Breathe [traduzione di Kit_05]

di argosy
(/viewuser.php?uid=16404)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Breathe - parte prima ***
Capitolo 2: *** Breathe - parte seconda ***



Capitolo 1
*** Breathe - parte prima ***


breathe 1
Disclaimer: Non ho un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei.

Nota della Traduttrice: Ed ecco qua la promessa nuova traduzione. Stavolta la scelta è caduta su una fanfiction di due capitoli di argosy, classificatasi al secondo posto (su oltre 100 fanfiction) nell'ultimo dmhgficexchange, "Hot Summer Nights Exchange", indetto dall'omonima comunità nella primavera di quest'anno. Potete trovare l'orginale qui.
Così come per altre due one shot che ho tradotto in passato, "What Malfoys do Best" di Sunny June 46 e "Charon's Gift" di Philyra912, scopo dello "scambio" è scrivere una fanfiction seguendo le richieste e evitando i paletti imposti da un altro partecipante. I requisiti a cui doveva sottostare Breathe li troverete alla fine della fic.
Se volete leggere altri lavori di argosy, potete trovarli qui.
E con questo vi lascio, sperando di aver reso al meglio quella che io considero una delle più belle fanfiction che abbia avuto il piacere di leggere negli ultimi tempi.
Buona lettura
Kit_05




Breathe



Parte prima.



Finita la guerra, Molly Weasley si rinchiuse nella sua stanza da letto e pianse istericamente per due settimane buone.

“Non è morto nessuno di noi, vedi?”. Ron gettò uno sguardo impacciato ad Hermione, che dovette sforzarsi per comprendere le sue parole sopra i gemiti che si propagavano dalla camera di sua madre.

“Capisco”, rispose, i suoi occhi sullo speciale orologio della famiglia Weasley. Tutte le lancette che rappresentavano i componenti della tribù dai capelli rossi erano puntate a segnalare la stessa cosa: Fortunati.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Voldemort era morto, quella era la cosa più importante. Harry l’aveva ucciso, com’era stato destinato a fare fin da prima d’essere nato. Forse era stato destino che la battaglia finale si fosse combattuta ad Hogwarts, in quello che sarebbe dovuto essere il giorno in cui il ragazzo avrebbe ricevuto il diploma.

Per come stavano le cose in quel momento, non era certo che qualcun altro si sarebbe mai diplomato nuovamente a Hogwarts. Il castello era una distesa di rovine fumanti. La Sala Grande s’apriva al cielo, le lunghe tavolate bruciavano vivacemente nell’aspro fumo grigio. La Torre d’Astronomia era misericordiosamente ridotta a macerie.

Quando Harry era emerso da quello che rimaneva della Torre dei Grifondoro – da solo – ed era crollato sull’erba, ferito, ma certamente vivo, l’Ordine aveva capito che aveva vinto. Contando i corpi, s’erano detti che se l’erano cavata sorprendentemente alla leggera.

Quel giorno.

L’Europa Magica era stata colpita da ondate e ondate di distruzione, nell’ultimo mese della guerra. I rifugiati stavano ancora convergendo nella Londra magica, essa stessa largamente danneggiata; il loro numero in aumento, giorno dopo giorno.

Avevano onorato i caduti della Battaglia di Hogwarts al meglio delle loro possibilità – i funerali di Stato erano di difficile organizzazione, quando lo Stato stesso non esisteva praticamente più: Susan Bones, Michael Corner, Hestia Jones, Nymphadora Tonks. Sembrava che quei memoriali frettolosamente predisposti non avessero mai fine.

E poi, in qualche modo, ne rimase solo uno.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Hermione lisciò le pieghe del suo vestito nero e si guardò allo specchio, per assicurarsi che le calze non fossero smagliate.

“Stai molto bene, cara”, disse lo specchio. “Sobria.”

“Non gli sarebbe piaciuto,” si accigliò lei.

“Ci si deve vestire in maniera appropriata”, replicò lo specchio, una nota di solidarietà nella voce materna.

“Ci si deve?”, chiese lei con voce distratta, mentre si toglieva le scarpe dagli alti tacchi.

Hermione poteva sentire lo specchio chiocciare alle sue spalle – qualcosa sulla tradizione, e i precedenti, e cose che non si dovevano fare – mentre lei si dirigeva di nuovo verso il suo armadio, ma non gli prestò attenzione. Gli specchi davano sempre giudizi; era il loro lavoro, dopotutto.

Ah, così era meglio. La sua mano si chiuse su un abito di cotone leggero. A lui sarebbe piaciuto quel colore.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Tirò fuori il vestito, con tale forza che diversi dei fogli sistemati in cima all’armadio si sparsero caoticamente per terra. Hermione imprecò, poi si costrinse alla calma, asciugandosi via le lacrime. In quello stato non sarebbe mai arrivata alla fine della giornata. S’inchinò a raccogliere i fogli.

C’era una brochure e una lista di università. College St. Brigid, Oxford, proclamava la brochure luccicante. Il miglior College Magico della Gran Bretagna. Fissò la foto sulla copertina – un gruppo di maghi e streghe dal volto fresco, sereno, che stavano studiando su un prato. Un ragazzo le rivolse un’occhiata veloce e la salutò con una mano, prima di ritornare ad immergersi nel suo libro.

Le era sembrato così importante, mesi prima, quando, nelle nebbie della caccia agli Horcrux, s’era concessa una deviazione solitaria a Oxford per compilare la propria richiesta d’ammissione. Aveva avvertito una sensazione di appartenenza, mentre se ne stava ferma in mezzo a un quadrato d’erba verde a guardare gli studenti – alcuni dei quali Babbani che non si rendevano nemmeno conto di aver sforato in una zona magica – agitarsi. Aveva respirato l’aria del college e aveva toccato le pietre con cui la sua struttura era stata costruita – antiche quasi quanto quelle della stessa Hogwarts – e aveva giurato a se stessa che lì era dove sarebbe andata una volta che la guerra fosse finita. E, a dire la verità, persino da bambina, persino prima di scoprire di essere una strega, aveva sempre desiderato andare a Oxford.

Solitamente i maghi e le streghe non s’immergevano in un’educazione superiore. Hogwarts li preparava per la maggior parte delle carriere, e poi c’erano comunque gli apprendistati e altre istituzioni del genere; ma uno non poteva mai imparare abbastanza, e alla St. Brigid lei sarebbe stata immersa nel mezzo di tutte le ricerche all’avanguardia del suo tempo. Aveva già una stupenda idea su un progetto che avrebbe permesso di combinare l’Aritmanzia e la geometria frattale.

Sembrava tutto così stupido, ora. Che cosa avrebbe potuto più insegnarle una scuola, dopo tutti quei funerali, tutto il sangue che aveva visto, tutto il sangue che aveva versato? Che cosa importava?

Scosse la testa per liberarsi da quei ricordi di vecchi libri ed erba appena tagliata. Cambiandosi velocemente d’abito, gettò un’ultima occhiata allo specchio, ignorando i suoi mormorii di disapprovazione.

Aveva indosso un abito estivo verde chiaro, ora, che le lasciava scoperte le gambe. Era il colore delle serre, il colore di Erbologia. Le persone avrebbero potuto guardarla di sbieco per quella scelta, ma non le importava. Lei lo stava indossando per Neville. E si sentiva certa che lui avrebbe approvato.

Prendendo un profondo respiro, si rassicurò di essere calma, poi prese una manciata di Polvere Volante e la gettò nel fuoco. “Il Paiolo Magico”, disse.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Harry aveva lì una suite con due stanze. Almeno due stanze, forse anche più. Era impossibile dirlo, visto che Harry era, in quel momento, barricato dietro la porta che conduceva, presumibilmente, nella stanza da letto, rifiutandosi di uscire. Ginny continuava a dare dei colpi alla porta, mentre Ron era seduto sul divano del salotto, lo sguardo triste.

“Devi venire, Harry”, stava dicendo Ginny, cercando di mantenere il timbro della voce gentile, mentre Hermione entrava nella stanza. “Non sei venuto a nessuno dei funerali, e io credo davvero che Neville vorrebbe che tu oggi fossi lì.”.

Non ci fu risposta. “Ron”. Si voltò verso il fratello.

“Sì, amico. Ti sentiresti meglio”, lo invitò con poca convinzione.

Ancora sulla porta, Hermione osservò la scena e sospirò. “Lasciate che ci provi io.”.

Avanzò fino alla porta della camera e bussò leggermente. “Harry, sono io.”.

Non successe nulla. Hermione s’era appena girata quando, finalmente, la porta si aprì con un crack. C’era oscurità dall’altra parte, nessun segno di Harry. Avanzò, ignorando l’espressione ferita di Ginny.

Era la prima volta che entrava nella stanza dove Harry s’era rinchiuso fin dalla fine della guerra. Era piccola, e cupa, e trascurata; il che, pensò Hermione, non costituiva una sorpresa. Sarebbe stato alla Tana, o con lei, o per lo meno in un hotel più curato, altrimenti. Invece, al dileguarsi del fumo dell’ultima battaglia, si era rintanato lì, e solo raramente ne usciva.

Si sedette sul letto sfatto, lo sguardo verso terra. Vecchie copie della Gazzetta del Profeta e vestiti sporchi cospargevano il pavimento – chiaramente aveva impedito anche agli elfi domestici l’ingresso. Hermione non disse nulla, si limitò a riordinare un po’.

Lui la guardò attraverso la frangia, per diversi momenti, finché la ragazza non ebbe quasi finito. “Neville avrebbe capito”, disse infine.

“Sì”, rispose, andandosi a sedere sul letto. “Capirebbe.”.

“Voglio venire, Hermione, è solo -”, s’interruppe, lo sguardo ancora rivolto verso il basso.

“Va bene, Harry.” Gli prese una mano.

Finalmente lui alzò lo sguardo. L’intensità dei suoi occhi la trafisse. “Non capisci.”

Gli prese l’altra mano, portandosele entrambe nel grembo. “Allora spiegami.”

Si fermò e sembrò sul punto di parlare. “Ti potresti sentire meglio”, continuò lei, “se dicessi a qualcuno cosa è successo quel giorno. Con Volde -”

“Di’ loro”, alzò la voce Harry, poi si bloccò, sorpreso dal volume con cui aveva parlato, per riprendere più calmo. “Di’ loro che non vengo. Di’ loro che sono malato.” La guardò implorante.

Lei osservò gli occhi persi e la carnagione pallida. Non era un’affermazione lontana dal vero.

“Va bene.” Sorrise, alzandosi. “Va’ a dormire un po’. Cerca di mangiare qualcosa. Vuoi che ritorni più tardi con -”

“No!” Si fermò, aggiungendo con voce più gentile, “No. Sto bene, Hermione. Veramente.” Riuscì persino a sorridere.

Ogni singola fibra del suo essere le urlava che non era la verità, ma lei gli avrebbe lasciato la sua privacy, se era quello che voleva. Non c’erano maledizioni su di lui; né fatture – avevano controllato bene al St. Mungo. Hermione poteva essere una persona curiosa, ma era anche pratica, e si rendeva conto che pressare Harry quando non era pronto sarebbe stato peggio che inutile.

Desiderava solo non essere lei quella a doverlo spiegare agli altri.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Hermione si strinse le braccia attorno e tremò. Aveva pensato che gli altri partecipanti alle esequie sarebbero stati a disagio nei loro abiti pesanti sotto il sole estivo, ma qualcuno aveva lanciato un Incantesimo Refrigerante, e ora era lei l’unica ad essere vestita per il clima sbagliato. Erano migliorati di molto nell’organizzare funerali, notò cinicamente.

Il suo vestito non aveva una tasca per nascondere la bacchetta, così lei ora non poteva usare la magia per riscaldarsi. Ma la sua pelle d’oca era una buona distrazione. Non voleva prestare attenzione; ne aveva abbastanza di quelle cerimonie. Aveva pianto tutte le sue lacrime, e aveva già detto come meglio poteva il suo addio a Neville. Come aveva detto Harry, lui avrebbe compreso.

Era seduta tra Ron e Ginny, cercando di non sentire le parole di un mago dai folti e scarmigliati capelli che parlava di “onore”, e “coraggio”, e “lealtà”. Tentando di non ricordare il volto di Neville, mentre giaceva immobile a meno di un quarto di miglio rispetto a dove si trovava ora seduta, sulle rive del lago di Hogwarts. Dopo la morte di Silente, quello era divenuto il luogo di riposo per gli eroi di guerra, una tradizione che ormai sembrava derivare dalla notte dei tempi. Se Hogwarts avesse mai riaperto, passeggiare per le rive del lago sarebbe stata un’esperienza totalmente diversa per i suoi studenti.

Era in prima fila, sebbene avrebbe preferito l’anonimato delle retrovie. Scrutò la panca su cui erano seduti Frank e Alice Paciock, insieme alla nonna di Neville. Il padre di Neville doveva essere stato un uomo forte, imponente – ora, così magro, sembrava fragile. Era seduto, immobile, e teneva tra le sue una mano della moglie, un’espressione perplessa in volto. Alice sembrava uno di quegli angeli dipinti dai Babbani, con il suo viso liscio, non segnato dal tempo, e incorniciato da un’aureola di capelli bianchi che brillavano al sole. Sorrideva a se stessa e si guardava intorno di frequente, con uno sguardo meravigliato.

La nonna di Neville sedeva con la schiena dritta, orgogliosa. Probabilmente ora Neville aveva raggiunto i suoi standard da eroe, pensò Hermione, e cercò di non odiarla per quello. Quando erano arrivati, aveva guardato con disapprovazione l’abito verde di Hermione, ma quando Alice Paciock le aveva sorriso con gioia, la ragazza aveva capito di aver fatto la scelta giusta.

L’uomo dai capelli scarmigliati stava ora parlando di “tradizione Grifondoro” e Hermione non riuscì a resistere un secondo ancora. Si alzò, ignorando la domanda a mezza voce di Ron, e si diresse verso il fondo delle file, il più discretamente possibile.

Continuò a camminare finché non sentì più le voci della funzione, poi si fermò all’ombra di un faggio. Si chinò contro il suo tronco, poteva ancora vedere e distinguere la gente seduta davanti a lei. Poteva persino vedere il drappo cremisi con il leone Grifondoro avvolto intorno a Neville. Intorno al corpo di Neville, si ripeté fermamente. Lui non era lì.

Era presente Luna, quasi traslucida nella luce brillante del sole. Suo padre era stato ucciso l’inverno precedente in un raid dei Mangiamorte negli uffici del Cavillo. “Voleva essere un fantasma, per amor mio”, aveva detto solennemente Luna ad Hermione, non molto dopo l’omicidio. “Ma io gli ho detto che sarei stata più felice se se ne fosse andato dall’altra parte.” Poi le si era avvicinata, come se stesse per condividere un segreto. “Gli ho quasi chiesto di rimanere. Ma sarebbe stato egoistico, non credi?”

C’era la Professoressa Sprite, seduta al fianco della Professoressa McGranitt. Lacrime copiose scendevano sulle guance della prima, mentre la seconda aveva irrigidito i tratti in un’espressione stoica: aveva fatto molta pratica negli ultimi tempi. Remus, il volto arcigno e determinato, era seduto accanto a Kingsley Shacklebolt. Aveva sentito che Kingsley avrebbe tentato la scalata al Ministero, adesso che a Scrimgeour era stato dato il ben servito.

Si chiese distrattamente se fosse interessata a tutto quello e, mentre raggiungeva la decisione che no, non gliene importava nulla, sentì una voce alle sue spalle.

“Hermione.”

Aveva capito chi era ancor prima di girarsi. “Non dovresti essere ad Azkaban?”

“Sarebbe giusto?” Draco Malfoy aggirò il tronco di un faggio e si unì a lei.

“No”, sospirò. “Probabilmente no.”

Era dalla loro parte, ora. Se ancora esistevano delle parti. Dopo la morte di Silente, Piton l’aveva tenuto nascosto agli altri Mangiamorte per quasi quattro mesi – fino alla fuga di Lucius Malfoy da Azkaban, quando Draco era scappato per unirsi al padre. S’era consegnato all’Ordine due mesi più tardi, dopo che Lucius aveva ucciso Piton, che aveva tentato, da solo, di far allontanare Draco dal quartiere dei Mangiamorte.

Per il tempo in cui i fatti erano successi, il messaggio postumo di Silente era stato scoperto, ed era risaputo che Piton aveva agito sotto i suoi ordini. Ma era facile perdonare un uomo morto. Draco Malfoy costitutiva un problema molto più complicato. Aveva sempre agito da solo, sia nell’abortito tentativo di assassinio di Silente che, poi, nel ricercare il loro asilo.

Con riluttanza, gli avevano offerto rifugio, per settimane l’avevano tenuto sotto il controllo di restrizioni magiche. Aveva ingoiato galloni di Veritaserum prima di riuscire a convincere i membri importanti dell’Ordine della sua sincerità

Era stato Draco che aveva saputo dove trovare Voldemort, che aveva detto loro che sarebbe stato ad Hogwarts, e quando. Il Signore Oscuro aveva bisogno di creare un altro Horcrux, aveva spiegato Draco, e lui aveva scoperto il piano. Tramite quali perversi metodi, Hermione non lo sapeva, ma l’informazione fornita s’era rivelata buona.

Ora che la guerra era finita, cosa fare di Draco Malfoy era nuovamente un problema. Era stato fondamentale nella sconfitta di Voldemort, ma aveva anche tentato di uccidere Silente, ed era stato un Mangiamorte per quasi sei mesi. Si poteva gettare un eroe ad Azkaban? Si poteva lasciare il tentato assassino di Silente libero?

“Ho un’udienza la prossima settimana”, disse, facendola riemergere dai ricordi.

“Cosa?”

“Il Wizengamot. O quello che ne è rimasto.”

“Oh”, rispose, girandosi di nuovo verso il funerale.

“Verrai a trovarmi ad Azkaban, Hermione?”

Lei lo fissò. Le stava davvero sorridendo, ora.

“Con gioia”, rispose freddamente, poi sussultò internamente all’espressione che sembrava portar traccia di dolore che gli attraversò i tratti. Beh, che cosa si aspettava, a parlarle come se fossero amici, lì, al funerale di Neville? Quasi come se stesse flirtando con lei. Tremò. L’incantesimo raffreddante si estendeva fin lì, a quanto pareva.

Lui puntò la sua bacchetta verso di lei. “Thermio.”

Si sentì immediatamente più calda. “Grazie. Draco -”

“Sì?” chiese, quando lei non continuò.

Lei lo guardò. Il suo cambiamento di convinzioni era stato, a quanto pareva, sincero – il Veritaserum l’aveva certificato – e lei non poté fare a meno di sentirsi un po’ dispiaciuta per lui. La maggior parte dei suoi vecchi amici era ad Azkaban, e Lucius era morto, colpito dalla sua stessa bacchetta, quando aveva scelto il suicidio a fronte di una nuova prigionia. Sua madre si stava nascondendo da qualche parte, nel caso qualche ultima frangia di simpatizzanti dei Mangiamorte avessero avuto delle idee vendicative.

La morte di Piton aveva cambiato Draco; quello Hermione lo credeva. Ma anche l’aver visto il proprio padre naturale uccidere quello che era diventato il proprio padre adottivo non poteva non aver trasformato il suo carattere. Era ancora lo stesso ragazzo che si ricordava da Hogwarts, a dispetto di dove si era ritrovato schierato a fine guerra. Non lo odiava più, credeva, ma quello era il limite massimo che era pronta a raggiungere.

Non siamo amici. Non ti voglio nella mia vita. Stava raccogliendo i propri pensieri per dirglielo, quanto vide un’alta figura osservare il funerale dall’altra parte del lago.

Harry. Si chiese se fosse il caso di raggiungerlo.

“Sì?” chiese di nuovo Draco, una nota di impazienza nella voce che fece trasalire bruscamente Hermione. Non rispose.

Quando tornò a guardare in direzione di Harry, il ragazzo se ne era andato.

------------------------------------------------------------------------------------------------

L’estate, in qualche modo, andò avanti. I giorni si susseguivano uno dopo l’altro, nella loro solita sequenza, e se si sentiva la mancanza degli amici assenti – se ci si ritrovava a pensare cosa avrebbe fatto Tonks, o a chiedersi se la sorella Corvonero di Calì avrebbe apprezzato quel libro sulla magia teorica – beh, allora si ignorava l’improvvisa sensazione di vuoto e ci si sentiva ancor più grati per gli amici rimasti.

Tutti i Weasley stavano bene, e se Ron stava ancora sorprendentemente frequentando Lavanda, Hermione scoprì dentro se stessa che non gliene importava nulla. Harry stava facendo progressi; aveva accettato di pranzare con lei, un giorno, in un bar all’aperto a Diagon Alley, ed era passata quasi un’ora prima che incominciasse ad apparire nervoso, prima che lei vedesse delle piccole gocce di sudore sul suo labbro superiore.

Visto che, in un modo o nell’altro, si ha bisogno di occupare il proprio tempo, Hermione ottenne un lavoro temporaneo al Ministero, nel nuovo Ufficio per Maghi Senza Casa. Aveva scoperto con sorpresa che la burocrazia magica generava gli stessi problemi di quella Babbana. Remus Lupin, ora disperatamente interessato a tutti gli aspetti della politica, le aveva trovato quel posto. Hermione supponeva di non doversi soprendere della passione di Remus; l’aveva sempre visto bene nei panni del riformatore.

Passava il suo tempo ad una piccola scrivania in una grande stanza, che si apriva su una parata senza fine di rifugiati bisognosi di una nuova sistemazione. Non si trovava nemmeno nei vecchi edifici del Ministero, quelli erano ancora in fase di ricostruzione dopo la quasi totale distruzione della Londra Magica nell’Attacco della Notte delle Candele. I Babbani avevano pensato si fosse trattato di un terremoto.

L’Ufficio per Maghi Senza Casa era situato dietro a una porta insignificante nel retro della sezione animali domestici di Harrods. Persino con l’Incantesimo di Disillusione perennemente attivo, uno o due Babbani al giorno si ritrovavano a vagare lì, alla ricerca di cacatua o di coniglietti, e dovevano essere Obliviati. Una volta un bambino scontroso era arrivato lì alla ricerca di un furetto. Hermione aveva pensato che sarebbe stata un’ottima soluzione per risolvere il problema Draco, ma si tenne per sé il parere.

Verso la fine di Luglio, sentì che Draco Malfoy, dopotutto, non sarebbe andato ad Azkaban. Fece un tentativo di essere solidale e sentirsi felice. Non sentì, invece, nulla. Ma era la norma in quei giorni.

E poi, l’aria si fece più fredda e l’autunno si avvicinò, qualcosa per cui si sentì vagamente sorpresa. Se la vita fosse stata normale, sarebbe stato il momento di tornare ad Hogwarts. D’altra parte, se la vita fosse stata normale, lei si sarebbe già diplomata.

Si chiese se la vita sarebbe mai ritornata alla normalità.

------------------------------------------------------------------------------------------------

“Abbiamo bisogno della tua decisione, signorina Granger.”

“Hmm?”

“Per la St. Brigid, Hermione.” Il Dr. Jackson sorrise. “Stai cercando di battere in distrazione il sottoscritto?”

L’aveva portata nella biblioteca. Quello non era giusto, davvero. Fece scorrere una mano su una fila di vecchi libri rilegati in cuoio, e sentì la magia crepitare sotto i suoi polpastrelli. Aveva pensato che la biblioteca di Hogwarts fosse il paradiso. Quella della St. Brigid era almeno due volte più grande.

“Questo era il momento in cui avresti dovuto dirmi che non sono un professore distratto.”

“E’ il Merrivale Codex?” chiese incredula, indicando un antichissimo volume.

“L’unica copia conosciuta.” Replicò. “Siamo molto ansiosi che tu ti iscriva tra noi. Abbiamo seguito la tua carriera accademica per un po’ di tempo, sai.”.

Oh. Quello era… lusinghiero, suppose. Sì, definitivamente lusinghiero, soprattutto lì, alla St. Brigid. Lì, dove quasi ogni innovazione nelle teorie e nelle applicazioni magiche aveva avuto origine.

“Non siamo nel pieno delle nostre forze dopo le recenti… difficoltà, temo. Abbiamo solo pochi posti disponibili. Ma siamo pienamente determinati nel convincerti a venire tra noi.”

La stava guardando con così tanta speranza che lei quasi odiò il pensiero di deluderlo. Si ritrovò a cercare una scusa. “Non ho nemmeno finito davvero Hogwarts, sapete.”

“Possiamo fornire un’eccezione per i tempi di guerra.” Si inclinò contro uno scaffale. “Allora, Hermione?”

Lei prese un profondo respiro. “Non so -”

“Non rispondere,” sollevò una mano, “se la risposta è un no. Possiamo darti ancora una settimana prima della decisione finale.”

Avrebbe dovuto semplicemente dirgli no, lì e subito, pensò fissando i capelli grigi e il volto pallido, e, alle sue spalle, tutti quei libri in attesa. Prese un altro respiro profondo.

“E’ solo che non credo -” si fermò alla sua occhiata sgomenta. “Con tutto quello che è successo, m’ero dimenticata persino di aver fatto domanda finché non ho ricevuto il vostro Gufo.”.

Questa è una bugia. Perché l'ho detta? Si accipigliò tra sé e sé.

Lui le sorrise, guardandola con intensità negli occhi. “Una settimana”

------------------------------------------------------------------------------------------------

“Fatto.”

Stava lavorando al caso di una famiglia austriaca di maghi rifugiati – numerosa, persino più dei Weasley. Aveva appena deciso di doverli dividere. Non c’era una sistemazione abbastanza grande per accoglierli tutti, neanche utilizzando un Incantesimo di Espansione, e le ci volle un momento prima di alzare lo sguardo dai documenti.

Remus era lì, che le sorrideva da sopra la scrivania, più felice di quanto non l’avesse visto da mesi. “E’ perfetto sia per te”, disse, “che per me.”. Le prese d’impulso una mano e la strinse. La stava guardando con un’intensità calorosa e una speranza che per un pazzo istante l’idea che lui volesse che lei prendesse il posto di Tonks le balenò nella testa. Si sentì istantaneamente colpevole al pensiero, poi ridicola, per finire con l’essere colpita dalla consueta sensazione di vuoto che la pervadeva ogni volta che qualcosa le ricordava i caduti.

“Allora, Hermione?” Le lasciò andare la mano. “Non vuoi sentire le novità?”

“Certo”, riuscì a sorridere. Remus scostò la sedia riservata solitamente ai rifugiati e, girando intorno alla sua scrivania, si accostò ad Hermione con fare cospiratorio, senza degnarsi delle curiose occhiate degli altri impiegati presenti. Remus Lupin era una persona importante all’interno del Ministero, ora che Shacklebot era stato designato come Ministro Provvisorio, e che era sulla strada per rendere definitivo il titolo.

“Kingsley ha approvato le miei idee sulla riorganizzazione.”.

“Congratulazioni”, rispose Hermione, cercando di mostrare una convinzione che non provava. Osservò attentamente il suo ex-professore. La guerra aveva cambiato tutti, ma forse lui più di altri. I suoi capelli erano completamente grigi e la sua magrezza era impressionante. Le trasformazioni mensili stavano richiedendo un prezzo terribile – con Piton se ne era andata anche la Pozione Antilupo e, in quel giovane mondo in ricostruzione, nessuna nuova misura preventiva era disponibile. Le morti che avevano flagellato l’anno precedente pesavano gravemente su di lui; la sua naturale andatura a spalle basse s’era accentuata, diventando cronica e pronunciata.

La guardava ora con un fuoco negli occhi che Hermione s’era, ormai, abituata a vedere, e che forse era persino più sconcertante di tutti i suoi altri cambiamenti. Significava che non c’era modo di distoglierlo dai suoi propositi o di ragionarci, significava che non si sarebbe fermato finché tutti i problemi del mondo non si fossero risolti. Quel fuoco interiore era pericoloso – l’avrebbe bruciato. Sospettava che lui ne fosse consapevole.

“L’Ufficio per i Maghi Senza Casa sta per essere reso permanente e i suoi poteri saranno ampliati”, spiegò. “Sarà chiamato Dipartimento per la Ricostruzione.”.

Si fermò, come se volesse che lei dicesse qualcosa. “Oh”, fu tutta la risposta di Hermione, mentre si domandava perché a lei questo dovesse interessare.

“Io ne sarò a capo. E,” continuò, sorridendo, “tu sarai il mio secondo.”.

Hermione avvertì il proprio stomaco chiudersi. Quello era un lavoro temporaneo. Non aveva nessuna intenzione di diventare la seconda di qualcuno, qualunque cosa si trattasse.

“Io – non sono qualificata”, balbettò.

“Assurdo.” Le sorrise. “Hai imparato quello che ti serviva qui. E io ricordo ancora la strega più intelligente del suo anno, e la ragazza così appassionata e pronta ad aiutare coloro che ne avessero avuto bisogno.”.

Maledetto C.R.E.P.A. “Ma -”

“Possiamo fare grandi cose. Fare in modo che tutti siano assistiti, e che tutti possano far sentire la propria voce. Porteremo aiuto anche ai lupi mannari, naturalmente, e a tutti gli altri esseri emarginati. Non sarà facile, ma -” s’interruppe alla vista del suo volto, e posò una mano sulle sue spalle. “Questo non è il momento in cui pensare a se stessi, Hermione. Sono sicuro che lo capisci.”

“Puoi trovare qualcun altro -”, sapeva che non l’avrebbe ascoltata.

“Ho bisogno di te.” Ed eccolo ancora lì. Il fuoco.

Un sonoro squawk annunciò l’arrivo di un gufo per le comunicazioni inter-uffici che posò una pergamena in grembo a Remus. La lesse velocemente, rimettendosi in piedi.

“Non preoccuparti”, disse, in un tono di voce che avrebbe voluto essere rassicurante. “Solo fra una settimana o due, dopo che avremmo programmato bene tutto, partiremo con il nuovo progetto.”.

Le strinse la mano una volta ancora e poi uscì. Hermione si lasciò affondare nella propria sedia e chiuse gli occhi.

Beh, quella era la fine dell’ipotesi St. Brigid. Aveva avuto intenzione di rifiutare l’offerta comunque, lo aveva voluto veramente, ma ora si rese improvvisamente conto che avrebbe disperatamente voluto accettarla. Voglio solo quello che non posso avere, si disse tra sé, cercando di sorridere alla propria personalità contorta. Ma fin dalla Grande Relazione Pubblica Ron-Lavanda del 1997, aveva cercato d’essere sempre brutalmente onesta con se stessa, e non aveva voglia di cominciare a mentirsi ora.

La verità era che voleva intensamente completare la propria educazione a Oxford insieme ai maghi e alle streghe più brillanti della sua generazione. C’erano così tante cose che voleva fare, così tanto che aveva ancora da imparare. Alla fine della sua visita al college, il Dr Jackson le aveva messo in mano una copia del libro Una Breve Storia della St. Brigid, e non era giunta nemmeno a finire le prime mille pagine senza essere pervasa dal desiderio di aule universitarie e di quartieri collegiali, di antiche biblioteche e sapere.

Ma Remus aveva ragione. Quello non era il momento per pensare a se stessi. E lei era incredibilmente qualificata per assisterlo. L’avrebbe fatto alla perfezione. Saperlo rendeva le cose solo peggiori. Appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani.

Sentì qualcuno che si sedeva sulla sedia riservata ai rifugiati.

“Appuntamenti solo alla mattina”, disse senza alzare lo sguardo. “Tornate domani.”

“Preferirei di no, se è lo stesso per te.”

No. Non ora.

Alzò lo sguardo. “Non ho tempo, Draco. Se vuoi tormentarmi, devi metterti in coda. Chiedi alla strega che c’è qui fuori di darti un appuntamento.”

“Mi ferisci.”. La sua bocca si cesellò in quello che lei pensava fosse il Draco-Imbronciato. E da quando aveva iniziato a catalogare le sue espressioni? “Sono qui perché ho bisogno dei tuoi servizi professionali.”

Io sono una professionista, ricordò a se stessa. Riuscì ad evitare di roteare gli occhi.

“Sono un Mago Senza Casa”, proclamò.

“Lo sei?” chiese con mitezza, reclinandosi sulla sedia.

“Sì, nei fatti, sì”, replicò, la sua faccia che si sistemava nel Draco-Sogghignante.

“Bene”, disse lei, riunendo i documenti per i maghi austriaci. “Tutto questo è molto interessante, ma ho del lavoro da fare, e -”

“Tu non hai davvero letto la mia sentenza, eh? Del Wizengamot.” La guardò con curiosità genuina.

“Potrebbe sorprenderti”, replicò, continuando a leggere un foglio, “ma io non sto seguendo senza fiato le Avventure di Draco Malfoy, ex-Mangiamorte.”

“Non mi hanno spedito ad Azkaban.”.

“Sì. Come dimostrato dalla tua sgradita presenza qui.”. Si arrese e mise da parte i fogli su cui stava lavorando. “Va bene, a cosa t’hanno condannato? Servizi Sociali Magici? Raccolta dei pacchi dispersi sulle maggiori linee di consegna via scopa? Pomeriggi domenicali nelle Case di Riposo Magiche?”

“Mi hanno portato via la magia.”

Ebbe il coraggio di sorridere all’espressione shockata della ragazza. “Per un anno. Mi hanno condannato a vivere da Babbano.”

Si appoggiò sulla schiena, con fare imponente. Lei lo fissò. Poi rise.

“Non è divertente”, sbottò lui, in tono seccato.

“Sopravvivrai, per un anno,” gli disse tra le risa. “Oh. È dannatamente brillante. Grazie per essere passato, Draco. Avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su.”.

Si alzò e fece per invitarlo ad uscire. Lui non si mosse.

“Come ho detto, sono senza casa. Sistemami. È quello che fai, no?”

Lei sospirò, risedendosi. “Io trovo delle case per i maghi le cui vite sono state fatte a pezzi dalla guerra. Non per marmocchi viziati che hanno bisogno di imparare le proprie lezioni. Stai al tuo Maniero.”

“Incenerito, negli stessi giorni della distruzione di Voldemort. I suoi fedelissimi avranno voluto buttarsi sulla pira bruciante, suppongo. Un po’ drammatico. Ma una magia affascinante.”

“Stai con gli amici.” Inclinò la testa, rivolgendole la sua espressione Potrei-Fare-un-Commento-Graffiante-Ma-Sarebbe-Fin-Troppo-Semplice.

“Giusto”, si inclinò all’indietro. “Azkaban. Beh, devono essere passati due mesi dalla data della tua sentenza -”

“Nove settimane”. Annuì, servizievole.

“E dove sei stato da allora?”

“In un hotel Babbano.”

“Giusto. Quale?”

“Il Ritz.”

“Il Ritz?” quasi si strozzò.

“Sì.” Annuì. “Il Wizengamot ha sospeso il mio conto e i miei privilegi alla Gringott, e mi ha dato un po’ di soldi Babbani con cui ricominciare.”.

“E tu sei andato al Ritz.”

“Non avevo nessun desiderio di farmi da mangiare e pulire come un barbaro, così ho trovato dove i Babbani vanno quando desiderano le stesse cose. Piuttosto intelligente da parte mia, credo.”

“Ma il Ritz è l’hotel più sfarzoso di Londra.”

“Sì”, disse. Hermione era sicura che stesse parlando lentamente per suo beneficio. “E’ per quello che sono andato lì.”

“Ma non potevi permettertelo. Non con qualunque somma di denaro t’abbia dato il Ministero.”

“Infatti.” Annuì di nuovo, osservandola quasi con tenerezza. “Ora hai capito il problema.”

Aspettò pazientemente, non sembrando incline a dire null’altro.

“E ora sono senza fondi”, disse infine, scrollando le spalle. “Così tu devi trovarmi un posto dove vivere. O trovarmi dei soldi”, aggiunse con aria pensierosa.

“Non posso aiutarti, Draco.”

“Assurdo. Certo che puoi.”

“Non ci sono abbastanza case per i veri rifugiati.”

“Quindi sei pronta a lasciarmi deperire sulle strade?”

“Non credo sia una possibilità molto alta, questa”, replicò, cercando di ignorare la sua espressione ferita e sorpresa. Era un’espressione che gli aveva visto solo poche volte, quella che cadeva sotto la tipologia Non-Posso-Credere-Di-Non-Aver-Ottenuto-Quello-Che-Volevo.

“Va bene.” Si alzò. “Quando i Babbani troveranno il mio cadavere deperito a Piccadilly Circus, farò in modo che tu ne sia informata.”

“Devi solo imparare a prenderti cura di te stesso, Draco. Trovati un lavoro.”

La sua lenta, drammatica, uscita si arrestò, e lui la fissò a bocca aperta.

“Un… lavoro?” chiese incredulo.

“Un lavoro.”

Chiuse gli occhi, come incapace di capire cosa gli avesse suggerito, per un momento. Poi le rivolse un’occhiata penetrante.

“Mi aspettavo qualcosa di più da parte tua, Granger. Se non volevi aiutarmi, avresti potuto dirmelo. Non c’era bisogno degli insulti.”

L’effetto scenico della sua grandiosa uscita fu leggermente rovinato dal dover aggirare una ragazzina con in braccio una vaschetta dei pesci rossi.

------------------------------------------------------------------------------------------------

“No, non va”, disse lo specchio con un tono di disapprovazione. “Ti devi mettere qualcosa di più sexy se ti vedi con un ex”.

“Lui non è un mio ex”, disse Hermione, controllandosi la dentatura. “E fatti gli affari tuoi.” Si chiese se avesse abbastanza tempo per utilizzare il filo interdentale.

“Ron Weasley? Non è quello che ho sentito.”

“Da chi?” chiese, incredula.

“Un piccolo specchietto portatile che conosco, a Hogwarts.”

“Gli specchi spettegolano?” chiese. “No, aspetta. Non voglio saperlo.”

“Uno si tiene in contatto con i propri amici”, rispose lo specchio altezzosamente.

Hermione sospirò e aggirò il letto alla ricerca della sua scarpa sinistra. Il giorno in cui aveva affittato quel piccolo appartamento, lo specchio le aveva dato un’occhiata e aveva detto, non senza cortesia, “Quella camicetta ha visto giorni migliori.”. Lei era stata così felice di aver finalmente trovato un posto che potesse permettersi che l’aveva ignorato.

Se non altro, era felice di avere un posto in cui vivere, quando così tante altre persone erano costrette a vivere tutte insieme, sempre che avessero un luogo in cui stare. E se il prezzo da pagare era avere un gabinetto a cui partiva lo sciacquone alle ore più strambe del giorno senza nessuna ragione apparente – anche se Hermione sospettava di una miniatura di una ninfa acquatica perennemente contrariata – e uno specchio invadente e impiccione impossibile da staccare dalla parete, beh… poteva sorridere e sopportarlo. Beh, per lo meno poteva sopportarlo.

Si era abituata a quel piccolo spazio, ormai, e le piaceva anche. Le sue tre piccole stanze collegate tra loro e senza porte – prima una piccola cucina, poi un salotto non molto più grande e, infine, una camera da letto così piccola che il solo letto la riempiva per quasi tutta la sua interezza. L’appartamento era già arredato, e lei non s’era sentita dell’umore giusto per personalizzarlo, ma l’avrebbe fatto, un giorno. Forse.

Trovò la sua scarpa e la indossò, fermandosi per darsi un’ultima ricontrollata allo specchio.

“Non incolpare me”, disse la superficie vetrosa, “quando non riuscirai a farti notare dal tuo ex.”.

“Non lo farò”, gli rispose uscendo.

------------------------------------------------------------------------------------------------

Avrebbe voluto arrivare alla Tana prima di Harry, ma quando entrò nella cucina affollata lo trovò già in piedi, nervoso, vicino al camino e accanto a Charlie Weasley che gli stava passando un bicchiere di Firewhiskey. Lo bevve tutto d’un fiato. Charlie, che aveva ancora in mano la bottiglia, lo guardò sorpreso ma poi gli riempì nuovamente il bicchiere, prima di fare altrettanto con quelli di Fred e George, ignorando volutamente le occhiate disapprovanti di Molly.

Era una festa di famiglia. Bill era accanto a Fleur – ormai la sua gravidanza era evidente, notò Hermione – seduta attorno al grande tavolo di legno. Erano presenti tutti i Weasley, a parte Percy, che dopo aver fatto un tentativo di riconciliazione con la sua famiglia se n’era andato in Australia non appena la guerra era finita.

Hermione sorrise a Lavanda, che, in piedi dall’altra parte della cucina con una mano appoggiata al braccio di Ron, rispose al saluto. Lei e Harry erano gli unici ‘non-Weasley’ presenti. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare, nello stato d’umore in cui si trovava, era una riunione di famiglia, dove tutti le avrebbero chiesto dei suoi piani futuri e del suo lavoro al Ministero, ma sia Ron che Ginny l’avevano chiamata via camino quel pomeriggio, insistendo ostinatamente per la sua presenza. Inoltre, non aveva voluto lasciare Harry da solo in una delle sue rare fuoriuscite dal Paiolo Magico. Osservando l’accogliente, affollata stanza, pensò che lasciarlo da solo era stata una preoccupazione un po’ esagerata.

Lui alzò lo sguardo in quel momento, vedendola per la prima volta, e il sollievo sul suo volto fu così tangibile che lei lo raggiunse immediatamente e posò una mano sulla sua che, inquieta, si muoveva con leggerezza sulla cappa del camino. Le rivolse un sorriso grato. Lei cercò di pensare a un modo per chiedergli cosa lo tormentava, ma Molly iniziò a parlare.

“Bene, adesso che ci siamo finalmente tutti”, disse guardando ostentatamente verso Hermione, “qualcuno ha qualcosa importante da dire. Fred, quello non è succo di zucca”. Gli sottrasse il bicchiere di Firewhiskey. “Ne hai già preso abbastanza.”

“Io sono George.”. Fece per riprendersi il bicchiere.

“Non cambia nulla”, replicò, sequestrando anche l’alcool dell’altro gemello.

Hermione osservò la folla lì riunita. Nessuno sembrava incline a fare un annuncio. Infine vide Lavanda fare un gesto di incoraggiamento a Ron.

Lui fece un passo avanti, e rivolse una breve occhiata a Hermione e Harry. Si rese immediatamente cosa stava succedendo ed ebbe appena il tempo necessario per capire quali fossero i suoi sentimenti, poi lui iniziò a parlare.

“Er -” le spalle di Ron erano innaturalmente basse. “Io e Lavanda ci stiamo… per sposare”. Guardò nuovamente Hermione.

Un silenzio shockato avvolse la stanza. Tutti, ora, stavano fissando Hermione. Beh, che cosa avrebbe dovuto fare lei?

Solo Ginny non aveva staccato gli occhi da suo fratello. Fissava la coppia a bocca aperta, incredula. “Che è successo, sei incinta anche tu?”

Proprio mentre Lavanda stava assumendo un colorito tendente al rosso vivace e si stava accigliando per la mancanza di gioia da parte dei Weasley, Charlie diede una pacca vigorosa alla schiena del fratello minore, accompagnandola con un caloroso “Congratulazioni”. Come se non avessero aspettato altro che qualcuno prendesse l’iniziativa, tutti gli altri uomini di casa Weasley porsero i propri complimenti. Molly cinse Lavanda in un caldo abbraccio, e dopo un momento e una scrollata di spalle Ginny fece lo stesso. La ragazza ritornò con slancio le effusioni, crogiolandosi nell’essere al centro dell’attenzione, e quel lato della stanza si riempì di voci chiassose e felici.

Hermione rimase completamente immobile, cercando di capire che cosa stesse provando. Non può nascerne nulla di buono, il pensiero che le passò velocemente per la testa. Si aggrappò a quel pensiero e annuì tra sé. Sì, non ne sarebbe nato nulla di buono, ma non c’entravano per nulla i suoi sentimenti. Si sentì immensamente sollevata nel capire che i suoi dubbi non avevano nessun fondamento nella gelosia.

Vide che Harry la stava guardando con una certa preoccupazione, mentre stringeva le mani. Lei tentò di rivolgergli uno sguardo rassicurante, ma la preoccupazione non svanì dal suo volto. “Sto bene”, gli sussurrò in un orecchio, ma forse lui non la sentì.

Il sorriso a trentadue denti di Lavanda abbagliò tutti per l’intera durata della cena, e Hermione, per lo meno, si sentì sollevata nel non essere lei al centro dell’attenzione, bersagliata dalle domande, tutte fatte con le migliori intenzioni, sul suo futuro. La conversazione era tenuta principalmente da Molly, Lavanda e Fleur, con il loro chiacchiericcio eccitato sui preparativi per il matrimonio – Lavanda sembrava volere centinaia di fate e folletti nelle decorazioni, mentre Fleur informava la ragazza come gli ultimi trend della moda tendevano verso un sofisticato minimalismo, e Molly era sicura che il proprio vestito da sposa, con giusto un paio di incantesimi, sarebbe stato perfetto per la futura nuora.

Harry, seduto in fronte a Hermione, non parlò mai, a meno che qualcuno non gli rivolgesse direttamente una domanda, e anche in quei casi le sue risposte non erano articolate in più di una manciata di parole. Ginny, con un labbro stretto tra i denti, l’aveva fissato in continuazione. Ron aveva mangiato lentamente e, per tutta la cena, aveva continuato a lanciare occhiate tristi a Hermione. Oh no, cercò lei di parlargli con il solo pensiero. Tienimi fuori da tutto questo. Hai fatto tutto da solo. Sapeva che, prima o poi durante quella serata, avrebbe cercato di bloccarla in un qualche angolo per parlarle in privato. E lei non aveva voglia di starlo a sentire, qualunque fossero le cose che aveva da dire.

Stava pensando ai modi in cui avrebbe potuto evitare Ron – un mal di testa? Un veloce incantesimo per l’invisibilità? – quando un distinto crash interruppe i suoi pensieri. Alzò gli occhi e gettò una veloce occhiata alla scena davanti a lei – Harry aveva rovesciato una brocca di succo di zucca. Lavanda squittì e balzò in piedi per evitare i rivoli aranciati. Charlie fece lo stesso, quasi in contemporanea, ridendo, e poco dopo l’intera combriccola era in piedi.

Fred rivolse alla tavolata uno sguardo di gran divertimento. “Ben fatto, Harry. Ormai ero cotto con tutto quel parlare di matrimoni.”.

Il timido sorriso di Harry sembrava genuino, ma Hermione notò che non gli raggiungeva gli occhi e vide che la sua mano sinistra stava iniziando a tremare.

“Mi dispiace. Non credo di sentirmi molto bene”, disse, pacato.

“Qual è il problema, caro?” chiese Molly, mentre richiamava un panno per asciugare.

“Solo un mal di testa”, replicò con un pallido sorriso. “Ma credo sia meglio se vado a casa, se non vi dispiace.”

Ignorò il coro di proteste e l’offerta di Hermione di accompagnarlo, assicurando tutti che non avrebbe avuto problemi a usare il camino del piano superiore. Li lasciò con quello che doveva essere, nelle intenzioni, un sorriso rassicurante, e con un invito a una partita a Quidditch avanzato dai gemelli.

Anche Hermione voleva andarsene, quasi disperatamente, ma qualcuno stava facendo un brindisi; poi ci furono le amichevoli punzecchiature a Lavanda, e la discussione sui vestiti per le damigelle d’onore – argomento questo su cui anche Hermione fu, con suo grande orrore, consultata. Ma la partenza di Harry aveva comunque lasciato il party ricolmo di sfuggenti occhiate, e non passò molto tempo prima che ognuno riprese la propria via verso casa.

Fece i propri saluti il più rapidamente possibile, volendo uscire prima di dare la possibilità a Ron, fortunatamente ancora occupato con Lavanda, di bloccarla. Si stava dirigendo verso l’ingresso, congratulandosi con se stessa per non essere stata notata, quando sentì qualcuno afferrarle un braccio.

Ginny si portò un dito alle labbra, affondando ancor più la stretta al bicipite di Hermione, e la condusse fin nella stanza da cucito di Molly. Chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Hermione si rese conto che non aveva nessuna voglia di parlare dell’argomento Ron nemmeno con Ginny. Stava per dirlo, quando la rossa iniziò a parlare con una certa urgenza.

“Rimettilo in sesto.”

“Cosa?” chiese Hermione, interdetta.

“Harry. Rimettilo in sesto.”

“Non credo ci sia qualcosa che vada messo a posto.”

“Andiamo, Hermione. L’hai visto. Non riesce nemmeno a mettere insieme due parole di fila senza sembrar seduto sopra uno Schiopodo Sparacoda.”.

“Ne ha passate tante -”

“Sì. E non vuole parlarne con me. Ma lo farà con te.”

“Che cosa ti fa credere -”

L’altra ragazza fece un gesto impaziente. “Tu puoi riuscire a farlo parlare, lo sappiamo entrambe che puoi riuscirci.”

“Ginny”, disse, iniziando a sentirsi arrabbiata, ma cercando di mantenere un tono paziente, “non so cosa tu pensi che io possa fare.”

“Tu puoi rimetterlo in sesto. Sta soffrendo, e da troppo tempo. E tu lo sai che puoi farlo.”

Sollevò una mano contro le proteste di Hermione.

“Non voglio affrontare una discussione su questo argomento”, disse aprendo la porta. “Rimettilo in sesto.”

Uscì senza gettarsi un’occhiata alle spalle.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Hermione poteva distintamente sentire delle voci provenire dal suo salotto. È venuto Ron, pensò immediatamente. Doveva essersi Materializzato lì mentre lei stava parlando con Ginny.

Dannazione, pensò confusamente, sedendosi sul proprio letto, al buio, e aspettando che la sua testa si schiarisse dopo la sua, di Apparizione. È meglio che non sia qui per lamentarsi con me di Lavanda. Naturalmente, avrebbe potuto essere anche qualcosa di peggio, ma si rifiutò di contemplarne la possibilità.

Tuttavia, si rese conto, quella non era la voce di Ron. Harry?

“Sì”, stava dicendo la voce pigramente. “Non ha mai avuto gran senso della moda neanche a Hogwarts.”

Oh, ecco chi era. Scattò dal letto, barcollando per le vertigini post-Materializzazione, e irruppe nella stanza vicina.

Draco stava bighellonando davanti allo specchio, con cui aveva, apparentemente, instaurato un rapporto di confidenza.

“Non è che sia esattamente poco attraente,” stava dicendo lo specchio.

“Difficile da descrivere, vero?” annuì Draco.

“Malfoy!” gridò Hermione, peggiorando le condizioni del suo mal di testa.

Lui non ebbe nemmeno il buon gusto di sobbalzare; si girò elegantemente e si sedette, guardandola con fare educato.

“Cosa”, continuò lei, con voce più calma, “credi di star facendo qui?”

“Pensavo di essermi spiegato”, le rispose pazientemente, e anche con gli occhi annebbiati, Hermione poteva vedere il suo volto nella modalità Non-Hai-Ricevuto-Nessuna-Educazione-Quindi-Posso-Fare-Un’-Eccezione-Per-Te, “non ho nessun posto in cui stare.”.

Lei appoggiò la testa al muro, sperando che le parole potessero assisterla.

“E visto che tu hai detto che mi avresti aiutato se avessi potuto, ho pensato che mi avessi dato la possibilità di venire da te.”

“Non ho mai detto che t’avrei aiutato se avessi potuto.”.

“No?”, chiese. “Devo aver assunto fosse quello che volevi dirmi.”.

Voleva elaborare una frase devastante che l’avrebbe ridotto a un esserino tremante – che l’avrebbe fatto scappar via con la coda tra le gambe. “Vattene via”, fu tutto quello che riuscì a mettere insieme.

“Ti sembra carino?” chiese.

“Merlino, spero di no”, rispose tra i denti stretti. “Va’ fuori.”

“Aspetta un attimo”, mormorò. “E’ tardi. Siamo entrambi stanchi. Possiamo parlarne domani mattina.”

“Draco -” sospirò con esasperazione, e improvvisamente le sue ginocchia cedettero. Si sedette con un tonfo sulla sua unica sedia e chiuse gli occhi per un momento, sperando che fosse tutto una strana illusione.

Li riaprì di nuovo per trovare Draco che le metteva un bicchiere d’acqua tra le mani. Aveva un’espressione che non gli aveva mai visto. Sembrava preoccupazione, ma Hermione decise di classificarla nel sottogruppo Draco-Vuole-Qualcosa. E, definitivamente, stava pensando troppo al suo viso.

“Hai passato una serata difficile. Bevi questo”. Mimò il gesto di bere con la sua mano. “Il tuo specchio mi stava appunto dicendo come sei stata costretta a sopportare Weasel.”.

“Vattene. Vattene. Vattene!” picchiò i piedi sul pavimento. Stava diventando isterica. Hermione pensava di meritarsi qualche attimo di pazzia, dopo i suoi ultimi giorni, ma così non andava bene. Non di fronte a Draco.

Si costrinse a respirare lentamente e accettò il bicchiere d’acqua. “Come sei entrato qui?”

“Ah”, rispose, la preoccupazione che pian piano svaniva. “Le tue sofisticate protezioni magiche hanno bisogno di una sistematina. Non sei protetta contro i Babbani. Cosa che”, continuò con un tremito, “sono io al momento.”.

“C’era una serratura.”

“Oh”, disse, abbassando lo sguardo in quello che avrebbe potuto passare per imbarazzo. “Quella.”

Hermione decise che non voleva saperlo. “Malfoy – Draco. Tu non puoi stare qui. Innanzitutto non c’è abbastanza spazio.”

“Fa’ un incantesimo di Espansione.”.

“Ho già fatto un incantesimo di Espansione.”

“Oh”, rispose, guardando attorno a sé il minuscolo appartamento. “Beh, sono disposto a sorvolare sui dettagli.”

“Generoso da parte tua.”

“Sì”, replicò. “Quindi io mi prendo la camera da letto, giusto?”

Lei chiuse di nuovo gli occhi. Contò fino a dieci, e indietro. Contò attraverso figure Aritmantiche.

Non servì. “Non hai davvero nessun posto dove stare?”

Quando riaprì gli occhi, l’espressione di Draco sembrava troppo compassionevole nei confronti del suo instabile stato mentale perché lei volesse davvero sentire una risposta.

“Va bene”, disse velocemente. “Puoi stare nel salotto. Per una sola notte. Quando torno a casa dal lavoro, domani, devi essertene andato. Intesi?”

“Perfettamente”. Annuì. “Solo un’ultima cosa.”

“Sì?” chiese, sospirando.

“Dov’è il salotto?” si guardò attorno, cercando un’altra stanza oltre a quella lì, minuscola con la sua sola poltrona traballante.

“Ci sei ora.”


---------------------------------------------------------------------

Fine PRIMA PARTE

---------------------------------------------------------------------


Spero vi stia piacendo^^, metterò online la seconda parte settimana prossima ;)


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Breathe - parte seconda ***


Breathe 2
Disclaimer: Non ho un bilione di sterline, al contrario di JKRowling, un altro peccato da aggiungere al fatto che Harry Potter & Co non sono miei



Breathe




Parte seconda.




A Hermione faceva male la testa. Più del solito. L’aveva sbattuta contro la sua scrivania nell’Ufficio per i Maghi Senza Casa quando era caduta in un repentino, inaspettato ed estremamente breve sonnellino. Era sicura che le sarebbe venuto un bernoccolo.

Era tutta colpa di Draco.

La notte precedente gli aveva gettato un cuscino e aveva lasciato che si arrangiasse da solo in quella miniatura di salotto. Mentre era sdraiata nel suo letto, aveva sentito i suoi sforzi nel cercare di trasformare la sua scomoda poltroncina – che oltre a ostentare una tenace resistenza a tutti i tentativi di essere ammorbidita, aveva anche l’abitudine di far emergere, lungo tutta la sua superficie, molle appuntite. Avrebbe potuto dirgli che qualunque cosa avesse fatto non avrebbe funzionato.

Tuttavia non lo fece, e passò, invece, alcuni momenti ad ascoltare le sue imprecazioni e i suoi contorcimenti, prima di lanciare un Incantesimo Silenziatore. Ne era sicura, alla fine si sarebbe arreso e si sarebbe steso a terra. Era davvero l’unica opzione sensata.

Pensò a lui, steso lì, nel buio. Il suo appartamento era così piccolo che non era a più di un paio di metri di distanza, sebbene in un’altra stanza. In quel momento sarebbe stata incredibilmente contenta di possedere una porta che separasse il salotto dalla camera da letto. Rimuginò brevemente sulla possibilità di fare un Incantesimo di Costruzione. Poteva sentirlo respirare nonostante l’Incantesimo Silenziatore.

No. Quello doveva essere frutto solo della sua immaginazione come, chiaramente, la sensazione di brividi che le pervadeva il corpo.

Era ridicolo. Afferrò la sua bacchetta e sussurrò, ‘Protego’. Ecco, così sarebbe dovuto bastare. Se a Draco fosse venuta qualche divertente idea durante la notte, avrebbe cozzato contro una barriera magica.

Sarebbe dovuto bastare per garantirle una notte di sonno sereno. Perché non lo era?

Giusto quando aveva pensato che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, doveva aver preso sonno davvero, perché altrimenti non sarebbe stata svegliata, improvvisamente, da un’arrabbiata voce maschile.

“Per le tette di Merlino!” il ruggito.

Hermione visse un momento di cieco panico, seguito da uno di cieca ira. Rilasciò velocemente la barriera e balzò in salotto. “Lumos!”.

Draco era steso sul pavimento, contro il muro, dove era stato messo ko dallo schermo. Si teneva il naso con entrambe le mani.

“Malfoy -”

La interruppe con un gemito di dolore. “Mi hai rotto il naso!”

“Cosa credevi di -”

“Stavo cercando di andare in bagno, stupida idiota. La tua virtù è perfettamente al sicuro con me. Ooowwww!” gemette ancora.

Hermione si sentì immediatamente in colpa, reazione completamente ridicola visto che Draco si meritava qualunque cosa gli fosse capitata. In ogni caso, gli concesse un veloce incantesimo curante.

Draco tolse lentamente le mani dal volto e si toccò con attenzione il naso con gli indici. Poi la guardò.

“Saresti così gentile da permettermi di usare il tuo bagno, ora?”

Si spostò di lato, facendogli spazio. Era una vera ingiustizia essere stata mortificata a morte nel proprio appartamento nel bel mezzo della notte, “Grazie”. Quella era un’espressione facile da riconoscere – lo Sguardo-Assassino Malfoy. “E magari puoi anche tornartene a letto, se non è chiedere troppo.”.

Non s’erano detti un’altra parola per il resto della notte. Hermione non era riuscita a riaddormentarsi.

E il giorno successivo, Hermione stava pagando la mancanza di riposo. Era stata persino scortese con una giovane coppia francese la cui unica colpa era stata quella di aver avuto la propria vita messa a soqquadro da Voldemort.

Dopo tutto quello che avevano passato, i due erano ancora così innamorati, così appassionati e premurosi l’un con l’altra, che a Hermione era venuta voglia di cavar loro gli occhi, o per lo meno ridurre a brandelli quei ridicoli berretti che indossavano. Rendendosi conto dello stato da deprivata di sonno in cui si trovava, riuscì a trattenere gli impulsi e a limitarsi a qualche brontolio. Non voleva vedere felici coppie innamorate. Non dopo aver dovuto trattare con Ron e Lavanda. E Draco, aggiunse la sua mente.

Draco? Da dove saltava fuori quel pensiero? Aveva davvero bisogno di riposo.

Ma, almeno per quel giorno, una dormita non era nel destino. Remus era arrivato nel suo ufficio non appena era riuscita a sistemare la coppia francese in una casa comune nei dintorni di Covent Garden. L’aveva portata a pranzo e aveva passato con lei tutto il pomeriggio parlandole del Dipartimento per i Rifugiati. “Darle un’idea”, così aveva definito quel colloquio. E da quando Remus era diventato un burocrate?

Quando finalmente si diresse verso casa due ore più tardi, non avrebbe voluto altro che un bagno bollente e un oblio di pace imperitura, ma sapeva che aveva ancora Draco da sistemare. Aveva promesso che se ne sarebbe andato per l’ora del suo ritorno dal lavoro, ma Hermione aveva un’idea di quello che potessero valere le solenni promesse di Draco Malfoy, soprattutto quando, in alternativa, aveva la possibilità di tormentarla.

No, lo avrebbe ritrovato ancora lì, arrogante e insopportabile come sempre. Se solo vivere da Babbano avesse potuto insegnargli un po’ di umiltà. Ma sarebbe stato come chiedere a un Chizpurfle di cambiare casa. Beh, avrebbe solo dovuto buttarlo fuori dall’appartamento con un po’ di fermezza, questa volta.

Alohomora”, disse alla propria porta, prima di introdursi in casa.

Aveva pianificato cosa dirgli. Non era un cattivo discorso – risoluto, ma non privo di comprensione – e pieno di utili consigli sulla necessità di imparare a cavarsela da solo.

Ma, per essere pronunciato, Hermione avrebbe dovuto avere un pubblico, e Draco non era presente. Incapace di credere che avesse effettivamente lasciato l’appartamento, Hermione fece le due falcate che le permisero di raggiungere la propria camera da letto. Draco non era neanche lì. Una veloce occhiata al gabinetto, le mostrò che anche quello era vuoto.

Hermione si lasciò cadere a peso morto sul letto e cercò di mettere a fuoco la situazione. Draco se ne era andato. Ora non avrebbe potuto propinargli il suo discorso. Ed era un buon discorso. E quello era l’unico motivo per cui era dispiaciuta.

“Oooowwww!” un lamento giunse da un punto nei pressi della cucina. Il suo stomaco si contorse per qualcosa che non voleva esaminare troppo da vicino, ma che assomigliava terribilmente a del sollievo. E, beh, se la prospettiva di un Malfoy sofferente era motivazione sufficiente a rendere migliore la propria giornata, era meglio che si assicurasse che non si fosse tagliato una mano con un coltello.

Con al volto una maschera di profonda fermezza, avanzò verso la cucina. Draco era rintanato in un angolo e fissava con malevolenza il suo fornello, stile Babbano, a gas.

“Mi ha bruciato”, esordì, con una voce ricolma di così tanto oltraggiato shock che lei si mise a ridere.

Si voltò per rivolgerle un’occhiataccia. “Gli ho chiesto molto gentilmente che mi preparasse la cena, poi ho girato quei suoi cosi rotondeggianti, e lui mi ha bruciato.”

Hermione lo osservò mentre si succhiava un dito e si lasciava sfuggire un altro uggiolio di dolore. Draco, ripeté nella sua mente, il mondo Babbano non è così orribile. Ci sono posti in cui puoi andare che ti aiuteranno ad imparare a reggerti in piedi da solo. Il tempo passerà in fretta…

“Puoi stare qui con me”, disse. Lui sollevò velocemente lo sguardo. “Per un paio di giorni. Finché non trovi un posto dove sistemarti.”

La sua ricompensa fu un genuino Draco Sorridente. Così raro che era quasi doloroso da vedere.

“E devi imparare alcune cose.”. Lui guardò il suo dito arrossato. Lei sospirò. “A incominciare da come farti da mangiare, suppongo.”.

------------------------------------------------------------------------------------------


"Quindi Weasel si sposa”. Sembrava pensieroso.

“Qui c'è la frutta e la verdura”, indicò lei con un ampio gesto. Gli passò un grappolo d’uva e lo guardò con attenzione finché lui non lo posizionò con cura nel carrello della spesa.

“E con tutto quello che ha passato durante il sesto anno. Bene, bene.” Scosse la testa, la sua rassomiglianza con lo specchio di casa era stupefacente.

“Broccoli”, disse lei.

“Non mi piacciono”. Li rimise sul bancone. “Naturalmente tu sei molto meglio.”

“Non avrei dovuto dirtelo.”. Appunto, perché glielo aveva detto?

“Probabilmente no.” Si guardò attorno. “Dov’è il succo di zucca?”

“Ancora nella zucca.”

Ne prese in mano una e la guardò pensieroso. Se la portò ad un orecchio e la scrollò, accigliandosi. Hermione sospirò e gliela tolse dalla mani, posandola nel carrello.

“Weasley è un deficiente.”.

“Draco. Stiamo facendo la spesa. Sta’ attento se vuoi imparare a fartela da solo.” Aggiunse della lattuga. Magari Draco sarebbe riuscito ad imparare a farsi un’insalata senza fare dei danni, a se stesso o alla sua cucina.

“Deficiente”, ripeté. “Non che ci sia bisogno di dirlo, naturalmente. Però sentirlo ad alta voce è divertente. Weasley è un defi-ciente.” Assaporò l’ultima parola, facendola fuoriuscire lentamente dalle sua labbra.

“Draco -”

“Scegliere quella ridicola ragazza pon pon, quando avrebbe potuto avere te.”

“Non avrebbe potuto avere me”, rispose lei infine, cercando di non mostrare la sua gioia.

“No?” E non notò la luce che improvvisamente gli illuminò il volto.

“No”, rispose. “Andiamo. È arrivato il momento di imparare a pagare.”

--------------------------------------------------------------------------------------------


La sera successiva gli mostrò la metropolitana. Gli permise di scegliere la destinazione e fu sorpresa dalla sua scelta – Whitechapel - per lo meno finché non le disse che Jack lo Squartatore era stato, in realtà, un mago e che, si vociferava, fosse un cugino dei Malfoy.

“Ah”, fu tutto quel che disse.

--------------------------------------------------------------------------------------------


Il giorno seguente si trasferì nel suo nuovo ufficio, nella rinnovata sezione del Ministero della Magia.
Il cartellino magico sulla porta segnalava “Hermione Granger” in foglie d’oro, lei lo cambiò in madre perla non appena fu sola. Sperimentò alcuni colori, smeraldo e zaffiro, ma poi optò per uno sfondo nero.

Quando ritornò a casa, scoprì che Draco aveva apparentemente passato tutto il giorno a provare detersivi e detergenti, lasciando che l’acqua nella vasca fuoriuscisse e che una poltiglia verde si riversasse dappertutto, rovinando irrecuperabilmente il tappeto. Era ora che lo istruisse sul modo Babbano di fare pulizia.

“Uno straccio?” chiese, prendendolo in mano con disgusto.

“Sì”, disse lei e lo lasciò al suo destino.

A suo merito, lo sentì dire Gratta e Netta solo tre volte.

--------------------------------------------------------------------------------------------


La sera successiva gli disse che doveva uscire e gli lasciò una copia del London Times, opportunamente aperta sulla Sezione Cerca Lavoro.

--------------------------------------------------------------------------------------------


“E adesso provo io a rimetterti in sesto”. Hermione s’accigliò. Non era stata sua intenzione uscirsene con quella frase.

“Non credevo di essere a pezzi”, replicò Harry, buttando giù un altro sorso di Firewhiskey.

“Ed è quello che ho detto a Ginny!” Hermione fissò il suo bicchiere vuoto. Harry glielo riempì di nuovo. Harry era gentile. Non era a pezzi.

“Ginny?” chiese, aggrottando la fronte.

Ginny. Che cosa c’entrava Ginny? Oh, sì. Ginny voleva che lei rimettesse a posto Harry. Le aveva spedito già due Gufi al Ministero e, in aggiunta, aveva minacciato di ricorrere a una Strillettera la volta successiva. Ginny non era gentile.

“Strillettera”, rispose, Harry annuì come se avesse capito.

Giunta al Paiolo Magico aveva trovato Harry da basso, in mezzo alle persone. Bene, aveva pensato, prima di rendersi conto che era da basso al bar, e quello che stava facendo in mezzo alle persone era bere. Però le aveva rivolto un sorriso caloroso ed era sembrato genuinamente contento di vederla.

Era lì per rimetterlo a posto, o per lo meno per vederlo così che Ginny la lasciasse finalmente in pace. Ma lui insistette che, se aveva intenzione di rimanere con lui, allora avrebbe dovuto farsi offrire un drink. E poi un altro.

Non le era parsa una buona idea sul momento, almeno così ricordava vagamente. E perché no?

“Whoops.” Mancò poco che le scivolasse il bicchiere di mano.

“Whoops”, le fece il verso Harry.

Cercare di pensare le provocò un dolore acuto dietro gli occhi e fece girare un poco la stanza, così ci rinunciò. Harry stava sorridendo, un sorriso vero, e lei si stava divertendo come mai negli ultimi mesi. Il primo divertimento che si stava concedendo da mesi. Harry era un genio. Avrebbe dovuto dirglielo.

“Sei veramente intelligente”, gli disse.

“No, quella sei tu.”

“No, veramente, Harry. Non ti dai abbastanza credito.”

E lui sorrise di nuovo, e qualunque cosa rendesse felice Harry in quei giorni doveva essere una buona cosa.

Il barista aveva ormai chiuso il bar e aveva fatto ritornare tutti ai piani superiori, ma anche quello andava bene visto che Harry aveva ancora la bottiglia di Firewhiskey e il sorriso sulle labbra.

La camera d’albergo di Harry non era male, veramente. Il divano era grande e soffice, ci si poteva reclinare indietro e guardare il viso felice di Harry nella quasi totale oscurità.

“Remus mi ha dato una porta con il mio nome sopra,” disse. “Qualcuno t’ha mai dato una porta con il tuo nome sopra?”

“No” rispose. “Ce l’hai qui con te?”

“E’ una porta, Harry. È al Ministero. Vuole che gli faccia da assistente.”

“Bene.”

“Io non voglio farlo.”

“Non è quasi mai una questione di quello che tu vuoi, Hermione.”

Senza smettere di sorridere, riempì un altro bicchiere. Ma all’improvviso lei si rese conto che lui non era felice, e nemmeno si stava sentendo meglio. Per nulla.

“Harry”, cominciò.

“Che c’è?”

Si morse un labbro. “Niente.”

“Che c’è?”

Avrebbe potuto parlare del Ministero o di Quidditch o starsene semplicemente zitta. Ma si sentiva senza freni inibitori e incapace di fermarsi, come se fosse qualcun altro a parlare al posto suo.

Gli toccò una mano. “Non ti andrebbe di parlare con me?”

“Stiamo parlando”. Stava ancora sorridendo, ma c’era una traccia di avvertimento nella sua voce.

“Harry.”

“Per piacere, Hermione. Lascia perdere.” La sua mano, appoggiata sul divano, era chiusa a pugno e gli si intravedevano gocce di sudore sulla fronte.

Poi i suoi occhi incontrarono quelli di lei e il sorriso che aveva aleggiato sul suo volto sparì. Sembrò improvvisamente più giovane, e terrorizzato, e lei non poteva sopportare di vedere quell’angustia sul suo viso.

Si avvicinò a lui e lo strinse tra le sue braccia. “Ti prego, Harry, sono sicura che ti sentirai meglio se ne parli con qualcuno.”

Ne era sicura? Si sentiva vulnerabile e scossa. Avrebbe fatto di tutto, avrebbe provato a fare di tutto per far svanire quell’espressione tormentata dal suo volto.

“Cosa vuoi sapere?” chiese con un tono di voce vuoto, che non sembrava il suo. Un tono pericoloso.

Questa non era stata una buona idea. “Nulla”. Cercò di ritrarsi. Lui la tenne stretta nel suo abbraccio, rafforzando la presa. “Tutto quello che vuoi dirmi”, disse.

“Su Voldemort? Su quello che è successo a Hogwarts'?”

“Sì”, rispose. La stava schiacciando. Sentì della lacrime formarsi negli occhi.

“Perché dovrei dirtelo?”

“Non farlo allora, Harry”. Le stava facendo male, e lei poteva sentire delle lacrime sulle guance, ma quelle non erano per il dolore. “Non dirmi nulla se non te la senti. Non importa, non devi dire nulla.”

“Ero io l’Horcrux.”

Non la stava più tenendo. Si sentì fredda, e vuota, e le parole volavano intorno a lei.

“No”, disse.

“Sì”, sbottò in una breve risata. “Ero io l’ultimo Horcrux.”

“No, Harry. Il serpente -”

“Non è mai stato il serpente.” Sorrise, un sorriso tremendo. Lei si sentì ghiacciare. “Sono sempre stato io. Per tutta la mia vita, fin da quando ero poco più che un neonato, ho avuto un pezzo dell’anima di Voldemort in me.”.

“No, Harry.”. Ma non riusciva a negare la verità neanche a se stessa.

“Sì. Ha ucciso i miei genitori, e poi mi ha usato per restare in vita. Per tutto questo tempo.”.

Cercò di prendergli una mano. Lui s’alzò, appoggiandosi alla parete. Non la stava più guardando, e lei non sapeva se fosse meglio o peggio così.

“E io l’ho ucciso, e ha fatto male. Qualcosa in me è morto.”

“Harry.”

“E lui ha riso. Era dentro di me, Hermione. Che cosa ne pensi di questo?” Rise di nuovo; era il più brutto suono che avesse mai sentito.

Lo raggiunse, gli strinse le mani. “Non importa. Se ne è andato, ora.”.

“Come puoi saperlo?” La sua voce trasudava amarezza, adesso, e tremore.

“Voldemort se n’è andato. La sua anima se n’è andata.”

“Mi ha usato.”

“Sì. E ora se n’è andato.”.

“Era dentro di me. Ed è morto. E forse sono morto anch’io, non lo so.”.

“Harry, Harry.” Di nuovo gli cinse attorno le braccia e lasciò che le lacrime bagnassero il suo volto. Stava parlando, ma nel suo mormorio continuo, se n’è andato, se n’è andato, non riusciva a ritrovare se stessa.

“Hermione.” La sua voce era ghiaccio. “Vattene.”

Si tirò indietro. Lui non volle incrociare i suoi occhi. Si sentiva vuota e irreale.

“Va’ ” le disse. “Non tornare più.”

“Harry.”

“Non ti voglio qui. Non voglio vederti qui.”.

“Io -”

“Vattene e basta.”

Lui si ritirò nella sua camera da letto. Non si girò a guardarla. Dopo un momento, lei se ne andò.

--------------------------------------------------------------------------------------------


“Granger!”

La sua testa era piena di Billywigs. Saltellanti.

“Granger!”

Provò a mettersi a sedere, comprese che era una cattiva idea, e si lasciò cadere nuovamente sul cuscino.

“Ooowww”

Oh, per l’amor – Era impossibile per Draco sopravvivere cinque minuti da Babbano senza farsi del male?

Aprì lentamente gli occhi. La vista sembrava a posto. La luce era accecante, ma come primo passo non era male.

Udì uno schianto e si catapultò fuori dalla camera. I Billywigs aveva deciso di aumentare frequenza e forza nei loro salti, e ci stavano riuscendo alla grande. Boom, boom, boom.

La cucina era un disastro. Draco aveva tentato di farsi delle uova strapazzate, o magari erano dei cereali, chi poteva dirlo? Gusci rotti di uova punteggiavano il tavolo. Macchie di albume e tuorli si potevano vedere dappertutto, alcune persino in un piatto.

Lui se ne stava nel mezzo di quel caos, una mano stretta a pugno. Com’era possibile che quella fosse diventata ormai una scena tanto famigliare? Sospirò.

Nell’altra mano aveva ancora uno dei suoi coltelli più grandi ed affilati. Per la barba di Merlino. Aveva cercato di fare delle uova con un coltello?

Veramente, non aveva voglia di ascoltare la storia, ma lui doveva aver notato il suo sguardo attonito e, dopo aver assunto la sua espressione Non-Devo-Spiegarti-Quello-Che-Ho-Fatto-Ma-E’-Evidentemente-Tutta-Colpa-Tua, indicò con il coltello un uovo ancora intatto. “Beh, come si devono aprire ‘ste cose?”

Notò che s’era ferito il pollice. Supponeva di dover essere contenta che non si fosse reciso un polso.

“Draco.” Roteò gli occhi. I Billywigs lo interpretarono come il via a una serratissima partita di tennis (o ping pong?) all’interno della sua scatola cranica. “Metti giù il coltello.”

Si diresse in bagno per prendere un cerotto, ma prima di tornare indietro decise che era il caso di far sloggiare dalla sua bocca quella sensazione di marcio. Che Draco sanguinasse per un minuto.

“Sono affamato”, la chiamò dalla cucina. “E sono ferito.”

Stava per sciacquarsi la bocca, ma all’improvviso un altro giro di spazzolino le parve un’ottima idea.

“Granger,” la raggiunse di nuovo la sua voce. “Sto sanguinando a morte.”

Sospirò e tornò in cucina. Trovandosi a corto di parole, gli prese il polso e mise la sua mano sotto un getto d’acqua fredda, ignorando i suoi gemiti di dolore. Bambino.

Gli mise il cerotto sul pollice, lisciandolo perché aderisse bene. Era in piedi, molto vicino a lei, e non c’era davvero nessun motivo perché lei continuasse a tenergli la mano. Avrebbe dovuto lasciargliela e fare un passo indietro. L’avrebbe fatto, fra un minuto.

Lui fissò il cerotto. “Che cos’è questo coso?”

“Il modo in cui i Babbani curano le ferite”, rispose, allontanandosi, finalmente.

Con la mano illesa gli diede dei colpetti, dubbioso. “Primitivi.”.

Lei fissò il disastro che aveva combinato e considerò per un attimo la possibilità di farglielo pulire. Ma ciò avrebbe significato mostrargli come fare e ascoltare le sue lamentele. Nello stato in cui si trovava la sua mente, soprattutto. Così pronunciò un veloce Incantesimo Pulente.

Draco si guardò attorno, con tristezza. “Non riesco nemmeno a sentire la magia”. I suoi occhi si posarono su di lei.

Hermione abbassò lo sguardo e arrossì. La sera precedente s’era Materializzata direttamente in camera sua e s’era a mala pena svestita. Aveva indossato la cosa più vicina che aveva trovato, una corta t-shirt, e s’era addormentata immediatamente – o aveva perso i sensi, a voler essere più precisi.

Non s’era struccata la sera prima, e la larga maglietta che indossava offriva alla vista una buona porzione delle sue mutandine rosa. Draco non era il tipo da passare sopra a un’opportunità per umiliarla. Attese.

Ma il previsto Ghigno di Superiorità non arrivò. Anzi, quello che le toccò fu l’Occhiata Disapprovante. “Grande serata?” chiese.

Harry. Era stata così avvolta in quelle sensazioni nauseabonde che se ne era quasi dimenticata. Un grumo gelato nello stomaco. Come aveva potuto essere così stupida? Beh, l’avrebbe perdonata. Doveva. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo. Non le importava più che Draco l’avesse vista mezza nuda.

“Come sta Potter?” Eccolo, il ghigno. Uno sguardo dall’alto in basso, con una leccata alle labbra, giusto per buona misura. “Sempre a impressionare le ragazze con il suo eroismo?”

“Qualcosa del genere”, replicò con voce bassa.

Sarebbe arrivata tardi al Ministero. Doveva far finta di tenere al progetto per amor di Remus. No, per amor di Remus doveva veramente tenere al progetto. Una nuova ondata di nausea la invase.

S’avviò verso la sua camera, sorpresa che Draco avesse deciso di seguirla.

“Non ho voglia di -”

“T’è arrivato un Gufo ieri sera”, disse, lanciandole un pacchetto.

Atterrò sul pavimento dietro di lei, il che significava che avrebbe dovuto girarsi e chinarsi per raccoglierlo. L’aveva fatto apposta? Probabilmente no; non s’era mostrato molto coordinato in quegli ultimi giorni.

Lui roteò gli occhi alla sua esitazione. “Oxford vuole la tua risposta entro tre giorni.”

“Tu l’hai letto?”

“Tu non puoi essere sorpresa.”

“No, suppongo di no.” Aprì il guardaroba. “Devo vestirmi, ora.”

“Perché non hai detto loro che accetti?”

“Perché non è quello che farò.”

“Assurdo. Certo che lo farai. La St. Brigid è stata fatta per persone come te.”

Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe chiesta se quello fosse un insulto.

“Questo non è il momento per pensare a se stessi. Non che io m’aspetti che tu capisca una cosa del genere.”

“Questo è il momento perfetto per pensare a se stessi. Lasciati trascinare dal lupo mannaro nella sua missione distruttiva da brava persona, non riuscirai ad aiutare nessuno.”

“Il mondo magico -”

“Va’ a Oxford. Inventa nuovi incantesimi. Scopri come fermare il prossimo Voldemort. Ecco come puoi aiutare il mondo magico.”

“Remus ha bisogno di me.”

“Lupin è innamorato del suo senso di colpa. Non ci sono motivi perché questo inchiodi anche te.” Si passò una mano tra i capelli. “Scommetto che volevi andare ad Oxford ancor prima di sapere cosa fosse Hogwarts.”

Era una completa ingiustizia che Draco Malfoy, tra tutte le persone, fosse quella che riuscisse a vedere attraverso le sue pose e le sue facciate. Se avesse mai incontrato gli dei dell’Ironia, sarebbe stato il caso di avere con loro una chiacchierata faccia a faccia.

“Rispondimi a questo. Vuoi andare alla St. Brigid?”

No, fu quello che incominciò a dire. Ma poi lo guardò negli occhi e la sue labbra si rifiutarono di formare la sillaba.

“Sì”, rispose. “Tantissimo, ma -”

“Niente ma.” C’era uno strano scintillio nei suoi occhi. Uno che non ricadeva in nessuna delle espressioni di Draco che aveva catalogato. “Tu non capisci.”

“Te? Io ti capisco perfettamente.”

Fece un mezzo passo avanti. Non era sicura di quello che doveva aspettarsi, se un bacio o uno schiaffo.

Poi lui si fermò.

“E capisco anche che sono affamato. Ieri sera eri così impegnata a fare la brava ragazza con Potter – non hai pensato che sarei rimasto senza cena? Ho una fame da lupi.”. Si strattonò la maglietta. “Pelle e ossa, ecco quello che sono.”.

“Oh per l’amor – Devi imparare a farti da mangiare da solo, Draco.”.

Lui la guardò genuinamente sorpreso. “Perché? Io ho te.”.

Se avesse avuto una porta, l’avrebbe sbattuta.

-------------------------------------------------------------------------------------------


Stava iniziando a farsi un’idea di come sarebbe stata la sua vita al Ministero. Incontri per tutta la mattinata – dove Remus vigilava affinché la sua opinione fosse sentita da tutti gli altri. I casi pratici nel pomeriggio. In quel momento stava per incontrare i VIP – ambasciatori magici, principesse straniere.

Intorno a mezzogiorno, Ginny le fece una chiamata via Camino per pretendere di sapere cosa avesse fatto a Harry – se ne era andato dal Paiolo Magico.

Hermione avvertì una stretta al cuore, solo la notizia che al Paiolo Magico lo aspettavano di ritorno entro una settimana le diede un minimo di tranquillità. Si sentì ancora meglio quando scoprì che la sua nuova posizione le permetteva di dire alla strega segretaria che non avrebbe più accettato chiamate da parte di Ginny Weasley.

Tuttavia, quando la segretaria le mandò un gufo chiedendole se poteva far passare Ron Weasley, decise che, stringendo i denti, sarebbe valsa la pena affrontarlo senza procrastinare ulteriormente. Le chiese balbettando se poteva uscire a cenare con lui, e lei per un momento pensò di rifiutare, ma quando si rese conto che ciò avrebbe significato lasciare Draco ad arrangiarsi da solo, accettò. Draco aveva bisogno che gli fosse impartita una lezione; c’era solo una minima possibilità che soffrisse veramente la fame.

--------------------------------------------------------------------------------------------


La cena stava andando bene. Avevano parlato di Harry, naturalmente. Non gli disse quello che Harry le aveva confidato, e lui non fece pressione sull’argomento, ma era bello avvertire la sua incrollabile fede nel ritorno del vecchio Harry tra loro. Era convinto che avesse solo bisogno di tempo.

Le disse del suo apprendistato alla Gazzetta del Profeta – per il momento doveva solo portare tè e caffé ai giornalisti, ma era sicuro che, con il tempo, sarebbe arrivato ad avere il suo spazio nella sezione Quidditch.

Era stato educatamente curioso a riguardo del Ministero, e si era dichiarato d’accordo che questa fosse una cosa di gran lunga più importante che non la St. Brigid – l’ultima cosa di cui Hermione aveva bisogno era ancora della scuola.

Erano riusciti ad evitare completamente l’argomento Lavanda, e quando lui le chiese di fare una passeggiata nell’angolino magico di Hyde Park, tutto sembrava quasi tornato alla normalità tra loro.

La luna era piena e le luci della città non erano visibili dal sentiero. Hermione iniziò a rilassarsi per la prima volta dall’inizio della giornata. Harry sarebbe stato bene, e lei stava facendo la scelta più onorabile nell’optare per il Ministero invece che per l’università, e Draco era uno stupido. Era così sicura dell’ultima affermazione che lasciò che Ron le mettesse un braccio intorno alle spalle, mentre procedevano nella camminata. Erano amici da tantissimo tempo, non poteva esserci nessun malinteso, e sembrava tutto giusto.

Sembrava meraviglioso, a essere del tutto sinceri. Il suo braccio era caldo e solido, sia fisicamente che letteralmente parlando. Quando lui abbassò lo sguardo per guardarla, lei sorrise.

E all’improvviso non stavano più camminando, e lui la stava portando più vicino a sé, e le stava baciando i capelli, e la fronte, e lei si rese conto che stava giocando con il fuoco. Non poteva nemmeno far finta di non esserne consapevole.

“Hermione”, ripeteva Ron, “Hermione.”. Le sue labbra erano bollenti sul suo orecchio e sul suo collo. Le sue mani irrequiete sulla sua schiena.

Avrebbe potuto lasciare che tutto continuasse così. Sarebbe stato così semplice. Sarebbe stato qualcosa che stavano costruendo da anni.

“E Lavanda?” chiese.

Lo sentì irrigidirsi. “Sei sempre stata tu, Hermione. Sono stato così stupido.”

Le baciò il collo, le guance, le labbra. Lei glielo permise, per un momento.

“Quindi questa non è solo una cosa tanto per?”

“No, no. Ho sempre saputo che saremmo stati insieme, un giorno.”. L’avvicinò ancor di più. “Non so che cosa stessi aspettando.”

“Ma ora sei pronto?”

“Sì”, mormorò sulle sue labbra.

“Ron.” Lei ritrasse la testa. “Io non ti stavo aspettando.”

Lui si chinò in avanti per ricatturare le sue labbra. Lei si divincolò gentilmente dal suo abbraccio.

“Era il mio compito rimanermene qui, aspettando che tu finalmente fossi pronto?”

Lui sembrò vacillare, colpito dalla sua reazione.

“Beh… sì,” balbettò. “Voglio dire, no. Non è che -”

“Se mi volevi, avresti dovuto dire qualcosa tanto tempo fa.”

“No. Tu non capisci.”. La sua faccia era confusa. “Io ti amo, Hermione. Romperò con Lavanda. Sarà tutto perfetto.”

“Ron, mi dispiace.” E lo era veramente, all’improvviso. Si rese conto che lui aveva contato su di lei. Ma lui non me l’ha mai fatto sapere. “Fa’ quello che vuoi con Lavanda. Ma io non sono un’opzione.”

“Hermione.”

“Quando è iniziato tutto questo? Al quarto anno? Al quinto? Non possiamo dimenticarlo? Non possiamo essere amici come lo eravamo una volta?”

Voleva disperatamente che almeno una cosa fosse stabile. Avere una cosa a cui aggrapparsi – qualcosa che fosse rimasta immutata nel corso della guerra.

“Per piacere, Ron”, disse, calma. “Mi manchi. Non possiamo tornare indietro?”

Lui la guardò confuso, ferito. Non mi ha mai visto prima. Non veramente. In tutto questo tempo.

“No, Hermione”, disse infine. “Non credo sia possibile.”

--------------------------------------------------------------------------------------------


“Harry è a Hogsmeade”, le disse Remus dalla porta.

Entrò nel suo ufficio. “Credo sia andato a vedere le rovine di Hogwarts. Dove è successo tutto.”

“Cosa?” chiese, “Come lo sai?”

Sorrise. “Il Ministero ha l’accesso ad avanzati localizzatori di magia. Ginny Weasley mi ha chiesto di trovarlo. Ha detto che era tutta settimana che non rispondevi alle sue chiamate.”

“Oh”, sospirò. “No.”

“Ha insistito parecchio perché tu parlassi con lui.”

Vuole che lo butti completamente giù dal precipizio? “Le hai detto dov’è?”

“No. Ma se vuoi posso magari chiedere di avere un rapporto sui progressi della ricostruzione di Hogwarts? Potrebbe richiedere una visita sul posto.”

“Harry ha bisogno di un po’ di tempo da solo.”

“Va bene,” rispose, “anche se non mi piace l’idea di Harry a gironzolare là attorno e a riportare in superficie brutti ricordi. O bei ricordi, per quel che importa. Sicura di non voler andare? Potresti fargli del bene.”

Non ha bisogno di me. Se è a Hogwarts, è andato a vedere Silente.

Pensò un momento se dare quella risposta a Remus, poi disse solamente: “No.”

-------------------------------------------------------------------------------------------


Così, invece di vedere Harry a Hogwarts, quelli che passarono davanti ai suoi occhi furono orfani di guerra e un nuovo orfanotrofio a cui Kingsley si stava dedicando.

C’erano così tanti bambini, biondi e mori, alti e bassi. Vedeva gli occhi tormentati di Harry in ognuno di quei volti.

Kingsley rimase una ventina di minuti – giusto il tempo per fare delle foto – e Remus forse un’ora, lei dovette andarsene con lui per un incontro con l’ambasciatore turco che non si poteva assolutamente saltare. Rimase seduta tutto il pomeriggio mentre loro negoziavano – qualcosa, e non ascoltò nemmeno una parola.

Era ancora chiaro quando uscì per dirigersi a Oxford.

----------------------------------------------------------------------------------------


“Dr. Jackson, mi dispiace, non posso accettare la vostra generosa offerta.”

Era sulle sue labbra, s’era esercitata a dirlo, tre volte l’aveva ripetuto, e ora riusciva a pronunciare tutta la frase senza incepparsi. Ma quando sollevò una mano, pronta per bussare alla porta dell’ufficio del Dr. Jackson, scoprì all’improvviso di non riuscire più a respirare.

Il suo stupido corpo aveva persino iniziato a tremare ed era sicura di essere impallidita. Doveva andarsene prima che a qualche docente preoccupato fosse venuta l’idea di rendersi utile e servizievole.

Corse fuori nei giardini e si lasciò cadere su una panca. Respiri profondi, lì all’aperto. Inspirare, espirare. Si sentiva la testa leggera ed incapace di focalizzare i suoi pensieri su qualunque cosa; dannazione era passata attraverso una guerra e aveva sempre mantenuto il controllo dei nervi. Era fuori discussione perdere la testa lì, ad Oxford.

Ecco, così era meglio. Era riuscita a far entrare dell’ossigeno nei polmoni e quando guardò di nuovo la propria mano, il tremito era appena visibile. Se fosse rimasta lì seduta per solo un altro minuto, sarebbe riuscita a muoversi di nuovo. Avrebbe voluto vedere il proprio riflesso nello specchietto che si portava in borsa, ma non osava. Non avrebbe dovuto essere uno specchio magico, ma temeva che lo specchio nel suo appartamento fosse riuscito a corrompere anche quell’apparentemente innocuo pezzo di vetro.

La St. Brigid era così bella. L’erba era di un verde così brillante, e persino i parchi della Oxford non magica stavano iniziando a dorarsi nella brezza autunnale. Le antiche mura – che Una Breve Storia della St. Brigid l’aveva informata essere magicamente calcificate – si stavano tingendo di riflessi aranciati con le ultime luci del sole. I corsi non erano ancora iniziati, e c’erano solo poche persone in giro. Era più facile riprendere il controllo, così. Era così semplice chiudere gli occhi e immaginare se stessa camminare per quei sentieri.

Sentì una stretta al cuore, e il respiro accelerare. Aprì gli occhi, odiandosi e sentendosi ridicola allo stesso tempo. Nulla di tutto quello poteva essere troppo per lei. Hermione Granger aveva affrontato un Basilisco da bambina e combattuto una guerra da adolescente. Era una persona pratica. Una persona a cui rivolgersi se si aveva bisogno di qualcosa. Una persona su cui poter fare affidamento.

Non poteva perdere il controllo in quel momento. E perché avrebbe dovuto? Solo perché Remus – e per estensione il suo mondo – aveva bisogno di lei al Ministero? E Ron aveva bisogno che lei fosse qualcosa che non era mai stata? E Harry – beh, avrebbe voluto sapere quello di cui aveva bisogno Harry.

E Draco. Draco aveva bisogno di lei per tutto, a quanto sembrava.

Era perfettamente in grado di fare tutto da sola. Lo era sempre stata. Se tutti volevano qualcosa da lei – bene, non era niente di nuovo. Se il suo cuore stava battendo forte, e dentro di lei sentiva una terribile sensazione di vuoto – non era nulla di cui doveva preoccuparsi. Se ne sarebbe andata via con il tempo.

Si Materializzò a qualche isolato di distanza dal suo appartamento, in modo da avere il tempo per pensare durante la camminata verso casa. Quella sensazione di vuoto era ancora viva dentro di lei.

Non era stata capace di dare al Dr. Jackson la sua risposta, ma ora era in grado di controllarsi, e gli avrebbe spedito un Gufo una volta arrivata a casa.

Non sapeva cosa fare per Ron o Harry, al momento – non sapeva nemmeno se avrebbe dovuto far qualcosa. Forse tutti loro erano cambiati troppo. Forse il tempo del trio era finito.

Ma Draco, sapeva cosa doveva fare con lui. Doveva andarsene, non c’erano altre alternative. Al pensiero avvertì un sorprendente contorcimento allo stomaco. S’era abituata ad averlo attorno. In un certo senso, s’era pure divertita. Ma non poteva fare lei tutto al posto suo. Doveva imparare a stare in piedi da solo – c’erano troppe altre persone di cui doveva occuparsi. Compresa se stessa, supponeva.

Persino in quel momento, lui stava probabilmente mettendo a soqquadro la sua cucina, senza ovviamente ottenere nessun risultato in compenso. O forse se ne stava semplicemente seduto nel mezzo del salotto, con le braccia incrociate, ad aspettare che tornasse lei a nutrirlo.

Aveva raggiunto il suo edificio. Su per le scale e la sua porta, e poi avrebbe dovuto dirglielo. Quella sensazione di vuoto s’era espansa durante il tragitto fino a raggiungere i polpastrelli delle dita, ma non c’era nient’altro da fare.

Alohomora”, mormorò, poi entrò.

La sua cucina era nello stesso stato in cui l’aveva lasciata quella mattina, il che significava che Draco non aveva nemmeno tentato di farsi da mangiare, e che avrebbe iniziato a lagnarsi per la fame da un momento all’altro.

Avvertì i suoi muscoli tendersi, aspettando il suo sbotto, ma lui era comodamente seduto sulla poltrona, il quotidiano tra le mani, e a mala pena sollevò lo sguardo.

“Draco”, disse, e in un certo qual modo era l’ultima cosa che avrebbe voluto dire al mondo.

Il suo sguardo si fece più profondo. E fu sicuramente preoccupazione quella che lei vide passargli in volto, prima che lui indossasse la solita espressione attentamente neutrale.

“Ah, giusto,” incominciò. “Hai rifiutato Oxford, allora?”

“No”, disse. Il volto del ragazzo si dispiegò in un sorriso genuino e lei non ebbe il cuore di aggiungere, non ancora.

“Questa è una gran cosa, Hermione!” si alzò e si avvicinò, ma lei fece un passo indietro.

“Draco. Devo dirti una cosa.” Devi andartene. Presto. Stasera, forse.

Poteva dirglielo. Aveva già esaurito la sua razione di codardia giornaliera. Fece un respiro profondo.

Beh, forse avrebbe potuto dirglielo dopo cena. Dopotutto doveva mangiare, e non sarebbe mai riuscito ad arrangiarsi da solo.

Era esausta. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare era cucinare, ma l’ultimissima cosa che voleva fare era dirgli che doveva andarsene, quindi mettere mano alle pentole poteva essere un giusto compromesso.

E perché non poteva arrangiarsi da solo? Era così stupido. Sì, non aveva mai dovuto alzare un dito per fare le cose da solo, ma il mondo cambia, e anche lui era stato in guerra. Miliardi di Babbani nel mondo, e la maggior parte di loro ce la faceva benissimo. Perché diventava un imbecille quando si trattava di cibo, di pulizie domestiche, di lavoro o di soldi e di tutte quelle miriadi di piccolezze che i Babbani dovevano affrontare ogni giorno? Perché non poteva nemmeno fare un tentativo? Perché la stava costringendo a buttarlo fuori – e perché la cosa, in maniera ridicola, impossibile e assurda, la faceva sentire ancora più svuotata?

Tutti pretendevano così tanto da lei. E lei voleva così tanto che lui fosse diverso dagli altri. Non aveva capito quanto lo voleva fino a quel momento.

“Anch’io ho avuto una gran giornata.”. Interruppe lui i suoi pensieri.

“Davvero?” a mala pena si reggeva in piedi, si sentiva così inconsistentemente apatica.

“Sì” rispose. “Ho imparato a usare il telefono.”

Beh, era più di quello che riusciva a qualche mago, considerò lei.

“E’ meglio che vada a preparare la cena”. Odiava doversi dirigere in cucina. Le sembrava troppo una sorta di ultima cena.

Qualcuno suonò il campanello alla porta. Hermione sobbalzò. Nessuno veniva mai a farle visita.

“E”, continuò Draco, “ho imparato come si fa a ordinare una pizza.”

Aveva già visto l’espressione del Draco Orgoglioso, naturalmente, ma quella era la prima volta in cui la vedeva senza alcuna traccia di malizia.

Draco aprì la porta e pagò il ragazzo che aveva effettuato la consegna. Pagò! Con l’esatto importo di soldi Babbani, come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Poi prese la pizza e chiuse la porta.

Si voltò di nuovo verso Hermione, brandendo le scatole. Lei si sentì gelare. Il sorriso del ragazzo svanì nel guardare il suo volto.

“Sapevo che avresti avuto una giornata dura”, la sua espressione era confusa. “Così ho pensato che avrei potuto fare qualcosa per te. Hermione?”

Era come se tutto il suo sangue avesse incominciato improvvisamente a scorrerle vorticosamente per le vene. Tutto il suo corpo tremava.

“Hermione?” Era allarmato, ora.

Lei non riusciva a parlare. Lasciò cadere le scatole sul pavimento e la raggiunse con due falcate. La prese tra le sue braccia. Lei scoppiò a piangere.

“Hermione, tesoro”. Era impossibile non riconoscere il panico nella sua voce. “Hermione, amore, cosa c’è? È tutto a posto. È solo della pizza”, disse con una certa disperazione.

Un gran singulto, mezzo colpo di tosse, mezza risata, fece sì che Draco le stringesse con più forza le spalle. Non riusciva a smettere di singhiozzare. Draco l’avvicinò più a sé, e continuò a ripeterle “Tesoro”, ancora e ancora, con voce urgente. E poi la ricoprì di bollenti baci, dappertutto. Aveva le labbra bagnate dalle lacrime della ragazza.

Il suo autocontrollo era stato solo un’illusione, evidentemente, visto come in quel momento se n’era completamente andato. Tutto quello che non s’era permessa di sentire per mesi stava ora fuoriuscendo con quelle lacrime. Era incapace di fermarsi.

Dopo qualche momento smise di tentare di controllare i singhiozzi tremolanti. Sarebbe stato inutile, in ogni caso. Non riusciva a formulare le parole, non riusciva a dire a Draco cosa ci fosse che non andava e, ancor più importante, cosa non ci fosse.

Ma poteva muovere le sue labbra, così che incontrassero quelle in continuo movimento di lui. E poteva baciarlo profondamente, anche se le lacrime non accennavano a fermarsi.

Draco ricambiò il bacio con passione, avvicinandola ancor più e facendo vagare le sue mani su tutto il suo corpo. E ancora lei non riusciva a parlare e dirgli che era tutto a posto, che stava solo avendo una sorta di crisi emozionale a scoppio ritardato, ma che stava bene. Così mise tutta la rassicurazione che aveva nel suo bacio. Lui sembrò comprenderlo.

Quella sensazione di vuoto se n’era finalmente andata. Rimpiazzata da – non pienezza, ma una sorta di completezza. Si sentiva viva così come mai lo era stata fin da prima della guerra ed era sbalordita dalla rivelazione. Avrebbe dovuto dirlo a Draco, una volta che avesse recuperato la capacità di parola.

Più tardi. Gliel’avrebbe detto più tardi. Le tracciò la linea del collo con la lingua. Ora aveva cose più importanti da fare.

-------------------------------------------------------------------------------------------


“Weasley ha fatto cosa?”

Draco iniziò a dimenarsi sopra la tovaglia da picnic. “Lo ucciderò.”

“Rilassati”. Hermione lo spinse, gentilmente, di nuovo a terra. “Sto solo cercando di spiegarti perché Ron e Lavanda non sono più fidanzati.”

“Ma lei lo sta frequentando ancora?”. Allungò un braccio per raggiungere il cestello con il cibo, evidentemente decidendo che prendere una coscia di pollo era meglio che arrabbiarsi.

Lei annuì. Lui scosse la testa, meravigliato. “Frequentare Weasley. Quella donna è una santa. O un’idiota. Forse entrambe le cose.”

Non gliel’avrebbe mai detto, ma almeno tra sé non poteva fare a meno che concordare. Ripensò alla cena che aveva avuto la sera prima con Ron, Lavanda e Harry al nuovo cottage di quest'ultimo a Hogsmeade.

Ron, inizialmente, era stato parecchio teso, ma poi era riuscito sia a parlare che, persino, a fare delle battute scherzose. Lavanda le aveva chiesto dei suoi programmi e aveva fatto diversi commenti comprensivi, a cui Ron aveva, apparentemente, veramente prestato attenzione. Hermione aveva capito che, finalmente, il ragazzo s’era arreso all’impossibilità di avere un futuro con lei. Sarebbe stato un bene per tutti.

Harry s’era mostrato orgoglioso della sua piccola casa e aveva parlato entusiasta delle riparazioni che aveva intenzione di fare. Hermione l’aveva guardato attentamente per tutta la serata, fin quando Harry stesso non s’era irritato per la sua vigilanza, e mai aveva visto tremare le sue mani. Erano stati su fino a tardi, a parlare e ridere, e nel mezzo della serata un pensiero aveva attraversato la mente di Hermione: la guerra era finita, quella era la vita.

Avrebbe voluto portare anche Draco alla cena da Harry, ma lui aveva roteato gli occhi e le aveva annunciato che doveva rinunciare, grazie a Merlino, perché era al lavoro. S’era divertito a vedere la sua espressione a bocca spalancata per lo shock, Hermione ne era certa, ma poi lei gli aveva levato quell’espressione compiaciuta dal volto a furia di baci. Le aveva poi detto che aveva trovato lavoro in una galleria d’arte a Soho, il direttore s’era detto sicuro che la sua aria aristocratica e il suo bell’aspetto sarebbero stati una risorsa inestimabile nella vendita di dipinti sovrastimati a Babbani con troppi soldi.

Hermione s’inclinò all’indietro, appoggiando le mani sull’erba. Chiuse gli occhi e assaporò il sole sul viso, e respirò l’odore dell’erba appena tagliata. Aprì gli occhi e vide altri studenti avvantaggiarsi della giornata insolitamente calda – il prato era pieno di gente. C’era chi stava leggendo e chi stava facendo un picnic – alcuni stavano persino divertendosi a rilasciare e riprendere un Boccino. Nessuno di loro aveva lo stile di Harry. Vide il Dr. Jackson attraversare i giardini e ricambiò felice il suo saluto, prima di prendere in mano il pesante libro che aveva di fianco a sé.

Draco si chinò per catturare un bacio. Lei lo spinse via, indicando il libro ora aperto nel suo grembo. Moderne Derivazioni dell’Artimanzia Avanzata. “Lo sai che ho dato il mio assenso a questo solo se tu mi avessi lasciato studiare.”

“I tuoi corsi non inizieranno prima del pomeriggio. Che cosa c’è da studiare?”

Lei gli lanciò un’occhiataccia. Lui rise. “Va bene, va bene. Mi arrendo.”.

Si stese nuovamente sull’erba e studiò il cielo. “Mi chiedo come se la stia passando il lupo mannaro senza di te. Il Ministero non sembra essersi disintegrato.”.

“Va bene, okay, sì Draco”, disse lei senza sollevare lo sguardo dal libro. “Sei il mago più brillantemente intelligente dell’intera storia del mondo magico, e io non metterò mai più in dubbio il tuo consiglio. Contento?”

Il modo in cui lui disse “Sì” le fece alzare gli occhi dal testo. Gli sorrise con tenerezza. “Naturalmente, Remus ha ancora bisogno di un assistente. Suppongo che tu potresti sempre -”

Lui le afferrò un polso, e lei si trovò stesa sopra di lui. Draco prese immediatamente vantaggio della sua posizione per baciarla intensamente.

“Draco”, sospirò lei, quando dovette ritrarsi per recuperare il fiato. “Sono alla mia università. Mi piacerebbe mantenere un certo decoro.”.

“Fai un incantesimo Occultante,” le sussurrò in un orecchio.

Lei rise. “La St. Brigid ha avuto migliaia di studenti. Hanno dei sensori contro queste cose.”

“Bene, allora”, sorrise e la baciò ancora, “credo che dovrai sopportare l’imbarazzo.”.


oO*Oo


FINE




Richieste:
Post-sconfitta di Voldemort. Tutti stanno cercando di rimettere in sesto le proprie vite. Hermione lavora al Ministero e Draco ha bisogno del suo aiuto.

Rating: libero

Deal Breakers: stupri/miseria/torture/Hermione nel ruolo di vittima

A/N: St. Brigid è la patrona degli studenti. Probabilmente il suo mito trae origine da una dea celtica del fuoco, le cui abilità includevano la musica, l’artigianato, la poesia, e che gli Irlandesi consideravano la fiamma della conoscenza, prima che i Cristiani adottassero il mito a proprio uso. In un’altra leggenda, St. Brigid è una principessa irlandese convertita al cristianesimo nel 468 dC.


oO*Oo

Grazie a cristina, Francesca, Sara86, Clo87 (come va, carissima? Tutto bene, spero ;) ), Emily Doe, _*Lyra*_ per le recensioni che mi avete lasciato :D, e grazie, naturalmente, anche a tutti quelli che hanno letto questa traduzione.

Fatemi sapere che ne pensate, oltre che se vi andrebbe di veder tradotte altre fanfiction di argosy. :p

Se avete delle domande, chiedete pure. Vi risponderò contattandovi personalmente (se lasciate delle recensioni da loggati), o sul "mio" topic nel forum (sezione Presentazione Autori).

Alla prossima ;)

Kit_05



EDIT: 4 giugno 2009, versione corretta di Breathe online, si ringrazia la moglia ^^

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=98777