3.
Il ritorno
Quando
Rex cominciò a svegliarsi avvertì il terreno
aspro
sotto di lui. Strinse i pugni nella polvere iniziando lentamente a
riacquistare la sensibilità delle gambe. La testa gli doleva
e i timpani gli rimbombavano come se fosse
stato per ore davanti ad una potentissima cassa stereo dalla quale
uscivano onde sonore superiori a centodieci db.
Non
sapeva per quanto tempo avesse dormito, lo shock gli
aveva fatto perdere la cognizione del tempo. Aprì
impercettibilmente gli occhi
e i raggi del sole lo accecarono come un flash. Rimase immobile per
qualche
minuto, il tempo necessario perché gli occhi si abituassero
all’intensità delle onde
fotoniche. Alzò la testa, poi facendo leva con i gomiti si
portò seduto.
Davanti
a sé c’era un lago ma era diverso da quello in cui
ricordava di essere annegato. Annegato? Il pensiero gli
provocò un lieve
malessere che riuscì a controllare abilmente. Ricordava
ancora gli attimi prima di perdere i sensi in
fondo al
lago: la vita ripercorsa in pochi ma intensissimi frammenti.
«Ti
sei svegliato finalmente!»
Rex
si voltò a guardare alla sua destra da dove era
arrivata la voce. Non si era accorto che di fianco a lui era
inginocchiata una ragazza
vestita di verde. Appena la vide avrebbe voluto porle
un’infinità di domande,
ma con la mente confusa e annebbiata riuscì a pronunciare
solo due misere
parole.
«Chi
sei?»
«Io
sono venuta per salvarti. Anche se sarebbe più corretto
dire che sono qui per convincere i tuoi nanites a salvarti.»
La
ragazza sorrise fissandolo per qualche istante, poi fece
scendere lo sguardo in basso per esaminarlo dalla testa ai piedi. Rex
si
accorse dell'espressione perplessa con la quale veniva osservato e
controllò a sua
volta cosa c’era che
non andava in lui. Era completamente fradicio e sporco di fango, la
maglietta gli si era
appiccicata
al corpo, la giacca sporca e imbrattata era diventata un peso inutile,
la
tolse e
la lasciò cadere.
«Devo
tornare alla base!» Disse improvvisamente alzandosi
in piedi. Shona si alzò a sua volta e gli prese un braccio
per fermarlo.
«Qui
non c’è nessuna base. La Providence
non esiste
ancora e i nanites che sono parte integrante degli esseri viventi, non
sono
ancora stati sparsi nell’atmosfera. Tu sei l’unico
che ha dentro di sé
microtecnologia intelligente. Hai rischiato di morire per colpa della
negligenza operativa di un gruppo di scienziati smidollati.»
Quell'ultima frase era scollegata al resto e l'aveva pronunciata in un
impeto di rabbia subito celato.
Rex
si portò un mano sui capelli che gocciolavano
arruffandoseli un poco perché il sole glieli asciugasse
meglio.
«Scusa,
ragazza misteriosa, ma non ti seguo. Ricordo di
essere venuto qui in missione per recuperare qualcosa.»
«Beh,
lascia perdere tutto quello che la mente ti
suggerisce e ascoltami. Questa realtà
è diversa dalla tua. È
un posto di stasi fuori dal tempo, è l’attuazione
della seconda parte del Protocollo Tre... »
«
Protocollo Tre?!»
«Voglio
dire che quello che vedi è un
mondo controllato dagli
scienziati della
mia organizzazione.»
«Ma
bene, pensavo che Breach fosse
l’unica a parlare in modo
strano.» Replicò Rex. Poi si alzò e
controllò
in giro. Non c’era anima viva. Spirava un lieve venticello da
nord, il lago era
immobile quasi l’acqua fosse stata dipinta su una tela. Gli
alberi erano troppo
perfetti, davvero troppo perfetti. Ogni foglia pareva la copia
dell’altra, stesso
colore, stessa dimensione, nessuna imperfezione causata dalle
intemperie. L'aria era pura ed effettivamente priva di nanites.
«Rex,
ti prego abbiamo poco tempo. Devi ascoltarmi. Lo so
che non hai mai permesso a nessuno di dirti cosa fare, ma questa volta
devi mettere
da parte la testardaggine e l’orgoglio.»
Il
ragazzo si girò con un sguardo confuso. Decise che chiunque
fosse quella ragazza, valeva la pena di sentire cosa voleva da lui.
«Non so
nemmeno
come ti chiami.»
«Shona.»
La ragazza fece qualche passo verso Rex e gli
porse la mano sorridendo speranzosa. Lui esitò
qualche istante e poi afferrò sua la mano.
***
Quante
persone ci sono al mondo! Ogni persona segue una
strada, incontra qualcuno, si crea una storia. Il tempo e lo spazio
dividono le
vite che si sono unite. Alcuni si rincontreranno, altri si saluteranno
come
tutti i giorni per poi non rivedersi mai più. E il mistero
che tiene unito
questo sistema di regole incasinatissime sta tutto in una formula
matematica.
«Mancano
dieci minuti al ritorno.» Disse Rog controllando
le apparecchiature. L’eco delle sue parole
rimbombò nel vuoto della stanza.
Shona
stringeva la mano di Rex i cui nanites cominciavano a rispondere. La
sensazione di calore che
l’avvolgeva era un’illusione. Lasciò la
presa e avvicinandosi un po' di più gli mise la
mano destra sulla fronte.
«Chiudi
gli occhi. Dovresti sentire i tuoi nanites attivarsi dentro di te.
Sei tu che glielo ordini, loro non possono disubbidirti. Attivali e
ricomincia
a vivere!» Shona chiuse gli occhi a sua volta. Quando li
avrebbe riaperti,
sapeva che Rex
non sarebbe più stato lì e che si sarebbe
ritrovata dentro al macchinario fantascientifico
da cui era arrivata. Nel mondo reale non c’era posto per Rex,
come in quel mondo di
mezzo, fatto pixel non c’era posto per Shona.
Stava
per lasciarsi cadere nell’oblio quando sentì sulle
labbra qualcosa di morbido, umido e piacevole: un bacio.
Aprì
gli occhi di scatto e si ritrovò nell’interno buio
di quattro mura metalliche. Shona spalancò la pesante porta
in ferro del
congegno per i viaggi dalla dimensione reale a quella dei pixel e
l’interno fu invaso da
una luce bianca.
I neon erano rimasti accesi da quando era entrata la prima volta.
Chissà in
realtà quanto tempo era passato?
Il
silenzio e il senso di smarrimento che le stringevano
l’anima cessarono quando dall’interfono
gracchiò la voce di Rog. «Shona. Chiedo
aggiornamenti sulla missione.» Disse il ragazzo, che non
aveva
lasciato per un
secondo le apparecchiature della sala comandi.
Shona
esitò un attimo assaporando quello strano sapore che
si stava affievolendo sulle labbra.
«Shona?
Mi senti?»
«Sì...
Missione compiuta. Ma avresti dovuto capirlo dai dati
negli schermi di riflesso.»
«Sono
saltati! Proprio qualche secondo prima che tu
ritornassi!»
Shona
si diresse verso l’uscita e una volta in corridoio
attese Rog che non tardò a chiudere le apparecchiature e a
raggiungere la
collega con un sorriso compiaciuto. «Dopo questa avventura
quelli della Men of
Action dovranno come minimo darci un compenso straordinario.»
«Io
non ci conterei.» Replicò Shona.
«Salvare uno dei loro
personaggi principali da un paradosso photodimensionale è
una faccenda seria,
ma i creatori troveranno una scusa per criticare il nostro
lavoro… come sempre.»
La
ragazza abbassò lo sguardo pensierosa.
«C’è
qualcosa che non va?» Chiese Rog.
«Pensavo…
chissà se Rex si ricorderà di me.»
Rog
non aprì bocca e il dubbio pervase i corridoi della
sede segreta dei collaboratori speciali della casa di produzione di
cartoni
animati americani. La triste verità era che Rex non avrebbe
mai ricordato. Shona lo sapeva, ma non voleva crederci. Sapeva del
sistema di protezione degli eventi che impediva, in casi come quelli,
al personaggio tratto in salvo di ricordare quanto accaduto
nella dimensione di stasi. Se il ricordo fosse sopravvissuto,
probabilmente la
continuità degli eventi sarebbe stata in serio pericolo.
Shona si occupava di quel lavoro da qualche anno, ma quella era la
prima volta che scendeva in campo di persona. Gli universi secondari
creati dalla fantasia
dell’uomo
avevano i loro eroi nascosti sotto le spoglie di una comunissima
centrale per
il convoglio dell’energia elettrica e lei ne era a capo. Si
diresse verso il laboratorio dove le spettava
il lavoro di sempre. Sorrise mentre nell’inconscio sperava di
affrontare presto
una nuova missione speciale nel mondo di Rex.
***
Rex
si svegliò in un lettino freddo circondato da
apparecchiature diagnostiche. Holiday gli si fiondò addosso
sorridendo
sollevata.
«Rex!
Come ti senti?»
Il
ragazzo si guardò attorno cercando di capire.
«Cos...Cos’è successo?»
«Ti
abbiamo recuperato dal lago. È un miracolo che tu sia
ancora vivo. Nessuno è mai resistito tanto.»
Rex
fece per alzarsi ma, non appena il lenzuolo che lo copriva
scivolò giù, si accorse di non avere niente
addosso. «Dove sono i miei vestiti?!»
Holiday
indicò una cabina di vetro con degli abiti appesi.
«Dovrò esaminarli nella speranza di trovare una
minima traccia di feromone
d’insetto.»
Rex
si nascose di nuovo sotto al lenzuolo imbarazzato al
pensiero che Holiday lo avesse visto nudo. La dottoressa sorrise e
uscì della
stanza.
C’era
qualcosa che non tornava nei ricordi di Rex.
Ricordava l’inseguimento, l’essere finito dentro al
lago e poi la comparsa misteriosa
di quella ragazza, Shona. E le sue labbra morbide che lo avevano
attratto un
momento prima che tutto svanisse nel buio. Poteva essere stato tutto un
sogno o il
frutto di
un’illusione. Tuttavia il ricordo gli diede una sensazione
positiva.
Indossò
il primo camice che trovò a disposizione per
coprirsi quanto bastava e andò verso la sala di
comando immerso nei
pensieri.
The
end
Note e ringraziamenti
Non
mi stupirei se qualcuno mi facesse notare che in realtà il
finale non è un finale. Odio i finali. Mi piace che il
lettore continui a
pensare per trovare da sé la conclusione che più
gli aggrada, per questo la fine del racconto è
lasciata aperta a varie interpretazioni. Spero di avervi
suscitato un minimo di interesse e di non avervi deluso.
Leggerò molto volentieri i vostri pensieri, se avrete voglia
di farmeli sapere. Sono benaccetti commenti e critiche costruttive.
Un
grazie speciale tutti quelli che si sono trovati a passare di qui e
hanno deciso di leggere i tre capitoletti fino alla fine. Un
altro sentito "grazie" va anche a chi ha deciso di dedicarmi un po' del
suo tempo lasciando una breve recensione. :)
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