa già di Mac?”

“Non ancora… glielo dirò appena torno in ufficio” rispose Harm, prima di aprire la porta e uscire dall’ufficio di Clayton Webb.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Una vendetta crudele

Capitolo 13


L’ammiraglio Chegwidden sembrava un animale in gabbia. C’erano due casi importanti da preparare e il colonnello MacKenzie e il capitano Rabb erano spariti! Si era informato da Galindez e aveva saputo che lei non era ancora arrivata e neppure aveva avvertito. Mentre il capitano se n’era uscito di corsa, poco dopo aver ricevuto una telefonata che, a quanto sembrava, lo aveva fatto molto arrabbiare.

Cosa accidenti stava capitando a quei due? Pensava che la sua lavata di capo di due giorni prima avesse fatto capir loro che non avrebbe più tollerato certe situazioni, in ufficio. Invece… La porta dell’ascensore si aprì e l’ammiraglio vide il capitano Rabb dirigersi verso il suo ufficio, con passo deciso.

“Capitano!” lo fermò con autorità.

Harm si voltò verso l’ammiraglio. Chegwidden vide che aveva il volto tirato e la sua classica espressione, di quando era furioso con qualcuno… Di solito quello sguardo era riservato in particolar modo a Clayton Webb!

“Capitano, cosa è successo?” chiese, più preoccupato, che arrabbiato, ora.

“Signore”, rispose Harm “il colonnello MacKenzie è stata rapita”

Bud e Galindez, che stavano ascoltando, si guardarono contemporaneamente.

“Cosa sta dicendo, capitano? N’è sicuro?” chiese l’ammiraglio.

“Ho ricevuto una telefonata dal rapitore. Poi sono uscito a controllare. Sembra che Mac, uscita di casa, abbia assistito un vecchietto che un’auto aveva quasi investito. Lei si è offerta di accompagnarlo all’ospedale, per un controllo, anche se non sembrava ferito, ma solo spaventato. All’ospedale non è mai arrivata…” spiegò Harm, con voce spenta.

“Per quale motivo è stata rapita? Cos’ha detto l’uomo al telefono?” chiese l’ammiraglio.

“Per arrivare a me…” e lo sguardo di Harm, a quelle parole, si fece rabbioso “Quel maledetto vuole me! E ha rapito Sarah…”

Chegwidden scrutò il capitano in silenzio. Era la prima volta che lo sentiva pronunciare il nome di battesimo del colonnello.

“Palmer non avrà pace finché non mi avrà nelle sue mani… “ continuò Harm.

“Palmer? Clark Palmer? Come fa sapere che si tratta di lui, capitano? Glielo ha detto al telefono?”

“No. Quello psicopatico ha deciso di giocare al gatto e al topo con me. Vuole portarmi all’esasperazione… “ replicò il capitano.

“Ma Palmer è a Leavenworth” dichiarò Chegwidden.

“Credevamo fosse lì. E’ evaso qualche mese fa, nel periodo in cui ebbi l’incidente in mare…” disse Harm.

“Chi glielo ha detto?” chiese l’ammiraglio.

“Webb” rispose secco Harm, con uno sguardo che faceva intendere quanto, per poco, non fosse stato sul punto di ucciderlo, per non averglielo detto prima. Poi raccontò all’ammiraglio quello che aveva saputo da Clayton Webb.

“Webb ha assicurato che metterà i telefoni sotto controllo. Ma Palmer è troppo furbo perché si faccia rintracciare da una telefonata…” continuò “Non ci resta che aspettare il prossimo contatto e sperare che mi dica come raggiungerlo.”

“Capitano, non intenderà mettersi nelle mani di quel pazzo? ” chiese Chegwidden.

“E cosa dovrei fare? Lasciarci Sarah?” rispose Harm.

L’aveva chiamata di nuovo Sarah… L’ammiraglio, ancora una volta, si sorprese.

“Capitano, dovrebbe lasciar agire gli uomini di Webb… Sanno come muoversi…”

Ma Harm lo fermò, furioso: “E dovrei starmene con le mani in mano? E’ per causa mia che lei si trova nelle mani di quello squilibrato, e io dovrei lasciare che altri risolvano la faccenda al posto mio? Lei non capisce, ammiraglio…”

“Capitano!” lo rimproverò Chegwidden, anche se in cuor suo sapeva che avrebbe fatto la stessa cosa. Ma non poteva permettere che si consegnasse a Palmer e finisse anche lui nelle mani di quel pazzo. Di certo, l’ex agente del DSD non avrebbe rilasciato comunque Mac. L’unica speranza era riuscire a liberarla e catturare Palmer. Lo spiegò ad Harm il quale, per tutta risposta, lo aggredì di nuovo: “Allora io andrò con gli uomini di Webb.”

“Capitano, non glielo permetto” replicò l’ammiraglio con tono autoritario. “E’ un ordine!”

“Al diavolo i suoi ordini!” gridò Harm.

Galindez vide l’ammiraglio irrigidirsi, mentre stava per pronunciare qualcosa contro il capitano, ma non n’ebbe il tempo, perché Harm continuò, ancora più alterato:

“Nessuno m’impedirà di provare a salvare Sarah!” gridò, rivolto contro Chegwidden. “Si tratta della donna che amo. E di nostro figlio. E non permetterò che quel bastardo me li porti via...”

A quelle parole, Bud e Galindez si guardarono, stupiti. L’ammiraglio, invece, osservò per un secondo il capitano Rabb, che sembrava sul punto di crollare; poi gli fece un cenno e aprì la porta del proprio ufficio, entrando dopo di lui. 

Harm si accasciò sulla sedia davanti alla scrivania dell’ammiraglio, con la testa tra le mani, disperato. Non sapeva più cosa fare. Non aveva mai provato tanta paura, in vita sua, come in quel momento. Si sentiva impotente e furibondo. Avrebbe spaccato qualunque cosa, se questo fosse servito a fargli riavere Sarah sana e salva.

“Harm…” disse l’ammiraglio “devi reagire. Lei non vorrebbe vederti così.”

Lui alzò il capo e lo guardò, con gli occhi lucidi.

“Signore, mi scusi per poco fa…” disse con voce spenta.

“Lascia stare…” replicò l’ammiraglio, osservandolo a sua volta. Non lo aveva mai visto così distrutto. Era arrivato a pensare che nulla potesse piegare il suo spirito ribelle e combattivo. A quanto pare, solo l’amore c’era riuscito.

“Perché non avete detto nulla?” chiese, riferendosi al fatto che avevano tenuto nascosto la loro relazione.

“E’ stata lei, a volerlo. Temeva che cambiassi idea dopo un po’ e non voleva essere di nuovo compatita, come con Brumby…” rispose Harm.

“Così avete finto di litigare?” chiese Chegwidden, con un mezzo sorriso.

“Non saremmo riusciti a nascondere i nostri veri sentimenti, altrimenti. Ma dopo il suo discorso dell’altro giorno, avevamo deciso di cambiare tattica. Nel frattempo abbiamo scoperto che Sarah aspetta un bambino…”

“Congratulazioni, Harm” disse l’ammiraglio.

“Grazie, A.J.” rispose Harm. Non lo chiamava più così da quella volta che lui gliene aveva accordato il permesso, mentre lo stava aiutando a liberare sua figlia Francesca.

“Dovresti sapere quello che sto provando…” disse Harm, ricordandogli proprio quella volta.

“Sì, so quello che stai provando…” rispose l’ammiraglio. “Proprio per questo ti sto spronando a reagire. Devi essere lucido, per pensare e riflettere sul da farsi. Cercheremo di prenderlo, quel pazzo! Non perderai Sarah e tuo figlio.”

Harm lo guardò e comprese ciò gli aveva appena detto l’ammiraglio: non lo avrebbe lasciato solo contro Palmer.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




Capitolo 14



Il fuoristrada rallentò e Sarah si chiese se si trattasse di un’altra sosta oppure se erano giunti alla fine del loro viaggio.
Erano in auto da quasi due giorni e lei si sentiva a pezzi, benché avessero fatto qualche breve sosta per la benzina. Aveva provato a dormire un po’, per recuperare le forze, tuttavia si sentiva completamente distrutta, probabilmente anche per via della gravidanza; inoltre le doleva la schiena, a causa delle ore trascorse sempre nella stessa posizione.

L’auto si fermò e sentì l’uomo scendere.

Chissà dov’erano? Doveva essere un posto molto assolato, perché aveva davvero tanto caldo. Sentiva il calore del sole sul corpo da ore, fin dal mattino presto, anche se in quel momento la sensazione era diventata quasi insopportabile. Aveva la gola e le labbra secche... sarebbe stata capace di uccidere, pur di avere dell’acqua e un letto in cui stendersi e riposare.

La portiera dalla sua parte si spalancò e Sarah si sentì afferrare senza delicatezza e tirare giù dall’auto.

“Scendi! Siamo arrivati…” le ordinò il suo carceriere.

Lei obbedì senza fiatare. Ormai aveva adottato quella tattica, per evitare di innervosire ulteriormente l’uomo che l’aveva sequestrata. Voleva lasciargli credere di avere il controllo della situazione. Se si fosse mostrata docile e non lo avesse fatto infuriare, magari si sarebbe fatto scappare qualche dettaglio che poteva tornarle utile. L’atteggiamento che aveva usato all’inizio della sua brutta avventura, non le aveva giovato molto. Se n’era accorta subito. Se si ribellava, l’uomo diventava immediatamente più guardingo, più nervoso e la trattava male. E, soprattutto, non proferiva parola. Invece lei aveva bisogno di farlo rilassare, affinché parlasse e, magari, si lasciasse sfuggire qualcosa.

Strattonandola per un braccio, l’obbligò a seguirlo. Il terreno sotto ai suoi piedi era accidentato e polveroso e Sarah, con gli occhiali oscurati che le impedivano di vedere, faceva fatica a muoversi.

“Sbrigati!” la rimproverò l’uomo impaziente.

“Perché non mi togli gli occhiali, così riesco a camminare meglio” chiese Sarah, gentilmente. Voleva fargli credere di sottostare al suo volere. Invece la sua unica preoccupazione era di capire dove la stesse portando. L’uomo sembrò pensarci qualche secondo, infine prese una decisione e le sfilò gli occhiali. La luce improvvisa e molto forte accecò per qualche attimo Sarah. Poi, pian piano che i suoi occhi si abituarono, misero a fuoco un volto che riconobbe immediatamente, anche se lo aveva visto solo una volta.

Il sorriso beffardo di Clark Palmer comparve sul viso dell’uomo che la teneva prigioniera appena si rese conto che lo aveva riconosciuto. E tutto, nella mente di Sarah, iniziò ad avere una spiegazione: la voce che le sembrava di aver già sentito si accoppiò al volto e tutti i discorsi che lui le aveva fatto parvero avere un senso. Un senso molto tragico, ma finalmente un senso.

“Tu…” sospirò sconvolta.

“Salve, colonnello MacKenzie!” la salutò, divertito, Palmer.

Clark Palmer. Era nelle mani di Clark Palmer! L’uomo che odiava Harm da anni. Fin dalla volta in cui il capitano di corvetta Harmon Rabb lo aveva battuto sul suo stesso territorio, alla sede della Bradenhurst Corporation. Era accaduto mentre seguiva il caso di un aereo fatto precipitare dalla collisione con un “oggetto volante non identificato”, in seguito risultato essere il prototipo di una nuova arma segreta. Lei non aveva partecipato all’indagine, ma ricordava che Bud aveva lavorato al caso con Harm per capire la causa dell’incidente. Era successo anni addietro, poco prima che lei commettesse il grave errore di lasciare il Jag per lavorare in uno studio privato con il suo ex, Dalton Lowne… Harm e Bud si erano anche fatti arrestare, durante quella missione.

Palmer, a quei tempi, era un agente del dipartimento di sicurezza della Difesa, e aveva cercato con tutti i mezzi di fermare l’indagine di Harm. Ma il capitano Rabb, come al suo solito, non si era arreso ed era riuscito ad averla vinta su Palmer. Ricordava ancora l’espressione divertita e ammirata di Bud quando le aveva raccontato del pugno che Harm era riuscito a restituire a Palmer, proprio sotto gli occhi esterrefatti del colonnello che aveva voluto l’inchiesta!

In seguito Palmer era diventato l’incubo di Harm: ogni volta che non si trovava in carcere, cercava di fargli del male. Ma Harm era sempre riuscito a cavarsela. Anche ora Palmer avrebbe dovuto trovarsi rinchiuso nella prigione di Leavenworth, proprio a causa di un’altra brillante intuizione di Harm. Invece era lei, in quel momento, a trovarsi nelle mani di quel pazzo.

“Sorpresa di vedermi, colonnello MacKenzie?” L’uomo sembrava divertirsi un mondo a beffarsi di lei.

“Come hai fatto ad evadere da Leavenworth?” gli chiese, seguendolo.

“Trucchi del mestiere” rispose divertito lui.

Intanto si stavano dirigendo verso un luogo ben preciso, che le sembrò familiare. Cominciò a prestare più attenzione a dove la stava conducendo e si guardò attorno.

“Dove siamo?” chiese, quando realizzò che si trovavano in una zona completamente sperduta. Solo delle rocce qua e là, interrompevano un paesaggio che le ricordava molto il deserto dell’Arizona, dove era stata una volta in missione con Harm. Per la precisione, durante la loro prima missione insieme.

“Non serve che tu lo sappia…” rispose Palmer, invitandola a seguirlo in una specie di grotta ricavata dentro ad una roccia più grande delle altre.

Anche quell’entrata le ricordò immediatamente il luogo dove suo zio Matt, anni prima, si era rifugiato con i suoi Marines, quando aveva rubato la Dichiarazione d’Indipendenza… Possibile cha Palmer l’avesse condotta nel vecchio nascondiglio di zio Matt? A Red Rock Mesa? Eppure, non poteva sbagliarsi… quel luogo così particolare le era rimasto impresso fin dalla prima volta che l’aveva visto in compagnia di Harm. Appena fu all’interno della grotta, non ebbe più dubbi: l’aspetto del luogo era troppo singolare perché potessero essercene due identici al mondo!

“Lo hai riconosciuto, vero?” le domandò Palmer, divertito.

 Sarah lo osservò attentamente. Quell’uomo era più furbo del diavolo e sapeva più cose di lei e Harm di quanto loro stessi riuscissero a ricordare… Come faceva ad avere tutte quelle informazioni? Non li conosceva neppure, a quei tempi!
Istintivamente capì quale sarebbe stato il gioco di Palmer con Harm. Ricordò quello che le aveva detto quando ancora la teneva prigioniera a Washington o nei dintorni, e dovette riconoscere la furbizia sadica di quell’uomo. Le aveva assicurato che avrebbe fatto impazzire Harm a cercarla, mettendolo su false piste.

“Sei molto furbo…” cercò di lusingarlo.

“Hai capito, vero? Complimenti, colonnello, sei molto sveglia anche tu. Mi sono sempre piaciute le donne sveglie! Capisco come tu possa piacere al nostro caro Harm. Devo ammettere che ha dimostrato, finalmente, buon gusto! Certamente di più di quando stava con la bionda regista…”

Palmer le diede da bere e le indicò un letto molto spartano.

“Riposati, ora… Ritorno più tardi e mi servirà la tua completa collaborazione, per far divertire un po’ il nostro caro ragazzo!” e dicendo questo la legò alla testata e uscì dalla grotta.

Sarah si domandò dove potesse andare, in quel luogo sperduto, ma decise di non pensarci e approfittarne per riposarsi. Se voleva tener testa a Palmer, avrebbe dovuto ricorrere a tutte le sue energie.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***




Capitolo 15



Era tornato in ufficio dopo la seconda notte insonne. Aveva dormito a casa sua, solo per timore che Palmer lo cercasse al telefono e non lo trovasse. Altrimenti avrebbe dormito da Sarah, nel letto che avevano condiviso solo due notti prima, per sentirsi più vicino a lei.

Dio, come gli mancava! Era senza di lei solo da due notti, e già non riusciva più a sopportarlo… Avrebbe voluto almeno poter sentire il suo profumo…

Al diavolo! Non era quello, ciò che voleva! Lui la voleva di nuovo tra le sue braccia, sana e salva.

E se Palmer l’avesse cercato da Mac?

Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora senza notizie: il giorno precedente, in ufficio, non era riuscito neppure a sfogliare un documento. Non aveva fatto altro che fissare il telefono, che continuava a restare muto. Palmer doveva aver sospettato che il suo apparecchio era stato messo sotto controllo. Ma Webb era convinto di fare la cosa giusta.

Dannazione anche a Webb! Perché non lo aveva avvertito prima, che Palmer era di nuovo in libertà? Avrebbe potuto prestare più attenzione a certe sue sensazioni… sarebbe stato più in guardia. E non avrebbe mai lasciato sola Sarah.

Inutile tormentarsi… se Palmer lo avesse voluto nelle sue mani, avrebbe dovuto dargli quello che gli aveva chiesto due giorni prima, dopo che lo aveva ricontattato, al termine del suo incontro con l’ammiraglio.

Aver potuto parlare con l’ammiraglio Chegwidden gli aveva permesso di riacquistare la lucidità e la freddezza necessarie per portare avanti le trattative con determinazione e razionalità, anziché buttarsi alla cieca nelle mani di quello psicopatico. Il terrore provato per Sarah e il loro bambino stava per fargli commettere l’errore più grossolano: accettare che fosse Palmer a condurre il gioco. Invece doveva assolutamente essere lui a mantenere il controllo della situazione, se voleva avere qualche speranza di liberarla.

Quando Palmer lo aveva richiamato, aveva preteso, prima che il rapitore potesse fare qualunque proposta, d’essere sicuro che Sarah fosse ancora viva. Altrimenti la partita poteva dirsi chiusa. Aveva colto del risentimento nella voce ancora contraffatta all’altro capo del telefono, ma ormai era troppo tardi per tornare sulle proprie decisioni. Anche quando Palmer lo aveva minacciato di uccidere la sua donna, era stato irremovibile: se non avesse sentito di persona la voce di Mac, oppure se non avesse avuto un messaggio che stava ad indicare che proveniva davvero da lei, non avrebbe ascoltato oltre.

Palmer aveva riattaccato inferocito. E da allora più nulla.

Erano passati quasi due giorni e il telefono non aveva più squillato. Né a casa, né in ufficio.

E se avesse preso la decisione sbagliata? Se chiedergli una prova che Mac fosse ancora viva avesse solo accelerato la sua fine? Palmer era un pazzo, un pazzo pericoloso… Anche se aveva un atteggiamento da intellettuale raffinato, lui stesso si definiva un “artista della morte”… Quante persone aveva già ucciso, sostenendo che era a causa del suo lavoro, e senza provare il benché minimo rimorso? 

Al diavolo! L’ex agente del dipartimento di sicurezza della Difesa non uccideva solo perché costretto. Ci provava gusto! E aveva affinato tecniche perfette per non lasciare tracce. Webb e i suoi uomini lo stavano sottovalutando, come sempre.

Si prese la testa fra le mani: si sentiva distrutto. La tensione e la stanchezza stavano avendo la meglio su di lui. Se solo avesse saputo come muoversi. Se solo fosse stato certo che Sarah era ancora viva... Era sicuro che l’adrenalina avrebbe ripreso a scorrere velocemente nelle sue vene, ridandogli la carica che in quel momento sembrava averlo abbandonato.

“Capitano…” la voce del tenente Roberts lo fece trasalire.

“Oh, Bud… sei tu” disse con aria stanca, osservando  il tenente e la moglie fermi sulla soglia del suo ufficio. Fece loro cenno d’entrare.

“Non volevamo disturbarla… Come sta?” chiese dolcemente Harriet.

Harm la guardò e non disse nulla, ma i suoi occhi chiari erano lucidi.

Harriet capì, senza bisogno che lui parlasse. Gli si avvicinò, per confortarlo; suo marito la stava osservando, mentre posava una mano sulla spalla del capitano Rabb. Non appena sentì il conforto di quella mano, Harm si voltò verso il tenente Sims e fece quello che nessuno mai si sarebbe aspettato dal coraggioso e spavaldo capitano di fregata Harmon Rabb jr.: abbracciò Harriet e tra le sue braccia pianse.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***




Capitolo 16


 

Doveva pensare velocemente: Harm voleva dal suo rapitore un segno che lei era ancora viva. Palmer glielo aveva detto quando l’aveva svegliata per darle da mangiare. 

Sembrava piuttosto infastidito dal fatto che Harm non si piegasse immediatamente alla sua volontà. Ma, in fondo in fondo, lei era convinta che lo ammirasse anche, per quello. Due menti tanto intelligenti, pur odiandosi, era impossibile che non provassero anche ammirazione reciproca. Aveva colto anche in Harm la stessa sottile vena di compiacimento, ogni volta che accennava a Palmer, a quello che aveva tentato di fargli e a come lui fosse sempre riuscito a farlo rinchiudere in prigione. Il capitano Rabb odiava quel pazzo, ma nonostante questo, non riusciva a nascondere il piacere della sfida cui l’intelligenza diabolica di Palmer lo metteva di fronte. La stessa cosa doveva accadere all’ex–agente del DSD. Altrimenti non si spiegava la sua fissazione nei confronti di Harm. Batterlo era diventata la sua ragione di vita!

Due menti acute, intelligenti e raffinate. Se soltanto non ci fossero state di mezzo la pazzia e la morte, sarebbe stato un match davvero interessante.

Palmer aveva detto che poteva scordarsi di parlare col suo amato: avrebbe dovuto pensare ad un messaggio sufficientemente personale, affinché Harm potesse essere sicuro che giungeva proprio da lei. E guai se avesse fatto scherzi! L’avrebbe uccisa immediatamente.

Sarah aveva chiesto qualche momento da sola, per potersi concentrare su cosa riferirgli, onde evitare di commettere errori. Il rapitore aveva risposto che le avrebbe concesso solo quindici minuti, non uno in più.

Ne erano già trascorsi sei.

Sapeva quale avrebbe potuto essere un messaggio adatto: era sufficiente ricordare ad Harm una delle frasi d’amore che lui le aveva detto quando gli aveva rivelato del bambino.

Ma lei voleva dargli un indizio affinché lui potesse raggiungerla, cogliendo di sorpresa Palmer, che lo avrebbe immaginato in un altro luogo, condotto laggiù da uno dei suoi tranelli. E questo non era così semplice. Doveva formulare un messaggio “in codice”, che il rapitore non avrebbe capito, ma che allo stesso tempo fornisse indicazioni ad Harm per capire che lei era viva e dove si trovava.

Si concentrò al massimo, cercando di superare la stanchezza del viaggio. Anche se aveva potuto riposare un po’, le ore in auto e le due notti quasi insonni l’avevano provata duramente.

L’unica possibilità che aveva di uscire da quella situazione, tuttavia, era riuscire a trovare una maniera per comunicare con Harm. Lui non l’avrebbe abbandonata. Di questo era assolutamente certa. Così com’era sicura che avrebbe fatto tutto quello che il suo aguzzino gli avrebbe chiesto, pur di salvarla!  Ma doveva fare in modo che Harm fosse un passo avanti, per permettergli d’avere la meglio sull’uomo che lo voleva distruggere.

Determinata nella sua decisione, continuò a spremersi le meningi. Quando Palmer la raggiunse, lei era pronta.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***




Capitolo 17


 

Clayton Webb congedò con un cenno del capo, l’agente che gli aveva appena riferito notizie riguardo al ritrovamento dell’auto del colonnello MacKenzie.

A dire la verità, di notizie ce n’erano ben poche da comunicare. L’auto di Mac era stata ritrovata in una strada alla periferia della città. Un agente di pattuglia alla zona l’aveva notata abbandonata da due giorni e aveva controllato la targa, che lo stesso Webb aveva segnalato alla centrale di polizia non appena Harm gli aveva comunicato la notizia del rapimento di Mac.

L’auto non aveva fatto altro che confermare i sospetti di Harm: tra le varie impronte ritrovate, ce n’erano alcune che appartenevano a Clark Palmer. Che, a quanto sembrava, non aveva alcun’intenzione di nascondersi troppo.

Harm aveva ragione anche in quello, quando sosteneva che stava giocando con lui al gatto e al topo… Se avesse voluto non farsi scoprire, certamente avrebbe trovato il modo di non lasciare impronte, oppure di non far ritrovare l’auto così presto. Clayton era certo di questo! Palmer era troppo furbo, per non considerare questo genere di dettagli.

Il capitano Rabb aveva ragione su tutta la linea. Ma di questo, Webb era stato sicuro fin dall’inizio. Aveva imparato presto a capire che dell’intuito di Harm ci si poteva fidare. Se solo non fosse stato così intransigente su alcuni dettagli…

Alzò il telefono e chiamò Rabb per comunicargli la notizia.

Quando terminò la telefonata, si sentì più irrequieto di prima. Harm gli aveva assicurato che non c’erano state altre chiamate da parte del rapitore, dopo l’ultima del giorno del sequestro. La cosa gli parve strana, e lo disse a Rabb. Lui, di malavoglia, gli spiegò come, proprio durante quell’ultima telefonata, avesse richiesto al rapitore una prova che Mac fosse ancora viva.

Il fatto che non si fosse fatto più sentire poteva significare solo due cose: o che voleva portare Harm all’esasperazione, oppure che Mac…

No, non riusciva neppure a pensare ad un’eventualità simile. Quel fottuto figlio di puttana non poteva averla già uccisa! L’aveva rapita solo per attirare Harm nella sua trappola. Se così era, che motivo aveva di ucciderla subito? A meno che le cose non fossero andate storte per qualche motivo…

Rivide il volto del colonnello MacKenzie, il suo sorriso, i suoi occhi, il suo corpo… Aveva sempre ammirato la sua intelligenza e la sua grinta. E l’aveva sempre trovata una bellissima donna… Se non si fosse accorto subito di quanto fosse innamorata del capitano Rabb, probabilmente avrebbe cercato di uscirci insieme. Ma sapeva che sarebbe stato pericoloso. Era il genere di donna di cui ci si poteva innamorare e lui non poteva permettersi di innamorarsi. Non con il tipo di vita che conduceva. Ma, soprattutto, non di una donna che amava un altro.

Pensò a Rabb e a Mac: insieme avrebbero formato una splendida coppia! Già lo erano sul lavoro, ma avrebbero potuto esserlo anche nella vita privata. Un po’ come sua madre e suo padre: entrambi agenti segreti, con la stessa passione per il loro lavoro.

Harm e Mac erano fenomenali assieme! Entrambi brillanti e intelligenti, si completavano a vicenda. L’istinto di Rabb trovava sempre conferma nella riflessività del colonnello, mentre l’intransigenza di Mac era smorzata dall’imprevedibilità di Harm. Erano sempre in sintonia, anche quando sembrava il contrario. Ma allo stesso tempo erano anche in competizione e questo non faceva altro che evidenziare maggiormente le eccellenti qualità di entrambi.

L’ammiraglio Chegwidden si era trovato due ottimi elementi, per la sua squadra! I migliori.

Clayton, tuttavia, non riusciva a capire Harm. Si era mai accorto dei sentimenti della sua collega e amica? Per quale ragione continuava a trovarsi donne completamente inadatte a lui, quando aveva accanto quella giusta? Era certo che anche il capitano Rabb provasse dei sentimenti per Mac. Se fino ad allora avrebbe anche potuto dubitarne, la reazione dell’ufficiale al sequestro della sua collega non gli aveva lasciato dubbi. Anzi! Gli aveva fatto addirittura sospettare che ci fosse dell’altro, tra quei due. Aveva provato la stessa sensazione anche poco prima, al telefono. La voce di Harmon Rabb era troppo affranta, per non fargli pensare che tenesse a Mac più di quanto fosse capace di ammettere anche con se stesso.

Webb rifletté per un attimo sulle implicazioni di quella considerazione: se davvero Rabb amava la donna che Palmer aveva rapito, certamente non si sarebbe tenuto in disparte durante la caccia all’uomo. Avrebbe preteso di parteciparvi. Se non, addirittura, di consegnarsi nelle mani del rapitore senza pensare alle conseguenze. Considerato il suo spirito ribelle e sempre pronto all’azione, non avrebbe esitato un attimo. E questo, per Webb e i suoi uomini, avrebbe significato complicazioni.

Complicazioni con la “C” maiuscola.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***




Capitolo 18


 

Clark Palmer guardò il foglietto che Sarah MacKenzie gli aveva appena consegnato. Vi era scritto il messaggio per Rabb. Quello che gli avrebbe fornito la prova che la sua donna era ancora viva.  Lo lesse attentamente, cercando di scoprire eventuali significati reconditi. Conosceva l’intelligenza del colonnello e non la sottovalutava. La donna avrebbe potuto cercare di trasmettere un messaggio in codice al suo uomo, per fornirgli qualche indizio su dove si trovasse.

Era stato indeciso fino all’ultimo se rivelarsi a lei oppure tenerla all’oscuro della sua identità. Ma poi, il piacere della sfida, aveva prevalso sulla cautela. Trovava sempre estremamente eccitante mettere alla prova l’intelligenza del suo avversario, chiunque fosse, per poi coglierlo di sorpresa e dimostrargli la sua superiorità. E godere dell’espressione dell’altro, quando si rendeva conto di essere stato battuto. Ne traeva un piacere quasi fisico.

Solo Rabb era sempre riuscito a spiazzarlo. Era per questo motivo che l’odiava tanto! Lui era certo d’essere migliore, più astuto e più intelligente di quell’avvocato-pilota che si credeva tanto un dio! Eppure, fino a quel momento, quel maledetto aveva sempre avuto la meglio. Ma sarebbe stata l’ultima volta... Di questo, Rabb poteva starne certo!

Rilesse ancora una volta il messaggio.

Ricordi dov’eravamo quando mio padre mi chiese dove ti avevo incontrato e io risposi in un giardino di rose?” 

Palmer cercò di mettere a fuoco quello che sapeva dell’incontro tra il colonnello e il capitano: l’ammiraglio li aveva presentati a Washington, appena dopo la cerimonia per la consegna della medaglia al valore a Rabb, anni prima. E proprio lì aveva lasciato un messaggio per il capitano, certo che al primo indizio fasullo che gli avrebbe fornito, lui sarebbe andato anche lì a cercare la sua donna.

Aveva previsto tutte le sue mosse. Mai sottovalutare l’avversario, era il suo motto! E Rabb era un avversario che non doveva essere assolutamente sottovalutato.  

Il suo indizio sarebbe stato: “Cercami dove ci siamo incontrati”.

Solo cinque semplici parole. Ma che potevano avere ben due significati.  Che lo avrebbero condotto al “giardino delle rose”, come, a quanto sembrava, i due innamorati amavano definire il luogo del loro incontro, oppure fino in California, dove c’era la sede, oramai abbandonata, della Brudenhurst Corporation. Il luogo del SUO incontro con Rabb.

Sorrise soddisfatto all’idea di sapere Rabb che girovagava a destra e manca per cercarlo. E più non lo trovava, e non trovava la sua donna, più avrebbe desiderato trovarlo! E lui sarebbe stato pronto ad accoglierlo, appena si fosse ritenuto soddisfatto di averlo fatto penare a sufficienza e gli avesse detto dove raggiungerlo.

Rilesse un’ultima volta il biglietto che aveva tra le mani, senza cogliervi nessuna stranezza. La frase sembrava un’innocua banalità tra innamorati… Probabilmente, in occasione di quella domanda, si erano trovati in qualche luogo strano, speciale, che nel loro cuore di teneri amanti aveva acquistato un significato particolare. Il colonnello lo riteneva una prova sufficientemente intima per essere sicura che il suo uomo avrebbe capito che lei era ancora viva. 

Sarah stava osservando Palmer col cuore in gola. Sperò ardentemente di essere riuscita nel suo intento. Non si aspettava certo che lui non si ponesse degli interrogativi sul messaggio che aveva pensato per Harm, ma le sembrò che lo rileggesse con troppa attenzione.

Formulò mentalmente una preghiera, affinché il significato nascosto di quella frase passasse inosservato e quando vide Palmer prendere in mano il cellulare e comporre un numero, capì che la sua preghiera era stata esaudita.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***




Capitolo 19


 

Harm guardò di sfuggita l’ammiraglio e gli fece un impercettibile cenno col capo.

“D’accordo Clay! Farò come vuoi tu…” sospirò infine, guardando negli occhi l’agente della CIA. “Ma ricordati, voglio essere tenuto informato ogni ora”.

“Certo, Harm” rispose Webb. Alla fine era riuscito a convincerlo. Dopo più di mezz’ora a discutere col capitano Rabb, aveva ottenuto che lui non partecipasse alle indagini.

Al termine di due lunghe giornate di completo silenzio, finalmente il terzo giorno Palmer aveva richiamato. Si era presentato con la sua voce, non più contraffatta. Ormai aveva raggiunto il suo primo scopo, quindi non doveva più mantenere celata la sua vera identità. Aveva dapprima letto il messaggio di Mac, quindi aveva dato il suo: “Cercami dove ci siamo incontrati”.

Webb aveva chiesto conferma ad Harm riguardo il messaggio del colonnello; lui era sembrato inizialmente perplesso, ma immediatamente dopo aveva annuito: Mac era ancora viva! 

Dopodiché avevano cercato di capire insieme il significato della frase di Clark Palmer. Webb aveva subito pensato al Mojave Desert, in California, dove si trovava la sede della Bradenhurst Corporation, poiché era il luogo dove Rabb e Palmer si erano conosciuti. Harm, tuttavia, lo aveva sorpreso, indicandogli, come luogo possibile, anche il giardino della Casa Bianca, dove lui e Mac si erano incontrati per la prima volta, dopo la cerimonia in cui il presidente Clinton lo aveva decorato della sua prima medaglia al valore. Webb era scettico, ma Harm gli aveva assicurato che, conoscendo Palmer, col termine “Cercami” poteva aver giocato di proposito, usandolo sia per riferirsi a se stesso, sia a Mac. L’ammiraglio aveva annuito, ricordando l’incontro, di cui lui stesso era stato l’artefice.

A quel punto, il capitano Rabb aveva iniziato a perorare la sua causa: voleva andare con gli uomini di Webb.

Clayton era assolutamente contrario all’idea. Se la sua intuizione era esatta e se Harm amava davvero il colonnello, sarebbe stato un grande errore averlo tra i piedi. Si ricordava ancora di quella volta, quando si era nascosto su una nave in disarmo… si era finto morto nell’esplosione, per salvare il super conduttore termico che Palmer e l’agente Paul Candella volevano rubare. Harm, con l’aiuto di Mac, era riuscito a capire, da un nome anagrammato che aveva dato a sua madre per farle sapere che stava bene, che lui era ancora vivo e che si era nascosto proprio nella vecchia nave dove aveva fatto credere di essere morto. Lo aveva raggiunto, per aiutarlo. Ma quando Palmer, che nel frattempo aveva ucciso Candella e li aveva trovati, lo aveva minacciato di uccidere il tenente Parker, Harm aveva esitato. Jordan Parker era la donna di Rabb, a quei tempi, e quell’attimo d’esitazione aveva permesso a Palmer di avere il sopravvento su di loro. Poco importava se, alla fine, Harm era riuscito a riprendere il controllo della situazione: Clayton lo aveva visto esitare a causa dei sentimenti che provava per una donna, e questo avrebbe potuto essere fatale per entrambi.

Webb ricordò al capitano Rabb proprio quell’episodio e, finalmente, gli sembrò convinto a lasciarlo lavorare solo con i suoi uomini. Comunicò ad Harm che avrebbe verificato prima il luogo del suo incontro con Mac, in seguito avrebbe immediatamente guidato i suoi uomini migliori in California.

Sentì su di sé lo sguardo di Rabb e Chegwidden, mentre usciva dall’ufficio dell’ammiraglio.

Non appena Webb si fu chiuso la porta alle spalle, Harm trascrisse su un foglietto il messaggio di Sarah e, in silenzio, lo porse all’ammiraglio.

A.J. Chegwidden lo lesse, poi guardò il capitano Rabb con aria interrogativa, ma lo vide fare un sorriso, mentre una luce divertita gli illuminò per un attimo lo sguardo. Quello stesso sguardo che per due giorni aveva espresso solo ansia, rabbia e dolore. Allora capì che Harmon Rabb era stato più furbo di Clayton Webb.

L’ammiraglio si sedette sulla poltrona, invitò Harm a fare lo stesso e poi disse: “Spiegami tutto”.

Il capitano Rabb pareva aver ritrovato di colpo tutta la sua energia. Finalmente sapeva dove si trovava Mac!

Un moto d’orgoglio gli riempì il cuore, al pensiero della donna fantastica di cui era innamorato: nonostante fosse prigioniera di uno psicopatico, era riuscita a prendersi gioco di lui e a fargli arrivare un messaggio in cui, non solo gli comunicava che era viva, ma gli diceva anche dove si trovava.

Doveva ammettere che Palmer, questa volta, aveva superato davvero se stesso! Ma Sarah era stata più furba di lui. All’inizio, il messaggio gli era parso strano: era assolutamente sicuro che nessuno fosse a conoscenza di come Mac amasse definire il luogo dove si erano conosciuti. Glielo aveva sentito dire una sola volta, a suo zio Matt, quando lo avevano raggiunto in Arizona, nel suo nascondiglio.  Ricordava ancora la conversazione tra i due, mentre tutti e tre si trovavano all’aperto, in mezzo al deserto…

Dove hai incontrato questo marinaio, Sarah?”

“In un giardino di rose, zio Matt”

Harm l’aveva guardata sorpreso: il tono dolce con cui lei aveva risposto a suo zio l’aveva intrigato. Si erano conosciuti da poco e fino a quel momento tutti gli sforzi che aveva fatto per affascinarla, come era solito fare quando incontrava una bella donna, sembravano essere stati vani. Lei lo aveva addirittura consegnato nelle mani di suo zio, puntandogli una pistola alla schiena. Aveva quasi perso le speranze di vederla sciogliersi un po’… fino a quella frase.

Nel messaggio, però, si riferiva a suo padre, non a suo zio. Era questo particolare ciò che all'inizio lo aveva reso perplesso. Lui non aveva mai parlato con il padre di Mac… non lo aveva mai neppure conosciuto. Che si fosse sbagliata, sopraffatta dalla paura? No, non Sarah! Ricordava il suo sangue freddo tutte le volte che si erano trovati in pericolo. Lei era come lui… anche nei momenti peggiori, la sua mente funzionava sempre in maniera razionale. Allora…?

Poi, finalmente aveva capito! Sarah aveva riconosciuto dove era stata portata, ma sapeva anche chi la teneva prigioniera e, soprattutto, doveva sapere che anche Palmer era a conoscenza del legame tra quel luogo e suo zio Matt… Quindi aveva tentato il tutto e per tutto, modificando il particolare che avrebbe potuto insospettire il suo rapitore, certa che il loro affiatamento nel lavorare assieme gli avrebbe permesso di capire il significato nascosto di quel messaggio.

Harm riferì tutto questo all’ammiraglio e poi lo osservò mentre sorrideva e mormorava compiaciuto: “Complimenti, colonnello!” 

“Sei ancora deciso ad aiutarmi?” domandò Harm.

“Capitano, il piano non è cambiato. Si prepari. La voglio sul luogo dell’appuntamento fra quindici minuti… E’ un ordine!”

Harm scattò sull’attenti e rispose: “Sissignore!”

L’ammiraglio lo osservò uscire rapido dal suo ufficio; poi si concesse un breve sorriso, prima di prepararsi anche lui per la missione: non aveva mai visto Rabb obbedire così prontamente, e con entusiasmo, ad un suo ordine.

E, soprattutto, senza discutere!

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***




Capitolo 20


 

“Maledizione!” sbottò Webb quando lesse il biglietto di Palmer che Steve gli aveva appena consegnato.

“Un altro buco nell’acqua?” domandò l’agente Logan.

“Già… Palmer ci ha giocato anche questa volta!”

“Che cosa dice il biglietto?”

Clayton Webb guardò sconsolato il pezzetto di carta che teneva tra le mani: si vergognava quasi a leggerne il contenuto a Steve Logan. Palmer li aveva beffati come degli scolaretti!

Quando era giunto sul luogo dell’incontro tra Mac e Harm, era ancora molto scettico: era convinto che, in quel caso, Harm avesse preso un abbaglio. Figurarsi se Palmer avrebbe portato la sua prigioniera in un luogo tanto in vista! Lui era certo che non avrebbero trovato nulla.  Infatti aveva visto solo un biglietto in cui Palmer prendeva in giro il capitano Rabb.

Quindi il luogo dell’incontro non poteva essere che la sede della Bradenhurst Corporation!

Invece, ad attendere la sua squadra speciale di agenti e tiratori scelti, c’era solo un altro biglietto di Palmer.

Ciao, Harm! Ti stai divertendo? Io moltissimo! Mi è sempre piaciuta la caccia al tesoro… soprattutto quando sei tu a giocarci! Inoltre sto così bene in compagnia del tuo bel colonnello, che non voglio che arrivi troppo presto a rovinarmi il divertimento! Dovresti sapere quanto si sta bene con lei tra le mani…”

“Questo messaggio farà andare in bestia il capitano Rabb, signore” disse Steve.

Webb non poté che essere d’accordo col suo collega: altroché andare in bestia! Harm sarebbe diventato una furia scatenata. E a lui sarebbe stato impossibile controllarlo. A volte Clayton Webb era stanco del suo lavoro… E, chissà come mai, ogni volta che gli capitava di sentirsi così, c’era di mezzo Harmon Rabb!

Fece un sospiro e prese il telefono: dopo aver composto il numero del cellulare di Harm, attese di sentire la voce del capitano per comunicargli quello che avevano scoperto. Ma il telefono segnalava che l’utente non era raggiungibile. Clayton si domandò perplesso come mai Harm avesse il cellulare spento. Riprovò col numero diretto del suo ufficio e non ottenne nessuna risposta. Allora chiamò l’ufficio dell’ammiraglio: magari Harm si trovava da lui…

“Ufficio dell’ammiraglio Chegwidden…” la voce di Tyner lo scosse dai suoi pensieri.

“Sono Webb. Mi passi l’ammiraglio. E’ urgente!”

“L’ammiraglio non è in ufficio, signor Webb.”

“Allora mi rintracci il capitano Rabb…”

“Mi spiace, signor Webb, anche il capitano è fuori…” rispose, esitante, la voce del segretario dell’ammiraglio.

“Quando li posso trovare?” Webb stava cominciando a spazientirsi. Harm lo aveva tormentato, facendogli promettere che lo avrebbe avvertito subito, in caso di novità, e ora non si faceva neppure trovare…

“Non me lo hanno detto, signore” rispose Tyner.

A Webb, improvvisamente, fu tutto chiaro. Accidenti ad Harmon Rabb! E accidenti anche ad A.J. Chegwidden! Erano riusciti ad imbrogliarlo. E lui, come un ragazzetto alle prime armi, c’era cascato in pieno!

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***




Capitolo 21


 

L’ammiraglio Chegwidden ammirò la calma e la freddezza con cui il capitano Rabb fece atterrare dolcemente il suo biposto, sul terreno arido che aveva deciso di utilizzare come pista d’atterraggio improvvisata. Sapeva che Rabb era un ottimo pilota di caccia, ma non aveva mai volato con lui… e soprattutto non su un aereo che gli ricordava piuttosto un giocattolo, pilotato da un uomo la cui unica preoccupazione, al momento, era quella di liberare la donna di cui era innamorato dalle mani di un killer psicopatico. Eppure avrebbe dovuto immaginare che Harm, quando si sarebbe trovato in volo, avrebbe dimenticato tutto e si sarebbe trasformato in un essere perfettamente in sintonia col suo aereo.

Ciò che aveva sentito su di lui, come pilota, doveva essere vero!

Rabb era famoso, come il padre, per essere un abile pilota, intuitivo e molto freddo, soprattutto quando si trattava di tirarsi fuori da situazioni spiacevoli.  Del resto ricordava ancora la motivazione addotta per la sua seconda medaglia al valore, quella che lui stesso aveva avuto l’onore di appuntargli al petto. Harm, pur di non abbandonare due suoi compagni alla mercé del nemico, tramite un gancio dell’aereo in avaria appoggiato al cupolino del suo caccia, era riuscito a spingere il Tomcat dei compagni oltre le montagne, fino al mare, dove un mezzo di soccorso aveva potuto recuperare il pilota e il suo secondo in territorio neutrale. Ma le frasi scritte nel breve discorso per elogiare il suo coraggio, non sottolineavano ciò che chiunque avesse volato con lui avrebbe intuito all’istante: il piacere che Harm provava, e dimostrava, quando era in volo.

Appena l’aereo toccò terra, i due uomini scesero e terminarono di prepararsi per la missione. Harm, poi, si adoperò per qualche minuto attorno al motore dell’aereo. A.J. attese con pazienza, finché lo vide riporre soddisfatto un pezzo dell’ingranaggio nello zaino. Sorrise, e Harm ricambiò il sorriso: doveva ammettere che quel ragazzo lo sorprendeva sempre! Aveva fatto una cosa logica, per evitare che qualcuno (se mai qualcuno fosse transitato in quella zona completamente deserta) potesse rubare l’aereo.  Sapeva quanto Harm ci tenesse a quel vecchio Stearmen: era di suo padre, e avrebbe fatto il possibile per evitare che qualcuno se n’appropriasse.  Tuttavia, ciò che lo aveva sorpreso maggiormente era il sangue freddo che stava dimostrando da quando, finalmente, aveva avuto la certezza che Mac fosse ancora viva. Superati i momenti di rabbia e impotenza non appena aveva saputo del rapimento del colonnello, era ritornato ad essere lucido e pronto all’azione, attento ad ogni dettaglio. Lo dimostrava anche il fatto che avesse persino pensato di rendere inutilizzabile il suo aereo, prima di abbandonarlo nel deserto.

“Andiamo?” chiese Harm.

“Andiamo” rispose A.J.

S’incamminarono sul terreno polveroso, senza parlare, ognuno concentrato sui propri pensieri, riflettendo sui particolari della missione che stavano per compiere. Erano uomini addestrati al combattimento, con esperienze di guerra e capaci di ragionare, cercando di prevedere le mosse del nemico. Eppure, nonostante avessero un piano e fossero determinati a portarlo a termine, entrambi sapevano che quella sarebbe stata una delle prove peggiori della loro vita.

E, mentre il sole calava lentamente sul deserto dell’Arizona, l’ammiraglio Chegwidden non poté fare a meno di rivolgere una breve invocazione al cielo, affinché loro due, anche se soli, riuscissero a liberare Mac, e Harm potesse finalmente riabbracciare la donna che amava.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***




Capitolo 22


 

S’infilò nella fenditura della roccia, che fungeva da entrata, cercando di scivolare il più possibile contro la parete della grotta. All’esterno il cielo era ormai completamente buio, ma dall’apertura s’intravedeva un debole chiarore.

Si muoveva cauto, attento a non fare il minimo rumore. Aveva lasciato lo zaino nascosto dietro un masso, all’esterno, per essere più libero nei movimenti. Con sé portava soltanto la sua pistola e un coltello infilato negli anfibi da combattimento.

Era concentrato al massimo, per percepire ogni eventuale suono che provenisse dall’interno: voleva riuscire a coglierlo di sorpresa, anche se sarebbe stato difficile. Conosceva molto bene il suo avversario, e sapeva che non trascurava mai un dettaglio. Sperava solo che, anche questa volta, come tutte le altre, riuscisse ad essere un passo davanti a lui.

Avanzando lentamente, arrivò nel punto in cui lo stretto corridoio si apriva in uno spazio più largo, meglio illuminato. Prima di uscire allo scoperto, cercò di analizzare la scena che gli si presentò davanti.

Su un letto sistemato alla sua sinistra nella parete di fondo, legata e imbavagliata, Mac stava dormendo. O, almeno, così sperava in cuor suo…

Dall’altro lato, su una sedia, Palmer gli voltava le spalle. Era seduto ad un tavolo, e guardava un monitor. Probabilmente un computer… Harm non n’era certo, perché la figura immobile gli copriva la visuale dello schermo. Oppure avrebbe potuto anche essere…

Decise di giocare il tutto e per tutto e, puntando la pistola contro la figura seduta, gridò:

“Fermo, Palmer! Non ti muovere!”

In effetti, restò immobile. Ma quando Harm sentì la canna di un’arma che gli premeva sulla schiena, capì che il fantoccio al computer non si sarebbe mai mosso in ogni caso.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***




Capitolo 23


 

Purtroppo non stava sognando. La voce che aveva sentito era veramente quella di Harm, ma non si trattava di un sogno. Altrimenti lo avrebbe fatto finire diversamente. Nel suo sogno, Harm l’avrebbe slegata, abbracciata e lei non avrebbe avuto così paura… Invece le braccia che la stringevano non erano quelle dell’uomo che amava. Lui non le avrebbe mai fatto scivolare la canna della pistola dalla tempia, al collo, fino sul fianco… in una carezza di morte, solo per provocare l’uomo legato sulla sedia.

Sarah sentì il cuore venirle meno, più nel vedere Harm imprigionato da Palmer, che nel sentire il freddo del metallo scorrerle sul corpo. Era riuscita nel suo intento e Harm aveva capito il suo messaggio, ma in questo modo non aveva fatto altro che attirarlo prima nella trappola di Clark Palmer. E ora li avrebbe uccisi entrambi…

Pensò a quanto fosse ingiusto, a volte, il destino. Finalmente, dopo anni in cui aveva amato in silenzio quell’uomo, era stata ricambiata. Aveva già temuto di averlo perso solo due mesi prima, ma quella volta, la fortuna lo aveva assistito. Sperare che le cose potessero risolversi al meglio anche questa volta, sarebbe stato, forse, chiedere troppo. Eppure, proprio ora che erano felici insieme e che la loro vita avrebbe potuto essere ancora più completa con l’arrivo del loro bambino… proprio ora non poteva credere che tutto dovesse finire in una grotta, nel deserto dell’Arizona, a causa di un pazzo!

Sentì lo sguardo di Harm su di sé e si rese conto che, nonostante tutto, lui cercava di trasmetterle sicurezza. Come faceva? Come riusciva a farla sempre sentire meglio, anche in una situazione simile? Cercò di ricambiare quel suo sguardo e fece un accenno di sorriso, solo per fargli capire che a lei era sufficiente essere con lui…

“A quanto pare sei più sveglio di quanto mi aspettassi! Oppure ho sottovalutato il bel colonnello?” domandò l’ex agente del DSD.

“Ti conosco da tempo, Palmer, e ormai so come ragioni” disse, calmo, Harm. Poi rivolse di nuovo lo sguardo su Sarah: Dio, come sembrava affaticata! Il suo viso era pallido e aveva delle profonde occhiaie. Gli sembrò anche che fosse dimagrita. Inoltre aveva scorto nei suoi occhi una luce triste che non aveva mai visto prima.

“Dove hai lasciato i rinforzi?” chiese di nuovo Palmer, divertito. Harm non si stupì di cogliere quel tono, nelle parole del suo persecutore. Sapeva bene che per quell’uomo, tutta la faccenda era come un gioco. Una sfida. Una crudele sfida tra loro due che purtroppo, questa volta, aveva coinvolto anche Mac.

“Sono solo” rispose il capitano Rabb.

“Vuoi dire che hai lasciato a casa il nostro comune amico Clayton? Oppure lo hai spedito a cercarmi negli altri posti? Povero Webb, come spia vale ben poco…”

“Ti ripeto che sono solo. Ho sempre saputo che vuoi me… Ora mi hai. Lascia libera lei” disse Harm deciso. Era l’unica cosa che gli importasse…

“Dovrei lasciarla andare? “ domandò Palmer, quasi a se stesso. Poi, rivolto a Mac: “Sentilo! Vuole ancora dirmi quello che devo fare… Cosa ti avevo detto? Non trovi anche tu che sia dannatamente arrogante?” Pronunciò quelle parole quasi con dolcezza, sfiorando il viso di Sarah con una carezza, a solo uso e consumo del suo prigioniero.

Harm restrinse solo impercettibilmente gli occhi, ma non fece nessun cenno d’aver colto la provocazione.

 Freddo. Doveva restare freddo il più possibile….

“A cosa ti serve lei, se ora hai me? Hai quello che volevi, no?”

“E chi ti dice che non mi serva anche lei… o che non VOGLIA anche lei? Ti assicuro che il tuo bel colonnello, fino ad ora, mi ha tenuto compagnia in modo davvero piacevole… “ replicò Palmer, prima di voltare bruscamente il viso di Mac verso di sé e infliggerle un bacio sulle labbra.

La lasciò quasi subito, per gustarsi l’espressione del capitano, con un’aria trionfante negli occhi.

A quel punto Harm capì che doveva stare al suo gioco. Doveva distrarlo e dargli quello che voleva. Fece uno scatto sulla sedia, come se volesse saltargli addosso.

Palmer rise e continuò: “Sei così prevedibile, capitano! Ad ogni modo, ho in serbo per te una bella sorpresa… Non immagini neppure il divertimento che ti ho preparato!” Così dicendo, aveva slegato Mac dal letto e la stava sospingendo verso di lui, sempre puntandole contro l’arma.

Harm notò che lo sguardo di Sarah, alle parole di Palmer, era diventato, se possibile, ancora più triste. A quanto pareva, lui l’aveva messa a conoscenza dei suoi piani crudeli, probabilmente solo per torturarla e farla soffrire ancora di più.

Mentre li osservava avvicinarglisi, Harm colse un impercettibile movimento alla sua sinistra, appena alle spalle di Sarah.

“Ora perché non vi salutate con un bel bacio, per l’ultima volta? Come vedi, sono comprensivo…” disse Palmer, sempre con quel suo tono divertito e spinse Mac contro di lui, strattonandola per un braccio.

Harm vide che aveva le lacrime agli occhi e pensò di non riuscire a resistere oltre. Avrebbe voluto asciugargliele con le labbra, ma non poteva pensare a quello, ora.

Non appena Palmer gliela avvicinò, si mosse rapidamente e si buttò a terra, cadendo sul fianco sinistro. Quel movimento repentino sorprese Sarah, che scivolò in avanti e cadde sulle ginocchia, proprio vicino a dove terminavano le gambe della sedia sulla quale era legato.

Ma la manovra del capitano Rabb colse ancora più di sorpresa Palmer, che si voltò di scatto alla sua destra, verso Harm, pronto a sparargli… All’improvviso, scorse un’ombra con la coda dell’occhio che lo distrasse dal suo intento. Prima di realizzare cosa fosse, sentì un calcio colpirlo alla mano con la quale impugnava l’arma. Quindi un pugno in pieno viso lo fece sbalzare all’indietro, mentre la pistola scivolava a pochi metri di distanza. Senza ben capire cosa gli fosse appena successo, cercò istintivamente di recuperarla, ma uno stivale gli bloccò a terra il polso…

Allora sollevò gli occhi, risalendo con lo sguardo sulle gambe fasciate nella mimetica, fino a cogliere il volto accigliato di A.J Chegwidden che, tenendolo sotto tiro, scuoteva la testa in segno di diniego.

Clark Palmer si accasciò al suolo: Harmon Rabb l’aveva sconfitto un’altra volta.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***




Capitolo 24


 

L’elicottero di soccorso si stava sollevando in cielo; un altro attendeva pronto, poco distante dall’aereo del capitano Rabb, per riportare a Washington l’ammiraglio Chegwidden e Clayton Webb, che avevano in custodia Palmer.

Non appena si era resa conto che l’ammiraglio aveva disarmato il rapitore, Sarah era riuscita in qualche modo a slegarsi i polsi e poi si era precipitata a liberare Harm, ancora a terra e legato alla sedia. Nel frattempo l’ammiraglio aveva immobilizzato Clark Palmer ed era uscito dalla grotta con il prigioniero per chiamare i soccorsi, lasciandoli soli.

Nello stesso istante in cui Mac era riuscita a liberarlo, Harm l’aveva immediatamente stretta tra le braccia: non gli sembrava vero poterla finalmente riavere con sé… Lei si era rifugiata nel suo abbraccio e lui l’aveva sentita singhiozzare. Tutta la tensione e la paura accumulate in quei giorni l’avevano davvero provata. Aveva bisogno di lui, di poter piangere tra le sue braccia…

Harm l’aveva tenuta stretta, sussurrandole dolci parole rassicuranti, mentre le accarezzava i capelli. Lasciò che si sfogasse. Poteva capirla: anche lui aveva fatto la stessa cosa con Harriet e, se non fosse stato per il fatto che era lei, in quel momento, ad aver bisogno di conforto, forse avrebbe pianto anche lui tra le sue braccia. Ma voleva rassicurarla, farla sentir meglio e non turbarla oltre. Tuttavia, quando Sarah lo aveva guardato finalmente in viso, si era accorta che anche gli occhi chiari di Harm erano umidi. Allora lo aveva baciato, gli aveva accarezzato il viso e si era stretta di nuovo a lui, come se avesse temuto di non poterlo più fare.

Harm era preoccupato moltissimo per la sua salute: temeva che l’esperienza vissuta fosse stata talmente traumatica, che avrebbe potuto avere conseguenze sulla gravidanza. Sapeva che era una donna forte, abituata a superare qualunque tipo di difficoltà, ma chiunque, al suo posto, sarebbe stato tanto preoccupato. Desiderava moltissimo quel bambino…

Sarah aveva cercato di rassicurarlo, ma Harm era stato irremovibile e aveva preteso di attendere i soccorsi, prima di riportarla a casa. Voleva essere sicuro che non avesse bisogno di un ricovero in ospedale. 

Aveva finalmente tirato un sospiro di sollievo, quando il medico che aveva visitato Sarah lo aveva rassicurato, dicendogli che l’aveva trovata bene, nonostante la brutta avventura. Stanca, affamata, ma stava bene! Sia lei, sia il bambino che aspettava.

Harm aveva chiesto, quindi, al dottore se poteva riportarla a casa sull’aereo, anziché farla andare senza di lui sull’elicottero di soccorso. Il medico ci aveva pensato un attimo e poi aveva dichiarato che non ci sarebbero stati problemi. Quella donna aveva certamente più bisogno di stare con l’uomo che amava, anche se su un giocattolino volante, piuttosto che tra sconosciuti in un mezzo magari più sicuro.

Mac si voltò verso l’ammiraglio e lo abbracciò, con le lacrime agli occhi. Gli sussurrò all’orecchio: “Grazie”, poi si scostò da lui.

L’ammiraglio la guardò e sorrise, facendo appena un cenno con lo sguardo. Infine strinse la mano che il capitano Rabb gli porgeva, mentre anche lui gli stava dicendo: “ Grazie, A.J.”

Accidenti! La situazione stava diventando troppo sdolcinata. Doveva porvi rimedio immediatamente. Decise di assumere la sua aria più autoritaria e disse:

“Vi concedo solo pochi giorni di vacanza. Poi voglio entrambi in ufficio! Sulle vostre scrivanie vi aspetta un bel po’ di lavoro…” Quindi si voltò verso Webb e strizzò l’occhio.

Harm sorrise, prese Sarah per mano e si diresse verso l’aereo. L’aiutò a salire e si sistemò al suo posto. Ma prima di infilarsi le cuffie, la fece voltare, sporgendosi verso di lei per darle un bacio.  Sarah lo ricambiò, felice. Poi ricordò che, quando due mesi prima le aveva chiesto di sposarlo, le aveva anche domandato: “Vola con me”. Rispose nella sua mente ancora una volta sì, nello stesso istante in cui lui accendeva il motore dell’aereo. 

L’ammiraglio osservò i suoi due pupilli, mentre Harm iniziava le manovre per il decollo: era certo che si sarebbero lasciati presto alle spalle quella brutta avventura. Avrebbero avuto tante altre cose alle quali pensare, nei prossimi giorni… Sorrise al pensiero che forse, negli uffici del Jag, finalmente avrebbe regnato un po’ di pace! Sarebbe toccato al colonnello MacKenzie, da quel momento in poi, tenere a bada il capitano Rabb.

La sola idea lo rendeva di ottimo umore.

 

 

FINE


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