Ikkunaprinsessa di Heaven_Tonight (/viewuser.php?uid=177847)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue and Characters ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno - "Nella Terra dei Mille Laghi" ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: “Principi e pirati” ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: "Come miele e neve" ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro - "Jade Kuume" ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: "Moonlight" ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei - “In a place that's warm and dark...” ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: “Your arms around me...” ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto - “Fuga da Helsinki” ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove: "I'm waiting for your touch..." ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci: “Do you really want me?” ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici - "Creeping Inside" ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici - "Around you..." ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici “Green and gold” ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici: “I'm mine” ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici: "Fade into you" ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici: "My Lord, my love..." (Take care of the ones you say you love...) ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette : “Under a layer of glass” ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto: “Luna verde e marmellata di ciliegie” ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove : “Starry night” ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti - “Look at me ... trust me.” ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno : "So sweet that it's hurts..." ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventidue: "Take my hand" ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitre - "Child of the sun" ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattro: "You are my sister" ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinque - "Il Sentiero delle Fate" ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei - "La stessa Luna" ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisette: " I feel you, outside at the edge of my life" ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventotto: " La cosa giusta" ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventinove - "Quello che non abbiamo" ***
Capitolo 31: *** Capitolo trenta: “Teardrops on the fire” ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentuno: "Beyond Redemption" ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentadue: "Northern Light, you call me home" ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentatrè: "Leggera come la neve" ***
Capitolo 1 *** Prologue and Characters ***
Prologo
Era ancora nel mondo
dei sogni, ne era certa. O era sveglia?
Qualcuno
canticchiava in lontananza. Strizzando forte gli occhi, si
girò a pancia in giù, tirandosi il cuscino sulla
testa, cercando di riprendere a dormire.
La
t-shirt informe che usava come pigiama però le si era
attorcigliata al collo e
ora la stava strozzando.
Si sollevò
su
quel tanto che bastava per rimetterla a posto in
modo fulmineo e si distese di nuovo, sbuffando.
Tornò
sotto il cuscino, premendoselo forte sulle orecchie.
Niente
da fare.
Aprì
un occhio gemendo piano.
La
luce grigia filtrava dalla finestra che aveva dimenticato aperta la
sera
precedente, anzi quella stessa mattina, prima di crollare sfinita alle
cinque e
trenta passate.
Cercando
di non prestare troppa attenzione a quella voce così
irritante, guardò il display
del suo cellulare: le nove e 45.
Non
era ancora pieno giorno, la luce debole:
stava
appena albeggiando ma gli effetti su di lei erano sempre gli stessi.
Moriva
di sonno.
No.
Non stava sognando. Qualcuno cantava a voce alta nella stanza accanto.
Si
mise lentamente a sedere sul letto, scuotendo i capelli ricciuti che le
si
gonfiarono dietro la schiena in una folta criniera leonina.
Decise
che avrebbe fatto fuori quel “qualcuno”, alzandosi
e trascinandosi stancamente
fuori dalla sua piccolissima stanza.
Il
suo “piccolo
scrigno”,
come lei lo chiamava.
Le
pareti erano dipinte di lilla chiaro e verde acqua, alternandosi sui
quattro
lati; la scrivania era stata ricavata da un tavolo malandato che
avevano
trovato da un rigattiere fuori città, con i piedi arcuati e
traballanti,
affettuosamente chiamato “il
monco”.
Era
stato coccolato, rimesso a nuovo con amore e pazienza nei mesi estivi
quando il
clima all'esterno era piacevole, rispetto alle abituali temperature che
di
norma c'erano in quel paese, il “Paese dei Mille
Laghi”;
Il
suo scassatissimo portatile: suo fidato compagno, amico di notti
insonni, l’“Highlander”
perché a dispetto degli acciacchi, della ventola che
annaspava affannosamente e
l’anta dello schermo instabile, andava ancora alla grande, un
guerriero
inamovibile anche se a volte rifiutava di accendersi, così,
per capriccio,
senza un motivo valido, probabilmente solo per il gusto di farla
impazzire.
Era
sempre più convinta che i suoi elettrodomestici, capitanati
dall' “infame
traditore”,
fossero dotati di vita propria e congiurassero contro di lei,
inventandosene
una nuova ogni giorno.
Infatti,
non v’era giornata che non iniziasse
senza che qualcosa, il phon o il forno a microonde, decidesse di non
accendersi
o funzionare correttamente!
I
poster e le stampe alle pareti, “La
fata ignorante”
di Magritte, ricordo tangibile di una mostra dell'artista che anni
prima aveva
visto a Roma, così come gli altri che si erano susseguiti:
il “Blue
Nude”
di Matisse, “Danae”
di Klimt, “Dream
City”
di Klee, “Bild
mit rotem Fleck”
di Kandinsky, “Number
33”
di Pollock; “The
Radiant Child”
di Basquiat, “Sirène et
poisson” di
Marc Chagall “Campo
di grano con corvi”
di Van Gogh, il suo preferito.
La
colonnina porta cd che col tempo si era riempita di nuovi,
innumerevoli compact disc; il
piccolo ma decoroso stereo; il tappeto rotondo fatto a mano, enorme,
che
occupava gran parte della piccola stanza, viola scuro e morbidissimo.
L'armadio,
anch'esso raccolto in giro ma talmente malconcio che era stato dipinto
di blu
notte con spirali viola e bianco, chiamato “Il
puffo”
per le ridotte dimensioni.
La
lampada da terra, frutto di un bottino fortunato in Germania, di legno
intrecciato alla base e alla sommità un materiale ignoto
ricoperto con carta di
riso color crema.
Le
era piaciuta subito la luce che dava: calda, accogliente e rassicurante.
E
poi ovviamente
c’era la sua libreria.
Un’anonima,
semplice e lineare struttura laccata di bianco, presa
all’Ikea.
Ricolma
di libri
di ogni genere, dai romanzi rosa ai saggi, ma in prevalenza vi erano
libri
d’arte e fotografia.
E
poi ovunque ninnoli, vecchie foto, ricordi, carte di caramelle spianate
con
cura e incorniciate in plexiglas.
All’età
di quattordici anni aveva avuto la sua prima cotta devastante e
ricordava
ancora il batticuore, il respiro mancante.
Il
ragazzo per il quale aveva perso la testa le aveva offerto un chewing
gum e lei
ne aveva conservato gelosamente, e stupidamente, l’involucro.
Non
aveva più smesso da allora: ogni volta che voleva ricordare
un momento, una
persona, portava con sé qualcosa che questa aveva toccato.
Continuava
a farlo: una sorta di memoria visiva nella quale, spesso e volentieri,
sprofondava.
Numerosi
biglietti del cinema erano infilati nella cornice dello specchio e una
gruccia
per vestiti usata come originale e avveniristica porta collane e
bracciali,
penzolava da un gancio fissato al muro;
un
puff di colore nero, di pelo sintetico-non identificato, che chiamava
amorevolmente “il
gatto morto”.
Amava
i momenti preziosi che passava leggendo appoggiata con le spalle al
termosifone, una tazza di the in mano e un libro nell'altra, seduta sul
quel
puff davanti alla porta-finestra che dava su un minuscolo balconcino.
Il
suo mondo... un mondo sbriciolato, rattoppato, malconcio e dolorante,
ma suo.
Passandoci
davanti notò che il cielo era bianco e carico: neve!
Ormai
Marzo era quasi al termine ma avrebbe nevicato di nuovo, lo sentiva
nell'aria.
Amava
la neve, le ricordava casa.
Casa...
ab
Characters
Lou Zarda:
Lucia “Lou” Zarda, 29 anni; nata e cresciuta in
Italia, in una piccola cittadina di montagna,
da qui la “familiarità” con il clima
rigido e il suo amore per la neve che è tipico dei paesaggi
finladesi.
Si trasferisce in Helsinki seguendo il suo ex-fidanzato, Andrea,
conosciuto ai tempi del liceo,
con cui ha avuto una lunga e tormentata relazione per nove anni;dopo la
fine della loro storia,
rimane in Finlandia lavorando come braccio destro e
“tuttofare” in una galleria d'arte,
cercando di rifarsi una vita e costruirsi un futuro.
Ferita e delusa, si allontana dall'amore e da tutto ciò che
i rapporti interpersonali comportano,
si ritira nel suo mondo fatto di colori e tele, chiusa nel bozzolo
della sua camera e della sua casa.
Ville
Valo.
Non vi aspettate davvero che metta la descrizione?! xD
Katty:
idem come sopra... dovreste solo sapere che
è la micia più faiga dell'universo!
Nur
Knight,
30 anni; amica
e coinquilina esuberante di Lou, bellissima ragazza inglese di
origini arabe, lavora come hostess,
facendo
la spola tra Helsinki e altre città europee;
una
vita piena di
impegni e storie d'amore clandestine e fulminee, all'apparenza una
donna volubile e superficiale,
ma
profondamente
legata a Lou, della quale si sente un po' l'angelo custode,
proteggendola
dalle
delusioni che l'amore ha portato nella sua vita,
sostenendola
e
dandole quella fiducia in se stessa che ha inesorabilmente perso.
Andrea Marini:
31 anni, ex fidanzato di Lou.
A lungo presente
nella vita di Lou, anche dopo la fine della loro relazione.
Egoista e prepotente,
torna ciclicamente nella vita di lei per impedirle di dimenticarlo e
rifarsi così una vita.
Simone
Lambro:
30 anni, il migliore amico di Lou dai tempi dell' Accademia.
Vive tra Roma e
Milano, stilista, artista pazzoide, vulcano di idee e coscienza di Lou.
Fa le sue
apparizioni, portando sempre scompiglio e una ventata di
solarità nella vita di Lou.
Julian
Ramos:
32 anni, spagnolo, artista.
Conosce Lou durante
la sua prima esposizione in Finlandia e ne rimane colpito
immediatamente;
pur sapendo di non
poter accedere al suo cuore le resta vicino come un buon amico.
Personaggi
secondari:
Mara
Leto: 31 anni, amica ed ex coinquilina di Lou e Simone
ai tempi dell' Accademia;
scenografa e
pittrice, abbandona la carriera per sposare Karl,
un ragazzo tedesco e
vivere in campagna, facendo la moglie e la mamma.
Il sig.
Korhonen: vicino di casa di Lou e Nur.
Matleena
Heikkinen: 50 anni, curatrice del Museo in cui lavora
Lou.
Lilly:
Una piccola peste che entrarà a far parte della vita di Lou.
PS:
Tutte le immagini dei personaggi, potete trovarle nel mio gruppo su
Facebook dedicato
alla storia cliccando su questo Link!
:)
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Capitolo 2 *** Capitolo uno - "Nella Terra dei Mille Laghi" ***
"Nella
Terra dei Mille Laghi"
Uscendo
dalla stanza la prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco furono un
paio di
natiche femminili, tonde e sode, perfette e ambrate che le passarono
davanti
nella loro gloriosa nudità.
«Ah,
eccoti! Buongiorno bella addormentata! Sei sveglia? Ti ho preparato il
caffè,
my Darling!» - disse la proprietaria delle natiche con voce
trillante,
gironzolando seminuda con indosso solo un microscopico asciugamano
fucsia
acceso.
Piccole
gocce d'acqua ancora brillavano sulla schiena, segno che era appena
uscita
dalla doccia e da lì provenivano i gorgheggi che l'avevano
svegliata poco prima.
«Umpfh.»
- mugugnò dirigendosi rigidamente alla macchinetta del
caffè.
«Prego!»-
rispose ridendo Nur.
Nur
era abituata al suo umore funereo mattiniero; la divertiva un mondo il
fatto
che lei invece non carburasse prima di mezz'ora dal momento in cui si
alzava
dal letto.
Nur
che era sempre piena di energie e di vita, che faceva mille cose in una
sola
giornata, che aveva l'agenda piena di impegni, che non stava mai ferma.
Si
stancava solo a guardarla: Nur era una hostess, quasi sempre in viaggio.
Quando
trovasse il tempo per vedere gli amici che si era fatta in pochissime
settimane
al contrario di lei che invece, viveva lì da tre anni e le
persone con cui
comunicava si contavano sulle dita di una mano, era ancora da capire.
Di
solito quando tornava a casa restava due giorni e poi ripartiva.
Quarantotto
ore durante le quali Nur riusciva a fare quello che per lei era
impensabile
anche in una settimana intera.
Negli
ultimi sei mesi le sue visite erano state sempre più rade:
oltre che vitale era
anche corteggiatissima e gli uomini le morivano dietro.
Tutti.
Indistintamente.
E
come poteva essere altrimenti?
Era
una donna stupenda: trent'anni ma ne dimostrava a stento
ventitré.
Alta,
con gambe chilometriche e affusolate, vita sottile e seni alti tondi e
perfetti: se non fosse che l'adorava senza remore l'avrebbe presa
volentieri a
calci sui denti.
Di
origini arabe, era stata adottata da una facoltosa coppia inglese,
borghesi e
ricchi; non avrebbe avuto bisogno certo di lavorare ma, come le aveva
spiegato
con semplicità quella volta in cui le aveva chiesto
perché facesse la hostess,
un lavoro sì affascinante ma decisamente stressante, le
aveva risposto:
«Sono
stata solo fortunata: nel mio Paese d'origine ci sono costantemente
guerre, le
donne sono costrette ad una vita che io non potrei neanche concepire,
sono una
“miracolata”! E sono grata ai miei genitori
adottivi per tutto ciò che mi hanno
dato, ma non farò la mantenuta solo perché posso
permettermelo, e poi non
riesco a rimanere ferma nello stesso posto per molto tempo.
Voglio
la mia libertà. Voglio viaggiare, conoscere posti nuovi,
gente nuova, voglio
assaggiare le pietanze del posto.
Voglio
nuotare in tutti i mari del mondo e vedere mille tramonti diversi.
Voglio amare
mille uomini e farmi amare da loro, voglio tutto dalla vita! È
sbagliato?».
No,
non lo era.
Ammirava
la sua forza, la sua tenacia e il suo costante buon'umore, che non era
affatto
finto.
Era
chiaro che scaturiva da una positività che aveva dentro, un
sole che aveva e
riusciva a scaldare chi la circondava.
Anche
lei.
«Oh,non-essere-noiosa!
Tu-e-il-tuo-fortissimo-e-imbevibile-caffè-ristretto-italiano-fatto-con-la-moka-perché-il-vero-caffè-è-solo-quello-fatto-con-la-caffettiera-napoletana-e-con-rigoroso-caffè-macinato-ovviamente-caffè-italiano.»
«Hai
finito?» - borbottò Lou, alzando un sopracciglio.
Con
aria di sfida prese dallo scaffale la SUA moka caricandola con il SUO
caffè
macinato che i familiari le mandavano dall'Italia e la mise sul fuoco,
appoggiandosi al bancone per guardare la sua coinquilina che
volteggiava per la
stanza, prendendo da questa o quella borsa un paio di calze, un jeans,
un
reggiseno e lanciandoli disordinatamente sul divano verde.
«Quello
che tu chiami caffè non è che brodaglia... e non
chiamarmi Lucia.» - aggiunse
minacciosa.
«È
il tuo nome! È
bello e ha lo stesso significato del mio: LUCE. Quindi è
bello! - decretò girandosi a guardarla divertita –
Ok, Lou! Va meglio? - si
piazzò davanti alla finestra guardando fuori, con aria
contrariata - Ma no, che
disdetta! Sta iniziando a nevicare! Non è
possibile!» – strepitò ad alta voce,
dimenandosi.
I
suoi conoscenti e amici lì in Finlandia all’inizio
storpiavano il suo nome in “Lùcciiaa”,
allungando le vocali o
mettendo l’accento su quelle sbagliate, per cui avevano
iniziato a chiamarla
Lou, e lei si era abituata ad essere Lou, tornando ad essere Lucia, o
Lù, solo
quando era in Italia.
«La
pianti di agitarti davanti a quella finestra? Finirai per perdere
quello
straccetto che usi per telo da doccia e rimarrai con le poppe al
vento... farai
venire un coccolone ai vicini, così. E chiameranno la
buoncostume che arresterà
me, perché tu nel frattempo, sarai già volata
via! E inoltre vorrei farti
notare che siamo in Finlandia, non in California. Ovvio che nevichi a
marzo.»
«Uff,
sono tutti dei vecchi bacucchi noiosi e mosci... tranne “Il
Principe della Torre» - disse sognante.
Spiaccicò il viso sul vetro per sbirciare in direzione del
soggetto del suo ciarlare. - Davvero non l'hai mai visto di persona? Ma
abita a 200 metri in linea d'aria da qui, com'è possibile?
Voglio dire, io non ci sono quasi mai ed è normale che non
riesca a vederlo, ma tu che sei sempre qui, non esci mai o quasi, se
non per andare al lavoro o per fare la spesa, non l'hai mai incrociato?
È inaudito!»- continuò
d'un fiato.
“Il
Principe della Torre” altri non era che il famoso
cantante degli H.I.M., Ville Valo, che abitava nello stesso quartiere,
nella famosa torre gotica che attirava in ogni periodo dell'anno, orde
di fan esagitate e pronte a fare pazzie pur di vederlo.
Normale
che
lui non si facesse vedere: a quanto pare non era un tipo molto
socievole e lo dimostrava il fatto che davanti alla sua abitazione, sul
cancello e nei dintorni, c'erano cartelli che invitavano a non
avvicinarsi.
Lei in
tre
anni, da quando viveva nello stesso calmo e bellissimo quartiere, non
lo aveva mai visto; ok che non era stata molto
“presente” anche lei, era stata distratta da altro,
pensò ingoiando a vuoto il solito groppo in gola. E come
diceva Nur, non era una donna mondana e non usciva se non strettamente
necessario.
«Ti
ho già detto tante volte che non l'ho mai visto, neanche da
lontano. So che esiste perché di sera le finestre sono
illuminate, per il resto potrebbe essere benissimo una leggenda.» -
rispose
distratta, prese una tazzina dal mobile inspirando voluttuosamente
l'aroma del
caffè che iniziava a salire su per la caffettiera.
«Oh,
è un tipo così affascinante, misterioso e mi
piacerebbe conoscerlo!» - disse
piano Nur, guardando sempre verso la soffitta, forse con la speranza
che ne potesse
intravedere l'abitante.
«Puoi
provare ad andare a suonare alla sua porta così come sei
adesso: sono quasi
sicura che ti aprirebbe, sai?» - ribatté Lou,
spegnendo la fiamma sotto la
macchinetta, versando l’espresso nella tazzina che prese tra
le mani cercando
di scaldarsele con il poco liquido bollente che vi era dentro.
Si
avvicinò alla sua amica, guardando il cielo carico di neve
sorridendo tra sé.
«Uhm...
sì, sono sicura anche io che mi aprirebbe! - rise
compiaciuta – Oh, fatti dare
un abbraccio: mi sembra un secolo che non ci vediamo!» -
proruppe poi buttandole
le braccia al collo con enfasi, rischiando di ustionare entrambe con la
bevanda
ancora bollente e le stampò un bacio sulla guancia.
«Ehi!
Attenta...» - si lamentò fiaccamente Lou,
sorridendo dolce, prendendosi
l'abbraccio e il bacio.
Nur
era vulcanica in tutto; anche nel dimostrare il suo affetto agli altri.
Era
un donna fisica: toccava costantemente chi le era di fronte e se questi
erano
maschi la cosa quasi mai generava fastidio; prendeva le mani
dell'interlocutore
tra le sue, sfiorandone il braccio, o dando pacche sulle spalle.
Nur
era così.
E
Lou amava anche questo calore che sapeva dare, al contrario di quanto
facesse
lei.
Nur
si fermò, fissandola intensamente, analizzandole le
occhiaie, la faccia stanca
e dal colorito spento, le labbra tirate, gli occhi bordati di rosso.
«Brutto
sogno, eh?» - mormorò carezzandole la guancia con
delicatezza.
Si
scostò impercettibilmente chinando la testa, deglutendo a
vuoto.
«Come
sempre. Sto bene. Ho solo dormito poco e lavorato fino a tardi... -
mormorò
indicando con un cenno il quadro che era appoggiato al cavalletto
– Dovrei
consegnarlo per questo fine settimana ma sono indietro... non so se ce
la
faccio.»
«L'ho
visto appena sono entrata, è bellissimo... come tutti i tuoi
lavori! Riposati e
vedrai che ce la farai a finirlo, Lou... - esitò un momento,
restando in
silenzio per qualche istante, poi continuò, vedendo che
l'altra si era girata a
guardarla per indurla a proseguire - Non è tornato alla
carica, vero? Perché se
così fosse gli spacco la faccia stavolta! Giuro!»-
disse alzando la voce.
«No,
non è tornato. - mormorò Lou – Ti
dispiace se non ne parliamo? Non oggi,
almeno...»
«Ok,
come vuoi tesoro, ma se quel gran figlio di... di… torna,
devi dirmelo! Lo
strozzo con le mie mani!» - concluse tornando ad abbracciarla
e carezzarle la
schiena con vigore.
«Ok!
- ridacchiò Lou, tornando a rilassarsi - Sarai avvisata, ma
dubito fortemente
che avrà il coraggio di farsi vedere di nuovo dopo lo
spavento che gli hai
fatto prendere l'ultima volta!» - replicò a bassa
voce.
Il
ricordo della sceneggiata che Nur aveva fatto al suo ormai
definitivamente ex,
era stata memorabile.
Era
stata sul punto di temere davvero per lui e la sua
incolumità: non era raro che
Nur andasse in escandescenze, ma non l’aveva vista
così arrabbiata e
aggressiva, con nessuno, mai.
Si
era trasferita in
Finlandia con il suo fidanzato tre anni prima, durante l'estate.
Non
aveva amato subito quel paese: tutt'altro.
Faticava
ad ingranare con un modo di fare completamente diverso da quello cui
era
abituata in Italia.
Gli
italiani casinisti, disordinati, allegri, vocianti.
E
lei li amava per questo, anche se non seguiva propriamente le
“tradizioni”.
Era
sempre stata timida e di solito tendeva a rimanere in ombra rispetto
alle sue
amiche e così era stato anche con il suo brillante
fidanzato.
Aveva
conosciuto Andrea durante il primo anno di Università: lei
frequentava
l'Accademia di Belle Arti a Roma e lui, con scarso profitto la
facoltà di
giurisprudenza.
Era
un bellissimo ragazzo: oltre il metro e ottanta, muscoloso e scattante,
occhi
neri e profondi, con lunghe ciglia, labbra ferme e virili, sorriso da
malandrino sotto una schiera di perfetti denti bianchi.
Pericoloso,
si era detta la prima volta che lo aveva visto, restando palesemente a
bocca
aperta e sconvolta dalla sua abbagliante perfezione.
Come
quella di Nur, anche la famiglia di Andrea era ricca, per cui invece
che
studiare cercando di laurearsi il prima possibile, non faceva che
passare da
una festa all'altra.
Da
una donna all'altra.
E
proprio ad una di quelle famose feste lei lo aveva conosciuto.
A
quei tempi era così diversa dalla persona che era diventata.
Curiosa
del mondo e della nuova condizione di libertà che aveva, ora
che conviveva con
altri ragazzi, rispetto a quando invece abitava ancora con la sua
famiglia - che
consisteva nel padre, la madre e i due fratelli più piccoli
di lei: la classica
famiglia italiana da pubblicità - era stata trascinata nel
vortice delle feste
che organizzavano di continuo le varie facoltà.
Con
i suoi coinquilini Simone e Mara, come lei in Accademia, era un correre
sempre
di qua e di là.
Aveva
incontrato Simone ad una lezione di orientamento i primi giorni; lui
l'aveva
individuata subito nell'aula affollata e surriscaldata.
Le
si era avvicinato sorridendo e con un sospiro si era lasciato cadere
sulla
sedia accanto alla sua, sbottando ed esordendo con voce alta : «Santo
cielo, perché non
aprono un po' quelle finestre? Qui dentro si muore di caldo e per il
cattivo
odore che aleggia...» - poi aveva allungato una mano elegante
e liscia,
prendendo quella di Lou senza attendere che lei gliela tendesse,
stringendogliela con vigore.
«Ciao,
io sono Simone. Sai che hai i capelli più fantastici che io
abbia mai visto?
Sono
stupefacenti... è il tuo colore naturale vero? Posso? -
aveva continuato prendendole
un lungo ricciolo tra le dita – Sono davvero belli... sembri
una di quelle
fatine dei libri illustrati che leggevo da piccolo!»
Lou
era rimasta senza parole e lievemente sbalordita dalla sua parlantina,
come se
la conoscesse da una vita. Le si
rivolgeva in maniera semplice e
naturale; doveva essere abituato a fare amicizia con
facilità al contrario di
lei.
Affascinata
dalla sua bellezza elegante ed eterea era arrossita e aveva mormorato
un “sì”
imbarazzato prima di ricambiare la stretta di mano con un sorriso,
sbirciando
timida i perfetti capelli biondo scuro, gli occhi grigi e il fisico
asciutto e
scattante del ragazzo che le sorrideva divertito.
«Oh...
anche le fossette! Sei vera?!» - aveva esclamato lui ridendo,
avvicinandosi al
suo viso per esaminarla meglio, facendola arrossire fino alla orecchie.
“Ci
sta provando per caso?!”.
No,
non ci stava
provando e lo avrebbe capito esattamente due minuti dopo quando
entrò un
ragazzo e Simone commentò con un’espressione
colorita il suo didietro.
Probabilmente
aveva
intuito che era affascinata da lui e aveva voluto subito mettere in
chiaro come
stavano le cose, senza essere maleducato e prima che potessero
fraintendersi.
Questo
gli fece
guadagnare stima eterna agli occhi di Lou che rispose ridendo al suo
commento
altrettanto coloritamente, improvvisamente rilassata.
Era
iniziata
così la
loro amicizia.
Era
venuto spontaneo
cercare casa insieme. Non c’era stato bisogno di parlarne tra
di loro:
semplicemente avevano iniziato a sfogliare i giornali di annunci ed
elencare
cosa ognuno volesse nell'appartamento dei lori sogni.
Lou
si era appoggiata
alla sua voglia di vivere e alla sicurezza con cui si muoveva in ogni
ambiente.
Sembrava
che cadesse
sempre in piedi, che avesse sempre successo in tutti i progetti in cui
si
lanciava, fosse anche il più strampalato.
Avevano
trovato il
loro
appartamento un po' fuori dal centro; avrebbero dovuto fare un lungo
percorso
in metropolitana per arrivare ogni mattina in accademia ma se n'erano
innamorati subito, convinti anche dal prezzo che il locatore aveva
proposto
loro. La casa poteva ospitare anche una terza persona, così
avevano affisso un
foglio con i loro numeri di telefono e i requisiti del probabile futuro
coinquilino nella bacheca degli annunci messa a disposizione
dell'accademia.
Aveva
riso fino alle
lacrime quando aveva visto il foglio preparato da Simone.
“Cercasi
coinquilino/a (meglio se maschio, preferibilmente alto, moro,
palestrato e
ricco. Molto ricco.) dotato di senso di humour, amante del rosso e
delle
paillettes (sappiate che le metterò ovunque: anche nel
frigo, quindi siete
avvisati!).
Non
siamo interessati
a
gente che ha mazze infilate su per il … ( a meno che non sia
la mia...).
Per
informazioni
chiamate ore pasti e non prima delle 9.00 del mattino,
perché potrei anche
mandarvi a quel paese!”
«Magari
la
storia della
mazza è meglio evitarla!» –
rantolò Lou tra le risate.
«Uhm...
-
aveva risposto
Simone con aria seria – Naaa: meglio che sappiano subito in
che guaio si vanno
a cacciare!»
Due
giorni dopo il
telefono di Simone squillò esattamente alle 9.02 e una voce
pacata e seria di
donna - con sommo dolore di lui - diceva di essere interessata alla
convivenza
e presero appuntamento per conoscersi quel pomeriggio, in un bar del
centro.
Mara
li aspettava in
piedi, tesa e seria, davanti al bar che avevano scelto.
I
capelli neri,
liscissimi e tagliati corti sotto le orecchie, con una corta frangia
sul viso
ovale e due occhi nerissimi, la bocca carnosa leggermente larga per il
suo viso
minuto, magra e alta, quasi allampanata; era vestita di verde scuro,
con un
basco sulla testa e un cappotto un po' fuori stagione, dal momento che
faceva
ancora abbastanza caldo, una gonna corta sopra calze scure, coprenti e
basse
ballerine nere.
Nel
complesso
sembrava
un'istitutrice francese a metà fra gli anni ‘20 e
‘60 in libera uscita nel
giorno di paga.
Simone
guardò Lou con
gli occhi che luccicavano.
«La
teniamo?! - chiese a
bassa voce mentre si avvicinavano – Dai adottiamola! Ti
prego, ti prego, ti prego!»
Lou
ridacchiò sotto i
baffi.
Nelle
successive due
ore
ebbero modo di costatare che Mara, non solo era dotata di humour, che
variava spesso
in humour nero, ma che aveva anche un “Senso
Spiccato Per i Glitter e le
Paillettes”.
Simone
quasi si era
gettato
ai suoi piedi in estasi quando disse che era una fan di Cher e
Madonna.
Faceva
la commessa
part
time in un negozio di articoli di belle arti e questo la fece
immediatamente
salire in cima nella loro classifica dei possibili candidati.
Senza
pensarci su
oltre
decisero con una breve occhiata complice tra loro, che non avrebbero
visto
altri e che Mara sarebbe stata con loro.
«È
destino... e io ci
credo al destino! Non appena vi ho visto – disse Simone con
una faccia da
bambino monello – ho capito che eravate le uniche donne con
cui voglio dividere
il mio bagno, il mio letto e la mia crema idratante!»
Così
era
iniziata.
Al
mattino era una
lotta
continua a chi dovesse usare per primo il bagno, uno, piccolo e con lo
scaldabagno elettrico, per cui soltanto colui o colei che si svegliava
all’alba
godeva di una doccia calda dall'inizio alla fine.
I
primi diciotto mesi
erano stati scanditi da una sola cosa: affetto, risate, notti insonni
passate a
preparare tavole, disegni, sommersi tra fogli, colori, tazze di
tè e caffè,
briciole di biscotti ovunque.
Dopo
qualche mese era
arrivato un nuovo coinquilino: Natale, un soffice, panciuto gatto
rosso.
Lo
avevano trovato la
notte della vigilia di Natale ovviamente: da qui il nome innocuo,
scelto a
furor di popolo dopo una lotta all'ultimo sangue con quello che invece
aveva
suggerito Simone, un tantino eretico perfino per Mara, Messia.
Se
chiudeva gli occhi
poteva ancora sentire l'odore di quella vecchia casa, con gli interni
rivestiti
di carta da parati degli anni '50, scura, marrone e orrenda; le vecchie
lampade
che un tempo dovevano esser state a olio o roba del genere, sostituite
poi da
lampadine; il bagno con la vasca e il lavandino che si otturava ogni
settimana;
la cucina stretta e lunga, con gli elettrodomestici disposti lungo una
sola
parete, addossati l'uno all'altro.
Il
“frigorifero dei
puffi” come lo chiamava Simone, così piccolo che
erano costretti a dividerne i
tre spazi e il congelatore, litigando fino allo sfinimento anche per i
millimetri che uno aveva in più o in meno rispetto
all'altro.
Il
tinello con
l'eterna
perdita che di notte sembrava un rintocco di campana nel silenzio
assoluto.
La
sala da pranzo,
l'unico spazio grande rispetto al resto, dove avevano deciso
di spostare tutti i mobili lungo il muro per poter lavorare meglio; le
due
camere da letto. Lou divideva la sua con Simone, mentre Mara
aveva preteso
la singola con il matrimoniale per ospitare il suo ragazzo ogni volta
che lui
avesse potuto raggiungerla, cosa che si ripeteva più o meno
un volta al
mese.
Quel
letto
matrimoniale
che puntualmente, per il resto dei giorni e delle notti del mese
diventava
anche il loro e fungeva da tavolo al mattino per la colazione o la sera
mentre
guardavano la tv con enormi ciotole di pop corn, col risultato che il
mattino
dopo sembrava essere stato vittima del passaggio degli Unni.
Era
stato bello.
Spensierato.
Si
ritrovava spesso a
desiderare di poter tornare indietro per rivivere anche solo una di
quelle
giornate con loro.
Poi
era arrivato
Andrea.
Era
apparso a fine
serata in una noiosissima festa, con una bionda mozzafiato appesa al
braccio,
imbronciata, truccatissima, con addosso un vestito che poco lasciava
all'immaginazione, rosso e tempestato di lustrini ovunque.
«OH-MIO-DIO!»
- aveva
urlato Simone non appena i due erano apparsi.
«Ragazze,
abbiamo
trovato il copri lampada che cercavamo!» - disse facendo con
un segno con la
testa verso la ragazza bionda.
Lou
e Mara si erano
girate per vedere cosa diavolo andasse blaterando ed erano scoppiate a
ridere;
conoscevano bene la fissa di Simone per le paillettes e i colori
sgargianti.
Da
stilista quale
aspirava a diventare ed artista pazzoide quale invece era, esasperava
tutto ciò
che faceva o diceva; come quel pomeriggio in cui si era messo in testa
di
togliere i vecchi copri lampada della casa e sostituirli con “qualcosa
di
rosso, brillante appariscente e totalmente, assolutamente kitsch!”.
«Ho
trovato
la mia
Musa!- continuava a ripetere fissando platealmente la coppia - devo
assolutamente
chiederle di darmi l'indirizzo del negozio dove ha comprato quella
roba!».
«La
vuoi
finire di
indicarli e guardare come un maniaco verso di loro?! –
sibilò Mara, cercando di
reprimere la risata – non vedi che lui ci sta guardando? Non
vorrai mica finire
per picchiarti con uno del genere? Ti ridurrebbe ad una
cotoletta!».
«Voi
non
capite! Io DEVO
AVERE quel vestito a tutti i costi, dovessi anche strapparlo, - Orrore!
Dio non
voglia!- di dosso a quella!» - replicò con aria
teatrale agitando le mani e
portandosele al cuore con aria sognante.
Lou
lo
adorava.
Anche
lei
tornò a
guardare verso la coppia e il sorriso le si spense sulle labbra quando
si
accorse che lui, non solo li aveva notati ma si stava dirigendo
velocemente
verso loro tre con un' espressione
per niente rassicurante.
«Ehm...
ragazzi, lui sta
venendo qui!» - annaspò concitata, cercando invano
di dissimulare con un’aria
innocente di aver allertato gli altri due, che invece, si voltarono
simultaneamente come un sol uomo per vedere l'avanzata, non si poteva
chiamarla
altrimenti, del ragazzo.
«Porca
di
quella vacca!
Simone, stavolta ti prendi un bel pugno sul naso e dopo ti meno anche
io: ci
fai sempre finire nei guai con questo tuo modo di fare!» -
aveva bisbigliato
stridula Mara diventando rossa di rabbia fino alla radice dei
capelli.
Simone
al contrario,
era
rimasto calmo e sorridente.
«Beh
ragazze non so voi,
ma io di conoscere questo dio dell'Olimpo non sono per niente
dispiaciuto!» –
con l’aria di un gatto che si leccava i baffi davanti ad una
ciotola di panna,
si sistemò il ciuffo biondo.
Quando
si
fermò davanti
a loro con le mani incrociate sul petto, con la camicia che gli si
tendeva sui
muscoli, tutti e tre si erano avvicinati compatti come per cercare
conforto e
forza nel gruppo: lui superava tutti loro di una buona testa e come
stazza
avrebbe potuto benissimo prenderli insieme e farne un unico fagotto
informe con
un solo braccio!
«C'è
qualche problema? -
aveva chiesto con voce profonda e fintamente calma – Ho
notato che abbiamo attirato
la vostra attenzione...» - lasciò volutamente la
frase in sospeso per creare
forse più tensione, aspettando che qualcuno di noi
proferisse parola.
Ma
tutti e tre erano
ammutoliti: ognuno di loro forse per motivi diversi.
Mara
era sinceramente
atterrita; le persone aggressive la mettevano a disagio.
Lei
che era sempre
morigerata e pacata, controllata e seria, aborriva chi le si rivolgeva
con toni
accesi reagendo con un silenzio mortificato.
Simone
probabilmente
stava pensando freneticamente a una balla credibile per non venire alle
mani
con “Conan”.
Lou
era pietrificata.
Non
appena lui si era
avvicinato aveva iniziato a sentire caldo e non per la paura.
Quando
le era
arrivato
davanti con lo sguardo minaccioso e le labbra contratte le si era
bloccato il
respiro.
Era
il ragazzo
più bello su cui avesse posato gli occhi: praticamente
perfetto,
una statua viva, ma fremente e nervosa.
Gli
aveva fissato il
viso tramortita dalla sua vicinanza e dal suo lieve profumo di muschio
che lei,
nonostante tutto, aveva sentito ancor prima che lui si
avvicinasse.
Si
era rivolto a
Simone
con aria arrogante mentre faceva scorrere lo sguardo sulle ragazze,
alzando un
sopracciglio mentre guardava Lou con aria distaccata e superiore, per
poi
tornare a guardare Simone, che rispose serafico e in maniera
volutamente
affettata ed esagerata.
«Scusaci
tanto “caro”,
non ho potuto rimanere totalmeeeente, assoluuutamente affascinato dalla
tua
compagna e dal suo fantaaaastico abito! Vedi io sono uno stilista... o
perlomeno aspiro a diventarlo e stavo dicendo alle mie amiche qui
presenti, Mara
e Lucia – continuò indicandole – come
dovrebbe essere una vera donna, per
attirare gli sguardi dei maschi. Volevo complimentarmi con lei e
chiederle
alcuni consigli: sono certo che ha un gusto incontestabile!»
- concluse con il
sorriso da paravento che sfoggiava quando voleva prendere in giro,
facendo
passare un insulto per complimento.
“Conan” si rilassò
impercettibilmente continuando ad avere un'aria
niente affatto amichevole.
«Capisco...
- non dava l’idea di capire e il fatto che fissasse Simone ad
occhi
socchiusi non faceva che dar loro conferma – beh, se vuoi
andare a chiederle
informazioni hai il mio permesso... - continuò con arroganza
– Io intanto faccio
amicizia con le tue amiche.» - rivolgendo un sorriso
accecante verso le due
ragazze che ora erano meno spaventate, ma decisamente a
disagio.
«Io
sono Andrea.» -
disse porgendo a Mara una mano vigorosa con le vene a vista sul dorso,
che lei
prese titubante.
«Mara.»
- rispose
freddamente, con la schiena rigida.
Non
le piaceva: era
chiaro come la luce del sole.
«E
tu? - spostando la
sua attenzione su di lei, fissandola con i suoi occhi nerissimi
-
Chi sei?»
«Lu...
- rispose con uno squittio, per poi schiarirsi la voce e sorridergli,
continuando tremante - Sono Lucia, piacere di conoscerti!»
“Magari
chiudi anche
la bocca prima che la bava ti coli sul vestito... ”
-
si disse
mentalmente, maledicendosi per aver bevuto due bicchierini di vodka che
ora la
rendevano molle e languida.
Quel
mix, insieme agli occhi di lui che non lasciavano scampo, stava
decisamente avendo un effetto che era inaspettato.
Mara
la guardava con
occhi quasi sgranati per la sorpresa: non era da lei, infatti, essere
così
svampita. Con un cenno della testa, le stava facendo segno di
tagliare
corto e lasciare che si allontanasse.
Lou
l'aveva ignorata continuando a fissare Andrea, senza riuscire a
staccarne
gli occhi dal viso, persa
nell’ebbrezza che le sue attenzioni la facevano
sentire bella per la prima
volta in vista sua.
*****
Si
riscosse dai pensieri
tornando a guardare Nur rassicurandola con un sorriso.
L'amica
la fissava
ansiosa con gli occhi nocciola ed enormi nel viso splendido.
Si
era ripromessa di
farle un ritratto fin dalla prima volta che l'aveva vista: il volto sembrava
porcellana color miele,
fine e delicato, occhi grandi a mandorla con ciglia che parevano finte, tanto erano lunghe e folte; zigomi
alti e un naso
piccolo e perfetto sopra una bocca piena e carnosa.
Sospirò davanti a tanta
perfezione e ancora di più davanti all'evidente
preoccupazione di lei.
«Sto
bene, credimi...
sono solo stanca. E tu mi hai svegliata con i tuoi gorgheggi; avevo
intenzione
di dormire fino a tardi, ma sei la solita egoista!»
«Oh,
cara, perdonami ma
avevo così tanta voglia di parlarti che non ho resistito:
perdonami,
perdonami... mi perdoni?!» - finse di battere le ciglia come
un cerbiatto in
attesa della sua risata, sentendosi molto soddisfatta quando questa
puntualmente arrivò.
«Piantala
di fare la
buffona, - ridacchiò Lou dandole una gomitata nel fianco
– ti perdono sempre
io.»
«Bene!
- disse Nur allegramente – che facciamo oggi? Ti va di fare
shopping nel
pomeriggio? E stasera c'è una festa, ci andiamo?!»
- sparò a raffica senza
fermarsi.
«Dai,
dai, dai, ti prego
non dire di no, voglio uscire e divertirmi con te, non stiamo mai
insieme e tu
sei sempre dentro la tua stanza a fare chissà cosa, dai,
dai, dai!»
«Oddio,
fermati un
attimo! Mi sento già stanca... per lo shopping si
può fare ma scordati la
festa. Non se ne parla. - confermò il tutto fissandola negli
occhi senza
sorridere con aria seria – E non c'è occhio
languido che tenga a farmi cambiare
idea.» - aggiunse, prima che l’ amica iniziasse con
i suoi trucchetti.
«Ok,
che barba che sei!
Devi pur uscire ogni tanto, vedere gente, socializzare! La conosci
questa
parola?» - iniziò a borbottare sbuffando e
lanciando sul divano il microscopico
telo, rimanendo nuda, e bellissima, rovistando in cerca di qualcosa nel
trolley
che aveva portato con sé.
«Ho
una cosa per te, direttamente da Pariiiiiiiis! Aprilo!»
Tutta
felice le porse il
pacco elegante, piatto e sottile, con un fiocco viola sulla confezione,
sedendosi come se nulla fosse sul divano così, nuda
com'era.
La
fissò per due secondi
pensando che non si sarebbe mai abituata alla sua naturale e
così disarmante
sfacciataggine.
«Nur,
mi imbarazzano i
regali... Io
non ti regalo mai
niente e tu sei sempre così generosa con me –
mormorò pensando al suo armadio
pieno di vestiti e pensierini che Nur le aveva portato dai suoi viaggi,
molte
delle quali costose e griffate – perché ti
dis...»
«Oh,
aprilo e non
parlare! - la interruppe Nur mozzando la sua frase a metà
– Su, su, su!»
Contagiata
dal suo
entusiasmo, scartò il pacco facendo attenzione a non
rovinare lo splendido nastro
di seta viola che chiudeva la confezione.
All'interno
di una
scatola bianca c'era una sottoveste color lilla, il suo colore
preferito
insieme al verde, lucida e sottile, leggera come un velo; questa era
coordinata
con un cardigan di lana sottilissima che lei temette fosse cachemire,
di un
colore melanzana, con una sottile cintura fatta dello stesso morbido e
prezioso
materiale, entrambi erano lunghi fin sotto il ginocchio.
Erano
stupendi.
Si
voltò verso Nur con
occhi che volevano essere severi, ma si rimangiò tutto
quello che voleva dirle
quando vide l'espressione gioiosa di lei, con gli occhi che le
brillavano come
una bimba.
Sembrava
che il regalo
l'avesse ricevuto lei e non il contrario.
«È
bellissimo, Nur! Ma
ti sarà costa...»- iniziò non riuscendo
a trattenersi dal dire, subito
interrotta dall'abbraccio di Nur, che felice di aver colto nel segno,
disse: -
«Ah-Ah-Ah-! Niente sensi di colpa: appena l'ho visto,
lì nella vetrina della
Chanel ho pensato che ti sarebbe stato d'incanto, con i colori della
tua pelle
e i capelli chiari che hai! Dai, provalo! Vediamo come ti
sta!»
"Chanel?"
Era
impazzita!
Ma
non disse niente
perché non sarebbe stato utile... accarezzò con
la mano la stoffa sensuale e
liscia.
«Grazie
Nur, davvero, è
stupendo... Ma vorrei fare prima una doccia, ok?» - disse
sbadigliando.
«Tesoro,
io penso che dovresti tornare a letto per riposarti ancora un po',
mentre io vado a sbrigare delle faccende: spero di tornare per ora di
pranzo.
Giapponese? Cinese? Pizza? - chiese guardandola da sopra la spalla
– O mi
cucinerai quella tua favolosa pasta al pomodoro?!» - aggiunse
speranzosa.
Lou
rise di gusto.
«Ti
farò la pasta...
niente di tutto ciò oggi! Magari stasera... Ti meriti una
ricompensa per questa
meraviglia!»
«Oh,
dormi sempre con
quella orribile maglietta enorme e sformata e ho pensato che ogni tanto
volessi
coccolarti con qualcosa di morbido e caldo... - disse Nur con
noncuranza –
anche se io spererei che dormissi con niente addosso e che a scaldarti
ci fosse
un uomo...» - lasciò cadere lì la frase
in sospeso.
«Magari
fra dieci anni,
ok? E che hai contro la mia maglietta?» - ribatté
divertita Lou, infilando un
dito in uno dei tanti buchi della t-shirt grigio smorto che indossava.
«Davvero,
ho bisogno di
riposare ancora un po' o nel pomeriggio non reggerò
assolutamente il tuo ritmo
e non ce la farò a correrti dietro per negozi... a
più tardi, Nur!» – continuò
dirigendosi con uno sbadiglio verso la camera da letto e salutandola
con la
mano.
«Riposati,
eh? Perché ho
voglia di spese folli oggi! Yeah!»
Nur
guardò con affetto
la sua principessa dai chiari capelli leonini avviarsi stanca verso la
stanza;
avrebbe voluto poter restare più tempo con lei, starle
accanto e non lasciarla
sola in quella casa, in quel posto triste, ma che stranamente Lou amava
tanto.
La
malinconica aria
della Finlandia le si addiceva e lei la rassicurava di essere felice
lì, ma gli
ultimi due anni non erano stati tranquilli e felici per Lou.
Pensò con rabbia
ad Andrea e chiuse stizzita con furia la lampo del trolley fucsia.
Quell'uomo
odioso e
crudele che aveva fatto a pezzi la vita di Lou, i suoi sogni e la
fiducia in se
stessa.
Aveva
giurato che non gli avrebbe permesso di farle del male, ma Lou era ancora
succube di lui, anche se lo negava e ne era ancora innamorata forse. In
vita
sua aveva conosciuto tanti uomini, ma mai le era capitato di incontrare
qualcuno di così bello eppure così crudele allo
stesso tempo come Andrea.
Non
aveva avuto nessuno
scrupolo a provarci anche con lei nei primi tempi in cui vivevano
insieme e
puntualmente, lui si presentava sempre a casa loro quando Lou era al
lavoro.
Se
solo fosse stata più
ingenua o avesse voluto meno bene a Lou e non avesse visto in che stato
l'aveva
ridotta, ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Al contrario di quanto
la
maggior parte della gente pensasse, nonostante la sua aria sempre
spensierata e
svampita, era una persona molto attenta e raramente si faceva
fregare.
Specialmente
da un uomo.
Si
avvicinò alla cucina
versandosi in una tazzina pulita il resto del caffè rimasto
nella moka e
sorrise trovandolo ancora caldo, pensando che non ci fosse nulla come
l'amicizia a scaldarti il cuore.
E
quella con Lou era calda quanto quel caffè forte e scuro e
aromatico.
*****
«Non
verrò più con te a
fare shopping per il resto dell'anno!» - sbottò
Lou posando le buste che aveva
in mano per terra accanto all'ingresso e lanciandosi sfinita sul divano
a
braccia aperte.
«Sei
una palla, Lou! Hai
comprato
quel
bellissimo paio di jeans che volevi da mesi, o
no? E
quel maglione nero ti sta d'incanto, così come quel
vestitino delizioso al 75%
che ti fa sembrare...» - iniziò la sua solfa
bruscamente interrotta da
Lou.
«Nur!
Hai passato
quarantacinque minuti nel camerino di quel negozio e non hai comprato
nulla!
Avevo i piedi come due zampogne per aspettarti, con tutto il resto
della roba
addosso: ho sudato come un maiale lì dentro, per non parlare
delle occhiate
omicide che i commessi lanciavano a me! Se avessero potuto sbatterci a
calci
fuori quando hai detto che quello che avevi provato non era di tuo
gusto, lo
avrebbero fatto! E anch’io se fossi stata al loro posto! Sei
odiosa quando
provi qualcosa, lo sai? Voglio dire: hai un fisico perfetto... eppure
ti trovi
mille difetti! Giuro che ti odio!» - si lamentò
Lou d'un fiato, sfilandosi gli
stivali dai piedi doloranti.
«Io
cerco la perfezione,
mia cara! Quella roba non mi valorizzava e mi rendeva
sciatta.» - ribatté
l'altra con tono accondiscendente come sempre faceva quando parlavano
di moda,
cosa che faceva infuriare Lou. Aveva smesso di bisticciare da tempo con
la sua
amica sulla moda: non avrebbero mai trovato un punto in comune in
quello.
Così
come Lou era
anonima, normale, quasi banale nel suo modo di vestire, di regola
sempre di
nero o blu o viola, tanto Nur era appariscente.
E
la sua amica poteva
permetterselo: qualsiasi cosa indossasse la rendeva perfetta e
bellissima, così
come il corto, per non dire microscopico vestito bianco che aveva
comprato e
che avrebbe indossato quella sera alla festa.
Festa
alla quale aveva
invano, cercato di convincerla a partecipare per tutto il
pomeriggio.
Non
sarebbe andata, soprattutto dopo il tour de force cui l'aveva appena
sottoposta la sua amica.
«Sei
ridicola! Tu sei
perfetta anche con una semplice t-shirt e dei jeans.» - la
riprese Lou e lo
pensava sul serio.
«Preferirei
che restassi
a casa a fare quattro chiacchiere con me... sei appena tornata e
già sei piena
di impegni fuori casa... - si lamentò – Non ti sei
neanche riposata da quando
sei arrivata: come pensi di restare viva?»
Nur
si bloccò per un
istante con il vestito a mezz'aria e la guardò,
attenta.
«Devo
andare anche per
ragioni di lavoro, Lou: vorrei cambiare compagnia e trovarne una
locale, così
da poter avere più tempo da passare a casa e l'invito mi
è stato fatto proprio
da quelle persone che mi presenteranno a chi poi dovrà
assumermi. Non guardarmi
con quella faccia! - s'inalberò vedendo l'aria scettica di
Lou – Ho inviato
regolare domanda, ma se mi presento di persona e in maniere casuale e
informale, magari gli resto impressa! Smettila di guardarmi
così, mi fai
sentire come se stessi giocando sporco!»
«Non
ho detto nulla... -
mormorò piano l'altra – Stavo solo pensando che
forse hai ragione, ma sul fatto
che gli rimarrai impressa non ho dubbi! Specie se ti presenti con
quell'abito.»
- continuò acida.
«Magari
è una donna e il
mio piano andrà in fumo, ma almeno sarò stata ad
una festa! - concluse Nur
divertita all'idea di sedurre una donna. - Mi trucchi tu,
vero?» - chiese senza
aspettare risposta, sicura che sarebbe stato un sì, prima di
scomparire nella
sua stanza da letto.
«Ok...
ma starai zitta
senza intrometterti come sempre! Gli artisti vanno lasciati liberi di
creare!»
- le urlò dietro Lou.
«I
miei sono consigli!»
- urlò a sua volta, l'altra.
«Per
quanto riguarda
l'altra cosa... anche a me manchi e mi mancano le nostre serate insieme
a
guardare i film e a parlare... - disse Nur tornando in salotto con una
maglia
lunga color carta da zucchero, simile a quella viola che le aveva
regalato
quella mattina – Che ne dici di questa se la metto sopra il
vestito? Solo nel
caso fosse donna!» - continuò ridendo,
strizzandole l'occhio.
«Dico
che è un'ottima
idea, dal momento che sta nevicando da questa mattina,
c’è un freddo cane e
vuoi evitare di prenderti un accidenti»
Passarono
il resto delle
due ore successive a cenare sedute sul pavimento, con una pizza
comprata per
strada, appoggiate allo schienale del divano, a ridere delle
disavventure di
Nur al lavoro, dello stuart che le faceva una corte serrata, del pilota
sposato
con cui aveva una storia infuocata e segretissima, dei posti nuovi che
aveva visitato.
A
Lou sembrava di essere
con lei a vivere quegli aneddoti, paga in qualche modo di viaggiare con
la sua
amica, anche se di fatto, non si spostava da casa da molto, troppo
tempo.
Quando
Nur fu pronta per
uscire, Lou soddisfatta del suo capolavoro la rimirò ancora
una volta prima di
augurarle buon divertimento; l'altra le lanciò un bacio con
la punta delle dita
chiudendosi dietro la porta lasciando una nuvola di profumo costoso
nell'aria.
*****
Come
ogni sera Lou si
concesse un lungo bagno caldo.
Ringraziava
il cielo
ogni giorno da quando avevano trovato quell'appartamento che
nonostante fosse
sprovvisto del bidet (ricordava ancora il suo sconcerto quando,
entrando in
bagno quella prima volta, non lo aveva trovato)
avesse sia
la doccia che la vasca.
Le serate passate
a fare chiacchiere con Nur dentro la vasca piena di oli profumati e
schiuma che
debordava erano uno dei momenti che preferiva.
Si
rilassò contro il
bordo chiudendo gli occhi, inspirando il profumo di gardenia che si
sprigionava
in molecole minuscole a contatto con il caldo dell'acqua e del vapore.
Era
sfinita ma non avrebbe preso sonno, lo sapeva già.
Cercò
di rilassare i
muscoli con scarso successo; la schiena era un unico fascio di nervi
tesi e
doloranti.
Improvviso
come un flash
le tornò alla mente quando a farla rilassare con
un
massaggio erano le mani di Andrea.
Respirò
con il fiato
mozzo, furiosa con se stessa perché dopo tanto tempo il
ricordo di lui le
facesse sempre male, come una ferita sanguinante che stentava a
rimarginare.
Ferita
che lui aiutava a
non lasciar chiudere, dal momento che tornava ciclicamente alla carica,
nonostante non stessero più insieme da più di due
anni, ormai.
Quando
dopo la festa in
cui si erano conosciuti avevano iniziato a frequentarsi assiduamente
(con sommo
sgomento di tutti gli amici), era iniziato uno dei momenti
più belli e intensi
della sua vita.
Andrea
era sempre pieno di idee e iniziative, un vulcano attivo dall'inizio
della giornata fino a quando chiudeva gli occhi la sera. Totalmente
travolta
dalla sua personalità, aveva perso la testa per lui
immediatamente; era
completamente cotta.
Per
la prima volta aveva
conosciuto la passione travolgente verso qualcuno e ne era stata
risucchiata
fino a diventarne succube.
E
lui consapevole del
potere che aveva su di lei, ne aveva fatto quello che voleva.
Per
dieci anni.
Tanto
era durata la loro
relazione, lui era entrato ed uscito dalla sua esistenza come e quando
voleva.
Lasciandosi dietro sempre macerie dopo il suo passaggio.
Lou
aveva dolorosamente
preso atto che lui non era l'uomo adatto a lei, eppure non era mai
stata capace
di respingerlo ogni qual volta lui tornava: sapeva sempre come
prenderla, come
ammaliarla, come ferirla.
Per
anni era stata come
cera molle nelle sue mani.
Per
anni aveva tollerato
i mille tradimenti e bugie che era costretto a raccontare ogni volta
che
venivano a galla; ogni volta si era illusa di poterlo cambiare e
soddisfare con
il suo amore totalizzante; ogni volta era stata lei ad uscirne con il
cuore a
brandelli e l'anima pesta.
Con
un sospiro uscì
dalla vasca, dedicandosi qualche minuto di coccole cospargendosi con la
crema
corpo profumata che Nur aveva lasciato in bagno.
Poi
asciugò la massa di
capelli ricci che le ricaddero fino alla vita in una cascata voluminosa
e
lucente. L'unica cosa che le piacesse in lei; per il resto si trovava
alquanto
banale.
Studiandosi
allo
specchio, con i suoi occhi castano chiaro lievemente obliqui, la pelle
chiara,
il naso dritto ma con una piccolissima gobbetta, (ricordo di una parata
spettacolare di quando aveva dieci anni e si divertiva a giocare a
calcio non
capendoci granché, con i suoi due fratelli e con i ragazzi
del suo vicinato;
parata che le aveva procurato un immediato successo tra tutti quanti e
della
quale andava orgogliosa quasi quanto una cicatrice di guerra.),
la bocca piccola e
ben disegnata, il viso a forma di cuore.
Indossò
la sottana lilla
e la maglia che la accompagnava, lasciandole scivolare sul corpo come
una
carezza, stupita che tenesse caldo nonostante fosse così
sottile e lieve.
Si
preparò una tazza di
tisana rilassante alla melissa, spense tutte le luci della casa ad
eccezione
della lampada da terra e da rito si raggomitolò sul gatto
morto come ogni
sera.
Con
la
schiena premuta contro il
calorifero, con il libro che stava leggendo e la
lampadina da libro che ne illuminava solo le pagine, si immerse nella
lettura.
Il
libro era umoristico,
di una famosa attrice comica italiana.
Rise
di gusto alle
descrizioni sugli uomini che l’autrice faceva, delle varie
situazioni
tragicomiche che segnano il rapporto uomo-donna.
Prendere
la vita con
ironia anche quando tutto va storto, non è facile e non
è cosa da tutti: troppo
spesso ci si lascia andare al melodramma, piangendosi addosso... aveva
promesso
a se stessa che non si sarebbe mai più concessa il lusso di
lasciarvisi
andare.
Non
avrebbe permesso che
chi la amava, i suoi amici più cari raccogliessero ancora i
cocci.
Un
movimento impercettibile alla sua destra attirò la sua
attenzione e si girò,
guardando verso l'esterno.
«Uh!»
- esclamò sorpresa
quando vide un'ombra muoversi all'interno delle finestre dell'ultimo
piano
della famosa torre.
«Allora esiste davvero!»
Incuriosita fissò
intenta per qualche istante sperando di vederne l’abitante
misterioso, ma la
luce si spense e lei tornò a leggere.
******
Allora...
da dove inizio!?
Uno si chiederà se c'era bisogno dell'ennesima storia con
protagonista Ville Valo... ovviamente no!
Ma chi mi conosce sa che ormai, quest'omino è la mia
ossessione e gli HIM parte del mio quotidiano... ergo, dovevo sfogare
in qualche modo la mia follia.
Innanzitutto devo ringraziare di cuore le mie due Beta: Pulci Sara e
Cicci-Vivi che con ansia ( e minacce anche poco velate) attendono
sempre i nuovi capitoli e sospirano con me.
Poi le mie sorelle del cuore: tesò Nicoletta (della quale
già temo le recensioni folli AIUTO!!) e sistwer Valentina,
che mi hanno spronata a scrivere.
E
non posso dimenticare certo Connie, Elvira, Mariangela e la mia adorata
Oriana detta "Fenghera", che mi hanno incoraggiata a
continuare,
incuriosite
dallo stralcio di storia che avevano letto!
Spero
vi piaccia e non vi annoi... io ci ho provato! Buona lettura! H_T ;)
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Capitolo 3 *** Capitolo due: “Principi e pirati” ***
Capitolo
due
"Principi
e Pirati"
Nel dormiveglia, quando sei ancora
addormentato ma con un piede nella realtà, è come
se varcassi una porta invisibile, tra un mondo e l'altro. Per Lou quel
confine era molto netto e ogni volta tornare alla triste
realtà dopo aver vissuto avventure nel mondo onirico, era
sempre un trauma.
Il mattino successivo, prima ancora di
svegliarsi del tutto, Lou ebbe la sensazione di qualcuno che la
osservasse, per cui aprì gli occhi rapidamente e
udì la voce di Nur, che stesa accanto a lei, tratteneva una
risatina divertita.
«Finalmente...»
«Nur, quando fai
così sei inquietante lo sai? - disse Lou con voce impastata
– che ore sono? - continuò lamentosa, guardando
verso l'orologio. Le undici. - A che ora sei tornata? Non ti ho sentito
rientrare... »
«Le quattro e tu dormivi
alla grande. Sei andata a letto presto ieri?»
«Non ricordo, penso di
essere crollata verso le due, dopo l'alzataccia e la giornata di ieri
con te... Beh, allora? Com'è andata la festa? Era donna o
uomo? Dimmi che quel vestito almeno è servito a qualcosa.»
«Era uomo e sì,
è servito: penso che la mia richiesta verrà
accettata dopotutto... ma devo dirti una cosa! Non indovinerai mai chi
ho incontrato...» - sorrideva come chi avesse un
segreto che
non vedeva l'ora di raccontare.
«Chi? Brad Pitt che si
è innamorato pazzamente di te e ha mollato la
Jolie?» - chiese Lou sbadigliando.
«No. Ho incontrato il nostro
vicino di casa.» - disse con occhi brillanti.
«Il signor Korhonen era alla
festa della tua Compagnia Aerea?» - chiese con finto stupore,
pensando al loro vicino, un simpatico vecchietto che abitava al di
là della strada e con cui ogni tanto Lou scambiava qualche
parola, le poche che conosceva in finlandese.
Più che altro erano sorrisi
e gesti quelli che si scambiavano.
Si incontravano spesso nel
supermercato in cui entrambi facevano la spesa e Lou si offriva di
aiutarlo a portare sempre qualcosa. Era così che avevano
stretto amicizia: lui un giorno l'aveva riconosciuta facendole capire a
gesti e frasi semplici che abitava nella casa di fronte.
Lei gli aveva portato il sacchetto
della spesa. Era il loro rituale.
Anche se ormai il Sig. Korhonen si era
attrezzato di un carrellino da spesa con le fiammanti rotelle, facevano
sempre la strada di ritorno insieme.
Le piaceva quel vecchio signore dai
brillanti e vispi occhi azzurri.
Lei pensava non ci fosse nessuna
signora Korhonen o perlomeno non aveva mai visto nessuno con lui,
un’ipotetica moglie o altri che potessero essere figli.
Sentiva una tenerezza infinita verso
il suo “amico anziano”, come lo chiamava Nur;
andava pazzo per la sua pizza. Ogni volta che Lou si cimentava nel
farla in casa, così come le aveva insegnato la madre, c'era
sempre un'abbondante porzione che attraversava la strada per arrivare
nelle fauci dentierate del Sig. Korhonen, che come per magia appariva
sulla porta prima ancora che lei suonasse al cancello.
Ridendo si toccava il naso, facendole
capire che aveva sentito il profumo arrivare dalla loro casa.
«Piantala di dire scemenze!
Ho incontrato LUI!» - sapeva bene a chi si riferisse ma
la
divertiva stuzzicarla fino all'esasperazione.
«Uhm?! Lui chi?»
- chiese ancora, le labbra strette per non ridere in faccia alla sua
amica.
«Ti odio! Lui! Il
“Principe della Torre! Ville Valo!» -
sbottò esasperata!
Lou continuava a guardarla come se le
avesse detto di aver incontrato il fornaio.
«E che ci faceva il tuo
Principe alla festa? Era a caccia di modelle?» -
domandò Lou con tono supponente, dando per scontato che
nonostante la sua fama di uomo ritirato a vita privata, non fosse
diverso da tutti gli altri.
«No, non era alla
festa! – È successo dopo, quando un
gruppo ristretto di noi ha deciso di continuare in un pub... e lui era
lì!”- continuò concitata e infastidita,
Nur.
«Quindi?! Voglio dire...
com'è? - chiese Lou – È vivo?
Respira?»
Nur sbuffò girandosi a
pancia in su, portando le mani dietro la testa.
«È figo. Cioè
se non fosse una star e non lo conoscessero anche le pietre, penso che
passerebbe facilmente inosservato. Mi sono avvicinata per parlargli, ma
non è stato molto... disponibile...» -
continuò in tono pacato, ricordando con fastidio che il
cantante era stato gentile ma distaccato quando gli si era avvicinata.
Nur odiava non avere gli uomini ai suoi piedi a ogni suo battito di
ciglia e lui non aveva mostrato segni di particolare interesse di
fronte alla sua avvenenza, pur continuando a essere gentile. Allora lei
gli aveva detto che era sua vicina.
Raccontò alla sua amica le
battute che si erano rivolti.
«Davvero? - aveva chiesto
lui con la sua famosa voce, bassa e roca – È
strano, non mi
sono mai reso conto di avere vicine di casa così carine:
dove di preciso?»
Lei gli aveva spiegato che non viveva
sempre lì e che era quello il motivo per cui forse non si
erano mai incontrati, spiegandogli quale fosse la casa.
«Ah! Sì, ho
capito di quale casa stiamo parlando... Ma pensavo fosse infestata dai
fantasmi...» - aveva detto con un sorriso.
«Fantasmi?! - aveva
mormorato basita Nur – No! Santo cielo no! Vivo con la mia
amica Lou e lei c'è sempre a casa.»
Il principe aveva stretto gli occhi
verdi.
«Uhm... quindi la donna con
i lunghi capelli chiari e mossi non è un fantasma? Che
peccato, pensavo apparisse solo per me...» - aveva
sospirato.
Nur, vagamente imbarazzata, non era
sicura se la stesse prendendo in giro o parlasse sul serio, quindi
aveva deciso di uscirsene con una risatina.
«Lou un fantasma! No,
è vera... ma è lei che infesta la nostra casa,
questo è vero!» - aveva riso Nur.
«Fammi capire bene: "QUELLO"
ha creduto che io fossi un fantasma!?» - sbottò
Lou incredula.
«Sìììììì
– rispose la sua amica ridendo – credo che stesse
scherzando comunque! Ma non ne sono così sicura, sai? E' un
uomo misterioso, strano...»
«Bah! - proruppe Lou
– a parte questa sua simpatica uscita, che altro vi siete
detti?»
«Oh, niente di che... mi ha
chiesto che lavoro facessi, da quanto vivevo qui... le solite cose; mi
ha chiesto se poteva offrirmi da bere, abbiamo chiacchierato ancora un
po' e poi si è offerto di darmi un passaggio a casa... a
piedi.» - lasciò cadere lei in modo
misterioso.
«E?» - chiese
acida Lou.
«E mi ha accompagnato fino a
casa, mi ha salutato e mi ha chiesto di porgere i suoi omaggi al
“fantasma”...»
«Ma.... - annaspò
Lou senza parole – tutto qui!?! Niente notte di sesso
sfrenato con il “principe della Torre”?»
«No... non penso sia
scattata la scintilla. - disse mesta Nur – in compenso
però ha salutato dicendo che potevamo vederci qualche volta,
come dettano le regole del buon vicinato...»
«Ah, certo! Come
no!»- rispose ridendo Lou.
Nur si mise sul fianco con un gomito
puntellato e la fissò con gli occhi che brillavano.
«Infatti l'ho invitato
stasera, per una cenetta... qui.» - sussurrò.
«CHE COSA?! STAI
SCHERZANDO?! - Lou saltò sul letto - E CHI
CUCINEREBBE?!»
«Tu OVVIAMENTE: sei una
cuoca fantastica e fattelo dire, quell'uomo ha bisogno davvero di
cibo!»- le disse l’amica con
l'aria più
angelica del mondo.
«NUR... IO... IO... IO TI
STROZZO! - urlò l'altra schizzando fuori dal letto e
guardandola con gli occhi che lanciavano fiamme – Come ti
è venuto in mente di invitare uno che manco conosciamo, qui
in casa nostra e sbolognare a ME la cena?!Ti sei bevuta il
cervello?!Almeno potevi chiedermelo prima di invitarlo! Tu sei
pazza!»
Nur guardava calma e rilassata la sua
amica mentre blaterava senza sosta, sbattendo roba a casaccio per la
camera.
«Cioè questa mi
invita un Ville Valo a casa e manco me lo dice e pretende che io
cucini! Eh, certo! Ne parla come se fosse uno normale!» -
sparò velocemente la tiritera in italiano, come le accadeva
sempre quando era agitata.
«Ehm... Lou, se parli in
italiano non capisco cosa dici... - le disse Nur cercando di reprimere
una risata – Avanti... che sarà mai? È
solo un
uomo come un altro...»
«Eh?! Guarda che non
è solo perché è un Ville Valo... avrei
reagito allo stesso modo con chiunque! Sai che non mi piacciono le
sorprese! E poi non ho voglia di conoscerlo, ok?» -
sfuriò Lou puntandole la spazzola contro.
«Non è affatto
vero: ogni volta che ti ho chiesto di cucinare per qualche mio amico,
non hai mai fatto storie! Non vedo perché ora ne fai una
tragedia! E come sarebbe a dire che non hai voglia di conoscerlo!?
Santo cielo, Lou! È Ville Valo, non uno qualunque!»
«Hai appena detto che
è un uomo come un altro.” - sibilò Lou
minacciosa stringendo gli occhi a fessura.
«Sei impossibile amica mia!
È ora che tu la finisca di evitare gli uomini! L'unico che
frequenti
con tranquillità è il Sig. Korhonen! Devi
ricominciare a vivere: non puoi lasciare che un'unica storia andata
male ti segni per il resto dei tuoi giorni! Sei giovane e bella e hai
tantissime altre qualità che non sto qui ad elencarti!
Perché ti castighi in questo modo!? Vivi la tua
vita!» - Nur si alzò dal letto
per andarle vicino
e scuoterla.
«Che c'entra questo col
fatto che non voglio cucinare per Valo e che non mi interessa
conoscerlo!? Perché tiri sempre in ballo il mio passato
quando non ce n'è motivo, Nur!?» -
sbottò astiosa Lou.
«Perché che sia
Valo o un altro tu scappi alla velocità della luce non
appena un uomo sotto gli 80, ti si avvicina! Non è
normale!»
«Non mi interessa conoscere
uomini al momento, ok? Neanche per una semplice cena, neanche se
venisse Brad Pitt in persona, ok? Perché stiamo discutendo!?
- chiese all'improvviso fermandosi sfinita – Non ho voglia di
discutere con te, ma non continuare con questa storia degli uomini, per
cortesia!»
«Io mi preoccupo per te: sei
qui da sola, non esci mai, sei sempre solitaria... vorrei vederti
felice, vorrei che t’innamorassi di nuovo e vorrei che tu
facessi sesso, perdinci! Hai così tanto amore da
dare...»
«Nur... non sono pronta. Non
insistere: non è con la filosofia del chiodo scaccia chiodo
che mi sentirò pronta... ho bisogno di tempo per stare con
me stessa e concentrarmi su di me, come non ho mai fatto in dieci anni.
Lo capisci?»
«Lo capisco, anche se non lo
condivido e lo sai... ma per favore, non chiuderti: non vuoi una
storia? Ok! Ma almeno fatti nuovi amici...»
Lou la fissò in silenzio
per qualche istante.
«E chi sarebbe
quest’ amico? Il Valo?! Sai che figata...»
«Beh, lui figo lo
è!» - disse Nur sdrammatizzando.
«Bah, non l'ho mai visto e
non credo sia il mio tipo...»
«Antipatica! Allora
cucinerai la tua pasta!? O Meglio la pizza: so che lui la
adora...» - riprese con noncuranza tornando a
stendersi sul
letto.
«Ok, ti preparo la pizza ma
non sarò presente alla tua cena: ho un impegno
stasera!» - disse uscendo a testa alta dalla
stanza.
Nur balzò dal letto e le
tenne dietro.
«Come sarebbe a dire che hai
un impegno!? TU!?! Dove devi andare e con chi?!» - volle
sapere senza fiato.
«Devo lavorare: mi ha
chiamato Matleena e dobbiamo allestire una mostra.»
«Di SABATO?» -
sbraitò urlando Nur troncando le parole dell'amica.
«Sì, di sabato.
– rispose calma l'altra, mettendo su la sua amata moka sul
gas
– Deve essere tutto pronto per lunedì ed io ho
dato la mia disponibilità. Inoltre voglio conoscere
l'artista di persona: mi piacciono le sue istallazioni.»
«Questa è una
scusa che stai usando per non essere qui a cena con me! - la
accusò Nur puntandole un dito contro – Sei
infima...» - sussurrò quasi con
rispetto.
«Non è una scusa:
Matleena mi ha chiamata ieri sera sul tardi, disperata,
perché non trovava nessuno disponibile e mi ha pregata di
andare; Nur è il mio lavoro e mi piace, non prenderla come
un affronto personale! Avrai la tua cena e la tua pizza.»
«Me ne frego della pizza!
Volevo ci fossi anche tu! - si lamentò Nur –
Almeno cerca di sbrigarti velocemente, così magari quando
torni lo trovi ancora...»
“Ma anche
no.” - pensò ghignando nella sua mente
Lou, ma non lo disse.
«Farò del mio
meglio.» - rispose evasiva sorseggiando
voluttuosamente il
caffè.
«Ti odio.» -
decise Nur.
«No, mi ami. Soprattutto
quando cucino per te, quindi fai la brava e metti un po' d'ordine in
questo porcile... - continuò velocemente accortasi che
l'altra già apriva la bocca per protestare - ...mentre io
vado a fare la spesa per la TUA cena. Come avrai notato in frigo
c'è ben poco e anche nella dispensa, quindi tu farai quello
che ti dico...
Se vuoi fare bella figura con il tuo
principe. Oppure ordina al ristorante in fondo alla strada.»
«Ti detesto. Sai che odio
fare le pulizie di casa!- strillò Nur – Mi si
rovinano le mani!»
Alzando gli occhi al cielo Lou la
scansò senza tante cerimonie e si diresse in bagno senza
risponderle.
Prima di chiudere la porta dietro di
sé, lanciò un sorriso a trentadue denti alla sua
amica accigliata che la osservava con odio.
«Ricordi dov'è
tutto l'occorrente per la perfetta casalinga, vero?! Se vuoi ti do le
coordinate...» - chiese ridendo, chiudendo di scatto
la porta
prima che una costosa ciabatta firmata vi si schiantasse contro.
******
Come ogni sabato Lou si
recò al supermercato più vicino, dove
incontrò come sempre il Sig. Korhonen che girellava per le
corsie con il suo carrellino.
«Buongiorno Sig.
Korhonen!» - gli disse nel suo stentato
finlandese,
avvicinandosi trafelata, togliendosi il capello di lana bianca e la
sciarpa in tinta.
«Buongiorno mia cara! Come
stai oggi?» - le rispose lui con gli occhi
azzurri ridenti e
luminosi.
«Sto bene, grazie; e
lei?»
«Bene cara, bene!»
«Sono qui se le serve aiuto,
va bene?»
«D'accordo,
d'accordo!» - le disse con un gesto veloce della
mano, mentre
si allontanava verso il bancone del pane.
Sorridendo si girò per fare
la sua spesa; prese dei pomodorini rigirandoli tra le dita con occhio
scettico, che le sembravano simili ai pachino ma dei quali non voleva
sapere la provenienza.
Preferiva rimanere nell'oblio
dell'ignoranza.
Mozzarella. Come sopra. Verdure varie.
Olive, quelle almeno erano in
barattolo...
«Ah, quanto mi manca l'Italia
in questi momenti...» - pensò sospirando.
Si affrettò quando vide che
il Sig. Korhonen la attendeva già all'uscita, per cui prese
al volo la confezione di bagnoschiuma e shampoo che stava scegliendo e
si avviò alle casse.
«Eccomi, Sig. Korhonen, sono
pronta!- gli disse ridendo arrivandogli vicino - Posso
aiutarla?» - si offrì, indicando il
sacchetto con
il pane che aveva nella mano libera.
«Faccio da solo, cara: dammi
solo il braccio. Sai, con questo ghiaccio...» -
sospirò.
«Certo! Ah, stasera
c'è la pizza!» - gli disse con un sorrisino
complice.
«Davvero? Bene, mia cara
ragazza! Ti aspetto allora!» - rispose lui ridendo felice
come un bimbo.
Nessuno dei due si accorse dell'uomo,
con un largo cappello di lana calato sui capelli castani e mossi, che
fermo vicino alle casse, li osservava incuriosito con i suoi occhi
verde chiaro.
******
«Sto morendo di fame e non
so se riesco a resistere fino a stasera!» -
esclamò Nur gironzolando intorno a Lou che si affaccendava
in cucina, beccandosi un colpo di cucchiaio sulle nocche quando
allungò una mano per rubare un pezzo di pizza appena
sfornata.
«Ferma lì! - la
riprese Lou - Non ti azzardare a toccare la mia pizza prima del
tempo!»
«Despota.»
«Bimba monella... a che ora
dovrebbe venire il tuo amico? Sai, voglio farmi una doccia prima di
andare in galleria e non voglio ritrovarmi uno sconosciuto ciondolare
per casa mentre esco dal bagno.» - chiese Lou leccandosi le
dita dal pomodoro che aveva appena tagliato a dadini.
«Gli ho detto di venire
quando voleva.» - rispose Nur riuscendo a rubare un
pezzo di
mozzarella prima che l'altra la colpisse di nuovo sulle dita, facendole
la linguaccia.
«Ah bene, anche con
comodo...» - rise Lou.
«Quindi è meglio
che mi affretti se voglio evita... arrivare in galleria prima che il
tuo ospite arrivi...»
«Odiosa di un'acida
frigida.»
Lou scoppiò in una risata
allegra e dopo due secondi Nur si unì a lei.
Contemplando la mole di pizza che
aveva preparato, pensò che probabilmente avrebbe sfamato il
principe per il resto del mese. Ne aveva di scelta: pomodoro e
basilico, mozzarella, patate e verdure varie dal momento che Nur le
aveva detto che il “tizio” non mangiava carne,
così si era fatta prendere la mano nello sperimentare nuove
combinazioni con ogni sorta di ortaggi e verdure.
«Bene, ripetimi cosa devi
fare.» – disse a Nur che la
guardava attenta come
una scolaretta.
«Sì, ok allora: metto la
pizza nel forno, aspetto che sotto sia dorata poi aggiungo la
mozzarella e aspetto che si sciolga.» - ripeté
diligente la scolara.
«Perfetto. Vedi di non
incendiare casa.»
«Sarà fatto, capo!» - scattò sull'attenti Nur,
sbattendo i
piedi e portandosi la mano alla fronte.
«Tsk! Ora vado a preparami,
voglio fare una buona impressione sul gallerista e non puzzare di
pizza.»
«Mettiti un vestito
sexy!» - le urlò dietro Nur,
quando era
già in bagno.
«Devo allestire una mostra,
non fare una sfilata, stupidina!» - le urlò di
rimando l'altra, mentre cercava di sciogliere i muscoli delle spalle
sotto il getto d'acqua calda.
«Puoi essere sexy uguale
anche con un vestito comodo!» - continuò Nur.
Non sarebbe riuscita ad essere sexy
neanche se avesse messo i tacchi alti quindici centimetri e uno spacco
fino
alla gola... pensò sospirando.
Uscì velocemente dalla
doccia sette minuti dopo, si asciugò e strizzò i
capelli in un asciugamano mentre cercava di essere presentabile con un
po' di trucco.
Indossò una maglia nera a
collo alto e un pantalone anch'esso nero, stivali e fu pronta.
Ma i capelli erano un disastro: se
voleva evitare di fare tardi e di beccare il finnico in casa sua,
doveva darsi una mossa, per cui optò di legarli in una
crocchia stretta faticando non poco a trattenerli mentre i riccioli
cercavano di sgusciare da tutte le parti.
Quando uscì, Nur
fischiò con apprezzamento.
«Wow! Mi hai presa in
parola! Vedi che sei sexy anche senza scollacciarti? Sembri Eva Kant!
Stai per andare a svaligiare una banca con Diabolik?»
«Mi hai
beccata...»
Prese al volo cappotto e sciarpa, si
infilò delicatamente il capello evitando di fare altri danni
alla sua già indomabile chioma, mise a tracolla la sua
borsa, prese le porzioni che aveva preparato per il Sig. Korhonen e
filò dritta alla porta salutando Nur che la guardava
sbalordita.
«Ehi, che fretta hai?! Sono
solo le 19 e trenta!» - le chiese Nur con ansia.
«Devo prendere il tram e
di sabato a quest'ora c'è traffico, non voglio rimanere
imbottigliata e fare tardi!»- si giustificò Lou.
Era una balla. Non sapeva per quale
motivo, ma non voleva correre il rischio di incontrare Valo.
Non aveva nessun motivo valido, non lo
aveva mai visto se non di sfuggita in qualche programma tv,
né ascoltato una sua canzone o mai visto un suo video.
Eppure era così e non si
spiegava il perché.
Consegnò il suo dono al
Sig. Korhonen che come sempre l'attendeva trepidante sulla porta, lo
salutò augurandogli buon appetito e una buona serata e a
passo veloce si diresse verso la fermata del tram.
Alle otto in punto entrò
nella galleria, dove ad attenderla c'era Matleena che parlava con un
uomo alto e moro che le dava la schiena.
Matleena come al solito si agitava
dando ordini sulle disposizioni e quando la vide le fece un segno
brusco con la testa a mo’ di saluto.
“Brutta serata...” - pensò Lou sospirando,
togliendosi cappotto e cappello.
Matleena, una donna energica di
cinquanta anni era una despota, come si suol dire.
Una che non si accontentava mai, che
esigeva sempre la perfezione e tutto doveva essere così come
lei aveva deciso.
Alta e slanciata, capelli neri lisci e
portati sciolti sulle spalle, opera di qualche air stylist che doveva
aver rinchiuso in qualche stanza della sua enorme villa, dal momento
che erano sempre perfetti, un viso fresco e pulito, nonostante
l'età; sempre elegante e raffinata, vestiti semplici ed
essenziali che lei faceva risaltare con accessori spettacolari.
Quella sera indossava un completo blu
scuro con pantaloni stretti, che le donavano in particolar modo, una
camicia di seta bianca e la collana che Lou in assoluto preferiva tra
tutte quelle che le vedeva sfoggiare da due anni, da quando Matleena
l'aveva scelta tra altre ragazze e ragazzi come sua assistente e
responsabile ai contatti con i clienti.
La prima volta che si erano viste le
aveva fatto una cattiva impressione: ne era rimasta affascinata e
terrorizzata. Per tutto la durata del colloquio non aveva sorriso una
volta, né dato segni di interesse per il suo scarno
curriculum, tanto meno per quello che lei le diceva.
Alla domanda secca e fredda, «Perché pensa che dovrei
assumerla?», Lou
era rimasta pietrificata e per qualche secondo aveva sbattuto gli occhi
nel panico più totale.
Allora lei aveva risposto con
sincerità e schiettezza: «Perché sono
una che impara presto e non ha vincoli di orari, né
fidanzati, mariti o prole a carico. Mi piace quello che faccio e un
giorno voglio avere un mio spazio espositivo e magari una
galleria.»
“O la va o la
spacca”
- si era detta convinta, stanca di quella pressione.
Matleena l'aveva guardata per la prima
volta con interesse e con un mezzo sorriso gelido le aveva
detto: «Perfetto. Inizia lunedì
prossimo. Ora mi lasci
lavorare.»- congedandola senza rivolgerle un
altro sguardo.
Lou aveva sbarrato gli occhi non
credendo alle sue orecchie, aveva mormorato un
“grazie” e con gambe malferme era uscita dallo
studio.
Col tempo aveva imparato non solo a
gestire il carattere di Matleena, ma anche ad apprezzarla per le sue
qualità umane.
Una volta superato l'iniziale gelo tra
loro si era instaurato pian piano un rapporto di stima reciproca, poi
di fiducia e infine di complicità. Non potevano dirsi
amiche, ma Lou contava su Matleena e Matleena contava su Lou.
Insieme formavano una squadra
efficiente e la loro macchina era oliata sempre alla perfezione.
Riuscivano a capirsi al volo: Lou
indovinava sempre cosa voleva Matleena e come voleva che fosse fatto.
Matleena le piaceva e nessuno dei suoi colleghi riusciva a capire
perché loro due andassero così d'accordo.
Si avvicinò con discrezione
ai due che stavano parlando, in attesa che Matleena la presentasse al
loro artista.
«Julian, lei è
Lou, il mio braccio destro, si occuperà di tutto quello che
concerne l'organizzazione. Lou, ti presento Julian, il nostro artista.»- disse Matleena, concisa come sempre.
L'artista in questione si
girò con un sorriso.
“Porca
vacca!” - pensò Lou arrossendo.
«Encantado,
signorina...» - disse con voce suadente una bocca
carnosa,
occhi neri e profondi. Julian, le porse la mano e quando lei gli tese
la sua, con suo enorme imbarazzo, si piegò in un elegante
baciamano.
«Ehm... piacere
mio.» - rispose Lou con voce bassa.
Intanto Matleena se la rideva sotto i
baffi di fronte al suo imbarazzo.
Dopo le presentazioni e i convenevoli
di rito, Matleena la mise subito al lavoro e lei accolse con gioia di
allontanarsi dall'artista che ogni tanto le lanciava occhiate di fuoco,
facendola avvampare ogni volta.
“Eh, ma allora
è una congiura?! Oh, piantala di arrossire come una
scolaretta Lou! Sei una donna, non una bimba: che diamine!”
- si ripeteva fra sé furiosa.
Cercando di concentrarsi sul suo
lavoro, pena una lavata di testa di Matleena, Lou passò le
successive tre ore e mezzo ad allestire secondo le direttive, le opere
che Julian esponeva per la prima volta fuori dalla Spagna, suo paese
d'origine.
Ammirò con stupore le opere
di carta che Julian creava, maneggiandole con cura. I suoi lavori
così minuziosi e geniali, che con carta, colla e
creatività creava oggetti e concetti originali e
dall’effetto scenico impressionante. L'opera che
più la colpì fu un pugnale con la lama che altri
non era che un leggera e candida piuma bianca.
Incantata da tanta fantasia e
leggerezza, non si accorse che Julian le si era avvicinato alle spalle
e le chiese con un sussurro cosa ne pensasse delle sue opere.
«Sono spettacolari davvero!
- rispose di slancio – il “Castello delle
fiabe” di carta: è stupendo!»
«Sono contento che ti
piacciano... nel castello manca solo una principessa. Magari posso
istallarti all'interno, saresti perfetta...» - disse con gli
occhi neri ridenti.
Lou cincischiò una risposta
schernendosi non riuscendo a mettere in fila un pensiero coerente.
“Accidenti a me!
Reagisci!” - si urlò nell'intimo.
«Possiamo
provarci!» - disse lei con finta disinvoltura.
«Non mi tentare, potrei
chiedere alla tua draghessa il permesso di usarti...» - disse
facendo scivolare con lentezza lo sguardo di fuoco sul corpo di Lou,
prima di ritornare sul viso.
“Stava parlando
dell'istallazione, spero...” - pensò annaspando
«Come l'hai
chiamata!?» - chiese subito dopo ridendo.
«Draghessa: colei che
difende il castello della principessa di solito, da brutti ceffi poco
affidabili, ma affascinanti... I principi sono sempre noiosi nelle
favole, non trovi? Sempre così impeccabili e bellissimi.
Sempre con gli occhi azzurri e i capelli biondi e una condotta
irreprensibile.
Ogni favola finisce sempre con
“E vissero felici e contenti”
ma nessuno ci ha mai detto cosa succede dopo un anno.
Secondo me la principessa in questione
tenta il suicidio dalla noia! Vuoi mettere se fosse scappata invece con
il pirata? Di certo non si sarebbe annoiata.»
Il discorso non faceva una piega e lei
rise di gusto alla breve ma decisa arringa.
“Scommetto che lui
si identifica con il pirata...”- pensò
improvvisamente rilassata Lou.
«Sei per caso il portavoce
della Congrega dei Pirati?!» - chiese continuando a ridere.
«Ovviamente. Con questi
colori o facevo il pirata o mi mettevano a vogare con le frustate a
ritmo di tamburo.»
Lou scoppiò di nuovo in una
risata. Non era solo bello e talentuoso ma anche simpatico e arguto.
Quell'esperienza le sarebbe piaciuta,
ne era certa.
Lui la fissava con occhi maliziosi e
un ghigno che si sforzò di far sembrare piratesco. Santo
cielo! Era piegata in due dalle risate.
“Bene, vedo che avete fatto
amicizia.» - disse piccata Matleena arrivando di
soppiatto
alle loro spalle.
Subito Lou si riprese e si
girò con aria seria, temendo una lavata di testa, ma la sua
draghessa aveva un sorriso rilassato sul viso, segno che il lavoro era
di suo gradimento.
«Ottimo lavoro, cara. Ora
vai pure a casa o non farai in tempo per l'ultimo tram. Io non posso
accompagnarti stasera, devo controllare le ultime cose. Ti
spiace?» - chiese distratta, già con
la mente al
prossimo impegno.
«Ma no figurati, non
c'è problema. Ci vediamo lunedì allora,
capo!» - disse Lou sorridendo.
«Se non ti spiace e se la
mia presenza qui non è più indispensabile mi
farebbe piacere accompagnare a casa Lou, Matleena. Non posso lasciare
che una ragazza giri per strada a quest'ora di notte. Non si sa mai
chi potrebbe incontrare... girano brutti ceffi oggi.» - si
intromise Julian rivolgendosi a Matleena come per chiederle il permesso
e di sfuggita fece un occhiolino a Lou.
Lou soffocò una risata.
«Ma certo, te lo avrei
chiesto io... dritti a casa! E... Julian? Tu mi servi domani pomeriggio
invece, ci sono ancora alcuni dettagli di cui vorrei discutere con
te.»
«Ci sarò, a
domani Matleena e grazie ancora!» - disse Julian allegro
mentre aiutava Lou ad indossare il cappotto.
“Anche galante...
non sarà troppo perfetto? Vuoi vedere che è
gay?!” - pensò Lou divertita come non
mai.
Uscirono nella notte fredda e
pungente, tirandosi addosso le sciarpe.
«Bene, mia Eva Kant, dove
andiamo a fare baldoria ora?» - chiese con aria complice
Julian, prendendole il braccio e infilandolo sotto il suo.
«Anche la mia coinquilina mi
ha chiamata così prima!»- rispose ridendo con le
guance rosse Lou.
«Beh, somigli a Eva con
quella tenuta da ladra... vado bene come Diabolik anche se non ho gli
occhi azzurri?!»
«Vai benissimo!»
Le piaceva il suo accento spagnolo
sotto l'inglese quasi perfetto. La faceva sentire come a casa la sua
voce calda e gli occhi neri e maliziosi. Gli spagnoli erano molto
simili agli italiani: pronti al riso, al divertimento, alla musica...
decise che Julian le piaceva e strano a dirsi non era più a
disagio con lui, anche se continuava a guardarla con interesse.
«Dove vuoi che ti porti?
Pub, ristorante? Hai fame? - chiese improvvisamente Lou – io
sto morendo.»
«Anch’io, muoio di
fame... presumo che qui non ci sia un ristorante italiano, tanto meno
uno spagnolo giusto?»
«Sì, ce ne sono,
ma non te li consiglio, credimi, meglio optare per la cucina
locale.»- rispose sospirando e in quel sospiro
era
concentrata la sua idea sul cibo finlandese.
«Bene allora sono nelle tue
manine, bionda... mi fido di te.»- disse spingendola
gentilmente verso un'auto nera e scattante come lui, aprendole la
portiera.
Lou scelse un ristorantino piccolo ma
carino.
Lou gli consigliò di
assaggiare il delizioso “Karjalanpiirakka”
, una specie di focaccia fatta con riso e patate, che lei adorava;
Julian ordinò poi del classico salmone, bevvero i deliziosi
liquori tipici fatti con i frutti di bosco e infine optarono per il
dolce, il “mammi,” un dessert fatto di segale e
malto.
Julian le faceva domande a raffica,
parlava di continuo, accompagnando le sue parole con grandi gesti delle
mani; Lou era rilassata e a suo agio, con le guance soffuse di rosso e
gli occhi brillanti seguiva i discorsi del suo nuovo amico; una mente
acuta e un fascino latino potevano fare danni, ma stranamente non era
agitata e il resto della serata passò velocemente, che quasi
dimenticò Nur e la sua cena con Ville Valo.
Quando Julian la
riaccompagnò a casa, Lou si chiese se l'ospite era ancora in
casa o fosse già tornato a rintanarsi nella sua torre;
Julian fermò l'auto proprio di fronte al vialetto che
portava a casa.
Gettando uno sguardo dal finestrino
verso la torre, Lou vide che le luci erano spente, per cui ne dedusse
che Valo aleggiasse ancora in casa loro.
“Merda!”
- pensò infastidita.
Per fortuna Julian, spento il motore
sembrasse non avere fretta di lasciarla andare: si era sistemato contro
i sedili di pelle, girato verso di lei e la guardava in silenzio.
«E ora che succede?
Perché non parli?» - chiese Lou con un senso di
agitazione crescente.
«Stavo ascoltando le parole
di questa canzone.» – rispose lui.
«Non la
conosco.»
Rimase qualche istante in silenzio,
prestando attenzione alle parole della musica in sottofondo.
* “Love
is insane and baby
We are too
It's our hearts little
grave
And the salt in our
wounds...”
Il cantante aveva una voce calda e
sensuale, avvolgente e le parole erano bellissime: tante volte lei si
era sentita come se l'amore continuasse a spargere sulle sue ferite il
sale, non lasciandole mai chiudere.
«Come sarebbe a dire che non
la conosci?! Dì un po’, non sarai l'unica in
Finlandia a non conoscere gli HIM?» - rise Julian.
«Gli HIM? Questa
è una loro canzone ?» - chiese piano Lou.
«Sì,
ovviamente... fa parte di uno dei loro primi dischi... ma, stai
parlando sul serio? Non li conoscevi?» - chiese sinceramente
stupito Julian.
Lou fece segno di no con la testa,
ancora concentrata sulle parole, sulla voce e... ora finalmente sapeva
che voce aveva Ville Valo.
«Sono un loro fan da sempre
sai? Ho avuto anch’io come tutti, il mio periodo
Metal...» - disse con un po' di timidezza.
«Non ho mai ascoltato questo
tipo di musica – disse Lou – non è il
mio genere, anche se questo testo non mi dispiace...»
«I testi di Valo sono tutti
profondi, dovresti ascoltarli sai? Secondo me ti piacerebbero
molto...»
Era un loro fan. Che avrebbe detto
Julian se avesse saputo che Ville ora era in casa sua?
«Non ne sono sicura, ma
ascolterò il tuo consiglio... Credo di poter fare questo
sforzo!» - rispose piano guardando Julian con
un sorriso
di scuse.
«Dovresti...» -
sussurrò Julian avvicinandosi ad accarezzarle una guancia
col dorso della mano.
Un attimo e lei si era tirata indietro
repentinamente.
Julian accorgendosi di aver fatto un
passo falso, le chiese scusa guardando distrattamente fuori dal
parabrezza, tornando ad appoggiarsi al sedile.
«Scusa, non volevo essere
precipitoso, ma vedi... tu mi sei piaciuta subito ed è nella
mia natura istintiva lasciarmi andare alle emozioni; non volevo
sembrarti uno che ci prova alla prima sera con la prima donna che ha
sottomano.»
Lou rimase in silenzio schiacciata
contro la portiera dove si era rintanata, con lo sguardo basso e le
guance in fiamme.
«Lo so... cioè
non lo so come sei, come ti comporti di solito con le donne, Julian...
- disse d'un fiato - anche tu mi piaci, ma non è il momento
adatto per me. Non prenderla come un rifiuto a te. Davvero sono stata
benissimo stasera, a mio agio come non mi accadeva da tempo. Non... non
voglio che si rovini... quello che... Insomma, non voglio rovinare
questa serata splendida...» - continuò ansando.
«Lou è colpa del
mio sangue 'caliente' di pirata spagnolo! – disse Julian di
slancio prendendole una mano, cercando di farla ridere - Scusami
ancora... vuoi?»
«Ok.» - gli sorrise.
Non voleva aumentare ulteriormente l'
imbarazzo dal momento che sarebbero dovuti stare a stretto contatto per
parecchie settimane. Non era successo niente del resto e non era il
caso di ingigantire solo perché lei se la faceva addosso
ogni volta che un uomo le dimostrava di trovarla bella e desiderabile.
Con la coda dell'occhio vide un uomo uscire dalla porta di casa sua e
attraversare il vialetto: un uomo alto e slanciato, anzi decisamente
magro, in vestiti che sembravano fin troppo larghi per lui. Camminava
con le mani ficcate in tasca, lentamente, con la testa nascosta da un
cappello che gli copriva gran parte del viso. Passò davanti
all' auto, gettando uno sguardo distratto all'interno: Lou si
schiacciò ancora di più contro la portiera
girando di scattò il viso, nascondendoglielo.
Un viso pallido, di cui non vide i
lineamenti. Ville Valo.
“Ma
perché mi nascondo?!” - si chiese
furiosa Lou.
Tornò a girarsi osservando
la camminata elegante e allo stesso tempo dinoccolata dell'uomo, che
qualche istante dopo girò l'angolo e sparì dietro
il muro di mattoni rossi.
Julian osservò tutta la
scena con curiosità ma non disse nulla; per essere un fan
degli HIM era alquanto distratto.
«Tutto ok? - chiese Julian
dopo qualche secondo – Conosci quell'uomo?»
«No. - rispose
secca Lou. E tu?» - gli chiese con gli occhi maliziosi
lei.
«Io? Dovrei?!» -
Julian la guardava con aria interrogativa.
«Sì, dovresti.
Hai detto che sei un fan degli HIM, giusto? - domandò con un
sorriso furbo, al suo cenno d'assenso continuò con tono
basso, per creare la suspense – Bene... quello che
è appena uscito da casa mia e che ci è passato
davanti, era Ville Valo.»
«Certo! - scoppiò
a ridere Julian – Come no!»
Lei indicò la torre a
destra godendosi lo stupore di lui che sbarrò gli occhi.
«Porca vacca! Non mi ero
reso conto... cioè cazzo! Tu abiti di fronte a Valo e non lo
conosci?! Ma... aspetta un momento! Hai detto che è uscito
da casa tua?!» - Julian la fissava come se lo stesse
prendendo in giro o fosse pazza.
Gli spiegò velocemente i
fatti accaduti negli ultimi giorni; la festa della sua amica,
l'incontro con Valo al pub, l'invito a cena, la pizza.
«E tu hai preferito venire
ad allestire la mia mostra che stare a cena con Ville Valo? Sei
matta?» - le chiese ridendo Julian ma sotto
sotto lusingato.
Lei fece spallucce.
«Amo il mio
lavoro.» - disse lei concisa alla maniera di
Matleena.
Julian rideva di gusto, facendo
ondeggiare la macchina.
«Sei un fenomeno... sono
pazzo di te, giuro!»
«Smettila di ridermi in
faccia! - gli diede un pugno leggero sul braccio ghignando –
Ora però è meglio andare. Domani la mia draghessa
ti metterà sotto e sarà meglio per te arrivarci
in forma.»
«Adoro quando le donne mi
mettono sotto...» - sospirò lui.”
«Non ne dubito!» -
rise Lou.
Julian aprì la portiera,
precipitandosi a girare intorno alla macchina per farla uscire.
«Ma che galante... - disse
lei passandogli accanto, precedendolo verso la porta - Grazie Julian.
Davvero. Mi sono divertita tanto e sono contenta di averti
conosciuto...»
«Piacere mio, donzella... -
rispose prendendole la mano gelida e baciandola di nuovo –
Spero di vederti presto. Ce la farò ad aspettare
Lunedì?» - chiese ridendo.
«Spero di
sì!»
«Sogni d'oro,
Eva...»
«'Notte, Diabolik... e grazie
ancora!»
Julian aspettò che lei si
chiudesse la porta alle spalle prima di avviarsi alla macchina e
tornare nel suo albergo.
Lou una volta dentro casa si
appoggiò alla porta con gli occhi chiusi.
«Chi diavolo era quello!? -
sbraitò Nur con gli occhi che mandavano lampi - Sono le due
passate! Dove diavolo sei stata?»
«Buona sera anche a te! -
disse ridendo Lou togliendosi il cappotto. Com'è andata la
tua cena “principesca”?»
«Non cambiare discorso! Chi
era quello?»
«L'artista che ospitiamo in
galleria...» - era di cattivissimo umore. La
guardò camminare dritta verso la cucina e prendere una
bottiglia di acqua dal frigo e bere meccanicamente.
«Com'era la
pizza?» - cambiò domanda nella
speranza che si
calmasse.
«La pizza era
buona.» - rispose piccata Nur.
«Ma...?! Che è
successo, perché sei di cattivo umore? L'ho visto uscire
poco fa, quindi ho presupposto fosse andata bene...»
«È andata bene, tutto
sommato. Tranne il fatto che mi ha elegantemente respinto! Abbiamo
passato l'intera serata a flirtare e lui alla fine quando mi sono fatta
avanti, dopo due ore che lanciava sguardi assassini, ha sorriso e ha
detto solo “mi spiace... non credo sia il caso...»
Se Nur non fosse stata così
furiosa, avrebbe riso come una matta tanto era indispettita: era uscita
prima che l'altra si preparasse quindi vedeva solo ora quanto impegno
avesse messo nell' “Agguato”.
Quella sera aveva scelto un abito
nero, corto ovviamente in modo da mettere in mostra le perfette gambe
affusolate, leggermente scollato, i lunghi capelli lasciati sciolti in
onde voluminose, il trucco perfetto e sensuale e ai piedi un paio di
tacchi alla cui vista lei provò senso di vertigini tanto
erano alti. Era favolosa, ma forse un po' troppo ricercato per una
pizza con un vicino di casa. Era probabile che Valo si fosse sentito
vagamente braccato?
Ne dubitava: ogni uomo che conosceva
avrebbe fatto carte false per trovarsi una donna del genere ogni sera
della loro vita.
«È impazzito?
Cioè se non fossi certa dei miei gusti sessuali, ti salterei
addosso anch’io: sei favolosa! Gioca a fare il bello e
impossibile?» - chiese indignandosi in nome della
solidarietà femminile.
«Non lo so, è
probabile che volesse veramente solo una pizza tra vicini ed io ho
forzato la mano; ma lui è un tipo affascinante, mi era parso
di capire ieri sera che non mi trovasse affatto repellente... forse ho
capito male io...» - disse esitante lei sedendosi e
scalciando
via le scarpe nervosa.
Lou sgranò gli occhi
incredula: in quasi due anni che la conosceva, era la prima volta che
vedeva la sua amica insicura e depressa per un uomo! Che diavolo aveva
combinato Valo per fiaccare la fiducia della sua indistruttibile mangia
uomini?!
«Sono proprio curiosa di
sapere che diamine gli è passato per la testa!»
«Uhm... mi spiace tesoro,
probabilmente vuole solo tirarsela per farti capitolare... -
buttò lì Lou cercando di consolarla e darle
fiducia in se stessa – Vuoi rivederlo?»
«Non ne ho idea... odio
quando un uomo mi respinge! Come osa?! - inveì riprendendo
un po' di fiducia in se stessa. - Adesso non ha fatto altro che
scatenare la mia voglia di rivalsa!»
«Probabile che era proprio
questo il suo scopo: che volesse essere corteggiato! Uomini!»
- sbuffò Lou, scalciando anche lei gli stivali
rannicchiandosi sul divano accanto all'amica.
«A proposito di uomini:
com'è andata la tua serata? Ti vedo particolarmente
accalorata e hai una luce negli occhietti che non me la conta giusta!
Spara tutto, Lou! Ora!»
«Beh, è andata
bene: lui è un artista interessante ed anche un simpatico
ragazzo. Siamo andati a mangiare qualcosa insieme da soli, quando
abbiamo finito e sono stata bene...»
«Ma?»- chiese
Nur, intuendo che c'era altro.
«Ma niente: lui ci ha
provato e io l'ho respinto. Normale amministrazione. Almeno per me. Ma
voglio conoscerlo, mi piace stare con lui. Mi è solo
sembrato eccessivo che si facesse avanti la prima sera, dopo poche ore
che ci eravamo conosciuti...» - disse pensando
improvvisamente al fatto che quella sera, entrambe, avevano vissuto
più o meno la stessa situazione, solo nel modo inverso.
«Bah... - sbottò
la sua amica nervosa – non capisco neanche te: lui ti piace,
sei stata bene, non capisco perché non ti sei lasciata
andare! Sei come Valo!?»
«Nur, non so come sia Valo,
ma so come sono io e lo sai anche tu. Per stare con qualcuno ho bisogno
di qualcosa in più che un rimescolamento di ormoni. Voglio
conoscere una persona un pochino meglio prima di andarci a letto! Mi
trovi esagerata? Per me è così. Non riesco a
lasciarmi andare con qualcuno che ho appena conosciuto: è
già difficile farlo con qualcuno che conosci, figuriamoci
con uno sconosciuto!»
«Sì, lo so come
sei, tesoro... - sospirò e subito dopo rise divertita -
forse saresti stata meglio con Valo stasera ed io con il tuo artista!
Sicuramente ognuno di noi sarebbe stato contento, senza nessun
imbarazzo!»
«Non ne sono mica sicura che
sarei stata meglio con Valo! Neanche mi piace!»
«Ma se neanche lo conosci!-
ribatté l'altra – credimi, non sarà un
super muscoloso abbronzato Adone, ma è molto molto sexy...
me ne intendo!»
«Se lo dici tu...-
sospirò Lou alzandosi con uno sbadiglio, andando verso la
cucina – Ti va una tisana prima di andare a letto?»
«Certo... calmante, per
favore: ho gli ormoni che saltellano per casa!» - rispose
acida, strappandole una risata.
«Tu, mia cara, hai sempre
gli ormoni che ti saltellano intorno! Sei una bomba ad orologeria
ambulante... hai spaventato il piccolo Valo...» -
l'accusò.
«Umpfh...»
«Quando riparti hai
detto?»
«Lunedì
pomeriggio... spero di tornare Domenica però, poi
starò a casa per un’intera settimana: non so se
tornare dai miei per qualche giorno. Non li vedo davvero da troppo
tempo, quasi mi sono dimenticata di casa mia!»
«Mi sembra giusto...
dovresti andare.» - Lou pensò che anche lei
era
tanto che non tornava a casa, infatti aveva già prenotato un
biglietto per quella estate e finalmente avrebbe rivisto i suoi cari.
Tornò con le due tazze
fumanti verso il divano e ne porse una a Nur che la prese
ringraziandola.
«Uhm... mi ci voleva proprio
qualcosa che mi scaldasse.»
«Uhm... chissà
perché non credo che fosse questo il tipo di riscaldamento
che avevi in mente per stasera...»
«Uhm... no! Vedremo... ho
intenzione di non dare tregua al Principe Sfuggente!»
Povero Valo! Non sapeva in che guaio
si era cacciato!
******
Il mattino seguente si svegliarono
molto tardi, pranzarono facendo la colazione e decisero di fare una
passeggiata; anche se c'era ancora la neve dei giorni precedenti era
spuntato il sole ed entrambe aveva voglia di fare quattro passi e
prendere una boccata d'aria prima che sparisse di nuovo dietro le
nuvole.
Infilarono cappotti, guanti e sciarpe
e si lanciarono ridendo in strada mano per mano.
Passeggiarono senza una meta precisa
nei dintorni, chiacchierando allegramente; si fermarono a bere una
cioccolata calda in uno dei tanti pub che incontrarono per strada.
Tornarono a casa a pomeriggio
inoltrato, fradice per aver improvvisato una lotta di palle di neve
sotto casa. Entrarono inciampando e rotolando per rincorrersi; Lou
aveva ancora in mano un ultimo proiettile che voleva a tutti costi
lanciare. Girò intorno al tavolo della sala mentre Nur
girava in senso contrario.
«Prima o poi dovrai uscire
allo scoperto e ti sparo questa palla di neve su quella faccia truccata
alla perfezione!»
«Prova a prendermi
ranocchia! Se sporchi casa pulirai tu, ti avviso! Stiamo già
facendo un macello con gli stivali.»
«Tranquilla ho una mira
eccellente...» - disse Lou calcolando una finta,
scartando a destra si
girò velocemente per scattare in avanti quando Nur colta di
sorpresa inciampò nei suoi stessi piedi, (e nei suoi stivali
costosi) cadendo col sedere per terra con un “anf!”
di disappunto.
La palla colpì il centro
esatto della fronte e colò lentamente sul viso di Nur,
finendo con un “plop” sul jeans.
Lou esultava per casa dandosi arie e
menando per il naso la sua amica ancora seduta a terra offesa.
«Me la paghi
Ranocchia!»- disse alzandosi e a testa alta, con
un ciuffo di
capelli fradici che le pendeva davanti al viso, le passava davanti
impettita e fintamente offesa. Lou si stava letteralmente rotolando
dalle risate, allontanandosi dall'amica temendo ripercussioni fisiche,
raccolse la neve che era caduta per terra.
«Non provarci! Sei proprio
scorretta!» - urlò filando via alla
velocità della luce Nur, chiudendosi in bagno.
Ridendo a crepapelle Lou
aprì la porta finestra per buttare fuori la neve ridotta in
poltiglia.
Un movimento impercettibile
attirò la sua attenzione verso l'alto. Alzò il
viso.
Ville Valo.
Immobile alla finestra che guardava in
giù verso casa loro. Lou si chiese se avesse assistito a
tutta la scena della lotta nella neve con Nur. Sembrava sogghignasse.
Probabilmente sì, aveva visto. Con un gesto lento, lui si
portò la mano al viso a mo’ di saluto militare,
con un leggero sorriso, o almeno tale sembrava dal punto in cui lei si
trovava, dal momento che non riusciva a distinguerne i lineamenti.
«Oh!»
Presa alla sprovvista
lasciò cadere la neve dalla mano, in un istante di
smarrimento.
Poi con un gesto altrettanto lento ed
elegante, un gesto per cui il suo amico Simone sarebbe andato
letteralmente in estasi, sprofondò in una lenta e aggraziata
riverenza, chinando il capo.
Quando si rialzò buttando
un occhio in su, vide che lui era appoggiato con un braccio al lato
della finestra, con una mano al cuore, con aria colpita e teatrale.
“Ville Valo 0
– Lou 1.” - pensò esultante.
Lou girò sui tacchi e
tornò dentro casa con un ghigno soddisfatto sul viso.
******
Angolo di quella che pensa
di essere autrice:
Bene... eccoci al secondo capitolo.
Io e la sistwer Valentina - Arwen85 abbiamo iniziato a
scrivere insieme, pubblicato e ora ci ritroviamo ad avere il classico
blocco dello scrittore in simbiosi.. ( a proposito andate a leggere
anche lei!!)
Pensando che i vostri commenti possano aiutarci e spronarci a scrivere,
e non volendo lasciarvi a bocca asciutta fino a giovedì,
abbiamo pensato di pubblicare ugualmente... ed eccoci qui! ^^
Come sempre i dovuti ringraziamenti alle mie due Beta- Reader: Mia Mugliera Cicci-Vivi
(Deilantha) (anche lei andate a
leggerla!!) e Pulci Saretta detta
Pupù che con amore, costanza e
minacce mi sopportano con le mie paranoie infinite ("avrò
spiegato bene quello che intendevo? Si capisce che lei pensa questo e
invece dice quest'altro!? Ma secondo voi... sono troppo pesante?!?!"
ecc ecc...); ringrazio inoltre SeleValo.
E poi... Ta-nah ta-nah...(musica dello squalo in sottofondo con ansia
crescente...) la mia amata, adorata, stralovvata Tesò,
stalker di professione e terza testa di un unico cerbero...
senza le sue recensioni che sarebbe questo sito?!?!
Lei aspira a diventare Senior, per cui impazza come una folle,
recensendo a casaccio con sommo terrore di tutti gli autori che la
vedono arrivare! (grazie Tesò ti voglio bene *le dice
infilandole un dito nel naso*);
un bacino sul nasino a tutte le altre che mi leggono: Laura, Silvia
(Love!!), Connie, Margherita, Mariangela, Fenghera, e Marianna!
E anche magari chi legge e non recensisce
(PS: ma se volete farlo io non mi offendo, eh!? Sparate pure a zero su
di me: sono pronta ad immolarmi per Valo!!)... siccome mi sono
dilungata parecchio... Cià! ^O^
*La song citata
è Salt in Our Wounds - HIM
Alla
prossima,
*H_T*
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Capitolo 4 *** Capitolo tre: "Come miele e neve" ***
Capitolo
tre
"Come
miele e neve"
Uno starnuto. Due. Tre. Quattro.
“Doh! - pensò Lou... - ti
prego l'influenza no!”.
Rabbrividì violentemente e
si rannicchiò al tepore delle coperte, ma non riusciva a
respirare: aveva male alla gola, le ossa le dolevano come se un tir le
fosse passato sopra e la testa le pesava come un macigno.
“Così
imparo a giocare nella neve come una bambina!”.
Un altro sonoro starnuto.
Le lacrimavano anche gli occhi e aveva
il naso tappato e colante.
Gemette piano cercando di mettere a
fuoco tra le lacrime il suo cellulare per vedere che ore erano: le
dieci di lunedì mattina.
Nel pomeriggio Nur sarebbe ripartita:
si chiese se anche la sua amica fosse nelle sue condizioni. Si
trascinò stancamente fuori da letto, buttandosi una coperta
addosso ci si avvolse completamente e arrancò fuori dalla
stanza, per trovare una Nur affaccendata a preparare la colazione,
raggiante, ancora in pigiama, ma a quanto poteva vedere in ottima
salute.
«Che hai? - chiese Nur
sbocconcellando una fetta biscottata coperta di miele – Stai
male?»
Come se non fosse evidente!
«Segondo de? - chiese
l'altra accompagnando l'ultima sillaba con uno starnuto – Sdo
bale... benzo di avede la vebbre... Guesda don ci boleba brobrio! Gome
vaggio ad addare id gadderia oggi?!» - chiese crollando sul
divano.
«Sei una pappamolla,
Ranocchia... hai il sistema immunitario di una vecchia!»
Lou borbottò parole
incomprensibili continuando a rabbrividire alternando gli starnuti,
alle tirate su col naso.
«C'è poco da
fare: chiama Matleena e dille che stai male. - si avvicinò
alla sua amica mettendole una mano sulla fronte trovandola bollente. -
Scotti! Hai la febbre... Ti sostituirà con qualcun altro,
vedrai. Sa che se stai male è perché
effettivamente è così: sei sempre stata
disponibile ed efficiente, anche quando eri moribonda e saresti dovuta
rimanere a casa. Ecco, ora copriti. Ti prendo il termometro: vediamo
quanto è alta questa febbraccia cattiva.»
Tornò poco dopo con il
termometro digitale e glielo strinse fra le labbra.
Un minuto di attesa ed ecco il bip del
segnale.
«38 e mezzo. Devi rimanere
decisamente a casa. Ti prendo qualcosa per far scendere la
febbre...» - disse preoccupata rovistando nella
scatola che
aveva portato con sé dal bagno, in cerca di qualcosa di
utile.
Le fece ingoiare degli antipiretici
con dell'acqua. La guardava con aria afflitta.
«Mi spiace che ti sei
ammalata... forse hai preso freddo ieri pomeriggio giocando a fare
l'idiota nella neve con me. E mi spiace di lasciarti qui a casa da sola
in queste condizioni...» - disse prendendole le mani
fredde tra le sue, cercando di scaldargliele.
«Don breoccubardi! È sodo
invluenza... etccciuùùù!»
«Senti facciamo
così: chiamo io Matleena... sembri Mami di “Via
Col Vento”! Non si capisce un accidenti di quello che dici.
Parlo io con lei e le spiego la situazione, omettendo la parte ludica
di ieri pomeriggio, ovviamente.»
Preso il cellulare di Lou, scorse
velocemente la rubrica trovando il numero di Matleena e attese che
rispondesse, battendo impaziente con le unghie lunghe e laccate di
rosso sul ripiano del tavolo basso. Qualche secondo e dall'altra parte
qualcuno rispose.
«Matleena? Ciao, sono Nur: come stai?
Oh, io bene bene, grazie! Sì, sono passata velocemente per
il week end e
riparto fra qualche ora... sì, è qui. Ecco.
È per
questo che ti chiamo... no, non sta bene. Penso si sia presa una
brutta influenza, non riesce neanche a parlare e tenere la testa su.
È uno straccio... lo so, me lo ha detto... sì
certo... -
facendo delle boccacce all'indirizzo di Matleena roteò gli
occhi all'insù – ha la febbre alta. Ci chiedevamo
se puoi sostituirla finché non starà meglio... ma
certo, ci penso io, sta' tranquilla, chiamerò il
dottore...»
“Il dottore? Non
sono mica moribonda?”- pensò Lou con
un'occhiataccia a Nur che le strizzò l'occhio complice.
«Ha una pessima cera. Penso
che stia anche per vomitare... sì, ti chiamerà
non appena starà meglio, la conosci bene, no? Sai che se non
stesse male sul serio, verrebbe anche strisciando sui
gomiti...» - una risata.
“La stavano per
caso prendendo in giro?!”
«Ma certo mi
assicurerò personalmente che stia a letto. Certo certo...
ok, grazie Matleena! A presto! Ciao! Ecco fatto - disse posando il
cellulare sul tavolino con aria soddisfatta e professionale –
missione compiuta: ora potrai riposarti finalmente!»
«Grazzie!-
gracchiò Lou – botevi varla anghe medo
draggiga!»
«Non capisco che dici, torna
a letto: ti porto del latte con il miele. Avanti!» - le disse
aiutandola ad alzarsi per metterla a letto.
Si accasciò senza forze
come se avesse scalato una montagna e dopo due minuti era di nuovo
addormentata.
Quando si svegliò di nuovo,
erano le due del pomeriggio passate e le sembrava di stare un po'
meglio... per lo meno il mal di testa era passato.
Nur fece capolino dalla stanza in
penombra e vedendo che si era svegliata si sedette sul letto; era
già vestita e stava per andarsene.
Con la faccia da cucciolo abbandonato,
Lou tirò su col naso.
«Dai non fare quella faccia
che già mi sento in colpa! - tastò con la mano la
fronte e fu soddisfatta di trovarla meno calda – La febbre
almeno è scesa. Vado via fra un'ora... prendo l'aereo
successivo, non mi andava di lasciarti senza averti salutato... - le
sorrise dolcemente - Ti va ora del latte?»
Lou fece segno di sì con la
testa.
L'altra uscì per tornare
subito dopo con una tazza fumante che sprigionava un delizioso profumo
di miele e cannella. Si aggrappò alla tazza bevendo piano e
soffiando, guardando Nur da sopra l'orlo.
«Grazie...- ora che il naso
era libero, parlava meglio –Ci hai messo la cannella come
piace a me...»
«Beh, dai... era per
coccolarti un po'...- si stese al suo fianco appoggiandosi ai cuscini
– Uhm... non ho voglia di andare via sai? Mi piacerebbe
rimanere ancora qualche giorno.»
«Per Ville?»
«Anche... soprattutto per te
però, non mi piace lasciarti qui sola, specie in queste
condizioni.»
«Ma passerà in
pochi giorni, vedrai... starò meglio domani, ne sono
sicura!»
«Lo spero... magari puoi
chiedere al tuo spagnolo di venire a farti da infermiere! - disse
ridendo maliziosa – io lo farei!»
«Ah, non ho dubbi che tu lo
faresti, ma penso proprio che me ne starò qui chiusa a
leggere sotto le coperte e al calduccio!»
Parlarono ancora per un po' e poi con
un'occhiata all'orologio da polso pieno di cristalli lucenti, Nur si
alzò di malavoglia e si chinò per baciarla sulla
fronte come si fa con i moribondi, abbracciandola stretta.
«Mi raccomando, cerca di
stare davvero a letto! Ti chiamo appena arrivo a Londra ok? Fai la
brava...»
«Ok, parola di scout:
starò a letto!»
“Ok... allora
vado.»
Con un ultimo bacio sui capelli, si
avviò decisa alla porta e andò via. Si
sentì improvvisamente sola e abbandonata: represse il magone
con un singulto sonoro, finì il suo latte caldo e si
alzò immediatamente.
Ciabattò fino in cucina per
posare la tazza vuota e prendere un'altra cucchiaiata di miele. Decise
di fare una doccia calda nella speranza che la potesse riscaldare.
Con un sospiro di sollievo accolse
l'acqua sui muscoli doloranti e rimase per oltre dieci minuti sotto il
getto, lasciandola scivolare sul corpo e sui capelli.
Dopo essersi asciugata alla perfezione
anche la massa di capelli ribelli, si avvolse di nuovo nella coperta.
Non aveva voglia di tornare a letto; aveva già dormito fin
troppo per il suo standard e temeva avrebbe passato una notte insonne.
Così decise di accendere
Highlander e controllare le mail che sicuramente si erano accumulate in
quei giorni.
Pubblicità e spam che
cestinò senza neanche darci un’occhiata e in
più news letter che al momento non le interessavano.
Una mail da Simone. L'avrebbe letta
per ultima: come lui, le sue mail erano impegnative e stressanti oltre
che divertenti da morire, quindi decise di godersela solo alla fine.
Una mail da un indirizzo che non
conosceva.
Di mezz'ora prima. Lesse l'oggetto
dell'intestazione: “Il
pirata sta cercando la sua
principessa...”.
Julian! Come aveva fatto a trovare la
sua mail?
Con tutta probabilità era
stata Matleena e lui doveva essere stato molto convincente, dal momento
che la sua Draghessa difendeva la privacy dei suoi collaboratori quasi
quanto la sua.
L'aprì elettrizzata.
“Ciao,
Sì, sì, lo so
che ti sei chiesta che cosa voglio e soprattutto come ho fatto ad avere
la tua mail. Ebbene, ho corrotto la
Draghessa con il mio charme latino.
(Sapevi che le donne apparentemente fredde sono quelle che
più cedono al fascino dei pirati come me?); non
è stato così difficile come credevo.
Mi ha squadrato con quei suoi occhi
freddi ed io imperterrito ho sostenuto il suo sguardo, cercando di
convincerla che avevo DAVVERO bisogno di scriverti...
Ed è così.
Cos' è questa storia
dell'influenza? Hai preso freddo sabato sera? Spero di no...
Speravo di vederti oggi pomeriggio...
anzi, devo dirti la verità... fremevo dalla voglia di
rivederti... mi chiedevo se hai bisogno di qualcuno che ti prepari una
tazza di brodo caldo e ti tenga costretta a letto (oh dì di
si dì di sì...).
Correrò subito da te, a
salvarti dalla noia! ;)
Ti lascio il mio numero di
cellulare... chiamami.
Mi chiamerai vero? :)
J.”
Oh, signore! Lou
avvampò
solo a leggere le parole: di certo non ci andava leggero!
Menomale che aveva detto che non
avrebbe forzato di nuovo la mano!
Nonostante tutto le fece piacere che
lui si fosse preoccupato per lei, lusingata dal fatto che avesse
corrotto la sua Draghessa per arrivare a lei; fissò il
numero di cellulare che aveva scritto in fondo alla mail.
Anche il fatto che avesse scelto la
posta elettronica per corrompere Matleena e non aveva chiesto il suo
numero, era un chiaro segno di rispetto e di discrezione in un certo
senso: ora lasciava a lei la scelta di chiamarlo.
Si morse nervosamente le unghie:
Julian non faceva mistero di cosa volesse da lei.
La domanda era: cosa voleva lei?
Julian le piaceva e molto.
Non la metteva in imbarazzo nonostante
la sua passionalità. La divertiva.
Ma... lei non voleva storie.
Le sarebbe piaciuto frequentarlo ma
senza coinvolgere la sfera sentimentale.
Le era tornato il mal di testa...
«Uff...» -
sbottò depressa.
Avrebbe riflettuto sulla cosa, decise.
Passò alla mail di Simone.
“Grace,
vacchetta che non sei altro!
Sono settimane che aspetto che ti fai
viva e niente!
Cerca di avere una buona scusa per
questa mancanza e come minimo la scusa deve avere almeno 23 cm di buoni
motivi!!!
Che mi combini in quella terra fredda
e desolata che ti sei scelta come casa?!
Nessun vichingo che ti colpisce con
una clava? (non è affatto un lapsus: per clava intendo
proprio quello che tu pensi!)
Che ti stordisca a furia di
randellate?! (Come sopra : vedi clava).
Hai intenzione di rimanere
lì anche questa estate? No, perché nel caso ti
vengo a prendere e ti rapisco.
No, sul serio. Sto pensando di venire
a trovarti per qualche giorno.
Posso? (Tanto vengo lo stesso) :)
Pensavo di passare tra due settimane:
per te va bene?
Ho un sacco di cose da raccontarti...
e vorrei farlo di persona!
Mi manchi da morire. E non ti sto
prendendo per il culo! ;)
A presto, tuo Will”.
Rise di gusto: avevano iniziato a
chiamarsi “Will&Grace”,
quando aveva scoperto la sit-com e si erano ritrovati nel rapporto
speciale che c'era fra i due protagonisti della serie tv.
Oh, cielo! Simone che andava
lì da lei! Erano anni che cercava di convincerlo a passare
un fine settimana con lei, ma era sempre preso da mille impegni e mille
flirt amorosi e rimandava sempre.
Che bello! Aveva una nostalgia
tremenda anche lei del suo amico.
Chissà che aveva di
così importante da dirle per farlo smuovere da Roma per
raggiungerla!
Gli rispose al volo:
“Will!
Sogno o son desta?! Vieni davvero qui
da me? Davvero davvero?!
Dì la verità:
chi hai ucciso?
Ti serve una che ti copra, eh?
Sarò la tua complice sempre
e comunque lo sai!
Non vedo l'ora di riabbracciarti... mi
manchi anche tu e anche Mara...
Anzi, è da un bel po' che
non la sento: le scrivo subito una mail...
Ti aspetto, ti aspetto, ti aspetto...
queste settimane saranno lunghissime!
Ps: Nessun vichingo all'orizzonte,
ergo nessuna clava o randello! :P
Per sempre,
tua Grace.”
Subito dopo mandò una mail
alla sua amica Mara, che si era sposata da circa due anni.
Dopo un lungo fidanzamento con Enzo,
suo fidanzato storico per più di sette anni, Mara aveva
incontrato il suo attuale marito Karl, un pittore tedesco, durante uno
stage in Germania cinque anni prima.
Era stato amore a prima vista.
Mara aveva mollato il noioso Enzo,
commercialista in un altrettanto noiosissimo studio contabile, ed era
scappata in Germania, subito dopo il suo ritorno; il tempo di mettere
al corrente Enzo che, com'era nel suo stile aveva accolto la notizia
con aria pacata, seria e indifferente, fare una valigia striminzita,
dar loro un bacio ed era tornata tra le braccia del suo biondo
teutonico.
Lei e Simone avevano accolto la
notizia meno stoicamente di Enzo: per tutto il tempo (un paio d'ore
appena) che Mara era rimasta in casa, le erano stati dietro come due
avvoltoi, passando dalle minacce, alle lagne, ai ricatti morali, ai
musi lunghi.
Mara li rassicurava che era solo una
situazione momentanea ma era stata via per mesi e pur continuando a
pagare la sua quota d'affitto in ogni caso, loro due si erano sentiti
abbandonati.
Mara era tornata in Italia con il suo
Karl e poco dopo erano andati a vivere insieme mettendo fine
così alla loro allegra convivenza, ma non aveva smesso di
frequentare assiduamente la loro casa.
Nonostante tutto, erano stati felici
di vedere la loro amica felice e innamorata come non mai. Attualmente
era una moglie e madre in attesa del primo figlio: per qualche tempo
aveva lavorato come scenografa per la tv italiana, ma aveva abbandonato
tutto non appena aveva scoperto di essere rimasta incinta. Ed era
più felice che mai.
Finita la mail per Mara, decise di
rimettersi a letto: la stanchezza e il malessere stavano tornando di
nuovo. E non dipendeva solo dall'influenza.
Decise anche di non rispondere alla
mail di Julian.
“Codarda!
-pensò – La regola del chiodo scaccia
chiodo con lui può essere anche piacevole.”
Tornò a infilarsi sotto il
piumone, sentendo il solito groppo in gola che l'attanagliava ogni
volta che pensava al suo passato... e ai suoi sogni spezzati.
******
Erano da un anno in Finlandia lei e
Andrea e tutto sembrava andare alla perfezione o almeno era quello che
lei voleva vedere, innamorata persa e dipendente da lui in tutto e per
tutto.
Avevano trovato quella casa piccola ma
decorosa, pensando che quando entrambi avessero trovato un lavoro, e
una maggiore stabilità economica, (ovviamente senza l'aiuto
del portafoglio del papà di Andrea) avrebbero cambiato casa
per prenderne una più grande.
Andrea, che nonostante la sua stentata
laurea in Legge, poteva cercare un lavoro in qualche studio legale
della città, (soprattutto con le infinite risorse della
famiglia e con le loro conoscenze), aveva invece intrapreso la carriera
di modello, con disappunto della sua famiglia e della stessa Lou.
Ricordava con dolore i mesi passati a
macerarsi sul pensiero di chi passava il tempo con il fidanzato e di
quello che faceva; aveva accumulato tanta di quella tensione che
bastava un sms sul cellulare di lui a scatenare la sua gelosia ed erano
scenate, con pianti e urla.
Andrea la rassicurava come poteva, ma
anche lui stava iniziando a non reggere più la tensione:
tornare a casa per lui era diventato sempre più difficile,
se ne rendeva conto ora... ma allora era come accecata dalla gelosia
divorante e dall'insicurezza.
Col passare dei mesi Andrea era
diventato sempre più sfuggente e tornava a casa ogni sera
più tardi: Lou era ridotta ad uno straccio, lo ricordava
bene... non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire, non riusciva a
pensare ad altro che a lui circondato da bellissime modelle.
Di notte faceva sogni di lui
abbracciato a donne stupende, con fisici mozzafiato, dai quali si
svegliava piangendo.
Se solo fosse stata meno oppressiva,
meno gelosa, meno insicura, probabilmente non sarebbe andata
così... questo però lo pensava ora, con il senno
di poi. Lei era sola, i suoi amici, la sua famiglia erano lontani, e il
suo mondo girava intorno ad Andrea.
Il suo mondo era Andrea.
Con lui aveva davvero pensato che
fosse amore per sempre... finché non era entrata in scena
Sophie.
La bellissima, perfetta Sophie:
modella tedesca, bionda, altissima, dalle forme perfette, dal viso di
porcellana...
Quando aveva scoperto che Andrea la
frequentava era andata fuori di testa, costringendolo a confessare che
si frequentavano già dopo pochi mesi dal loro trasferimento
in Finlandia.
Proprio nel momento in cui lei pensava
che finalmente avrebbero costruito qualcosa d’importante e
duraturo, Andrea era andato via di casa per vivere con Sophie.
Qualche settimana dopo, lei aveva
scoperto di aspettare un bambino.
Per giorni e giorni aveva pianto da
sola nella loro stanza, nel letto matrimoniale che ora apparteneva a
Nur, cercando una soluzione. Se avesse detto ad Andrea del bambino lui
avrebbe pensato che era una trappola per tenerlo legato a lei e non
poteva neanche pensare di disfarsene come se fosse un intralcio alla
sua vita.
Non aveva pensato all'aborto neanche
per un istante.
Aveva deciso che sarebbe tornata a
casa, in Italia e crescere il loro bambino da sola, con la sua famiglia
e i suoi amici intorno.
Non aveva parlato con Andrea,
nonostante Mara e Simone con mail e telefonate e conseguenti bollette
telefoniche astronomiche, le avevano detto fino allo sfinimento che lui
aveva il diritto di sapere e che era una sua responsabilità
occuparsi del bambino.
Lei era stata irremovibile: non gli
avrebbe detto nulla.
Non avrebbe implorato il suo aiuto, la
sua attenzione, il suo amore per qualcosa che aveva ucciso con le bugie
e la leggerezza.
Aveva già prenotato il
biglietto di sola andata per l'Italia.
Da qualche giorno sentiva fitte
all'addome che divennero via via più forti con il passare
delle ore. La sera precedente al suo rientro, era quasi svenuta per i
dolori e aveva chiamato Matleena, l'unico punto di riferimento che
avesse all'epoca.
Mat, aveva fatto i dieci chilometri
che la separavano da casa sua in meno di 5 minuti e aveva chiamato in
pronto soccorso, un suo caro amico, avvisandolo che la stava portando
in ospedale.
L'aveva caricata in macchina ed era
ripartita alla velocità della luce.
Nelle ore successive i suoi ricordi
erano diventati solo brevi flash... ma il suo incubo non era ancora
finito. Quando si era svegliata, in una lussuosa stanza d'ospedale,
Matleena aveva allontanato le infermiere che le giravano intorno,
chiedendo di rimanere sola con lei.
Con dolcezza le aveva preso le mani
fra le sue e guardandola dritto negli occhi aveva spiegato con voce
ferma e dolce, cosa fosse successo.
Il feto non ce l'aveva fatta: aveva
avuto un aborto spontaneo, forse dovuto al troppo stress o forse erano
solo cause naturali. Forse solo il destino.
Lou aveva accolto la notizia non
versando neanche una lacrima.
Ogni legame con Andrea ora era
spezzato. Ogni speranza di riaverlo un giorno, svanita.
Come il suo bambino. Il loro bambino.
Nei suoi incubi lo sentiva piangere,
sapeva che la stava cercando e che aveva bisogno di lei; nel sogno
correva lungo dei corridoi senza fine, con ai lati centinaia di porte e
non riusciva mai a raggiungerlo.
Solo in quei momenti, quando si
risvegliava ansando e sudata, si rendeva conto che aveva il volto
inondato di lacrime e la gola le faceva male per le urla represse.
******
Ancora quel sogno.
Lo sentiva piangere disperato.
Sembrava quasi che fosse lì nella stanza tanto forte era il
pianto.
Aprì gli occhi atterrita e
come sempre aveva il groppo in gola dolorante.
Le lacrime al solito traboccarono,
aspettava che il suo cuore rallentasse e tornasse ad un ritmo normale.
Ma il pianto non cessava.
Si guardò intorno nella
stanza buia, immobile e spaventata a morte: ma il lamento non era
lì nella stanza, sembrava provenisse dall'esterno.
Schizzò fuori dal letto per
guardare dalla sua portafinestra verso l'esterno.
Aveva ripreso a nevicare forte, era
tutto bianco e non si vedeva bene. Aprì uno spiraglio per
accertarsi che le sue orecchie non le avessero giocato uno scherzo e
iniziasse a pensare che stesse impazzendo sul serio. No, il pianto, il
lamento sembrava quello di un bambino ma molto probabilmente era un
gatto, ora se ne rendeva conto. Appoggiò la fronte al vetro
gelido, respirando con brevi e affannose secche boccate d'aria. Il
lamento continuava disperato. Prese il plaid avvolgendovisi e
uscì sul balcone per riuscire a capire da dove venisse:
strizzò gli occhi mentre la nuvola di fiocchi le vorticava
intorno e dentro gli occhi. Niente. Non vedeva nulla.
Avrebbe avuto una ricaduta se rimaneva
ancora lì nel gelo, pensava rabbrividendo, quando colse un
movimento impercettibile con la coda dell'occhio e vide una minuscola
macchia nera muoversi in mezzo alla distesa immacolata della coltre di
neve che ricopriva il vialetto.
“Oh signore... se
rimane lì morirà!” -
pensò preoccupata.
Rientrò veloce e si
infilò un maglione, il pantalone della tuta alla
velocità della luce e volò verso la porta
afferrando nel passaggio il giaccone imbottito. Era lanciata in piena
corsa quando arrivò sul vialetto e vide una figura scura, un
po' più grande di quella che le era sembrata dal balcone,
accucciata dove prima c'era quello che lei pensava fosse un gatto.
Troppo tardi si accorse che era un
essere umano e che nel momento in cui lei sgommava sulla neve, lui
alzò il viso pallido e spigoloso verso di lei.
Un battito di cuore. Due. Cuore che
rotola nel petto.
“È quasi morto di
freddo! -
disse lui con una bassa, roca voce concitata e preoccupata. - Dobbiamo
portarlo in casa.»
Raccolse la palla di pelo, si
alzò e la fissò come se si aspettasse qualcosa da
lei.
Lou immobile, ancora stravolta dal
sogno di poco prima e con le lacrime che segnavano ancora dei solchi
salati sul viso, si riscosse d'un tratto all'urgenza nella sua voce.
«Oh. Certo.
Sì!»
“Un pensiero
coerente in questo momento sarebbe gradito, Lou”.
«Portalo dentro!»
Gli fece cenno di seguirla
all'interno, precedendolo, tenendogli la porta aperta mentre lui le
passava veloce davanti e la richiudeva piano mentre Ville Valo si
girava verso di lei con una minuscola palla di pelo nera tra le mani
grandi, bianche ed eleganti.
******
«Ha bisogno di stare al
caldo... hai qualcosa per avvolgerlo? - le chiese impaziente -
Qualsiasi cosa anche per asciugarlo...»
«Arrivo subito.»
Lou gli fece cenno di andare nel
salotto mentre si precipitava in camera da letto in cerca di un vecchio
maglione che non metteva più e un asciugamano che prese dal
bagno, poi tornò dove lui l'aspettava in piedi al centro del
salotto, con gli occhi abbassati sulle mani a coppa.
«Ecco! Dallo a me... non
sarà già...?»- chiese Lou esitante
mentre lui le passava il gattino che tutto sembrava tranne che vivo,
aiutandola ad asciugarlo.
«No, gli ho sentito il
battito del cuore... è ancora vivo, per poco ma è
ancora vivo.»
Lo avvolse nel maglione. Quel gatto
aveva una gran brutta cera.
Ma aveva ragione lui: toccando il
micetto aveva sentito anche lei che il battito c'era ancora.
«Non ho idea di cosa fare
con un gatto. - disse lui ancora immobile al centro del salotto, le
scarpe bagnate e le punte dei capelli mossi umide dalla neve che vi si
era sciolta sopra - Non riuscivo a dormire né a scrivere con
il suo lamento.»
“Oh. Povero
artista.” - pensò lei irritata,
dandogli le spalle, portando il fagotto verso il termosifone ancora
tiepido, già pentita del pensiero che aveva avuto su di lui
pochi istanti prima, sul fatto che non si sarebbe mai aspettata da lui
un gesto tanto carino e delicato.
«Vieni qui, – gli
ordinò secca – tienilo al caldo mentre io preparo
qualcosa per farlo riprendere.»
Lo fissò negli occhi.
“Brutta mossa,
pessima mossa, Lou...”.
Voleva davvero essere gelida ma quei
chiari laghi di giada che aveva al posto degli occhi la stavano
sondando tra il divertito e l'irritato e la bocca che lei in un primo
momento aveva giudicato sottile, era piegata in un sorriso stretto e
trattenuto.
Tolse la giacchetta di pelle che aveva
addosso, (ma non gelava con quella roba soltanto?) posandola sul
divano, così anche il berretto di lana che gli copriva gran
parte del viso e i capelli castani gli sfiorarono il viso magro e
spigoloso.
Non disse una sola parola: prese il
fagotto dalle sue mani, continuando a fissarla divertito.
“Che diamine
ha da guardare!?” - agitata e nervosa, neanche lei
sapeva
bene il perché, tolse il giaccone e poco le fregava che
avesse addosso un maglione sformato e pieno di pallini, il pantalone
della tuta troppo largo per lei, bucherellato e consumato; i capelli in
una massa informe e ribelle.
Non osava immaginare che faccia
avesse, con le occhiaie e tutto il resto.
Preparò del latte e ruppe
un uovo del quale usò solo il tuorlo rosso, bucandone la
membrana e separandolo dalle pellicine, mescolò il tutto.
Avrebbe dovuto mischiare anche della
panna ma non ne aveva in casa.
In bagno prese una siringa vuota e
sterilizzata, scartando l'ago che gettò nel secchio
dell'immondizia. Con orrore si guardò allo specchio
sgranando gli occhi: era peggio di quanto pensasse. Sciacquò
la faccia con acqua gelata per togliere le tracce delle lacrime e
tornò in cucina; aspirò un po' del preparato
tiepido e si girò armata di siringa, per uscire nel salotto
che era attiguo alla cucina, divisi solo da un basso muretto.
«Ecco... ora il difficile
sarà fargli bere questa roba, ma è l'unica cosa
che somigli al latte materno per i gatti... avremmo bisogno anche di
una lampada termica che lo tenga caldo quasi come il calore della
mamma, ma non penso di esserne dotata...» - disse d'un fiato
avvicinandosi al gatto e a colui che lo teneva stretto contro il petto.
Non spiccicava una parola ma ancora la
guardava con quell'espressione divertita.
Cercò di non badare a
quanto apparisse carina l'immagine.
«Vedo che sei esperta nel
campo... hai avuto altri gatti prima?» - chiese con un
sorriso “quasi” dolce.
«Non è la prima
volta che trovo un gatto in mezzo alla neve – rispose
passandogli la siringa con uno sguardo di sufficienza, ricordando la
notte che avevano trovato Natale in Italia – l'altro ce l'ha
fatta e ora ha ancora sette vite. Era più grande di questo
esserino qui però... non so se ce la fa...»
«Ce la fa.»-
rispose afferrando la siringa dalle mani di lei con un tono di sfida.
Girò il musetto del gatto
appoggiando la punta sulla minuscola boccuccia. La linguetta
guizzò piano e lui provò a infilargli
delicatamente la punta della siringa tra le fauci, premendo con
lentezza lo stantuffo.
«Anche tu non sembri un
principiante.»
«Ho visto molti
documentari.»
“Non guardarlo non
guardarlo...”
Si ripeteva mentalmente mentre lo
sbirciava di sfuggita solo per accorgersi che anche lui la stava
sbirciando.
Distolse lo sguardo in fretta e si
rifugiò dietro la cucina.
“Codarda.”.
«Vuoi qualcosa da bere?
Scusa se non te l'ho chiesto prima. Un tè? Tisana?
Caffè?» - chiese senza alzare gli occhi.
«Non voglio disturbarti. Va
bene una tisana... grazie.»
Che voce carezzevole... come miele
ruvido sulle sue labbra.
Aspettò impaziente,
battendo il piede ritmicamente sul pavimento, che l'acqua nel bollitore
si decidesse a riscaldarsi.
Valo se la rideva sotto i baffi. Odio.
Non faceva che farla agitare maggiormente con la sua calma serafica.
Preparò meccanicamente la
tisana, una volta pronta, rigida come un pezzo di legno si
avvicinò con le due tazze in mano.
«Dallo a me... tu bevi la
tisana.»
«Non riuscirei a berla
così calda...» - le sorrise, tramortendola con il
verde chiaro degli occhi.
Un colpo al cuore. Due. Respiro.
«Sta mangiando? - si sporse
per dare un’occhiata al fagotto inerme tra le mani di lui. -
sembra di sì...»
«Qualche goccia... il resto
è finito sulla mia mano.»
Quella voce le faceva venire i
brividi, tanto era bassa, carezzevole, morbida, ruvida, penetrante...
tutto insieme.
«Dovrebbe mangiare ogni due
ore, sai?» - gli disse con aria scettica.
«Ci terrà svegli
per tutta la notte, allora.» - le rispose serio.
«Ci penso io,
tranquillo...»
«Non se ne parla neanche...
l'ho trovato io. Mi sento responsabile.»
“Figuriamoci! Come
se una star potesse perdere tempo con un misero gatto trovato per
strada...”.
«Allora lo porti a casa
tua?»
E che pensasse pure che fosse una
cafona maleducata!
«Ci butteresti fuori con
questo tempaccio?»- la stava prendendo in giro.
«Abiti a due passi da
qui.» - disse laconica e gelida lei.
«Meglio non rischiare... -
rispose lui con calma. - Non ti daremo fastidio. Potrebbe non
farcela... non vorrai essere sola se accade.»
Non aveva detto che ce l'avrebbe
fatta?!
Digrignò i denti per
l'irritazione.
«Vuoi stare tutta la notte a
sorvegliarlo e dargli da mangiare? - gli chiese con evidente
scetticismo con un tono secco e gelido - Guarda che l'ho già
fatto una volta e sono in grado di rimanere sola con un gatto
moribondo!»
Ville alzò gli occhi su di
lei.
«Rilassati...»- le
disse con voce grave e dolce.
Smontò come un palloncino
tutta la sua rabbia immotivata e la tensione con una sola parola... si
lasciò cadere sul divano, molto lontano da lui.
Le era tornato il mal di testa... si
sentiva male ma non voleva dirgli di andarsene.
Temeva che le fosse tornata la
febbre... sentiva caldo.
Ma probabilmente la colpa poteva
essere attribuita alla sua agitazione “da Valo”.
«Bevi la tisana, ora...
sarà meno calda.»
Le passò il fagotto con
cautela e stando ben attenta a non toccargli le mani, prese il gattino
che era inesistente e minuscolo nella maglia.
«Penso che per ora basti
insistere nel dargli da mangiare, riproviamo più
tardi.»
Era quel “noi”
sottinteso ad agitarla.
Con un movimento elegante degno di un
lord inglese prese la tazza che era sul tavolo e iniziò a
bere lentamente la tisana. Con una mano stretta intorno al gattino,
prese anche lei la sua e iniziò a sorseggiarla.
Silenzio. Un imbarazzante silenzio che
si poteva tagliare a fette.
Lou lo fissava ad occhi socchiusi al
di sopra l'orlo della tazza.
Ville faceva lo stesso.
«Possiamo presentarci ora? -
chiese all'improvviso lui. - È la seconda volta che vengo
qui a casa tua e ancora non ci presentiamo... Ciao, sono Ville Hermanni
Valo...» - tese la mano.
“Si presentava
sempre con nome cognome e secondo nome?”.
«Ciao, sono Lou. Lucia
Zadra.»
«Ciao Lou... - il suo nome
sulle sue labbra diventava una colata di zucchero... - Finalmente ci
conosciamo.»
“Tutto
ciò è surreale.” -
pensò Lou.
Lei in casa sua con un gatto mezzo
morto a bere tisana in condizioni pietose, sul divano.
Con Ville Valo.
Prese la sua mano. Se la aspettava
fredda e morbida. La stretta invece era forte e le mani dure e
caldissime.
Passò un tempo indefinito
mentre si tenevano la mano.
Ville la guardava dritta negli occhi.
Lui aveva gli occhi più
chiari, più limpidi e trasparenti che avesse mai visto.
Giada tersa, cristallina. Occhi del genere non potevano appartenere a
qualcuno che aveva vissuto la sua vita. Erano troppo puri, innocenti
eppure... quei chiari laghi di giada, nascondevano paradiso e inferno
in fondo a quelle pupille brillanti e profonde.
Un miagolio li riscosse entrambi. Lou
lasciò andare la sua mano di scatto. Il gatto si muoveva
nella maglia: segno che stava riscaldandosi. Ma aveva gli occhi chiusi
dal muco e non riusciva ad aprirli ancora.
«Non capisco come sia
arrivato sotto casa mia... - disse Lou per spezzare
l'elettricità che sentiva scorrere ancora tra di loro - non
ho mai visto gatti nei paraggi.»
«Neanche io... forse hanno
paura di essere impagliati per poi essere esposti in casa
mia...» - disse ridendo sommessamente.
«Come, prego?» -
sbatté gli occhi con aria interrogativa.
«Oh, no niente... - rispose
lui ancora con un sorriso ironico sulle labbra. - Bene, Lou. Ora che
abbiamo fatto conoscenza... come intendi impiegare queste ore fino a
domattina, quando sapremo che fine farà il nostro
amico?»
La domanda sussurrata la
lasciò senza parole. Si divertiva a crearle imbarazzo per
caso? Poteva essere una domanda come un'altra, del tutto innocente, ma
non lo erano gli occhi e il sorriso che l'accompagnava!
«Oh...»
“Maledizione!
Dì qualcosa!”.
«...non ne ho
idea...»
“Complimenti
geniaccia!”.
Le girò la testa e non solo
per i suoi occhi e le sue uscite simpatiche: le stava tornando la
febbre, aveva mal di gola e aveva la nausea.
«Scusa... devo andare un
attimo in bagno... ti spiace?» - balbettò.
«Stai bene?»
«Veramente non proprio...
credo che la febbre non voglia abbandonarmi... prendo qualcosa, scusa
un attimo.»
“Ma certo... ti aspetto
qui» - disse lui con tono basso.
“Accidenti a
lui.”.
Volò verso il bagno e con
mani tremanti prese altre due compresse, le stesse che le aveva dato
Nur, dall'armadietto dei medicinali e le ingoiò con fatica
con un sorso d'acqua.
Stava sudando. Stava male.
Passò in camera da letto e
si cambiò, tolse quella orrenda maglia e la tuta ed
infilò un top con sopra la maglia melanzana che le aveva
regalato Nur, dei pantaloni morbidi e comodi e avvolse il collo in una
sciarpina.
Si guardò di nuovo allo
specchio per distogliere subito dopo gli occhi: orribile.
Lasciò i capelli sciolti
sperando che avrebbero coperto in gran parte il pallore del viso e le
occhiaie nere.
Quando tornò in salotto,
con passo felpato, sentì Valo che cantava a bocca chiusa
qualcosa... al gatto!
Ebbe voglia di ridere improvvisamente,
se non fosse che la scena era fin troppo dolce.
«Ma che
carino...»- disse prima di mordersi la lingua.
Valo alzò gli occhi dal
gatto senza scomporsi, abbassando ancora di più la voce fino
a un mormorio di gola.
«Shht... ora si è
addormentato.»
Il tono era serio ma gli
occhi e la bocca
ridevano.
«Stavi cantando la ninna
nanna al gatto, per caso?»- chiede Lou reprimendo una risata.
«Ovviamente.»
Eh sì, diceva sul serio.
Ma se la rideva sotto i baffi
guardandola con la testa leggermente inclinata di lato. Quell'uomo era
tutto e il contrario di tutto. Non poteva dar torto alla sua amica se
volesse a tutti i costi sedurlo.
Come un fulmine a ciel sereno
pensò a Nur e si sentì stranamente in colpa per
essere lì con l'uomo che lei aveva deciso di conquistare.
Aveva dimenticato la pizza, aveva
dimenticato quando solo pochi giorni prima si erano visti dalle
rispettive finestre, perfino della sua riverenza ironica del giorno
precedente... improvvisamente le tornò tutto in mente.
La sua presenza lì aveva
cancellato l'idea che aveva avuto finora di lui?
«La pizza. Era buona. La tua
amica mi ha detto che era opera tua, era deliziosa...
davvero...»
«Grazie... sono contenta che
sia stata di tuo gusto. Nur mi ha detto che ti piace particolarmente, e
allora...»
«Sì, mi piace, ma
quella che mangio io la prendo al supermercato e la scongelo:
è un po' diversa dalla tua...» - disse ridendo.
«Lo so.»- si diede
arie, soffocando uno sbadiglio.
Che figura!
«Scusa, penso siano le
medicine a farmi sbadigliare, non tu...»
“Ma che diamine
dico?!
«Tranquilla, non
è la prima volta che una donna sbadiglia in mia
presenza!»
Lo guardò scettica. Certo.
Come no.
«È vero...» -aggiunse serio, lui.
Lou sollevò le sopracciglia
con aria perplessa.
Un miagolio.
«La tua ninna nanna non ha
funzionato, credo...»
“O forse gli piace
la tua voce e vuole che continui a cantare...” -
pensò ma non lo disse ad alta voce.
«Proviamo a farlo mangiare
di nuovo... - propose lui. - Vuoi farlo tu?»
«Sì. Dallo a
me, se vuoi andare, non preoccuparti, davvero... non ci
so...»
«Ho detto che preferisco
rimanere... sempre che tu non voglia mandarmi via.»
La guardava in attesa di una risposta.
«Ok.»- rispose
impettita.
«Ok vuoi che rimanga o che
vada via?» - insistette.
«Ok fai come vuoi, non ti
sto cacciando. Pensavo solo che, magari, avessi altro da fare che stare
qui stanotte a fare da baby-sitter ad un gatto con un piede nella
fossa...»
«Anche tu non mi sembri in
gran forma, - disse lui serafico – magari devo soccorrervi
entrambi stanotte!»
“Eh?!”-
l'urlo le salì in gola e per poco non lo esternò.
«Sto bene... cioè
so badare a me stessa.» - rispose punta sul vivo.
«Ne sono certo, ma a nessuno
fa piacere stare da soli, specie quando si sta male... vero?»
«Ci sono abituata e poi
è solo influenza...»- rispose e in quel preciso
istante il cellulare iniziò a squillare.
Controllò il display. Era
Nur.
“Merda”.
«Nur? - rispose a disagio
– Sei arrivata a Londra?»
«Ehi, come stai? Speravo di
trovarti sveglia! Ti senti meglio? È scesa la febbre? Ti
sento poco e
male... c'è un temporale tremendo qui e sono bagnata fino al
midollo, volevo solo assicurarmi che stessi un pochino
meglio...»
La voce di Nur a tratti non arrivava.
«Sto meglio, tranquilla...
è tutto ok! Non preoccuparti.» - si sentiva
tremendamente in colpa.
«Ok, tesoro, allora ti
richiamo domani, scusa per l'ora... ma sapevo che eri sveglia! Mi
raccomando, fai la brava!» - disse alzando il tono di voce e
chiuse la comunicazione.
«Era Nur.»-
precisò lei senza che ce ne fosse bisogno.
«Ho sentito. Non sapevo
fosse ripartita...»
Lou rispose con un’alzata di
spalle.
«Sì, è partita
oggi
pomeriggio... però sarà di ritorno questo fine
settimana.»- aggiunse.
«Secondo me hai la febbre,
hai gli occhi rossi e anche il viso...» - lui
sorvolò elegantemente sul discorso che lei voleva portare su
Nur.
Prima che potesse muoversi, le
toccò la fronte con il dorso della mano.
Si trattenne a stento dal tirarsi
indietro ma al suo tocco lo stomaco le aveva fatto una giravolta.
«Mi
salverò?» - chiese ironica.
«Uhm, se fai la brava
sì, penso che te la caverai... Rilassati Lou...»
Ancora quel tono...
“Sono
rilassataaaaaaaaaaaaaaaaaa!” - urlò la
vocina dentro di lei.
«Ville, sono
rilassata.»
Era la prima volta che lo chiamava per
nome.
Se ne accorse lui e se ne rese conto
lei. Forse non avrebbe dovuto dargli del tu, dopotutto lui era una star
mondiale e lei una semplice donna qualunque.
Ma era venuto naturale come dargli
ordini su come trattare il micio moribondo.
In quel momento, lì nel suo
salotto, una mano verso il fagotto, col dito che accarezzava il muso
della microscopica creatura, sembrava solo un uomo come tanti.
Vestito in maniera normale. Con l'aria
più normale e rilassata del mondo.
«È bello come viene fuori
il mio nome detto da te.» - disse con voce bassissima e roca,
sbirciandola con i suoi occhi da gatto sornione.
Altro battito di cuore... prigioniero
che cercava di scappare dal suo petto.
Non era quello che diceva: era il modo
in cui parlava che le faceva girare la testa.
Diede la colpa ai medicinali.
Valo doveva sparire al più
presto dalla sua casa e dal suo spazio vitale.
Senza riuscire a impedirselo
sbadigliò ancora una volta, con tanto di lacrima finale.
Al suo secondo sbadiglio in dieci
minuti, lui scoppiò in una risata.
La risata più strana che
avesse mai sentito in vita sua.
Rauca, a scatti, come colpi di tosse
di un cane, o una lambretta scassata.
“Sono fregata.” - pensò Lou amando
all'istante quella risata.
«Faccio sempre
così colpo sulle donne... Evidentemente con le italiane non
funziona.» - rise ancora.
«Come sai che sono
italiana?» - chiese sorridendo ancora per la
sua, di
risata, scartando con eleganza la sua battuta.
«Ho chiesto in
giro...»- rispose, con fare misterioso.
«Cosa?... hai chiesto in
giro di me?!»
«Lou, me lo ha detto la tua
amica...»
“Capitan Ovvio,
brava! Ti eri già esaltata e lusingata che avesse indagato
su di te, illusa?!”.
Stava per crollare sul gatto. Non
riusciva neanche a mettere insieme due parole una dietro l'altra
figuriamoci con lui che la prendeva in giro e la guardava con quei
pezzi di giada... appoggiò la testa sul divano, sfinita.
«Scusa...»
Di cosa si stava
scusando?!
«Ti perdono...» -
disse lui sempre ridendo.
"Oh, se la sta spassando un mondo a
vedermi morta di sonno e in balia degli effetti soporiferi da
antipiretici!”
«Grazie...
gentilissimo...» - bofonchiò lei, chiudendo
per un
attimo gli occhi.
Solo un momento...
******
Era su una spiaggia. Sentiva il calore
del sole sulla pelle. Una spiaggia italiana... ne era certa, da qualche
parte nelle vicinanze sapeva che c'era Simone steso al sole. Ad occhi
chiusi giocava con i piedi nella sabbia bollente, sentiva scorrere i
granelli di sabbia sulle dita. Una mano calda le sfiorò il
collo e lei si girò di lato andando incontro a quella mano,
baciandone il palmo, sempre tendendo gli occhi chiusi. Le dita di lui
le sfioravano le labbra e lei con un sospiro le schiuse.
Attirò quella mano sul suo
viso, posandosela contro la guancia, strofinandovisi contro, lasciando
che giocasse con i suoi lobi, per poi spostarsi sulla pelle sensibile
dietro le orecchie, sul collo, tornando su le disegnò il
contorno dell'ovale, per spostarsi sulle palpebre ancora chiuse.
Come una falena attratta dalla luce,
si avvicinò al corpo di lui steso a pochi centimetri dal
suo. Gli posò una mano sul petto bollente, all'altezza del
cuore; la mano libera di lui le accarezzava la schiena nuda,
lentamente.
Alzò il viso cercando il
volto dell'uomo che era steso contro di lei; trovò il mento
ispido per la barba che stava ricrescendo. Con le labbra socchiuse lo
sfiorò, lenta verso il collo, strofinò il viso
lambendo con la lingua la pelle morbida e liscia, che sapeva di sale e
sole... un gemito roco le segnalò che era cosa gradita e lei
continuò lenta mordendo piano la carne sensibile... la mano
si spostò dal petto alla schiena, per scendere lungo la
colonna vertebrale fino ai glutei tondi e maschili, infilando la mano
impertinente all'interno del costume.
Un altro gemito roco e subito la mano
di lui posata alla base della schiena, la spinse verso il suo bacino,
lasciando che lei non avesse dubbio alcuno sulla situazione.
Le gambe erano intrecciate in un unico
groviglio di arti, con i piedi che giocavano ad accarezzarsi
così come facevano le mani... labbra leggere le sfiorarono
la fronte, il naso, scesero a toccare le labbra, la punta della lingua
le toccò brevemente, queste si schiusero in attesa del
resto...
Un sospiro contro quella bocca
invitante, il gemito roco di lui , una voce bassa che le sussurrava
all'orecchio.
«Lou... sei sveglia?»
«…»
Quella voce...
Lentamente, come le accadeva sempre,
tornò alla realtà con fatica.
Strano... stava facendo un sogno
bellissimo, pensava di essersi svegliata ma stava continuando a
sognare. Era ancora stesa contro il suo corpo caldo, una mano infilata
nel costume, quella di lui alla base del suo bacino, il viso
sprofondato nel suo collo, sentiva il battito del suo cuore accelerato
contro le sue labbra.
Aprì gli occhi. Era buio e
non era certamente su una spiaggia assolata, tanto meno in Italia. Era
sul divano di casa sua, accaldata e languida, schiacciata contro lo
schienale, abbrancata a Ville Valo, steso quasi su di lei... con una
mano dentro i pantaloni che gli teneva arpionato una chiappa e la
chiarissima consapevolezza che oltre a lei anche
“altro” era ben sveglio, qualcosa che pulsava
contro il suo ventre!
Era pietrificata dall'imbarazzo.
Voleva morire. Lì. Ora.
«Oddio... Mio Dio, scusa!» - mormorò con ancora il
volto affondato
nel suo collo. Un respiro secco di lui.
Lou ritrasse le mani dai posti in cui
le aveva infilate, le loro gambe ancora intrecciate, i bacini che si
toccavano. Lei non poteva muoversi, era schiacciata dal suo corpo, che
all'apparenza era molto magro, ma ora la copriva e la faceva sentire
così piccola.
«Non scusarti... - disse lui
con una voce ancora più roca e sensuale che nel sogno - mi
sono reso conto che dormivi solo... dopo...»
Sfilò lentamente le gambe
intrecciate alle sue e si mise seduto sul divano, con i gomiti
appoggiati alle ginocchia.
Lou si rannicchiò
vergognandosi come non mai nella sua vita. Che pensava di lei? Dopo
aver fatto la snob per tutto il tempo… che era successo?
Come si era ritrovata con le mani che vagavano ovunque...
deglutì forte al pensiero.
«Ehm...?»
«Sì?»
«...non capisco, scusa...
com'è che ci siamo ritrovati... in quelle
condizioni?»
«Stavi dormendo, ti ho messa
solo più comoda. Sei crollata come una pera... mi ero solo
steso accanto a te, ad un certo punto sono crollato anche io. Non
è colpa tua... Lou, non sentirti in imbarazzo, ok? Ehi...» - disse girandosi, guardandola con
disappunto vedendola con
il viso tra le mani.
«Smettila, dai non
è successo niente... davvero. Vieni qui...» - si
sforzava di non riderle in faccia, lo vedeva.
La tirò gentilmente verso
di sé passandole un braccio intorno alle spalle,
stringendola piano.
Lei era rigida tanto da spezzarsi, con
il viso nascosto tra le mani.
«Non è
niente.» - sussurrò lui contro i
suoi capelli.
Lou si sciolse dall'abbraccio e si
alzò esitante e malferma sulle gambe.
«Portami a
letto...» - disse a voce bassa.
«Co... come
scusa?» - gracchiò Ville.
«Sto male... portami a
letto, per favore.»- vacillò mentre lui la
afferrava
al volo e la portava in camera.
«Chiamo qualcuno, non ti
reggi in piedi!»- disse nervoso.
«No! Sto male, devo solo
mettermi a letto e stare al caldo. Non mangio da ieri e sono solo
debole. Non chiamare nessuno...»- gli disse mentre lui la
depositava sotto le coperte e gliele tirava fino al collo.
Era sicuramente fuori posto in una
situazione del genere.
Se non fosse stata tanto male, la cosa
l'avrebbe fatta ridere fino alle lacrime.
Lui rimaneva accanto al letto, con le
mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Ville?»
«Dimmi.»
«Ti posso chiedere una
cosa?»
Ormai biascicava cose senza senso, la
febbre alta.
«Certo.»
«Rimani qui con me stanotte?
Fino a che non mi addormento? Prometto di non toccarti più
il sedere...»
Lo fissava senza vederlo realmente,
con occhi
vitrei e intontiti.
La risata sommessa. Lui che entrava
sotto le coperte. E le posava il mento sulla testa.
Continuando a ghignare con la sua
risata strana.
La sua ninna nanna.
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
Ok
sono pronta ad immolarmi...
Ecco a voi Valo... finalmente è
spuntato fuori... come nei migliori film fa un'entrata ad effetto!
Lo so bene che le fan del Valo diranno: "Ma
Ville è allergico ai gatti!!!".... si lo so, ma questa
è la mia Fan Fiction e Valo fa quello che io gli dico di
fare!! :)
Come sempre voglio ringraziare le mie due
Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara, che mi sono con il fiato sul collo
perchè non riesco a finire il nono capitolo...Pazientate
ragazze: è un capitolo importante... e mi serve
ispirazione...
non dimentico le mie sorelle di sclero:
Concy, Tesò Nicky e Vale, Sele! Vi adovooooo assai sorelle,
sallatelo.
Che sarebbero le serate senza i nostri
neuroni incasinati?
Un grazie anche alle altre importanti amiche
che seguono la mia Fan Fic: Oriana, Marianna, Silvia, Margherita,
Ilaria, Mariangela e Laura!
Grazie per i vostri commenti e il sostegno!
<3
Grazie anche a chi legge, magari, e non
commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!
Non siate timidi e lasciatemi un commento o
un messaggio privato!
Ordunque... come sempre mi dilungo in
blatere senza senso... ma sono davvero contenta di aver pubblicato e
soprattutto di aver creato i miei personaggi: spero possiate amarli
come li amo io!
A presto, H_T
|
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Capitolo 5 *** Capitolo quattro - "Jade Kuume" ***
Capitolo quattro
"Jade
Kuume"
Tepore. Benessere. Beatitudine.
“Non
svegliatemi...”
Braccia che la stringevano.
“Uhm... sì,
voglio continuare a dormire... uffa...”
Aprì un occhio,
circospetta, temendo chissà cosa. Era giorno, sì.
E due occhi verdi a qualche centimetro
da lei la stavano osservando curiosi. Sbatté gli occhi
cercando di mettere a fuoco. Occhi alquanto allarmati.
Per un lungo istante si fissarono a
vicenda con disappunto. Poi un musetto peloso e nero che si muoveva
come per catturare il suo odore.
«A quanto pare anche
“Lei” ha nove vite come l'altro gatto...» - disse una voce maschile dietro di
lei.
“Oh,
porco...”.
Saltò su per lo spavento.
Maledetto lui e la sua voce.
Si girò con la grazia di
una camionista e il solito umore, gioioso come quello di un becchino.
Valo era appoggiato allo stipite della
porta, le mani in tasca e la guardava sereno.
«Buongiorno... ti senti
meglio?» - le chiese avvicinandosi con passo
elegante.
“C'è
qualcosa che non fa con eleganza e charme, questo?!”
«Sì, grazie, sto
meglio, che ci fa lui qui?» - chiese senza pause, indicando
il felino che si stava stiracchiando sul suo letto.
Il discorso più lungo che
avesse mai fatto in vita sua a soli pochi attimi dal suo risveglio.
«Lei, -
puntualizzò con voce bassa - non poteva rimanere sola
stanotte su quel divano, quindi l'ho portata qui.» -
sedendosi sul letto in modo naturale, come fosse una cosa che faceva
tutti i giorni.
«Tu sei rimasto a dormire
sul divano?» - chiese secca Lou.
«Sei di ottimo umore la
mattina vedo... no, ovviamente mi sono infilato accanto a te, come tu
mi hai chiesto, ti ho coccolata tutta la notte, mi hai fatto le fusa
come la gattina che hai di fianco e quando hai cercato di toccarmi il
sedere, di nuovo, ho dovuto tenerti le mani lontane da me... una
faticaccia.» - disse guardando distrattamente il
soffitto.
Lou annaspò boccheggiando
indignata.
«Che cosa?!» - la
voce le uscì gracchiante: sembrò quella di un
corvo che stesse strozzando.
«Quale cosa vuoi sapere per
prima? Della gatta, del perché ho dormito qui, o...
?» - chiese malizioso lasciando la frase
in sospeso,
guardandola con occhi brillanti.
«Che cosa avrei fatto io,
scusa?!»
«Intendi la prima o la
seconda volta?»
«INTENDO TUTTO!»
«Ah... sì, beh...
dai... mi hai solo toccato il sedere, a dire la verità me lo
hai strapazzato per bene, mi hai baciato, ti sei avvinghiata a me... e
se non ti avessi svegliata, chissà che avresti
fatto...»
Tirandosi le coperte addosso, gli
sgranò gli occhi in faccia, incredula.
«Mi stai prendendo in giro,
vero!? - chiese con un filo di voce - Non ho fatto nulla io...»
Tutta la rabbia e il fastidio di
trovarlo ancora in giro per casa sua defluirono come acqua, al ricordo
della notte e di quello che era successo.
Ricordava bene ora.
“OH- MIO- DIO! Ho
toccato il culo a Ville Valo!” - urlò
nella sua testa.
Lui alzò le spalle con
noncuranza.
«Non è mica la
prima volta che lo fanno.»
«Umpfh!»
«Hai detto che ti ho
baciato.»
«Sì.»
«Non è
vero.»
«Sì, che lo hai
fatto.»
«No.»
«Sul collo... ma mi hai
baciato. E stavi quasi per infilarmi la lingua in bocca...»
- disse cercando di non ridere.
«Piantala! Me lo
ricorderei se ti avessi baciato!»- strillò Lou
rossa fino alle orecchie.
«Davvero?»- si
girò puntandole quei laghi di giada sul viso.
“Ok... qui si gioca
sporco...” - pensò Lou senza fiato,
affogando inesorabile.
«Umpfh... -
sbuffò lei, scostando le coperte cercando di scendere dal
letto. - ti dispiace farmi uscire?!»
Il piumino era bloccato dalle sue
gambe lunghe e magre: lui non si scompose e rimase steso sul letto
tornando a guardare il soffitto.
«Ville, sto morendo di
fame... togliti!»
Con quanta facilità le
veniva di pronunciare il suo nome ora?
Ville si alzò si scatto
tendendole la mano.
«Vieni “Prinsessa”...
non vorrei che tu ricadessi indietro come stanotte.»
Lei fissò la sua mano come
un oggetto pericoloso ma si affidò, prendendogliela con aria
diffidente.
“Come mi ha
chiamata?!”.
«Prometto di non
mangiarti... per ora.» - disse lui con un ghigno e la voce
cavernosa, guidandola in cucina-salotto.
«Grazie, è
confortante saperlo... oh!»
Lou non riusciva a credere ai suoi
occhi! Sul basso tavolino c'era un vero e proprio banchetto, ricolmo di
dolci: croissant, biscotti e perfino una tazza con un delizioso profumo
di... cappuccino!
Si girò verso il suo
infermiere.
«Non dirmi che hai preparato tu?!»
«Ovviamente no. Ho ordinato
tutto nel più vicino bar- caffè.»
Commossa ed eccitata come una bimba,
si
avvicinò alle cibarie e prese subito la tazza di cappuccino
tra le mani come una reliquia... che delizia!
La gola le bruciava e riusciva a
deglutire a fatica, ma si gustò quel sorso come un carcerato
fa con una d'aria boccata.
Quanto le mancava l'Italia!
«Grazie... sei davvero
gentile.»- gli sorrise per la prima volta
sinceramente grata.
Che pensiero carino...
«Lieta di servirla, “Prinsessa”...»
- rispose con un inchino che faceva eco alla sua riverenza.
Quando rialzò il viso,
aveva un'espressione che le fermò il latte in gola... quegli
occhi erano capaci di farle perdere del tutto il controllo sui suoi
neuroni.
«Ora devo andare...
è probabile che qualcuno abbia già chiamato la
polizia non sentendomi e non trovandomi in casa... ho lasciato il mio
telefonino a - esitò per un istante - … casa,
ieri notte. La gattina, per ora lasciamola tranquilla ma se a te non
spiace; vorrei portarla da un veterinario e assicurarmi che stia
bene... tornerò nel pomeriggio.»
«Ma no... tranquillo, appena
starò bene ci penserò io a lei. Tu avrai altro di
più importante da fare che occuparti di una gatta...»
«Lou?»- il punto
di domanda nella sua voce .
“Oh signore
com'era bello sentirgli pronunciare il suo nome!”.
«Sì?» -
squittì lei.
«Lascia che sia io a
decidere cosa è o no importante per me... ok?»
Il tono era gentile ma lei
capì che era uno cui non si poteva dare ordini, a meno che
lui stesso non lo volesse.
«Ok...» - rispose
lei, mesta.
«Fai la brava... - le disse
avvicinandosi - mettiti a letto e copriti bene...»
Le prese un lungo ricciolo oro rosso
tra le dita accarezzandolo per tutta la lunghezza, lo
sollevò alle labbra baciandone la punta, a occhi bassi.
La lasciò ricadere
dolcemente e si allontanò verso l'uscita, senza dire
nient'altro.
Lou rimase con il cuore in gola, la
tazza di cappuccino in una mano e un croissant morso nell'altra, le
gambe tremanti e lo stomaco pieno di falene impazzite.
“Valo 1
– Lou 1”.
Ancora con le gambe molli
tornò in camera da letto e guardò la creatura che
nel frattempo si era appisolata di nuovo.
«E ora che ci faccio con
te?!”
Stendendosi di nuovo sotto le coperte
si mise a rimuginare come faceva sempre nei momenti di crisi.
“Allora: qui la situazione
non mi piace affatto. Lou, pensiamo!".
Punto 1: che è sta
confidenza che si prende? Viene a casa mia come se niente fosse, mi
piazza un gatto e poi se ne va;
Punto
2: si appropria del mio divano e dice che gli sono saltata addosso;
Punto
3: dorme nel mio letto e mi ribadisce che l'ho molestato.
Punto
4: mi ordina una colazione che farebbe sciogliere i cuori
più duri e poi mi lascia sola con la gatta ma promette di
tornare.”
“Come osa?”
Lou era irritata, affascinata,
spaventata, elettrizzata, lusingata... tutta colpa di quell'uomo. Aveva
passato in sua compagnia meno di dodici ore e l'aveva gettata nella
confusione più totale!
Si sentiva in colpa con Nur: come
avrebbe detto alla sua amica di quello che era successo? Ok, non era
stato niente di che.
“Ne sei sicura?” - le disse la sua vocina interna.
Si sentiva ancora avvampare al
ricordo. Scosse la testa per scacciare le immagini che le tornavano in
mente.
La sensazione dei loro corpi vicini le
era stata fin troppo familiare...
Si erano incuneati come due pezzi di
un puzzle, con il viso sprofondato nel suo collo si era sentita beata,
ascoltando il ritmo del suo cuore che batteva oltre gli strati di
pelle, vasi sanguigni e muscoli, contro le sue labbra...
E il braccio
di lui che la stringeva...
Le veniva da piangere.
Tutto quello che lui aveva fatto e
detto in quelle poche ore non le era sembrato per niente scontato,
studiato... da come aveva reagito alle cure del gatto, a lei che gli si
era avvinghiata in preda ai deliri da medicine e dei suoi sogni
erotici, al fatto di essere rimasto quando glielo aveva chiesto, alla
colazione, la promessa che si sarebbe occupato della creaturina mentre
lei stava male... come può un uomo essere così
diverso da tutti , speciale eppur così semplice?
Era grave che lei stesse lì
nel suo letto a pensare a lui, dopo solo qualche ora passata insieme, a
ricordare le inflessioni, le sfumature della sua voce e gli sguardi che
le aveva lanciato per tutto il tempo.
E la cosa più grave ed
irritante di tutto era che lei non vedeva l'ora di rivedere i suoi
occhi di giada.
******
Qualche ora dopo il suo cellulare
squillò insistente per lunghi minuti, ma lei ancora persa
nelle sue elucubrazioni non aveva nessuna voglia di rispondere.
Alla terza volta che provavano a
chiamarla lei guardò il cellulare, irritata: era Mat!
Aveva completamente dimenticato di
chiamarla!
Ora l'avrebbe strigliata a dovere!
Rispose dando alla sua voce un'aria sofferente per evitare la sfuriata
della sua Draghessa.
«Matleena...»
«Lou. Stai bene?! Eravamo
preoccupati: non ti sei fatta sentire. Come stai?»
“Eravamo?!”
«Sto meglio, Mat, ma ho
ancora la febbre... se hai bisogno di me arrivo subito.»
«Non provarci neanche: non
mi serve uno zombie febbricitante in giro per la galleria. Ho chi ti
sostituisce e anche se non svolge il lavoro come faresti tu, ce la
stiamo cavando.»
«Com'è andata
l'inaugurazione?»
«Bene, molto bene, anche se
Julian ha tenuto il muso perché mancavi tu... - disse
abbassando la voce con tono cospiratorio – mi ha chiesto la
tua mail: ho sbagliato a dargliela? Anzi mi aveva chiesto il tuo numero
di cellulare ma non ho accettato, non sapendo come avresti reagito.
Penso si sia preso una bella cotta per te.»
«Hai fatto bene a non dargli
il numero Mat, non ho voglia di contatti di nessun tipo che non siano
professionali...»
“Dimentichi la mano sul
sedere del Valo?!”
«... e poi non ero in grado di avere
nessuna conversazione decente e razionale ieri... stavo troppo
male.»
«Sono spiacente tesoro, ora
devo lasciarti. Ti ho chiamata per dirti che devi tornare solo quando
starai meglio: hai sempre fatto tutto il possibile per me, so che se
sei lì è perché stai male sul serio,
non sentirti in colpa ok?»
«Grazie Mat, sei sempre
così dolce con me...» - disse commossa.
«Shhht, non dirlo in giro o
dovrò liberarmi di te!» - disse l'altra a bassa voce,
in tono scherzoso.
Se solo i suoi colleghi avessero visto
Mat in quel momento, avrebbero stentato a credere ai loro occhi.
«Va bene: sarà il
nostro segreto!»
«Ehi, ora devo andare...
rimettiti presto, ok? Ah: qui c'è Julian... mi ha chiesto se
poteva passare da te, per salutarti e vuole accertarsi di persona che
tu stia bene. Che cosa devo dirgli?»
“Oh cacchio!”
«Ehm... digli che sto bene e
che non è necessaria una visita a domicilio, che presto
tornerò al lavoro - disse esitante – Non voglio
offenderlo, è stato così carino con me. Digli che
risponderò alla sua mail non appena la leggo...»
“Che bugiarda
impenitente...”
«Ok, riferirò...
a presto, Lou.» - attaccò senza aspettare
risposta.
«A presto...»
In quella confusione ci mancava solo
Julian e la sua solarità spiazzante!
La gattina di nuovo sveglia si stava
lamentando e Lou ad un tratto si ricordò che forse era
giunta l'ora di darle da mangiare. La prese con sé
portandola in cucina e con una vaschetta dei surgelati vuota ne
improvvisò una vaschetta per i bisognini e la
riempì di riso: l'unica cosa che aveva in casa a fare da
sabbia.
Fece mangiare la trovatella, che era
molto più viva del giorno precedente: decisamente viva e
vegeta, quando lei non avrebbe scommesso mezzo euro che se la sarebbe
potuta cavare.
Subito dopo la sistemò su
un cuscino nei pressi del calorifero, dove tornò ad
acciambellarsi e a dormire.
Decise di fare una doccia e dare una
pulita in giro, nel caso Valo fosse tornato.
Lo stomaco le si
contrasse al pensiero dei suoi occhi, delle labbra che si stendevano
lentamente in su per un sorriso.
“Oh, al
diavolo!”.
Si diresse in bagno a passo di marcia.
Fece una doccia calda, lavò
i capelli che asciugò con cura e mentre si guardava allo
specchio era quasi sul punto di darsi del trucco, ma reagì
stizzita con se stessa.
Doveva rimanere a casa, no? Che senso
aveva truccarsi? Solo perché Valo le aveva detto che sarebbe
tornato e lei voleva apparire ai suoi occhi più carina?
Decisamente la cosa le stava dando fastidio.
Decise di mettere solo della crema
colorata, per coprire il colorito giallastro del viso e le occhiaie
viola sotto gli occhi.
“Imbrogliona...”.
Cambiò le lenzuola del
letto: prima di toglierle fissò il punto del cuscino dove
LUI aveva posato la testa e si diede della stupida idiota quando stava
per prendere il guanciale e provare a sentire se c'era ancora il suo
odore sopra.
“Lou. Stai
notevolmente esagerando: datti una calmata!”.
Tolse con uno scatto deciso la federa
e la gettò stizzita sul pavimento.
Passò in cucina e mentre
puliva alla meglio, sbocconcellava i biscotti e altre delizie che lui
le aveva procurato.
“Valo... sei un mistero... e
sei deliziosamente letale.”.
Si lasciò andare sul divano
ma anche quello portava ricordi.
Cercò di arginare i
sentimenti e le emozioni che arrivavano ogni volta che vi si lasciava
andare. Con un sospiro pensò di distrarsi leggendo qualcosa
ma il cervello si rifiutava di collaborare e vagava già dopo
le prime righe...
Provò ad accendere la tv
sintonizzandola su un programma musicale.
Andava decisamente meglio
così, guardando distrattamente.
Chiuse gli occhi lasciandosi cullare
dalla musica dolce dei Coldplay e di “Fix you”
una
canzone che le piaceva molto.
Un altro brano. Molto meno dolce,
visti i suoni duri e rock.
E poi una voce che cantava.
Spalancò gli occhi saettando con lo sguardo sullo schermo
e... rimase a bocca aperta.
Il suo vicino di casa, salvatore di
micette e infermiere improvvisato di donne stupide che giocavano nella
neve come bimbe, cantava una cover di “Wicked game”
di Chris Isaak.
Un Ville giovane, al centro di uno
scenario gotico, con i capelli lunghi sulle spalle, degli orribili
orecchini tondi a entrambe le orecchie... sempre magro e longilineo ma
il viso più pieno di ora, come le labbra, carnose e sensuali.
La fessura tra i denti, e l'aria di
bello e maledetto in mezzo a fiocchi di neve e dark lady con aria seria
e vagamente tenebrosa.
Un tatuaggio sul basso ventre messo in
mostra lasciando sapientemente scostata l'attillata maglietta nera...
Abbracciato a donne vestite di lunghi abiti bianchi svolazzanti nella
tempesta che infuriava intorno a loro... Ville bagnato sotto la
pioggia...
"Che gioco cattivo da fare
Per farmi sentire
così
Che cosa cattiva da fare
Per permettermi di
sognarti
Che cosa cattiva da dire
Non ti sei mai sentito
così
Che cosa cattiva da fare
Per farmi sognare te...
”
Per diversi minuti rimase ferma e
immobile, anche quando sullo schermo iniziò un nuovo brano,
lei continuava a sentire la voce di Valo e le parole del brano che
sembravano una condanna e una predizione. Nascose il viso sotto il
braccio e si distese.
Accidenti a lui: era ovunque intorno a
lei!
Una smania improvvisa di conoscere le
sue canzoni, la sua carriera, la sua vita e tutto quello che lo
riguardava la travolse e si trattenne dal volare al pc per iniziare le
sue ricerche.
Ogni volta che qualcosa la
incuriosiva, si gettava anima e corpo in ricerche e per giorni o
settimane intere non faceva che cercare nuove notizie, ogni cosa del
passato e del presente, spulciando nella rete come un segugio.
Doveva rilassarsi.
“Rilassati Lou...”.
La sua voce dalla mente non voleva
proprio andarsene.
Si alzò stancamente per
prepararsi il pranzo; non aveva granché fame, vista la
colazione più che abbondante, ma cucinare la distraeva e
rilassava sempre.
In piena ondata nostalgica per la sua
Italia preparò il sugo di pomodoro come le aveva insegnato
la mamma e mise l'acqua per la pasta a fuoco molto basso
così da impiegare tempo per arrivare a bollire e lasciarla
vagare ancora nei meandri della sua testa già intasata.
Un suonare insistente al citofono la
fece saltare dallo spavento.
“Ville!
- pensò con il cuore che andava a mille - Ok
calma: respira Lou, respira...”
Fece un respiro che somigliava
più a un singulto e andò ad aprire il cancello,
per vedere che non era Valo ma Julian che le andava incontro con un
sorriso a trentadue denti e in mano un enorme mazzo di rose bianche.
******
«Mia Eva... - le disse
parandosi davanti con gli occhi scuri che vagavano sul suo viso - Hai
ignorato la mia mail, per caso?»
«Julian, che ci fai qui? Non
era necessario che tu venissi...- rispose tesa fissando le rose che le
tendeva con gesto galante – Ti avrei risposto appena
potevo!»
«Uhm... sbaglio o non sei
felice di vedermi? Scusa, forse avrei dovuto evitare di seguire come
sempre il mio istinto... ma avevo così tanta voglia di
vederti e sapere come stavi. Perché stai meglio
vero?»
«Sì grazie, sto
meglio... accomodati Julian, non rimanere sulla porta.» -
disse Lou, cercando di dissimulare il fastidio: non le piacevano le
sorprese. Mentre stava per chiudere la porta, vide il Sig. Korhonen
affacciato alla finestra che la salutava con la manina e lei, un po'
perplessa gli rispose con un sorriso.
«Grazie per le rose... sono
bellissime» – disse Lou piano, mentre
le prendeva
dalle mani di un Julian silenzioso e a disagio e le sistemava
nell'unico vaso presente in casa.
“Accidenti a lei e al suo
caratteraccio che non nascondeva niente a chi la osservava!”.
«Scusa.» - disse
lui improvvisamente.
Colta in fallo e sentendosi in colpa
Lou iniziò come al solito a cincischiare con parole senza
senso.
«No, non volevo darti
l'impressione di non essere gradito, ma non dovevi... hai tante cose da
fare, non puoi perdere tempo.»
«Lou, cosa ti fa pensare che
per me sia una perdita di tempo? E poi so che non
“dovevo” ma “volevo”...
c'è una bella differenza.» - rispose aggrottando
le sopracciglia.
“Ecco: sei sempre
la solita genia.”
Come faceva a dire sempre la cosa
sbagliata nel momento sbagliato, ancora doveva capirlo... avvicinandosi
ai fornelli diede un giro di cucchiaio al sugo, che rischiava di
bruciare, guardandolo di soppiatto.
«Allora grazie per essere
passato...e per esserti preoccupato per me. Sei come sempre carino e
gentile.» - disse con un tono che
cercò di rendere
il più possibile naturale e gioioso.
«Prego... sei sicura di
stare bene? Sei tesa come una corda di violino, più del
solito... - disse lanciando uno sguardo al pranzo che stava preparando
– non vorrei aver sbagliato anche i tempi. Aspettavi
qualcuno?»
«No! - rispose lei
incespicando nella fretta di negare – No, non aspetto
nessuno... sto solo preparandomi qualcosa da mangiare, visto che non lo
faccio da due giorni... tu hai già pranzato?»
Forse fu per sentirsi meno in colpa e
per farsi perdonare che lo invitò a restare a pranzare con
lei, o forse era solo un modo per non sentirsi sola ed evitare di
pensare a cose e “persone” che era meglio tenere
lontano dalla sua testa.
Come si aspettava, Julian rispose al
suo invito con gioia e si offrì di aiutarla in cucina,
tornando immediatamente di buonumore e ciarliero.
Le raccontò emozionato
dell'inaugurazione della mostra, dei fotografi e della bella
giornalista che lo aveva intervistato, gongolando non poco del fatto
che lei oltre tutto gli aveva fatto chiaramente intendere che era
interessata ad approfondire l' “intervista” anche
in forma privata e che avrebbe mandato il servizio quella sera sul
canale nazionale.
Lou si rilassò pian piano,
pensando che alla fine era un bene per lei che lui fosse lì;
la stava come sempre corteggiando con allegria, ma nessun malessere e
soprattutto nessuna farfalla impazzita nello stomaco.
Lei gli raccontò della
gattina, evitando però di dire che non era sola quando
l'aveva trovata e soprattutto omettendo che Valo aveva passato l'intera
notte precedente con lei a farle da baby-sitter e infermiere... Julian
coccolò distrattamente la gattina, che gli piantava le
unghiette sulle mani appena lui si avvicinava per accarezzarla.
«Accidenti se è
aggressiva...»- disse fingendosi offeso, per
l'ennesima
unghiata.
«Lasciala in pace, Julian:
– disse ridendo Lou – ha avuto una nottataccia! Se
vuoi fartela amica devi almeno provare a darle da mangiare!»
- disse passandogli la siringa che conteneva il preparato.
«Anche tu non mi sembri in
gran forma... sei stupenda ugualmente! – aggiunse subito
notando l'aria scettica di Lou – Ma hai una faccia stanca
come di chi ha dormito male... o fatto sesso tutta la notte!»
- aggiunse ridendo malizioso, mentre schivava lesto le unghiate della
selvatica gatta cercando di farla mangiare.
«Ah beh, mi hai scoperta,
accidenti!» - rispose lei arrossendo, pensando al
sedere del
Valo.
«Non darmi questo dolore, ti
prego! Lasciami credere che tu sia una principessa indifesa e che stai
aspettando il pirata che ti porterà via con se per i mari
del mondo!»
«Assolutamente
sì, mio Diabolik!»- rispose pentendosi subito per
le false speranze che forse gli stava dando, ma lui la guardava in
maniera semplice, come se non avesse colto l'implicazione.
Il vino rosso che avevano aperto non
la aiutava a rimanere seria, e questo unito ai farmaci e alla compagnia
spensierata e solare di Julian le faceva girava la testa, ma si stava
divertendo come sempre.
Dopo una notte movimentata e il
risveglio “a sorpresa”, era a suo agio e non
pensava a nulla se non alle baggianate che Julian le stava raccontando
a raffica, sui suoi amori passati e su pirati affascinanti che erano
alla ricerca di principesse dai capelli oro rosso e ricci da salvare.
Non si rese conto del tempo che
passava e quando qualcuno suonò al citofono,
guardò Julian con l'espressione di “E
adesso chi è?” che lui
ricambiò con quella “A me lo
chiedi!?”.
Si avviò barcollando e
ghignando ad aprire, pensando con un angolo della sua mente annebbiata
che forse era Valo che veniva a prendere la gattina...
E, in effetti, un Valo ancora
più affascinante di quella mattina, vestito di nero dalla
testa ai piedi come un corvo, le veniva incontro sul viale coperto di
neve, camminando con passo felino ed elegante.
“Accidenti!
- pensò Lou guardandolo a bocca aperta - Mi sono
mancati i tuoi occhi... ”
«Ti avevo promesso che sarei
passato, ma ho fatto più tardi di quanto volessi... ti senti
meglio?» - le chiese con la sua voce da
brividi, con un
sorriso lieve sulle labbra.
«Ciao! Oh!
Sì!Scto meglio!» – biascicò
Lou.
Lui sollevò un
sopracciglio, palesemente perplesso, guardandola in attesa che lo
invitasse ad entrare.
«Oh. Sì, entra
pure, vieni.» - gli disse facendosi da parte,
improvvisamente
lucida e sobria.
E ancora una volta mentre stava per
richiudere l'uscio, c'era il Sig. Korhonen appostato dietro la finestra
che la salutava.
“È solo
un caso o
ogni volta che qualcuno viene a casa mia, lui è
lì?!”
«Come sta la nostra amica?» -
le chiese a voce bassa Ville mentre entrava disinvolto in salotto per
trovare un Julian, che con un bicchiere di vino tra le dita scure e
affusolate e la siringa nell'altra mano, dava da mangiare alla
“loro amica”, spaparanzato sul divano.
Valo si fermò
immediatamente.
Lou lo superò parandosi
davanti agitata e con voce stridula fece le presentazioni.
Ville sembrava poco interessato
all'ospite ma i suoi occhi mandarono lampi verdi nel vedere che stava
toccando la “sua gatta”.
Julian dal canto suo, non appena mise
a fuoco chi era appena entrato saltò su, versandosi
metà bicchiere di vino sulla camicia bianca.
Risultato: una macchia viola
all'altezza del cuore.
«Oh mio dio! Ma... ma
lui...» - lo indicò a Lou tutto
agitato, come se
non le fosse abbastanza chiaro di fosse.
«Ville, lui è
Julian Ramos, un bravissimo artista spagnolo che ospitiamo nella nostra
galleria; esporrà qui per due mesi... Julian, tu sai bene
chi è, è inutile che te lo presenti.» -
disse Lou cercando gli occhi di Ville che continuava a tenere gli occhi
fissi sulla micia, come se nessuno di loro due avesse parlato.
Silenzio.
Julian posò il bicchiere
sul tavolino basso, posò la siringa e tese la mano,
sorridendo a Valo, che ignorò la sua mano tesa per qualche
istante di troppo.
Poi ritrovò a un tratto
tutto il suo charme e gli sorrise, dandogli una stretta di mano.
«Piacere di conoscerti
Julian e benvenuto in Finlandia.» - disse, lievemente
ironico.
«Ma il piacere è
mio, cavolo! Io sono un vostro fan! Davvero! Da sempre! Non ci posso
credere!»
L'incontenibile entusiasmo non
scalfiva affatto
la calma del Valo che con eleganza glissò il fiume di parole
e complimenti di Julian e si spostò verso il divano,
piegandosi a controllare il fagotto.
Fagotto che iniziò a fare
le fusa e amoreggiare con lui, non appena la toccò.
Lou e Julian lo guardavano in silenzio
mentre con un sorriso quasi invisibile infilava le dita nelle fauci
della micia che gli si strofinava contro la mano.
Accortosi forse del loro silenzio
prolungato e imbarazzato, alzò la testa guardando in
direzione di Lou, ma fissando un punto imprecisato dietro la sua testa.
«Hai detto la
“nostra galleria”? Non sapevo che avessi una tua
galleria...»
«Non è mia... -
rispose Lou stordita per la sua freddezza - ci lavoro soltnto. E Julian
è uno degli artisti che sono in esposizione al momento...
è molto bravo sai? Dovresti visitarla...»
“Ma che sto
dicendo!?”
«Quale galleria?»
- chiese ancora.
«Il Museum of Contemporary
Art Kiasma.» - rispose Lou.
«Capisco. Verrò
senz’altro a vedere le tue opere, Julian: è il
minimo che possa fare per un fan così affezionato del
resto...»
«Dice sul serio, Sig. Valo?!
- chiese Julian, eccitato come un ragazzino sgranandogli gli occhi neri
in faccia. Ma è stupendo! La ringrazio!»
«Non ringraziarmi e...
chiamami Ville, per favore.» - disse, gentile.
«Ma certo! Ville... oh
cavolo... – ridacchiò Julian, passandosi una mano
tra i capelli neri – Ville! Lou! - si girò verso
di lei che invece guardava le spalle di Ville - Lo accompagnerai tu non
è vero, non appena starai meglio?»
Ville tornò ad abbassare
gli occhi sul gatto, evitando di guardarla, mentre lei cercava una
risposta sensata.
«Certo se al Sig. Valo va
bene, lo guiderò con piacere alle tue opere,
Julian...» - disse Lou mordendosi le labbra
nervosamente.
«Perfetto! Allora
è tutto a posto! Wow... ancora non riesco a crederci di
averti conosciuto, cavolo!»
Julian continuava a blaterare
senza sosta. Ville si alzò con il
fagotto della maglia con gatto e si avviò alla porta,
salutando Julian con un cenno della testa.
«Ci vediamo presto,
Julian... buona... continuazione.» - aggiunse.
«A presto, Ville!»
- ricambiò il saluto Julian scandendo il suo nome trionfante.
Lou gli andò dietro.
«Dove la porti? Voglio
sperare che poi la riporti qui... vuoi che venga con te?»-
gli disse mentre lui continuava senza fermarsi né voltarsi
indietro.
«Ville?! - lo
chiamò allarmata Lou – Mi hai sentita?»
Valo si fermò al centro del
vialetto, voltando appena la testa nella sua direzione.
«Ho sentito Lou... la porto
indietro, tranquilla... vorrei solo assicurarmi che stia
bene.» - uscì dal cancello senza una parola in
più.
“Ma che cavolo...
che ti prende Valo?!” - pensò Lou
sbattendo gli occhi perplessa.
Richiuse piano la porta dietro di
sé... tornando da un Julian ancora eccitato ed esultante per
aver conosciuto il suo cantante preferito.
Lei sorrise del suo entusiasmo fino a
che lui con un'occhiata all'orologio, mezz'ora dopo, le disse che
Matleena lo stava aspettando in galleria e che l'avrebbe chiamata
quella sera stessa (dopo averle strappato il numero di cellulare), per
darle la buonanotte.
La salutò con un baciamano
e andò via con una camicia rovinata ma l'umore alle stelle.
Uno strano mal di pancia le prese
all'improvviso la bocca dello stomaco. Non riuscì a capire
per molto tempo che cosa non le era piaciuto da quando Ville era
entrato fino a che era andato via: poi alla fine le venne in mente che
per tutto il tempo lui non l'aveva più guardata in faccia,
negandole gli occhi.
E la giada.
******
Angolo di
quella che pensa di essere autrice:
Bene
eccoci qui... state ancora ridendo per Lou alle prese con le terga
Villiche?! :D
La nostra eroina ha a che fare con Valo sempre quando
non è in sè, a quanto pare!
Non che quando è sobria risolve meglio... e
poi "Occhi di Giada" fa sempre questo effetto su noi povere donnine
indifese... U,u
Julian non piace proprio a nessuna eh?! E se li facessi
mettere insieme?!?! (sente l'urlo delle Sisko dietro la schiena e
schiva lance e pugnali);
*me è sadica sisisi*
Doverosi i ringraziamenti come sempre per le mie due
Beta: Cicci-Vivi e
Pulci-Sara; come farei senza di voi?!
Grazie anche a SeleValo e alla
grande Echelena "Sciamana
degli Ormoni" e Arwen 85, aka Sistwer!!
Anche per te una menzione speciale Lady
Angel 2002: grazie per i complimenti e per la
fiducia, anche se non sei fan del Valo o degli Him! ;)
E invece tu si che sei fan: bacissimi e grazie anche a
te Villina 92!
Un grazie enorme anche alle mie patatine: Tesò
Nicky, aka Apina Curiosa, aka stalker, aka terza
testa del "Cerbero", (le sue recensioni meriterebbero una fan fic a
parte!!XD) ;
Ilaria,
Margherita, Silvia-Love, Marianna e Fenghera (che
oggi ha ribattezzato Julian = per gli amici Enzo...) O.O.... ancora
rotoliamo dalle risate! XD
Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere
che ne pensate di questa storia!
Non siate timidi e lasciatemi un commento o un
messaggio privato!
*H_T*
*Per chi non conoscesse il video che fulmina Lou eccolo qui: Wicked
Game - Him
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Capitolo 6 *** Capitolo cinque: "Moonlight" ***
Capitolo
cinque
"Moonlight"
Lou aspettò per tutto il
resto del pomeriggio che Valo portasse a casa la micia e le facesse
sapere com'era andata la visita, ma inutilmente.
Passeggiò nervosa a tratti:
si sedeva sul divano a guardare la tv o a leggere una rivista, andava
alla porta finestra, tornava indietro e ricominciava.
Alle otto di sera iniziò a
maledire Valo.
Era preoccupata da morire;
sbirciò la torre ma questa sembrava vuota e nessuna luce
veniva dall'ultimo piano.
“Stupido borioso
di un finnico!” - pensò furiosa.
Furiosa con se stessa
perché voleva vederlo.
“Ti stai andando a
cacciare in guai seri, Lucia... lascia stare: questa roba non fa per
te!”
In compenso l'influenza sembrava
passata del tutto, improvvisamente... l'indomani sarebbe tornata al
lavoro e alla normalità: stare troppo tempo a casa a
ciondolare in preda ad ansie e pensieri sul suo vicino di casa non le
giovavano affatto!
Per ingannare il tempo senza
torturarsi le unghie e consumare il percorso dal divano alla finestra,
si struccò e si preparò per la notte, rendendosi
conto di essere più stanca di quanto pensasse.
Cenò con la colazione che
LUI le aveva lasciato quella mattina, deglutendo a fatica i bocconi.
La camomilla non fece nessun effetto
sui suoi nervi, continuava a camminare su e giù per casa.
Alle nove e trenta si arrese al fatto
che Valo quel giorno non si sarebbe sicuramente fatto vivo:
demoralizzata, frustrata e con un groppo in gola
s’infilò a letto alle nove e 47.
Non era mai successo in tutta la sua
vita.
Quando si svegliò, il
mattino successivo un pallido sole si affacciava dalle nuvole bianche e
vaporose; Lou dopo una doccia veloce e un'opera di restauro non
indifferente, uscì da casa per passare in galleria, dove
Matleena e Julian la accolsero con un sorriso d’autentica
gioia, in special modo Julian…
«Che ci fai tu qui?
– le disse Mat andandole incontro e stringendola in un
abbraccio. I suoi colleghi alla visione si bloccarono immobili per
qualche istante sul posto, allibiti, ma scattarono immediatamente
tornando al lavoro non appena Mat, come se avesse avuto gli occhi anche
dietro la testa, si voltò fulminea. – ti avevo
detto di tornare solo quando saresti stata meglio! Non puoi essere
guarita in un solo giorno! Ma sono felice di vederti e... sono sicura
di non essere la sola!»
«Sto bene... - rispose Lou
ridendo sotto i baffi – Mi annoiavo a casa ed eccomi
qui!»
«Lou...- sospirò
Julian avvicinandosi con un sorriso brillante – sono contento
che stai meglio! Matleena, sapevi che la nostra Lou è intima
di Ville Valo, il cantante degli HIM?»
«Non sono intima.
– precisò Lou, arrossendo – È
solo il mio vicino di casa.»
Mat la guardò per un
attimo, interdetta.
«Conosci
quell’avanzo di galera?»– disse
scoppiando in una risata.
«Come scusa? –
balbettò Lou fissando Mat con disappunto – Come
avanzo di galera?»
Matleena scoppiò a
ridere.
«È stato mio alunno, quando
insegnavo arte; per un breve
periodo a dire la verità. Subito dopo ha smesso di venire a
scuola. Un ragazzo che già allora aveva delle
potenzialità, che si è perso per strada ma alla
fine si è ritrovato spero... sono anni che non lo vedo.
Prima passava a salutarmi di tanto in tanto.»
«Eri la sua
insegnante?!» – esclamarono in coro Lou e
Julian.
«Sì... non
capisco il perché di quelle facce.»
In effetti non avrebbero dovuto
stupirsi più di tanto: erano loro che comunque vedevano Valo
come una star irraggiungibile o comunque non alla portata dei comuni
mortali.
«È solo che non
sapevo lo conoscessi, Mat... tutto qui!» – rispose
piano Lou.
Era scappata via da casa proprio per
non pensare a lui e tutti intorno a lei non facevano che
ricordarglielo.
«E non solo: –
aggiunse Julian gongolante – ha anche promesso che sarebbe
venuto a visitare la mostra, accompagnato da Lou ovviamente!»
«Davvero? – chiese
Mat guardando attentamente Lou e la sua espressione – Beh, se
mai avvenisse, non voglio perdermi questo evento! E ora... al lavoro.
Tutti e due.» – ordinò Mat,
tornando
Draghessa in mezzo secondo.
Finita la ricreazione.
Per Lou fu un sollievo: tornare al
lavoro, un lavoro che lei amava molto, la distraeva sempre dai pensieri
cupi e dalle ansie.
Arrivò sera prima di
rendersene conto.
Julian come sempre si offrì
di accompagnarla a casa ma lei rifiutò con gentilezza e
tatto, dicendogli che preferiva andare con il tram e che doveva passare
al super per fare la spesa.
Lui non insistette, ma la delusione
era evidente sul viso.
Ovviamente non c'era nessuna spesa da
fare; come sempre ricorrere alle balle anche se innocue non la faceva
sentire a suo agio, ma questo faceva parte del gioco. Se voleva che il
suo spazio vitale fosse vivibile, quello era l’unico
compromesso con se stessa.
Scese una fermata prima. Aveva voglia
di camminare e le piaceva farlo quando c’era la neve.
Fin da piccola, era come se fosse il
suo habitat naturale: cresciuta in una cittadina di montagna, era
abituata al freddo pungente, anche se lì era molto
più accentuato rispetto al posto in cui era nata.
Arrivata davanti al cancello,
ritirò la posta che trovò nella cassetta,
sfogliandola mentre percorreva il vialetto.
Bollette, pubblicità,
riviste di Nur che puntualmente non leggeva, opuscoli, una cartolina di
Simone con un’opera d’arte sopra, con su scritto il
messaggio a caratteri cubitali “Sto arrivandooo!!!”
ed infine un foglio color crema senza busta, ripiegato a
metà.
Lo aprì curiosa.
“La gatta sta
bene. Stanotte dorme da me. V.”
Ville.
Allora era passato e non
l’aveva trovata...
Fissò quel pezzo di carta
che le tremava tra le mani.
Accidenti a lui: bastava che qualcuno
lo nominasse, o che sentisse il suo nome per mandarla nel pallone.
Sfiorò con la punta del dito la sua inziale, con un sospiro.
“Che mi hai fatto
Valo?” – pensò entrando
lentamente dentro casa.
Con uno sforzo enorme resistette alla
voglia di guardare verso la torre.
******
La notte fuori casa della gatta
diventarono due, poi tre.
Erano passati dieci giorni e Valo non
si era fatto vedere, né aveva dato segni di vita. La torre
restava spenta, tanto che Lou credeva che lui non fosse in casa,
partito per chissà quali lidi insieme alla
“loro” gatta.
Ma il suo sesto senso le diceva che
invece lui c’era; semplicemente la stava ignorando o non
pensava a lei e al fatto che magari avrebbe voluto almeno sapere che
fine avesse fatto lui o la trovatella.
Stizzita ed irritata, era stata molte
volte sul punto di attraversare i cinquecento metri che li separavano e
bussare
come un’ossessa alla sua porta.
Non era nel suo stile presentarsi a
casa di qualcuno senza invito: specie qualcuno che lei voleva evitare,
ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di rivedere.
Nur non tornò come aveva
promesso: le telefonò annunciandole che aveva avuto problemi
con la compagnia e che le toccava fare la brava se voleva il
trasferimento in tempi brevi, quindi accettare i voli e gli
straordinari che ogni giorno le propinavano, con sadica determinazione.
Sbroccò non poco e Lou
sopportò la sua filippica per venti minuti prima che
qualcuno la richiamasse al dovere.
Passò quel fine settimana a
concludere con fatica, il quadro che doveva spedire in
Italia… la sua ispirazione era andata a farsi friggere e
passò ore ed ore con il pennello in mano a fissare la tela
incompleta.
Per fortuna in galleria andava tutto a
meraviglia, tranne il fatto che ogni giorno Julian le chiedeva quando
Valo sarebbe andato a vedere le sue opere. Opere che stavano
riscuotendo un successo enorme, con soddisfazione sua e di Mat che non
avevano dubitato per un attimo del suo talento.
Lou quella sera stava preparandosi
all’arrivo di Simone che sarebbe arrivato nei prossimi giorni.
Non vedeva l’ora di rivedere
il suo migliore amico; era passato un anno e mezzo
dall’ultima volta che erano stati insieme, ossia
dall’ultima sua visita in Italia.
Gli aveva riservato la stanza che di
solito occupava Nur, pur sapendo con certezza matematica che avrebbe
dormito nel suo letto insieme con lei, come sempre.
Il suono del citofono la
spaventò come sempre.
Corse per vedere chi fosse, sperando
non si trattasse di Julian: quella sera non aveva proprio voglia di
glissare le sue avance. Era già stressante sopportarle
durante tutta la giornata.
«Sì?»
– rispose con voce allarmata.
Era raro che qualcuno suonasse al suo
citofono e le facesse visita, a parte il postino.
«Sono io. Posso
vederti?»
Capriole e farfalle morte nella pancia.
«Io chi?»
– chiese gelida.
Ovviamente avrebbe riconosciuto quella
voce anche in punto di morte.
Ma il suo caratteraccio veniva a
galla; e lui pareva avere una corsia preferenziale nel farla alterare
in un millesimo di secondo.
Una risata bassa e sensuale al di
là dei circuiti e fili e il suo stomaco si contrasse.
“Maledetto.”
«Sono il Sig.
Valo…» – rispose in tono
canzonatorio
lui.
“Che vuoi?! –
avrebbe voluto urlargli, invece si sforzò di dare alla sua
voce il tono più gelido possibile-
«Ti apro.»
«Grazie.» Ancora
una bassa risata.
Se lo immaginava quasi, con quel suo
viso spigoloso e gli occhi che mandavano divertiti bagliori verdi.
Gettò uno sguardo allo
specchio accanto alla porta, (specchio che Nur aveva posizionato in
maniera strategica per “un’ultima occhiata prima di
uscire di casa”) per controllare in che condizioni fosse e
sorrise soddisfatta.
Quella sera non si era ancora
struccata e stava decisamente bene con gli occhi contornati di marrone
scuro che brillavano con l’uso sapiente di matita e ombretti
luminosi.
“Respira. Respira.
Cerca di non saltargli al collo con la voglia di strozzarlo alla prima
cosa che dice. E soprattutto, vedi di non toccargli il sedere.
Resisti.”
Si ripeteva il mantra mentre gli
apriva la porta.
Ed eccolo lì davanti a lei
con la testa della gatta che spuntava dalla sua giacca e che la fissava
con aria di superiorità.
“Andiamo bene.
Dieci soli giorni e ha preso il piglio del Valo e l’aria da
diva.”
«Accomodatevi.»-
disse acida, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Stavolta era lei che si stava negando
la giada.
Valo entrò nel salotto e
posò la gatta per terra. Questa iniziò ad
ispezionare senza mai allontanarsi molto dalle sue gambe e lo seguiva
passo passo.
«Posso offrirti
qualcosa?» – gli chiese, fissando un
punto
imprecisato al centro del suo petto.
«Cos’hai di buono
per me?»
“Stramaledetto”.
Decise di non farsi fregare stavolta e
stette al gioco con freddezza.
«Cosa
preferiresti?»
Silenzio.
“Non guardarlo,
non guardarlo…”
«Stupiscimi.»
«Caffè? Tisana?
Tè? Latte caldo? Non ho alcolici in casa.»
“Bromuro?!”
– aggiunse mentalmente.
«Non bevo
alcolici.»
Il tono della sua voce e la nota che
vi sentì le fece alzare gli occhi e, finalmente, guardarlo
negli occhi.
Ville la guardava tra il divertito e
l’irritato come sempre.
E come sempre lei iniziava a
deconcentrarsi alla vista dei suoi occhi e di quello che vi leggeva.
«La sopporti la
caffeina?» - gli chiese lei piatta, deglutendo a
vuoto.
«Sì, la
reggo.»
Risatina.
«Allora ti faccio il mio
caffè italiano.»
«Perfetto.»
Trafficò con macchinetta e
caffè macinato e, quando si girò, se lo
trovò a poca distanza che seguiva attento, appoggiato al
muretto basso della cucina, tutti i suoi movimenti.
«Interessante procedimento:
quando sono stato in Italia durante i concerti, l’ho bevuto.
E’ molto forte, mi piace… ma era quello
dell’hotel. Penso non sia lo stesso.»
«È ottimo
ugualmente: la differenza sta solo nella
macchinetta.»- rispose lei allarmata dal
trovarselo così vicino.
Era peggio di un gatto: si muoveva di
soppiatto in totale silenzio.
Continuava ad evitare di guardarlo:
non voleva che capisse quanto la turbasse.
Le tremavano le mani. Maledicendosi
per il suo scarso autocontrollo portò la conversazione su un
terreno che credeva fosse meno pericoloso.
«Pensavo tornassi nel
pomeriggio, come avevi detto quando hai portato via la micia. Ero
preoccupata.»
«Pensavo di farti un favore,
lasciandoti libera dall’occuparti di lei tutta la notte,
così avresti potuto concentrarti sul tuo amico
artista.»
Si bloccò con la tazzina in
mano, indecisa se lanciargliela in faccia o no.
La stava per caso insultando?! Lo
fissò con occhi spalancati.
«Come dici, scusa?»
«Ho detto che
pensavo…» - ripeté lui con gli occhi
stretti, raddrizzandosi all’istante.
«Ho capito che hai detto!-
ribatté Lou ad alta voce – E ho capito anche
l’insulto che c’è sotto! Per chi mi hai
preso?»
«Perché ti stai
arrabbiando, Lou? Non c’è nessun
insulto…»– chiese lui con aria
rilassata
ma gli occhi vigili che fissavano la sua mano stretta sulla tazzina.
“Si potrei
lanciartela su quella faccia elegante che hai, stupido!”
«Ti ho solo detto che in
quel modo potevi stare col tuo ragazzo, senza preoccuparti del
gatto.»
«Julian non è il
mio ragazzo!»
«Lui lo sa? – rise
Ville – Perché da come ti guardava e dalla tua
aria rilassata e ridente, mi era parso che eravate in piena sintonia e
molto impegnati.»
«Beh, pensi male! È solo un
amico, un artista che sto seguendo e una persona
piacevole!» - calcò la voce sull'
ultima parola,
per sottolineare quanto lui non lo fosse.
«Capisco… bene,
quindi se ora ti baciassi, non ci sarebbe nulla di male.»
– disse serio con gli occhi puntati sulla sua bocca.
La tazzina rischiò di
volarle via dalla mano.
«Eh?!» –
con un filo di voce lo guardò senza riuscire a dire
nient’altro.
Con movimento felino aggirò
il muretto per arrivarle vicino intrappolandola contro il lavello.
Le tolse la tazzina dalle mani e la
posò lentamente e con calma sul ripiano.
«Hai capito bene quello che
ho detto, ma forse devo mostrartelo…»
«Piantala di fare il play
boy!» – disse secca,
senza fiato.
Lui scoppiò in una risata
roca e la prese tra le braccia, affondando il viso fra i capelli,
inspirando forte.
Lou rimase rigida, incapace di
muoversi o di respirare.
Ville si scostò per
guardarla in viso, tenendole una mano sul collo, delicatamente.
«Mia “Prinsessa”…
sei adorabile quando ti arrabbi.» –
mormorò piano.
La teneva incatenata con gli occhi,
ora così vicini. Lou sentiva il suo respiro sul viso e la
voce la faceva fremere.
Mille brividi le correvano lungo la
schiena.
Istanti lunghi un'eternità
sembrarono passare, lui continuava a guardarla senza fare nulla, Lou
annientata con le braccia lungo il corpo... e in quell'istante il
gorgoglìo del caffè che veniva su fu l'unico
rumore in casa. E la sua salvezza.
«Salvata dalla
caffeina...» - mormorò sorridendo,
lasciandola
libera.
Lou impiegò qualche secondo
per riprendere fiato, si girò per spegnere il gas impiegando
più tempo del dovuto, vista un'azione così
semplice.
“Un respiro. Poi
un altro. Ecco brava... ”
Sentiva ancora che le stava troppo
vicino, quasi avvertiva il calore del corpo di lui attraverso gli abiti.
Uno strusciarsi sui piedi nudi di Lou.
La micia le stava leccando il pollice del piede e lo zampettava a colpi
leggeri.
Abbassò lo sguardo sul
gatto che miagolava piano e Ville si allontanò da lei quel
tanto che bastava per farla muovere.
«Ecco... ho messo un
cucchiaino solo di zucchero: - gli disse con voce che voleva essere
neutrale ma risultò acuta anche alle sue orecchie - dimmi se
così va bene.»
Ville le prese la tazzina dalle mani e
inspirò l'aroma, sorridendole da sopra il bordo.
«È perfetto
così, le cose troppo dolci non mi piacciono...»
«Ci avrei
scommesso.»
Ancora un sorriso assassino.
Se continuava con quella tensione, si
sarebbe spezzata da un momento all'altro.
«Tu non lo bevi?»
- le chiese lui.
«Non stasera... non riesco a
dormire se prendo caffè di sera.»
“Sono
già un fascio di nervi, mi manca solo il
caffè.”
Lou si chinò per giocare
con la gattina che le piantò le unghie aguzze in una mano
quando la prese in braccio; per tutta risposta si beccò un
colpetto di rimprovero sul muso.
«È già viziata.
Ha avuto l'imprinting con te, ha preso la tua aria da...» -
si fermò prima di dire altro.
«La mia aria da?»
«Da divo.»
«Ho l’aria da
divo?»
«Lo sei.»
«Uhm...»
Lou e una gatta che cercava di
sfuggirle dalle mani tenuta fermamente, si accomodarono sul divano,
dove lui le seguì poco dopo.
Lou si allontanò
impercettibilmente e lui le sorrise letale.
“Piantala di farmi
agitare Valo...”
«Il veterinario dice che sta
bene, comunque; - disse lui all'improvviso – e scusa se non
sono venuto prima, ma ero distratto... stavo scrivendo.»
“Per dieci giorni
consecutivi!? Bugiardo.”
«Capisco.»
Bugiarda.
«Beh, grazie per essertene
preso cura... ora ci penserò io a lei.» - gli
disse Lou.
«E quando si è
deciso che lei deve rimanere qui con te?»
Lou lo guardò con
ovvietà.
«L'ho trovata io.»
«Non è
tecnicamente giusto: sono arrivato prima io.»
«Era nel mio vialetto. E ora
che ci penso, il cancello era chiuso: come hai fatto ad
entrare?»
«L'ho scavalcato.»
– rispose Ville alzando le spalle.
«È violazione di
proprietà privata.» - disse lei stringendo gli
occhi.
«Vuoi denunciarmi?»
Era divertito, oh lo vedeva. La stizza
di Lou non faceva che far allargare il suo sorriso da malandrino ogni
minuto che passava.
«Stavolta no.»
«Oh oh...» - la
canzonò lui con gli occhi che ridevano.
“Stramaledetto
gatto gigante.”
«Lei la tengo io. Hai mai
avuto un gatto tu? Sai come occupartene?»
«L'ho tenuta per dieci
giorni e sta benissimo, come puoi vedere tu stessa. Lei rimane con me e
tu potrai vederla quando vuoi.»
«Come sarebbe a dire che
posso vederla quando voglio?! Semmai sei tu che puoi venire quando vuoi
a vederla, visto che ormai qui sei di casa! Lei rimane con me, non
c'è niente da discutere ancora!»
Anche se questo voleva dire che lo
avrebbe visto più di quanto volesse.
Ville strinse gli occhi minaccioso.
“Non mi spaventi
Valo, anche se, con quei laser verdi, potresti incenerirmi
all'istante.”
Ricambiò lo sguardo
minaccioso.
«Questo è un bel
problema: perché vedi, anch' io voglio tenerla. Hai una
soluzione che possa andare bene ad entrambi?» - chiese lui
conciliante.
«No.»
«Io sì: la
teniamo una settimana ciascuno. E quando uno di noi due non
potrà occuparsene, l'altro lo
sostituirà.»
«In questo modo la
confonderemo e non riconoscerà qual è la sua vera
casa.»
«Vale la pena provare, no?
Non vorrai che mi presenti qui ogni giorno interrompendo i tuoi
appuntamenti quando è meno opportuno, vero?» -
chiese malizioso.
«Io non ho
appuntamenti!»- ribadì lei.
«Allora che
proponi?»
“Di andartene al
diavolo!”
«Proviamo una settimana
ciascuno, ma se lei non starà bene allora,
rimarrà con quello che se ne occupa meglio.»-
acconsentì Lou a denti stretti.
«Affare fatto.» -
le tese la mano, che lei guardò con un sopracciglio alzato.
«Non c'è bisogno
della stretta di mano.» - rispose serrando le dita intorno al
gatto che si lamentò.
«Come vuoi...»-
rispose ridendo lui, rilassandosi contro lo schienale del divano.
Ora che avevano concluso l'accordo
poteva anche andarsene, ma da come si era spaparanzato non pareva ne
avesse intenzione.
Lou posò il gatto per terra
che subito andò a rifugiarsi dietro le gambe lunghe e magre
di Ville.
“Traditrice!”
«Bisogna trovarle un nome...
- disse lei – Hai già pensato anche a
questo?»
«Non ancora. E tu?»
«No. Al momento non mi viene
nessun nome.»
“A parte 'infame
di una gatta'...”
Ville si chinò a
raccoglierla prendendole il musetto tra le mani, fissandola negli
occhi.
«Come ti chiamiamo, bellezza?»- mormorava
lui, tirando su col naso.
“Era raffreddato
anche lui? L'uomo delle nevi?”
La “bellezza” lo
guardava adorante e gli faceva fusa rumorose come un trattore.
“Umpfh!”
«Se preferite vi lascio soli
a tubare.» - disse Lou in tono più
acido di quanto
volesse.
«Non essere
gelosa...» - disse lui con uno sguardo obliquo e
parecchio
compiaciuto.
«Io non sono...» -
iniziò Lou scandendo le parole, ma si rese conto che lui
ghignava e lasciò perdere.
Le mani stavano iniziando a pruderle
per la voglia di schiaffeggiare Valo.
«Come si dice gatto in
finlandese?» - cambiò argomento, dopo
aver contato
fino a venti.
Ville alzò gli occhi e la
guardò sorridendo.
“Anf...”
«*Katty.»
«Che ne pensi? Mi sembra
carino.»
«È banale e generico: per
lei ci vuole qualcosa di speciale...»
Lou incrociò le braccia,
offesa.
«Ne troveremo uno adatto a
lei, vedrai... - Ville ghignava sotto i baffi – Vieni qui
Lou.»
«Perché?»
«Per guardarla meglio da
vicino. La gatta intendo. - inclinò la testa di lato
– Sei tesa per caso?»
“Adesso lo
ammazzo.”
«Non sono tesa.»
«Allora avvicinati, non ti
mangiamo.»
«Sto bene qui. Vi vedo bene
entrambi.»
“Anche
troppo.”
Con un sospiro Ville
diminuì la distanza tra loro avvicinandosi.
Lou sarebbe schizzata via se non
avesse voluto dargli la soddisfazione di allargare il ghigno ancora di
più.
«Sai, così non te
la farai amica... È molto gelosa di me.»
E in effetti “la
diva” la fissava a occhi socchiusi, controllando ogni sua
possibile mossa.
“Cazzate...”
«Tienila...»
– le disse passandogliela con delicatezza.
Le mani calde di lui sfiorarono quelle
fredde di Lou, ma al contrario di quanto si sarebbe aspettata, lui
continuava a stringere la gatta che già si agitava.
Tenne entrambe le mani sopra le sue,
fino a che la selvatica sembrò calma; poi ne tolse una e con
l'altra continuò a grattarle il muso.
Lou con le mani bloccate tra il gatto
morbido e le sue mani calde, non osava neanche respirare.
Come una cosa tanto dolce poteva
essere altrettanto sensuale e intima?
Semplice: era lui.
Era lui che ogni volta che la guardava
il suo stomaco si contraeva, lasciandola con la salivazione a zero.
E non era perché era Ville
Valo, il cantante.
Ma perché era... lui.
Lou non era affatto affascinata dalla
sua fama, non gliene poteva fregare di meno.
Aveva vissuto tre anni come sua vicina
di casa e non solo non lo aveva mai incontrato, ma non era neanche mai
stata interessata a farlo.
Nel momento in cui si erano visti la
prima volta, lei aveva intuito che quell'uomo le avrebbe portato una
marea di pensieri e con essi guai.
O erano i guai che andavano a cercarla?
«Hai le mani
fredde...»- le stava dicendo lui.
«Sì, scusa...
sono quasi sempre fredde.»
La mano di lui si strinse la sua e una
vampata di calore le salì fino alle orecchie.
«Non sei abituata al nostro
clima rigido.»
«No, in realtà
nel posto in cui sono nata, il clima è molto simile al
vostro... sono cresciuta in una cittadina di montagna: sono abituata
alla neve e al freddo. Le mie mani sono sempre fredde, a volte anche in
estate...»
«Forse il tuo sangue non
scorre abbastanza velocemente.»
“Oh no, ti
assicuro che sta andando come un razzo...”
Pensieri impuri le scorrevano davanti
agli occhi e Lou arrossì fino alla punta dei capelli.
E il fatto che lui le stesse
accarezzando il polso non aiutava...
“Se non la smette
immediatamente, gli salto addosso!”
Ville sembrò leggerle nel
pensiero perché fece un sorriso da Stregatto, soddisfatto e
sornione.
«Ti manca
l'Italia?»
Perché quell'uomo non
faceva mai qualcosa di scontato?
Passava da un argomento all'altro come
se niente fosse.
«Sì, mi manca
molto a volte... mi manca parlare l' italiano, la mia famiglia, i miei
amici.»
«Perché sei qui
in Finlandia?»
- chiese continuando a tenerle la mano.
«Ero venuta a vivere qui con
il mio fidanzato.» - tagliò corto lei.
«E lui dov'è
ora?»
Pareva non gliene fregasse
granché
dell'occhiataccia che lei gli lanciò cercando di fargli
capire che non era il caso di approfondire l'argomento.
«Con tutta
probabilità all'inferno... - rispose lei sibilando
– O con la sua nuova compagna.»
«E tu invece di tornare a
casa tua, nel posto che dici ti manca, quando è finita la
vostra storia sei rimasta qui: perché?»
“Valo, un etto di
fatti tuoi?!”
«Perché nel
frattempo qui avevo trovato qualcosa che probabilmente in Italia ci
avrei messo anni a trovare: un lavoro, una casa tutta mia,
l'indipendenza economica e personale. E poi mi piace stare qui. A parte
la lingua... non mi riesce proprio di impararla bene.»
«Vuoi che ti
insegni?» - le chiese in un soffio.
Brivido.
«No, grazie, non sono molto
brava con le lingue.» - rispose pentendosi immediatamente
per
avergli servito un assist da autogol.
«Non so perché ma
credo che tu invece sia molto brava... con le lingue.»
“Ecco.
Così impari, Lucia.”
Sarebbe morta in autocombustione in
una bella fiammata, se non la finiva di guardarla con gli occhi
socchiusi e in tralice.
E di toccarla in quel modo.
«Ville... ti vibra qualcosa
nei pantaloni.» - gli disse lei.
«Come?!» -
pensando ad una battuta lui rise piano.
Invece era proprio il suo cellulare
che vibrava, ma lui preso a fare il dongiovanni non lo aveva sentito.
«Oh!» -
tirò fuori il cellulare fissandolo come un oggetto
misterioso che per caso gli era capitato fra le mani.
«Non rispondi?»
«Non voglio essere
distratto.»
«Distratto da
cosa?»
«Da qualsiasi cosa a parte
te, ovviamente.»
«Smettila di fare il
cascamorto, Ville.»
«Non so cosa vuoi
dire...» - ribatté avvicinandosi
ancora.
«Stai giocando e non mi
piace. - ansimò Lou – Smettila.»
«Non gioco mai Lou, se
qualcuno attira la mia attenzione non è per giocare. Sono
abbastanza palloso per le donne.» - le disse spostandole
le ciocche di capelli indietro sulle spalle lasciandole scoperti la
gola e il collo.
“Attirato la sua
attenzione? Che gioco era? Non si stava divertendo. LEI.”
Lou sentiva che le orecchie stavano
per fumare. Un altro centimetro e si sarebbe fusa con il divano.
La gatta si lamentò per la
stretta incontrollata delle mani di Lou e Ville la prese per posarla
dall'altra parte del divano.
Miagolio di protesta.
«Hai paura di me,
Lou?» - le chiese lui tornando con la mano
sul collo
passandovi lento il dito dall'orecchio al contorno delle labbra.
«No... solo non mi piace
essere braccata... - si divincolò dal tocco della sua mano,
allontanandosi ulteriormente da lui - E non te la prendere: ma non ho
voglia di storie di nessun tipo con nessuno.»
“Anche se sono
belli come lo sei tu... ”
«Uhm... capisco. Quindi
dovrei credere che non ti piaccio e che vuoi avere con me solo un
rapporto amichevole?»
“Stupido borioso
di un finnico!”
«Di quello che tu pensi,
Ville, non m’importa... però sì, mi
piacerebbe esserti amica, dal momento che siamo costretti all'
”affidamento congiunto” di un felino!»
«Puoi sempre rinunciare a
lei, se ti pesa.»
“ARGHHHH!! ADESSO
GLI TIRO UN PUGNO!”
«Sai che sei irritante,
Valo?»
«Sì, lo
so!» - rispose lui trionfante.
«Ti spiacerebbe allora
piantarla di fare il play boy con me? Hai schiere di donne pronte a
tutto per te, che potrebbero esaudire ogni tuo desiderio... non perdere
tempo con me.»
«Mi piacciono le
sfide.»
«Nessuna sfida. Non mi
interessi.»
“Sì
certo, come no...”.
Lou era infastidita dal suo modo di
fare. Finora non aveva fatto una cosa normale.
Le ricordava troppo Andrea e il suo
affascinante placcaggio...
Aveva cambiato atteggiamento ogni 24
ore: qual'era il vero Ville?
Lui rise piano: era ovvio che non
credeva ad una sola parola di quello che lei gli diceva.
«A questo credo poco, vista
la confidenza che hai avuto con il mio didietro... - le
indirizzò un sorriso smagliante - e SO che non ti sono
indifferente. Ora la domanda è: per quanto tempo credi di
andare avanti con questa storia?»
«Ma chi ti credi di essere,
Ville? Senti, non voglio discutere di queste cose... Non mi conosci
affatto, non sai nulla di me, non osare dire di sapere cosa provo o
cosa penso!»
«Ti sbagli... so molte cose
di te e sono tutte cose che tu non mi diresti mai.»
«Sarebbe a dire?»
- sbottò Lou incrociando le braccia.
«Tu non dormi bene. Fatichi
a prendere sonno la sera, ti piace leggere davanti alla finestra.
T’immedesimi così tanto in ciò che
leggi che riesco a capire quasi cosa provi dall' espressione che vedo
sul tuo viso; ti piace raggomitolarti e sentire il calore dietro di te,
ma sei quasi sempre a piedi nudi e ogni tanto te li massaggi cercando
di scaldarli, senza smettere di leggere. Ti avvolgi sempre una ciocca
di capelli dalla parte sinistra del viso, perché con la
destra sfogli le pagine.
Quando usi il computer spesso ridi a
crepapelle per quello che stai leggendo e il tuo viso è
sempre sereno in quei momenti... forse qualcuno che ami e che ti ama,
ti rende felice... in quei momenti scrivi velocemente sui tasti e ridi
spesso.
Ti piace la pioggia e passeggiare
anche quando diluvia, anche se ti rende più malinconica;
quando c'è il sole ti piace uscire al tramonto o al mattino
presto, senza essere andata a dormire. Tieni al tuo spazio: a volte
anche quando c'è Nur hai bisogno di stare sola per conto tuo
e ti chiudi in camera a dipingere o ascoltare musica.
Spesso al mattino ti svegli piangendo
e fatichi a nasconderlo. Sei generosa e discreta. Ti piace renderti
utile senza invadere lo spazio altrui, come fai con il sig. Korhonen.
Devo continuare?»
Lou rimase a bocca aperta, indecisa se
offendersi o esserne lusingata.
«Fammi capire una cosa:
– disse sibilando – è
così che passi il tuo tempo? Spiando i vicini di
casa?!»
«Solo quelli che mi
interessano.» - rispose lui senza scomporsi.
Ignorò la sua frase e lo
guardò male sperando fosse chiaro che non lo trovava affatto
un complimento.
«Non hai niente di meglio da
fare che stare a spiare me? Questo si chiama impicciarsi se non
addirittura fare lo stalker!» - rincarò la dose
lei.
Lui continuò a guardarla
senza batter ciglio.
«Non sei più una
bambina, Lou. Smettila di fare l'offesa...»
Lei annaspò alla ricerca di
parole adatte per mandarlo a quel paese e mettere a posto quello
stupido saccente che pensava di conoscerla!
«La verità
è che tu hai paura. Hai paura di tutto quello che provi e
che non sai gestire. Hai paura se qualcuno ti trova bella e
desiderabile. Hai paura di lasciar vedere i tuoi veri pensieri. E in
questo momento hai paura di me...
E non perché sono io;
potrei anche incassare un no, non è la prima volta che
succede, credimi. - la interruppe lui - Sopravvivrò lo
stesso, nonostante il mio immenso orgoglio ferito.
Ma vedo come mi guardi,
perché è lo stesso modo in cui io guardo te. Mi
piaci, non te lo nascondo. Anzi, voglio che tu sappia che mi piaci. E
tanto anche. E sarebbe maturo da parte tua smettere di scappare e
lasciarti andare. Sei una donna adulta, ma ti comporti come una ragazza
alle prime armi. Ed io so bene, intuisco che non sei così.
Non so cosa sia successo nella tua vita, per farti scappare via dai
sentimenti: ma vedi, ognuno di noi ha avuto la sue batoste e delusioni.
Questo però non deve impedirti di amare di nuovo, di vivere
la tua vita in maniera naturale, senza negarti nulla. Tu sei triste
Lou. La tristezza è un sentimento che resta nel cuore delle
persone, come il dolore... come l'amore.
Ed io conosco bene tutti questi
sentimenti.»
Per un lungo minuto Lou non seppe far
altro che fissarlo.
Ogni parola di Ville era come un pugno
allo stomaco, anche se lo aveva detto in modo dolce, era stato diretto.
Come aveva fatto Nur in tante occasioni, le aveva spiattellato in
faccia tutto quello che lei cercava con immensa fatica di nascondere.
Le aveva parlato con calma, guardandola dritto negli occhi, senza
nessun tono di scherno o superiorità: e con parole semplici
che le erano arrivate dritte al cuore, scandagliandola con quei chiari
laghi di giada.
Il nodo in gola si formò e
crebbe a dismisura.
Se un estraneo era capace di vedere
quello in lei, allora non era affatto brava a nascondersi;
se dopo tutta la fatica per tornare a
vivere una vita normale e serena, c'era qualcuno che era in grado di
capire che moriva dalla paura di legarsi, allora aveva fallito e tutti
potevano vedere quanto fragile ancora fosse.
Le lacrime trattenute volevano
scorrere e trovare finalmente una via di fuga da dove lei,
costantemente le ricacciava indietro. Si alzò di scatto
cercando rifugio vicino alla finestra, respirando a lunghe boccate.
Si sentiva scoperta e vulnerabile e
tutto ciò non le piaceva affatto.
E non voleva piangere, non davanti a
lui.
Ville aveva ragione e lei lo sapeva.
Stava fuggendo da lui non perché non le interessava.
Al contrario: lui le piaceva
così tanto che se la faceva sotto da morire.
E lui lo aveva capito.
E le stava dicendo che lei gli
piaceva... lei, Lou la sfigata donna italiana e banale, piaceva a Ville
Valo.
Non trovava niente da rispondergli,
niente di intelligente da dirgli.
E stava cercando con tutta se stessa
di non buttarsi a terra piangendo e urlando.
Ville le si avvicinò con
calma, lei lo vide dal riflesso del vetro.
Era proprio dietro di lei, ma non la
stava toccando. Cercò i suoi occhi in quel riflesso.
Non disse nulla neanche lui: aveva
già detto troppo forse. Aveva già detto tutto.
Lo sapeva lei e lo sapeva lui.
Ora forse attendeva una risposta.
In alto nel cielo c'era una luna quasi
piena.
Lou la fissò per un istante.
Si girò piano e gli
appoggiò la testa sul petto, passandogli le braccia intorno
alla vita sottile e magra, stringendosi a lui.
Ville ricambiò la stretta
posandole il mento sui capelli, avvolgendola nelle sue braccia.
Lou non seppe dire quanto tempo
fossero rimasti così, immobili, stretti l'uno all'altro,
davanti alla finestra...
Ma quando si separarono, la luna nel
cielo aveva cambiato posizione.
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
Bene eccoci qui... questo capitolo penso
farà fare indigestione di zucchero a tutte...
Allora che ne pensate?!?! È abbastanza Valo?!?!
Doverosi i ringraziamenti come sempre per le mie due Beta: Cicci-Vivi e
Pulci-Sara; come farei senza di voi?!
Grazie anche a SeleValo e ad Echelena "Grande Sciamana degli Ormoni" e
Arwen 85, aka Sistwer!!
Anche per te una menzione speciale Lady Angel 2002: grazie per i
complimenti e per la fiducia, anche se non sei fan del Valo o degli
Him! ;)
E invece tu si che sei fan: bacissimi e grazie anche a te Villina 92!
Un grazie enorme anche alle mie patatine: Tesò Nicky, aka
Apina Curiosa, aka stalker, aka terza testa del "Cerbero", (le sue
recensioni meriterebbero una fan fic a parte!!XD) ;
Ilaria, Margherita, Silvia-Love, Marianna e Fenghera (che ha
ribattezzato Julian: ormai per gli amici è Enzo...); XD
Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere
che ne pensate di questa storia!
Non immaginate quanto sia importante per gli autori sapere che i propri
sforzi sono apprezzati!
* Ps: mi sembra superfluo dire che sappiamo tutti che gatto in
finlandese è "Kissa"... ma ai
fini dela storia mi piaceva di più Katty e foneticamente
è più bello, quindi pace. ;)
Non siate timidi e lasciatemi un commento o un messaggio privato! *H_T*
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Capitolo 7 *** Capitolo sei - “In a place that's warm and dark...” ***
Capitolo
sei
"In
a place that's warm and dark"
«Graaaaaaaaaceeeeeeeeeeeeeeeee!»
La voce di Simone sovrastò
per un secondo anche
il frastuono del terminal dell’aeroporto. Lou si fece largo
tra la folla per
correre incontro al suo amico.
Simone non appena fu abbastanza vicino
mollò la borsa che aveva a tracolla e aprì le
braccia per accoglierla.
Lou si lanciò addosso
all’amico avvinghiandosi e coprendogli il viso di baci.
Ad un occhio esterno sarebbero potuti
passare per una coppia di fidanzatini. Invece erano molto di
più.
«Will, Will,
Will…» - ripeteva Lou con una gran voglia di
piangere.
«Ehi, mi stai
soffocando!» – disse Simone cercando di
respirare
nonostante la stretta delle braccia di Lou che gli cingevano il collo.
La prese per le braccia allontanandola da lui e posandola a terra.
Si squadrarono in mezzo alla marea di
gente intorno a loro, immobili rispetto a tutti.
«Non starai per piangere,
vero? – la prese in giro lui, con la sua voce dolce e
musicale - fatti guardare. Non hai un bell’aspetto Grace. Sei
troppo pallida e…- indicò le sopracciglia
– cosa vuoi fare? Somigliare alla Kalo anche come look? Le
tue sopracciglia hanno bisogno di una sfoltita...»
Lou sorrise. Il suo adorato amico che
non la mandava a dire.
«Mi sei mancato, Will…» - disse Lou stringendosi a lui.
«Anche tu… - la
fissò negli occhi dopo averla stretta ancora a
sé, ma non disse nulla. Non gli era sfuggito il fatto che
gli si era aggrappata come fa una che sta per affogare ad un salvagente
- Vieni usciamo da qui, prima che la gente speri in una copulazione
pubblica…»
«Porca vacca se fa freddo
qui! Come fai a resistere e non aver voglia di scappare
via?»- disse non appena uscirono
all’esterno e si
avviarono alla fermata del taxi, stando attenti a non cadere sul
ghiaccio. La neve era quasi sciolta ma si era formato uno spesso strato
di ghiaccio che rendeva la stabilità del suo amico alquanto
improbabile.
Lou si strinse al braccio di Simone
ridendo.
«Amo la neve lo sai,
è un bel posto… se ci si abitua.»
«Grace, tu non sei normale.
Questo lo sappiamo. Cazzo che freddo!»
«Non urlare! –
scoppiò a ridere Lou, notando che Simone era
l’unico essere vivente che parlava ad alta voce. Faceva
più rumore lui che tutti gli altri presenti alla fermata
messi insieme. – ci stanno guardando tutti!»
«Ci guardano
perché io sono stupendo, tesoro…»
– rispose lui.
E in effetti, Simone era
più bello che mai.
I suoi capelli biondi erano
più lunghi rispetto ad un anno e mezzo prima; si era fatto
crescere la barbetta che ovviamente lui portava curata.
Era sempre magro e alto, ma
più muscoloso rispetto ai tempi dell’Accademia.
«È vero: sei un
gran figo… hai fatto palestra, per caso?»
«Piscina mia
cara… lunghe vasche; ore ed ore con il pisello a
mollo…»
«Uhm… fammi
indovinare: c’è un istruttore bono!»
«Ovviamente! Per quale altro
motivo mi sottoporrei a torture fisiche se non per
rimorchiare?»
«Non cambi
mai…» - disse Lou scuotendo la testa.
Salirono sul taxi e lei diede
l’indirizzo al conducente, dopo che questi aveva messo nel
bagagliaio le valigie di Simone.
«Com’è
andato il viaggio?» – chiese Lou, prendendo la
mano
di lui, intrecciando le dita alle sue.
«Un vero inferno! Sono
capitato nel sedile centrale tra un grassone che sudava e un moccioso
che per tutto il viaggio non ha fatto altro che mangiare schifezze,
spargendole ovunque! Lo avrei strozzato con le mie mani!»
Lou si beava della visione dello
splendido viso del suo migliore amico: le veniva da piangere al sentir
parlare la sua lingua e si rese conto di quanto le mancasse
tutto.
Non smetteva di guardarlo adorante,
seguendo ogni parola che diceva, d’ogni suo tono o
inflessione.
Simone le passò un braccio
intorno alle spalle mentre lei gli indicava passando questo o quel
palazzo. Gli fece vedere il posto in cui lei lavorava e lui chiese di
portarlo al più presto a visitare la galleria.
Era arrivata per un pelo, appena poco
prima che Simone uscisse nell’atrio degli arrivals.
Si era svegliata tardi e non aveva
sentito la sveglia suonare…
Da quando Ville era stato a casa sua
cinque giorni prima, non aveva più dormito bene... non che
prima lo facesse, ma non era più riuscita a concentrarsi
neanche al lavoro; pensava e ripensava alle sue parole.
Quando si era calmata e aveva ripreso
il controllo di sé, tra le braccia di Ville che non aveva
smesso di tenerla stretta a sé, lì davanti alla
porta finestra, aveva alzato il viso per guardarlo negli occhi.
Lui le aveva sorriso nel modo
più dolce che avesse mai visto sul viso di un uomo.
Le aveva preso le mani, baciandole i
polsi, non smettendo di guardarla fisso negli occhi.
Si era sentita morire. Le labbra
morbide e sensuali di lui le avevano lasciato una scia di baci lievi su
tutto il polso e l’interno del braccio.
Le aveva baciato i palmi delle mani,
per poi posarle sul suo viso, chiudendo gli occhi.
Lou gli aveva sfiorato quel viso
spigoloso e magro, toccandogli le palpebre, la linea del naso e la
curva delle labbra.
Poi aveva fatto lo stesso gesto: aveva
preso le sue mani e gli aveva baciato la punta delle dita, il palmo e
se le era avvicinate al viso, che lui aveva preso delicatamente come
per osservare un fiore.
Sembrava non avere nessuna fretta, era
lento nei movimenti, attento, quasi avesse paura che lei svanisse da un
momento all’altro.
Lou era senza fiato.
Nessuno era mai stato così
dolce con lei…
Non sapeva cosa lui si
aspettasse… le aveva detto ciò che provava e lei
stentava a credere che uno come lui potesse essere attratto da una
ragazza come lei.
Non aveva niente di speciale, era
timida e insicura. E con un pessimo carattere.
Quasi avesse sentito i suoi pensieri,
le disse sussurrando:
«Non ho nessuna fretta
Lou… Potrei stare ore a guardarti e a toccarti in questo
modo…»
Lei si era stretta di nuovo a lui.
Se solo fosse stata capace di fargli
capire in che modo lui la sconvolgeva... non era solo perché
era così bello... no.
Lui aveva un modo di parlarle e di
stanarla che la mandava su tutte le furie; sembrava leggerle nella
mente e sapere esattamente cosa le passasse per la testa.
Non si curava della sua freddezza e
ignorava con ironia i suoi metodi, che avevano davvero uno scarso
risultato, per prendere le distanze da lui.
La prendeva in giro con dolcezza, come
se sapesse benissimo che sotto tutto quel ghiaccio c'era un fuoco che
chiedeva solo di essere riportato in vita.
Nonostante tutto lei non aveva paura
di lui, si fidava stranamente di quello che le diceva: i suoi occhi
erano sinceri. Se è vero che gli occhi sono lo specchio
dell' anima, quella di Ville oltre che bellissima doveva essere limpida
come i suoi occhi.
Solo chi ha conosciuto l'inferno ed
era tornato indietro poteva avere quella serenità e
fermezza... solo chi sapeva cosa c'era in gioco e capiva il valore vero
delle cose, non si curava più del superfluo.
Lei aveva l'impressione che lui fosse
uno che viveva la sua interiorità con tutto se stesso, uno
alla continua ricerca... di qualcosa di meglio.
O forse era quella l'idea che voleva
avere di lui... ora stava a lei scoprirlo.
Lui non si era nascosto e le aveva
detto quello che pensava, senza ulteriori giochi.
Era spaventata a morte... si strinse a
lui, volendo quasi fondersi con quel corpo magro eppure forte.
Le dava stranamente conforto... era
familiare...
A cosa serviva fare la difficile ora?
Lui l'aveva messa a nudo anche ai suoi occhi...
Non aveva alcun senso ora metterlo
alla porta del suo cuore: in qualche modo aveva aggirato i sistemi di
sicurezza con poche mosse e parole ben ponderate.
Sperava solo di non sbagliarsi: non
dopo tutta la fatica impiegata a ritrovare un minimo di equilibrio e
stima in se stessa.
Sciogliendosi dal suo abbraccio lo
aveva guidato fino in camera da letto.
Non aveva lasciato la sua mano mentre
si sedeva sul letto e lui le si era seduto accanto.
«Ville… non sono
in grado di parlare ora, perdonami. So che ti aspetti che dica
qualcosa, ma ho paura che possa esplodere in modo incontrollato tutto
quello che c’è dentro. Mi darai tempo anche per
questo?»
«Ti darò tutto il
tempo che vuoi, non ho fretta… te l’ho
detto.»
Lei gli aveva accarezzato i capelli:
aveva desiderato farlo da quando lo aveva visto la prima volta.
«Se continui a lisciarmi
così, sarà difficile rimanere di parola
però…» - le aveva detto lui con voce
roca e un sorriso malizioso.
«Scusa…»
- aveva detto lei, ritirando la mano che lui aveva subito bloccato per
rimetterla dov’era prima.
«Ma poiché mi
piace soffrire e struggermi, puoi continuare a mettere a dura prova i
miei sensi, 'Prinsessa'…»
«Non voglio farti star
male…» - aveva ribattuto lei seria.
Lui ridacchiò con un
sorriso da satiro.
«Se lo chiami soffrire. Non
smettere… mi piace sentire le tue mani sul
viso…»
Come mandarla a fuoco con due parole.
Non era di carta neanche lei e non era
consigliabile stare lì a fargli i grattini, con lui che le
faceva le fusa con quella voce da brivido.
Era la cosa più eccitante
che le fosse mai successa.
Persino più bella del
sesso… beh, quasi. Non che avesse grande esperienza nel
campo.
Oltre ad Andrea era stata solo con un
altro ragazzo e l’evento era stato alquanto disastroso.
Stava morendo tra i brividi che le
davano la sua voce e le dita lunghe di lui che le accarezzavano il
braccio libero.
«Hai freddo? – le
chiese aprendo gli occhi - Stai tremando…»
«Non ho freddo, non
è per quello che tremo…»
«Hai paura di me?»
– ripeté di nuovo lui.
«No, non ho paura di te,
Ville… - disse lei con una risatina nervosa – vuoi
sapere perché tremo?»
Lui le baciò la mano che si
era spostata ancora sulle labbra.
«Dimmelo…»
“Mi piace stare qui con te,
così… mi piace come mi baci senza aver provato a
baciarmi sul serio, mi piace che sembri non aver nessuna intenzione di
farlo, mi piace tutto quello che sto provando in questo
momento…»
“Per la serie,
’ero una che non voleva scoprirsi e aveva poco da
dire'…” – pensò
tra sé.
Stavolta era lui che era rimasto senza
parole…
«Non è
propriamente così in realtà…
– rispose lui dopo un po’, guardandola come se
volesse saltarle addosso da un momento all’altro –
a dirla tutta, sto morendo dalla voglia di baciarti le labbra dalla
notte in cui abbiamo trovato la gattina…»
«Oh…»
“Santo
cielo… sarebbe morta per mancanza di respiro da effetto
Valo.”
«Già.»
«…»
«Ma, come ti ho
già detto poco fa, mi piace struggermi… qualcuno
ha affermato che l' attesa del piacere è meglio del piacere
stesso… ma non credo d’avere tutta questa forza di
volontà, sai? Soprattutto se rimango qui con te, su un letto
che ho già avuto modo di provare e so che è molto
comodo e accogliente, in una stanza buia illuminata solo dal chiarore
della luna…» – le disse guardandole le
labbra.
«Vuoi andare via?»
– chiese in un soffio Lou.
«Tu vuoi che me ne
vada?»
Gli fece cenno di no con la testa.
«Rimani… ma non
voglio fare… non posso…» –
provò a dire imbarazzata.
«Lo so, stai
tranquilla…»
Gli sorrise toccandogli il viso ancora
una volta, massaggiandogli la nuca.
“Bravo il mio
micione…”
«Mi aspetti qui mentre mi
lavo il viso? Devo togliere le lenti a contatto…»
– disse lei vagamente a disagio: stavano iniziando a
lacrimarle gli occhi dopo una giornata che le indossava.
«Sono qui, Lou…
vai pure e io nel frattempo mi metto comodo...»
«Ok…»
– deglutì a vuoto Lou, lasciandogli le mani che
lui tratteneva.
“Si mette comodo?!
Che vorrà dire? Mi sento male…” –
pensò mentre spariva in bagno.
Guardandosi allo specchio vide che
aveva gli occhi che mandavano lampi, il viso accaldato, le labbra
gonfie…
Tolse le lenti a contatto,
lavò veloce il viso dal trucco e vi passò del
latte detergente prima di tornare in camera.
L’idea di comodo per Ville
era… togliersi le scarpe.
Era seduto a gambe incrociate sul suo
letto che coccolava la gatta.
Lou si fermò a guardare la
scena dalla porta: Valo illuminato solo dalla luce della luna quasi
piena, al centro del suo letto che accarezzava la loro gattina
nera… sembrava irreale.
«Bellissimo… - le
disse lei d’un fiato – Siete bellissimi entrambi.»
«Vieni qui… -
rispose lui, tendendole la mano – sei già stata
via troppo tempo.»
Lou si aggrappò alle sue
dita, strisciando sul letto per mettersi accanto a lui.
La gatta aprì un occhio
verde per tenerla sotto il tiro delle sue unghie nel caso si fosse
avvicinata troppo a Ville.
«Credo proprio di non
piacerle, sai? – disse Lou sorridendo, osservando la mano
bianca di lui contro il pelo nero e lucido della felina – mi
tiene d’occhio come una tigre possessiva!»
«È gelosa di me,
te l’ho detto…»- disse compiaciuto Ville.
«Uhm… sei sicuro
che non sia tua figlia?»
Ville rise piano con la sua risata
adorabile.
«Come sarebbe a dire mia
figlia?»
«Avete lo stesso colore
d’occhi…» – disse Lou,
guardandolo.
«Davvero? Beh, che io sappia
sono stato attento con tutte, umane e non…»
– scherzò lui.
Lou strofinò il viso sulla
spalla magra di Ville, mentre guardava sorridendo la gatta che le
soffiava contro.
«Credo di dovervi lasciare
sole per qualche giorno, di modo che facciate amicizia… -
disse ridendo Ville, osservando la micia furente – sempre che
quando torno non ti abbia sbranata.»
«Tornare da dove? Vai
via?» – chiese Lou,
improvvisamente in allarme.
“Che
diamine… sei già dipendente da lui?”
«Solo per pochi giorni,
Lou… - disse lui girando il viso nella sua direzione. Gli
occhi vicini e anche le labbra… erano ad un soffio
– devo assentarmi e non posso delegare nessuno al mio
posto.»
«Va bene… torna
presto o la tua tigre mi farà fuori.»
«Amerà anche te,
vedrai… deve solo abituarsi alla tua
acidità.» – disse Ville prendendola
in
giro.
«Io non sono acida. Sono
diversamente dolce…» –
ribatté offesa Lou.
“«o
so…» – disse lui, fissandola.
“Bacialo.”
– si diceva Lou, con un’improvvisa ansia.
“Bacialo ora.”
Senza fiato. Sarebbe potuta rimanere
parte della vita a guardarlo negli occhi.
“E ti salvi Lucia,
perché non lo vedi bene grazie alla stanza
buia…”.
Ville aspettava che lei facesse
qualcosa.
Lui non avrebbe forzato oltre la mano,
quella notte; non seppe dire come facesse a saperlo, ma sentiva che lui
le lasciava le scelte future. Ciò la spaventava a morte e la
faceva sentire, per la prima volta nella sua vita, importante e
preziosa…
Con il cuore in gola, posò
le labbra sulla spalla sperando che attraverso la stoffa della
maglietta che lui aveva addosso, potesse sentirla.
Ville le strofinò il viso
sui capelli, come un gatto.
“Ah, che bel
micione…” – pensò
con dolcezza Lou.
«Lou…»
– borbottò roco lui.
«Uhm?»
«Se non la pianti, ti
scateno contro la tigre…»
Lou ridacchiò.
«Allora se deve incazzarsi,
le do un buon motivo per farlo…» – disse
lei, spostandosi fino a trovarsi di fronte a lui.
Lui attendeva curioso.
Aveva ragione Nur. Lui aveva ragione.
Per troppo tempo, era stata spaventata
solo da se stessa.
Era pronta ad amare di nuovo?
Aveva pensato che Andrea le avesse
tolto anche quello: la capacità di amare qualcun altro dopo
di lui; le aveva tolto la voglia di darsi a qualcuno, di lasciarsi
amare…
Chiuse gli occhi tremante, e
avvicinandosi lentamente, gli prese il viso tra le mani, gli
baciò la punta del naso a portata di labbra, le palpebre,
custodie della giada che lei amava, una… e poi
l’altra… lui stava trattenendo il respiro?
Sì... Bene.
Non era l’unica ad avere
problemi respiratori, allora…
Lou non sapeva dire chi tremava di
più su quel letto; lei che stava lanciandosi in folle verso
l’ignoto, con un uomo che non conosceva, un uomo famoso, con
la fama di oscuro e misterioso front man; lui che sembrava del tutto a
suo agio eppure tratteneva il respiro come un ragazzo che sta per
baciare per la prima volta, o… la gatta furiosa che sembrava
volesse cavarle gli occhi, soffiandole contro ogni secondo di
più.
L’aveva distratta…
Ville ridacchiò e lei lo
seguì poco dopo, nel sentire il baccano che faceva la
tigrotta nera.
«Ecco…
– disse Ville con un sussurro – per la rabbia, ha
piantato le unghie sulla mia mano!»
Naso contro naso, occhi negli
occhi… respiri che si fondono.
Un leggero movimento in avanti del
mento di Lou e le labbra che si toccano, troncando le ultime sillabe
sulla sua bocca...
******
«Lou?»
La voce di Simone la riscosse dai
sogni ad occhi aperti.
«Stai bene? Sei rossa in
viso… - disse lui sospettoso ad occhi stretti –
Tu, vacca, mi nascondi qualcosa e parlerai non appena arriviamo a
casa.»
Lou avvampò ancora di
più.
Accidenti! Ora l’avrebbe
torchiata fino a che non avesse parlato, compresi i dettagli.
«Taci… non ti
nascondo nulla.»
«Certo come no… e
io non ti conosco per nulla e sono etero. Parlerai.»
«Siamo arrivati, comunque
– disse lei sbellicandosi, indicando la casa a sinistra
– porta quel deretano depilato e palestrato dentro,
avanti!»
Mentre i bagagli venivano scaricati e
Simone pagava la corsa, lei buttò un occhio alla torre
mentre il cuore le rispondeva con un battito scomposto.
«Accidenti Grace:
è carino qui… troppo bianco e freddo per i miei
gusti, ma davvero bello!»
«Ah, bene, sono contenta che
sia di suo gusto… vuole accomodarsi nella mia umile
dimora?» – disse Lou facendosi da
parte,
inchinandosi leggermente mentre Simone, preso il bagaglio le passava
avanti naso in aria, testa alta e atteggiandosi a diva.
Con una risata Lou chiuse la porta
dietro di sé, pronta a lanciarsi nei dieci giorni
più stancanti e divertenti degli ultimi mesi.
******
«Perché mi fissa
il tuo animale?» – chiese Simone il giorno
dopo,
entrando in camera con una tazza di latte e caffè in una
mano e dei biscotti in bilico su un piatto nell’altra.
«Umpfh…
Will… non urlare… - Lou si portò la
mano alla testa. La sera prima ci avevano dato dentro a bere e dare
fondo alla bottiglia di vino rosso che Nur teneva a portata di mano nel
caso una sua cena svolgeva ad incontro hot… quella che aveva
preso per la serata con Ville non era stata toccata… -
guarda così anche me, tranquillo.»
Sedendosi sul letto le diede la tazza
di latte, mentre addentava un biscotto.
«Ti sei rammollita Grace:
non reggi più l’alcool… hai detto di
averla trovata da poco e non ancora le dai un nome, giusto? Bene
bene… questa roba fa al caso mio allora…
vediamo…»
Lou posò la tazza sul
comodino mettendosi seduta contro la spalliera.
«Sì, abbiamo
deciso di aspettare di trovarle un nome adatto alla sua
personalità…» - disse Lou con una
scrollata di spalle.
“Abbiamo? Tu e
chi?» – chiese Simone stendendosi
accanto a lei,
guardandola curioso.
La sera prima aveva provato a farla
ubriacare per estorcerle informazioni piccanti, ma lei non aveva ceduto.
«Ehm… -
cincischiò in difficoltà, prendendo tempo
– io e me stessa, plurale maiestatis…»
«Grace. Tu e chi avete
deciso di aspettare? – insistette Simone afferrandole un
piede attraverso il piumone e torcendolo – Se non parli ti
faccio il solletico.»
Era l’unica cosa che non
sopportava e che la faceva sempre capitolare: il solletico sotto i
piedi. E Simone era ricorso spesso a quella tortura quando erano a Roma.
«Io e Nur!»
Disse subito, in fretta, infilandosi
ancora di
più sotto le coperte, tirando il piede, cercando di
sfilarglielo dalle mani.
«Sei arrossita: e se tanto
mi da tanto, a meno che tu non abbia cambiato gusti sessuali nel
frattempo e ti scopi la tua coinquilina, c’è di
mezzo qualche bel tenebroso, come quelli che piacciono tanto a
te… ora parla.» – disse lui con finta
noncuranza.
«No.»
«Parla o ti faccio
morire… oddio! Non avrei mai pensato di dire questa cosa ad
una donna!»
«Non è
nessuno… - disse lei a bassa voce, avvampando solo al
pensiero di Ville – È il mio vicino di
casa.»
«Uhm… il tuo
vicino di casa… - strisciò sul letto fino a
trovarsi sopra di lei – Capisco…»
«Simone… togliti
immediatamente di dosso o potrei approfittare di te e ti
violento.»
Di solito quella minaccia funzionava.
Ma Simone non pareva intimorito e la
guardava minaccioso: il fatto che lei lo chiamasse per nome indicava
che stava mentendo spudoratamente.
«Dimmi chi è
questo vicino di casa e perché stai per prendere fuoco al
solo nominarlo.»
«Simone… ti
prego, togliti… mi sto eccitando!» –
disse lei mordendosi le labbra con fare che voleva essere sensuale.
«Non funziona, bionda… parla
ora o t’infilzo come un pollo allo
spiedo!»
«Ummhhh…
sì, ti prego…» –
ansimò lei.
Un miagolio indignato nelle vicinanze
e loro si voltarono verso la porta.
La gatta li fissava con disappunto e
palese disapprovazione.
Lou scoppiò a ridere.
«Santo cielo, quel gatto
è inquietante!» - disse Simone.
Lou approfittò del
diversivo per sfilarsi con agilità da sotto il corpo che la
schiacciava, per scendere dal letto e andare verso la micia per
rassicurarla.
«Che fai, mi tieni
d’occhio come un cane da guardia ora?» –
le disse Lou prendendola in braccio.
Qualche protesta, ma la diva non fece
ulteriori obiezioni.
Si sedette sul letto, tenendola ferma
e accarezzandola come faceva Ville.
Al pensiero di lui, il viso di Lou si
addolcì e a Simone non sfuggì.
«Ok, adesso basta misteri
Grace: chi è? Non ti ho mai visto in queste condizioni se
non con…
l' innominato'.»
«Te l’ho detto,
Will… è il mio vicino di casa. Qualche notte fa
abbiamo sentito piangere il gatto entrambi e ci siamo ritrovati a
soccorrerla. Era nella neve e rischiava di morire congelata.
L’abbiamo portata qui e
tenuta al caldo tutta la notte, cercando di curarla e nutrirla come
potevamo… veramente è stato più lui
che se n’è occupato.
Io ero fuori combattimento per la
febbre e si è dovuto occupare anche di me, alla
fine…»
«Uhm… un
cavaliere dall’armatura scintillante o un vichingo biondo e
muscoloso?»
«Né
l’uno né l’altro, Will… direi
più un principe solitario che vive in una torre
gotica…»
Simone la fissò per qualche
istante, capendo al volo. Anche se Lou non gli aveva mai detto di
averlo visto o conosciuto, sapeva che lei viveva vicino al famoso
cantante degli HIM e tante volte le aveva chiesto notizie e scoop.
«QUEL principe?!»
«Quel principe.» -
confermò lei.
«Fermi tutti! Ti sei portata
a letto Ville Valo e non mi dici nulla?!» –
urlò Simone.
«Non me lo sono portato a
letto, maiale!» –
s’indignò
Lou.
“Beh, non
tecnicamente…” –
pensò con un tuffo al cuore al pensiero della notte
precedente.
«E allora che
cos’è quell’aria da sposina il giorno
dopo la prima notte di nozze?!»
«Will, non è
successo niente… beh… insomma… oh,
cavolo! Ok, l’ho baciato.»
Simone sbiancò.
«…Tu…
lo hai… baciato?»
Lou fece segno di sì con la
testa con un sorrisetto.
«Non vedevo l’ora
di farlo… - disse ridendo – e lui aveva
già fatto troppo per una sera soltanto.»
«Ok, che ne hai fatto della
mia amica?» – chiese Simone con gli
occhi sgranati.
«È diventata un
po’ più adulta spero…»
– disse lei piano, con gli occhi sulla micia che si era
acciambellata e sonnecchiava – Will… ho
paura…”.
«Racconta. Ora. Tutto.»
– le ordinò Simone.
E Lou iniziò a raccontargli
ogni cosa, senza omettere nessun particolare.
******
Un bacio lungo.
Ville teneva gli occhi aperti mentre
lei lo baciava.
Con una mano infilata tra i suoi
capelli, la teneva delicatamente ferma, muovendo piano le labbra sulle
sue.
Lou sperava che non finisse mai.
Immaginava che la bocca di Ville fosse
morbida e sensuale, ma non aveva calcolato l’effetto che
avrebbe avuto su di lei.
A momenti si sarebbe disciolta in una
pozza di massa informe.
Sentiva il cuore battere contro la
gabbia toracica con tonfi forti e dolorosi e le orecchie che
fischiavano.
Gli passò le braccia
intorno alla vita, stringendolo a sé e lui posò
la micia ai piedi del letto, tornando subito ad abbracciarla, tirandola
giù rotolando sulla schiena.
Lei si accorse del cambio posizione
solo quando si ritrovò stesa sopra Ville e sentì
le mani di lui stringerla.
Stavano correndo troppo in fretta ma
Lou non riusciva a fermarsi… infilò le mani sotto
la maglia per toccargli la pelle calda e liscia.
Staccò le labbra dalla sua
bocca per baciargli la gola e il collo.
Le piaceva strofinarsi sulla sua
pelle, le piaceva il suo odore. Ville sapeva di legni orientali e
spezie, d’ambra e patchouli…
“Calma
Lou… non correre.” - si disse.
Con una mano sul cuore di Ville lei
alzò il viso per guardarlo, mentre lui cercava di riprendere
il bacio interrotto.
Lei lo baciò rapida.
Borbottio di protesta.
«Ville?» – sussurrò.
«Uhm?»
“Che voce
divina…”.
Anche quando mormorava e faceva versi
era sexy.
«Niente… volevo
solo dire il tuo nome…»
Lui aprì gli occhi. Anche
al buio era bellissimi… e le labbra… erano un
invito delizioso.
Le accarezzò il viso, con
un sospiro.
«'Prinsessa'…
credo proprio che ti sei fatta una nemica stavolta.»
– disse ridendo piano.
Guardarono insieme verso la gatta,
guancia a guancia, ma questa li fissava ad occhi socchiusi appoggiata
sulle zampe anteriori. Con uno sbadiglio annoiato, girò la
testa e chiuse gli occhi.
«Dicevi?»
– chiese Ville tornando a guardare Lou.
«Dicevo che mi piace dire il
tuo nome…» - sussurrò lei sulle sue
labbra.
«Uhm… bene. Molto
bene, perché credo che lo dirai spesso da stanotte in
poi…»
Lou annaspò, quando
sentì la mano calda di lui infilarsi sotto il golf per
accarezzarle il fianco.
«Potresti stancarti di
sentirlo…» – disse esitante.
E in quella frase c’era
tutta la sua insicurezza.
«E tu potresti stancarti di
pronunciarlo…»
Lou gli sorrise. Pari.
«Ville?»
«Uhm…»
«Baciami finché
non ti imploro di smetterla…»
Un sorriso lento che le fece drizzare
ogni pelo del corpo.
«Ai tuoi ordini, 'Prinsessa'…
solo SE mi implorerai di farlo.»
******
«Fammi capire… -
disse Simone alzando un dito e chiudendo gli occhi per concentrarsi
– vi siete baciati e strofinati tutta la notte, senza fare
altro?»
«Sì.»
– sospirò Lou.
«Ok… la
situazione mi è del tutto nuova. È romantico e fa
molto mister Darcy… ma se alla prossima non ti salta addosso
strappandoti i vestiti, ti devi preoccupare!»
«Oh, non fare il
guastafeste!! Sono certa che lui volesse farlo, ma per qualche strana
ragione ha deciso di immolarsi alla “causa Lou” e
darmi il tempo necessario per… per qualunque cosa
capiti.»
«Uhm… beh,
diamogli il beneficio del dubbio. Ti ha detto tutte quelle cose carine
che a voi donne piacciono e da come ne parli non sembra uno in cerca di
avventure. Voglio dire, potrebbe averne quante ne vuole; a meno che non
gli piacciano le sfide e vuole solo portare a letto una
difficile… non fare quella faccia ora! – disse
vedendo l’espressione afflitta di Lou – devi
metterlo in conto! Lou! – continuò prendendole le
mani – Ora non iniziare con le paranoie, ok? Continua a
vederlo!
Porca vacca, hai idea da quanto tempo
non ti senti così? Vuoi negarti tutto questo per paura di
cosa? Sai bene che non è nostro potere prevedere come
andranno le cose, quindi per favore, fallo per te… non farti
prendere dal panico e dall’insicurezza! Lui è a
posto, ti piace, gli piaci! Vivila…»
«Ma non abbiamo niente in
comune Will… e poi non ti ho detto un’altra cosa:
Nur lo ha conosciuto prima di me, sono stati a cena qui e lei si
è messa in testa di conquistarlo.
Mi sento in colpa; come faccio a dirle
quello che è successo senza che pensi che lo abbia fatto
apposta?»
«Senti Grace, la
“Regina di Saba” ha mille uomini tra i quali
scegliere: la sua voglia di rivalsa su Valo non ti deve riguardare. A
lei non importa un cavolo di lui, a te sì.
Se è una vera amica
capirà e se non lo capirà allora saranno affari
suoi: qui c’è in ballo qualcosa più
grande dell’orgoglio ferito di una vamp che non accetta un no
da un uomo.»
«Sarebbe?»
«Qui ci sono in ballo due
cuori: il tuo e quello di lui. A cosa dai la precedenza? Ad uno stupido
gioco di una ragazza annoiata o ai sentimenti?»
«E se lei fosse presa
veramente da lui?»
«Ma figuriamoci…
a questo punto affrontala subito non appena torna e smettila di farti
prendere da sensi di colpa inesistenti. Cavolo, Grace: non
c’è stato nulla tra loro, lui non era interessato
e Nur ha fatto tutto da sola, con l’unica voglia di
vendicarsi dopo essere stata rifiutata!»
Lou nascose la testa tra le braccia,
stringendosi le ginocchia al petto.
«Sto facendo una
cavolata…» – disse gemendo.
«Ah no, eh! Non iniziamo il festival del
melodramma, lo sai che non lo sopporto, Grace! –
sbottò Simone – Piantala immediatamente!
Guardami.»
Lou lo sbirciò con un
occhio.
«Basta così! Ora
ti alzi, ti fai una doccia, ti trucchi e ti vesti e poi usciamo.
Smettila di piangerti addosso. E quando Valo torna da te, tu, mia cara,
ti godi la sua compagnia e tutto quello che lui vuole darti…
e quando dico tutto, intendo proprio tutto!»
Lou continuava a guardarlo con un
occhio umido, pericolosamente sul punto di tracimare.
«Avanti! – le
disse imperioso Simone alzandosi e tirandola fuori dal letto
– Vai a farti bella e poi portami in giro ad ammirare la
fauna locale!»
Lou si fece spingere in bagno da un
Simone energico che le esponeva i programmi della giornata.
Lei si servì della sua
energia per tirarsi fuori dal momento di incertezza che
l’attanagliava ogni qual volta si trovava ad analizzare le
sue emozioni.
Ripensò a Ville e a quanto
era stato bello svegliarsi stretta a lui.
Non avevano fatto l’amore ma
non ricordava di essersi sentita così intimamente vicina a
qualcuno prima. L’aveva svegliata con baci lievi sul viso e
un sorriso abbagliante…
Era andato via molto presto: quando
l’aveva accompagnato alla porta, lui le aveva baciato la
punta del naso dolcemente dicendole solo, con voce vellutata:
«Torno presto, 'Prinsessa'…»
Cercò di calmarsi sotto una
bella doccia calda e fece come le aveva ordinato Simone: si fece bella
per il suo amico e per sé, si preparò e insieme
uscirono in giro per la città; non prima di aver coccolato e
sistemato la micia, in modo che non combinasse guai o sentisse la loro
mancanza mentre erano via.
******
«Sei una fogna, –
gli disse Lou guardandolo mangiare a quattro palmenti – non
so come fai ad essere così in forma, mangiando come fai
tu…»
Per tutta risposta Simone
addentò un involtino primavera, mentre aveva ancora la bocca
piena di riso alla cantonese.
«Io consumo,
bionda… in una maniera molto divertente tra
l’altro. Quello che ti consiglio di provare alla prima
occasione con il tuo frontman… sai che ancora non ci credo
che la mia timida e insicura Lucia, è la ragazza che fa
battere il cuore a Ville Valo?»
«Prima di tutto, non
è “il mio frontman” e non è
detto che gli faccia battere il cuore…»
«Qualcosa sicuramente gli
batte, stanne sicura…»
«Sei disgustoso.»
– gli disse ma rideva sotto i baffi.
Dopo una giornata a passeggiare per la
città, a fare foto nei posti più significativi e
belli di Helsinki, dopo aver saccheggiato negozi
d’abbigliamento e aver litigato a sangue sul fatto che lui
volesse andare a tutti i costi nel sexy shop del padre di Ville
(notizia che lui non vedeva l’ora di condividere) e lei aveva
urlato un no stridulo, erano tornati a casa gelati fino alle ossa e
stanchissimi.
Solo al pensiero di entrare a forza
nella vita di Ville la mandava in paranoia.
«Ma che barba che sei! -
l’aveva rimproverata Simone – come se lui ti
conoscesse!»
«Lo so io e tanto basta! Non
iniziare come al solito ad essere ossessivo!»
«Hai fatto ricerche su di
lui?»
«No! – rispose
indignata Lou – E non ho alcuna intenzione di farlo! Voglio
conoscerlo per quello che è quando sta con me, non per come
lo conosce il resto del mondo!»
«Stronzate: internet
è stato inventato anche per sbirciare nella vita degli
altri, senza che questi se ne rendano conto!»
«Io non voglio sbirciare
nella sua vita, Will!» – si alterò Lou.
«Voglio solo esserti
d’aiuto, Grace… non sei curiosa di sapere chi era
prima di trovare quel gatto?!»
«No. Me lo dirà
lui se lo riterrà opportuno.» – disse
ostinata Lou.
Simone la guardò a braccia
conserte.
«Di cosa hai paura? Di
scoprire cose scomode e la tua idea del principe romantico svanisca,
è proprio il caso di dirlo qui, come neve al sole? Ci sono
cose che lui non ti dirà mai, perché
darà per scontato che tu le conosca.»
«Non m’importa,
Will! Non voglio spiare nella sua vita: mi farebbe sentire
scorretta!»
«Grace! Non spii! È di
dominio pubblico quello che c’è in
rete e potrai sempre parlarne con lui, se mai ci fosse qualcosa che non
ti è chiara!»
«Ma perché
insisti tanto, Will?!»
«Perché sei mia
amica e mi preoccupo di te: e andiamo, cielo! La stai facendo
più grave di quello che è!»
«Sei un bugiardo! Sei
curioso come una scimmia e basta!»
Simone si alzò dal tavolo e
corse verso la stanza da letto di Lou, accendendo il computer.
«Ho intenzione di scoprire
ogni cosa su di lui. È per il tuo bene, stupida!»
«Will! Non farlo! -
urlò Lou correndogli dietro – Sei
odioso!»
«No, sto facendo solo quello
che tu non hai avuto il coraggio di fare: ti conosco fin troppo bene e
so benissimo che la prima cosa a cui hai pensato è stata
quella di fare una ricerca accurata su di lui, non negarlo!»
Lou incrociò le braccia al
petto rimanendo in silenzio.
«Lo sapevo… a me
non la fai… avanti, una sbirciatina.» –
le strizzò l’occhio con fare malizioso.
«No, Will… tu
sbircia pure. Io non voglio.»
«Non sei curiosa di
ascoltare neanche la sua musica? – le chiese alzando un
sopracciglio – Almeno quello sforzo potresti farlo, che ne
pensi?»
Lou ci pensò un attimo.
Quello era un altro discorso: lei
amava la sua voce e conoscere il suo mondo in quel modo era
tutt’altra cosa…
«Bene… vedo che
stia iniziando a ragionare. Resta qui. – disse tornando in
salotto e rientrando con un sacchetto blu che penzolava dal suo indice
– Ecco: questi sono per te.»
«Che roba è?
– chiese Lou, prendendo il sacchetto svuotandolo sul letto
– Oh…»
Una manciata di cd
musicali… ed era inutile chiedere: erano tutti cd degli HIM.
«Quando li hai presi?
– gli chiese Lou – Hai il dono
dell’ubiquità?»
«Li ho comprati quando tu
sei andata al reparto cosmetici… ora ringraziami!»
Lou prese un cd tra le dita con sopra
il viso a metà di Ville: un Ville così giovane e
diverso da quello che aveva passato la notte a baciarla con lentezza
struggente…
Un tuffo al cuore come sempre, ogni
volta che vedeva i suoi occhi…
«Avanti mettilo su: muori
dalla voglia di sentirlo…»
«Voglio ascoltarlo da
sola… mentre fai l’investigatore privato, io torno
di là e… ascolto…»
Raccolti i cd in una pila ordinata,
Lou uscì e qualche minuto dopo la voce di Ville Valo,
riscaldava la piccola casa.
Stesa ad occhi chiusi sul divano, con
la gatta che la osservava curiosa accoccolata sulla sua pancia, Lou
ascoltava la voce di Ville uscire dalle casse dello stereo.
Era così strano.
Lei conosceva quella voce, che ormai
le era entrata in ogni singola cellula del corpo, presente in ogni suo
pensiero; la conosceva mentre le sussurrava di non smettere di toccarlo
o di baciarlo... ma così era diverso.
Sentiva la grinta di Ville, il
tormento... la forza delle sue parole la investiva come un'ondata.
Ascoltava ogni canzone con attenzione,
cercando di capire cosa potesse provare lui mentre cantava... prese il
cd tra le mani togliendo la copertina del cd che stava ascoltando:
voleva leggere i testi, ma vide che questo, altro non era che un poster
quadrato.
Su un lato c'era Ville... i capelli
lunghi e scuri, le labbra schiuse, gli occhi stranamente blu e non
verdi (eresia: gli avevano cambiato il suo colore, l'unica cosa che
la disturbò); braccia incrociate dietro la schiena, petto
nudo sotto la giacca di pelle, una pelle bianca e liscia, senza
peluria...
Un favoloso tatuaggio molto sotto
l'ombelico...
Arrossì improvvisamente
scacciando pensieri niente affatto
angelici, come quelli che doveva ispirare la foto... Forse.
Ville aveva solo l'aspetto di un
angelo... ma l'effetto che aveva su chi guardava la foto era tutt'
altro che innocente!
Con fatica staccò gli occhi
da quell’immagine per girare il poster: Ville seduto in primo
piano a gambe aperte sul pavimento. Un altro tatuaggio sul braccio
sinistro spuntava dalla manica della sua camicia nera... E un sorriso
che lei conosceva bene... malizioso, tenero, misterioso...
Dietro di lui il resto della sua band.
Lou guardò con attenzione i visi dei suoi compagni. Chi di
loro era più vicino a Ville? Con chi andava meno d'accordo?
Chi lo faceva ridere quando era triste?
Chi gli voleva più bene tra
loro? Tutte domande che probabilmente potevano avere risposta accedendo
ad uno dei tanti fan site della band... ma lei voleva che fosse lui a
parlargliene.
Un giorno gliel' avrebbe chiesto... in
basso c'erano solo i titoli dei testi; lesse sotto ogni titolo:
“Lyrics
and music by Valo”.
Lui scriveva sia i testi che la
musica... e lei si sentì così inutile e banale al
suo confronto.
Tornò a guardare la foto
precedente. Era così strano guardarlo su un pezzo di
carta... e si rese conto che lui non era affatto uno come tanti, come
si ripeteva da quando avevano incrociato le loro strade. Lui era una
star, amato e desiderato da milioni di donne in ogni angolo del
pianeta; uno che aveva girato il mondo e vissuto cose che lei neanche
immaginava e mai avrebbe potuto fare...
Un uomo che poteva avere tutto quello
che voleva... e lei si chiese cosa mai avessero in comune oltre ad una
gatta dal pessimo carattere.
Una crisi di panico la
investì in pieno.
«Che è quella
faccia? – chiese Simone che era accanto a lei, ora
– Che succede, non ti piace la sua musica?»
«Will, ma che sto facendo?
Come posso competere con il suo mondo? Come posso pensare di piacergli
sul serio? Guardalo... cosa abbiamo in comune io e lui?» -
disse concitata, sventolandogli il poster sotto il naso.
«Ti dai una calmata? Che ti
prende ora? Non avevamo detto che dovevi prendere le cose
così come venivano?»
«No Will, non hai capito! Io
non posso pensare di frequentarlo! Lui è famoso,
è bello, è ricco! Io chi sono!? Nessuno! Che se
ne fa di me?!»
Iniziò a camminare su e
giù per la stanza, torcendosi le mani.
Simone la guardava seduto sul
bracciolo del divano, con aria annoiata.
«Quando hai finito la
sceneggiata, fammelo sapere...»
Silenzio, mentre lei respirava a
fatica...
«Scusa tanto, Grace... ma
hai realizzato solo ora chi è? Cioè questo
pensiero non ti ha sfiorato mentre gli arpionavi una chiappa!? A
proposito, non mi hai detto com'è: ha un bel
culo?»
Lou gli lanciò dietro un
cuscino che prese al volo dal divano.
«Will! È una cosa seria!
Non scherzare!»
«Anche il culo del Valo
è una cosa seria.» - ribatté compunto.
Lou si sedette di nuovo sul divano per
tre secondi, posò gli occhi sulla pila di cd accanto a lei e
si alzò di nuovo schizzando via, lontano, come se
allontanandosi dai cd prendesse le distanze anche dalla voce incisa
sopra...
«Grace... piantala. Ti devo
ricordare che nonostante tutte le donne che lui potrebbe avere, vuole
te, per ora? E non mi spiego il perché visto che sei una
totale rottura di balle! Se inizi a vivere la cosa in questo modo e
con quest'ansia, dove speri di arrivare? Hai intenzione di avere queste
crisi isteriche ogni volta che lo vedrai in tv o sentirai una sua
canzone?»
Lou lo guardò spaurita.
«Ti calmi per cortesia? -
disse pacato – Hai voglia di sentire quello che ho
scoperto su di lui?»
«No! Nel modo più
assoluto, ora non potrei leggere o vedere nulla che lo riguardi!
Già realizzare chi è mi ha buttata nel panico...
non ho bisogno di altre novità oggi.»
«Tu sei un caso clinico...
non capisco questo tuo terrore! A meno che... Grace... ti sei
già innamorata di lui?» - le chiese incredulo.
«No! No. No... ” -
lo guardò con gli occhi sgranati – Non lo sono,
non ancora...»
«Vorrei ben vedere! Santo
cielo tu mi ammazzerai uno di questi giorni! E menomale che siamo
lontani: non sopporterei le tue ansie ogni volta che qualcosa ti
turba...»
«Ok, devo calmarmi... - Lou
gesticolava con le mani, si riavviava i capelli che le svolazzavano
intorno al viso mentre continuava a camminare su e giù, con
la gatta e Simone che dal divano la guardavano con rassegnazione
– sono calma. È stato solo un momento. Ok... -
respirò a fondo – la prossima volta che sclero
così, dammi una sberla, ok?»
«Basta chiedere.»
«Will, lui mi piace
molto... troppo.»
«Lo so, lo avevo capito.
Quindi siccome ti piace e hai paura di non essere all'altezza della
situazione, te la stai facendo addosso? Se non ricordo male, anche con
quel pezzo di merda di Andrea avevi lo stesso problema... e voglio
dire... stiamo parlando di un enorme pezzo di cacca!
Per quanto Valo possa essere famoso o
divo o viziato o egocentrico, dubito che possa eguagliare l'ego e la
crudeltà del tuo ex... e tu devi finirla di avere
paura.»
«Non avrò
paura... mi fiderò di lui, lo prometto Will... e soprattutto
devo fidarmi di quello che sto provando io...»
«Menomale... bene dopo
questa performance memorabile che si fa? Facciamo sesso? Ah, no...
scusa... dimenticavo, non mangio patate...»
Lou lo guardò con
sufficienza.
«Guarda che io sesso con te lo farei,
eh... sei un gran pezzo di figo. Fatti toccare il culo...
- disse improvvisamente Lou, atterrandogli sopra con un balzo
– Dai, fattelo toccare!»
«Graceeeeeeeee, smettilaaaaa
– urlò lui dibattendosi come un'anguilla
– No, ti prego! No, il pistolino nooooo, lasciamelooooo mi
serveeeeeeeeeee!»
«Non te lo sto
toccandooooooo! - urlò Lou ridendo, mentre lui scappava via
stridendo come una gallina e lei prendeva la rincorsa per seguirlo
– Vieni qui! Fammi vedere com'è il tuo di
culo!»
La micia che sonnecchiava placida sul
divano si svegliò di soprassalto alle loro urla, guardandoli
con espressione palesemente allibita, mentre correvano verso la camera
da letto dalla quale continuarono a provenire urla e risate stridule.
******
Beneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee...
eccoci qui!!
Avete visto chi vi ho portato?!?! SIMONE...( facciamo una fan page per
lui... :P )
Avete portato l'acqua per il miele, visto il capitolo allapposo?!
Eh mi è partita la vena romantica ragazze... non ho saputo
trattenermi...
(spero vi sia stato gradito... :)
Che
ne pensate di Lou e Ville a letto senza fare nulla?!?! (Gà
sento le urla delle ninfomani delle sister che gridano all'eresia!! XD);
Come sempre un grazie alle mie Beta fantasmine...
Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci (almeno
una mi commenta, l'altra è morta proprio: nuova regola. Se
non mi commenta non le mando i capitoli! Tiè!
U,u
Grazie a: arwen85 Echelena Lady Angel 2002 dile91
selevalo apinacuriosaEchelon (ta-nha ta-nha ta-nha) Villina92 Ila_76 poisongirl76 marfa fnghera e angelica78vf
Grazie grazie grazie
inifnite a tutte! alla prossima!
*H_T*
PS: Il titolo l'ho preso da una canzone che mi ha ispirato, una song
che amo molto... Tracy Chapman - "The
Promise"
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Capitolo 8 *** Capitolo sette: “Your arms around me...” ***
Capitolo
sette
"Your arms around me"
Lou
affettò il prezzemolo velocissimamente, poi passò
ai pomodori che tagliò a cubetti, buttandoli nel recipiente
dell'insalata.
Julian le passò accanto cantando a bassa voce, mentre
assaggiava la paella che stava preparando.
Chiuse gli occhi inspirando forte e gettò
un’occhiata al di là del muretto basso della
cucina, verso il salotto, dove Ville e Nur seduti sul divano
chiacchieravano a bassa voce.
“Tutto
questo è un incubo…”
– pensò Lou.
Quella
giornata era iniziata come tante altre e dopo otto ore, eccoli
lì, tutti nel suo salotto ad aspettare una cena…
Otto
ore prima…
Lou e Simone
erano in bagno. Si preparavano insieme, si lavavano i denti insieme,
mentre uno faceva la doccia e l’altra era in vasca
chiacchieravano, come facevano a Roma; anche lì avevano
ripreso in poche ore, i ritmi di quando convivevano.
Lei era
immersa nella vasca piena di schiuma profumata mentre Simone faceva la
doccia cantando a squarciagola e stonando non poco.
«Will,
sembri il gabbiano della “Sirenetta”...»
– disse Lou ridendo.
«Grace,
tu non apprezzi il mio canto libero…» - rispose
lui, con un acuto, mentre cantava “Di sole e
d’azzurro” di Giorgia "versione
Will".
Dopo qualche
istante anche lei si unì al suo amico, con il risultato che
ora sembravano un gabbiano moribondo e una cornacchia in preda ai
crampi.
La micetta
che Lou aveva iniziato a chiamare Katty in attesa che il "Sig. Valo" le
trovasse un nome adatto e che li seguiva ovunque come
un’ombra, si alzò piano uscendo dal bagno,
rifugiandosi in salotto lontano dai loro gorgheggi.
Lou rise
fino a soffocarsi.
«Che
c’è? Perché ridi?»
– chiese Simone uscendo dalla doccia come una statua scolpita
nell’oro, ricoperta di goccioline d’acqua.
Lou
sbirciò il corpo nudo, magro e scattante del suo migliore
amico, con ammirazione.
Era proprio
bello… accidenti!
Tante volte
aveva pensato che se Simone non fosse stato gay, lei si sarebbe
innamorata senza nessun problema ed istantaneamente di lui. Era
perfetto e non solo fisicamente… sotto la patina di ragazzo
alla moda e superficiale, Simone era una persona dolce e rassicurante,
attento e sensibile… probabilmente tutte quelle
qualità, se fosse stato etero non le avrebbe avute
però, aggiunse mentalmente.
«Katty
è fuggita via quando ci ha sentiti
cantare!» –
rantolò lei ridendo.
«Umpfh…
viziata! Solo perché l’ha salvata Valo ora fa la
snob…» –
sbuffò lui.
Avvolgendosi
un telo attorno ai fianchi, Simone si sedette sul bordo della vasca.
«Grace,
devi farti la ceretta… non vorrai che Valo trovi Cita al
posto di una fatina, vero?»
«Pensavo di
portarti in un centro estetico oggi, mio caro:
dove io mi farò scorticare come una gallina e tu ti godrai
la famosa sauna finlandese… che ne dici? Ti piace come
idea?»
«È una
fantastica idea… - si bloccò a
metà frase quando dal salotto sentirono un urlo di donna
stridulo e subito dopo la gatta sfrecciò dentro il bagno
come un proiettile – Che diavolo?…»
«Louuuuuu
dove sei?! C’è un gatto nero in casa!»
– la voce di Nur era alterata e spaventata.
«Nur! Sono in
bagno!» –
urlò
lei gettando uno sguardo alla micina spaventata che si era rintanata
dietro il cesto della biancheria sporca.
«Oh,
oh, la “Regina di Saba” è
qui…» –
disse a bassa voce Simone,
drizzandosi spingendo in fuori il petto.
«Che diavolo
ci fa un gatto in casa nos… oh! Oddio
scusatemi! Non volevo disturbare!»
Nur
entrò in bagno con indosso ancora il piumino bianco e la
borsa appesa al braccio, bloccandosi di colpo quando vide un uomo, un
bellissimo uomo seminudo, seduto sul bordo della vasca.
Imbarazzata Nur fece per uscire, quando Simone si alzò
tendendole la mano e presentandosi, in inglese.
«Ciao
Nur, io sono Simone.»
«Simone!
Ma certo! Oh cavolo, avrei dovuto riconoscerti subito... Cavolo se sei
figo… oh scusa! – disse ridendo Nur, prendendo la
mano di Simone – Non riesco a tenere la bocca chiusa quando
vedo un bell’uomo davanti a me!»
«Eh,
come ti capisco sorella… ho lo stesso identico problema! -
disse lui ridendo divertito – Grazie per il figo: anche tu
non sei malaccio!»
Lou
osservò i due amici fare amicizia con un sorriso.
«Beh,
benvenuto in Finlandia, Simone!» –
disse Nur,
sedendosi sul water dopo aver abbassato la tavoletta, togliendosi il
piumino che ripiegò sulle ginocchia, posando la borsa sulla
cesta dei panni sporchi, dove la micia acquattata la guardava
sospettosa.
«Lou,
tesoro vedo che stai meglio… ho avuto
un’allucinazione o c’è un gatto nero in
casa?»
«Hai
visto bene! Spero non ti spiaccia… da oggi avremo
un’inquilina in più!»
«Oh,
no… figurati… ma da dove spunta fuori?»
– chiese chinandosi per guardare la gatta che già
le soffiava contro, con gli occhi verdi stretti a fessura.
«Era
mezza morta nella neve… ed eccola qui…»
– tagliò corto Lou, beccandosi
un’occhiata divertita da Simone.
“Al
diavolo… avrebbe trovato un modo per dirle di
Ville… prima o poi…”
«Bel
caratterino! Bene… le sono già
simpatica!»
«Ah,
fa così con tutti! – disse Simone – Sono
in pochi ad esserle simpatici…»
“Infame…”.
«Non
sapevo che saresti tornata! Perché non mi hai
chiamato?» –
chiese Lou, sviando il discorso da
dove lo stava portando Simone.
«Volevo
farti una sorpresa!»
«Ci
sei riuscita, credo…» –
disse Simone con
una faccia da schiaffi.
Lou
fulminò con gli occhi il suo amico chiacchierone che invece
la guardava con un sorriso smagliante.
«Avete
programmi per oggi, ragazzi miei?
– chiese Nur già
proiettata in altri progetti, entusiasta - Dai facciamo qualcosa
insieme!»
«Volevamo
andare in un centro estetico, per me e i miei peli superflui
– aggiunse dopo un’occhiata del suo amico alle sue
gambe immerse nell’acqua - e far provare la vera sauna
finlandese a Simone: che ne dici? Vieni con noi?»
«Assolutamente
sì! Ho proprio voglia di un bel
massaggio…»
«Bene…
allora andiamo! Mi faccio una doccia veloce e sono tutta
vostra!»
«Allora
io vado a vestirmi!» –
disse Lou uscendo dalla
vasca, avvolgendosi nel telo che Nur le tendeva.
«Lou
il tuo cellulare... - le urlò Simone che era uscito prima di
lei e che ora era in camera - sta vibrando da un
po’… Matleena.»
Lou corse in
camera cercando di non rimanere nuda, afferrò il cellulare
dalle mani di Simone e rispose.
«Mat!
Che succede?»
«Lou!
Scusa se ti chiamo di mattina, ma ho bisogno di te per un consulto
veloce oggi: potresti passare tra un’oretta? Prometto che ti
darò una giornata libera quando ne avrai bisogno, ma mi
servi tu. Non mi fido di nessun altro.»
«Ma
certo Mat, vengo io, tranquilla. Ci vediamo più
tardi!»
«Grazie
cara, a dopo.»
Come sempre
Mat non attese risposta e chiuse la comunicazione.
Simone e Nur
la guardavano in silenzio in attesa.
«Devo
passare in galleria ragazzi, ma voi andate pure senza di me.»
«Non
fare la guastafeste… posso accompagnarti? – chiese
Simone – Volevo vederla in ogni caso e mentre tu fai quello
che devi, io visito la galleria e poi insieme andremo come deciso a
farci belli.
Che ne dici
Nur, ci accompagni anche tu?»
«Ma
certo… ci sarà anche il tuo
bell’artista spagnolo?» –
chiese con aria
maliziosa Nur.
«Artista
spagnolo? Questa non la sapevo… - Simone incrociò
le braccia al petto – Beh? Chi è ?»
«È
l’artista che è in esposizione in questo periodo,
Will… sono sicura che ti piaceranno le sue opere. - disse
Lou infastidita dalle continue allusioni di quei due: era come trovarsi
sotto un tiro incrociato – Vado a
vestirmi…»
Lou
buttò il cellulare sul letto, mentre Nur e Simone uscivano,
per permetterle di vestirsi.
Doveva dire
a Nur di Ville… si avvicinò alla finestra,
sbirciando verso la torre.
Le mancava. Non lo vedeva da una settimana. Stranamente nessuno dei due
aveva pensato di chiedere il numero di cellulare
all’altro… magari Ville l’avrebbe
chiamata in quei giorni, se solo lei gli avesse lasciato il numero.
Sospirò
pensando che Nur probabilmente si sarebbe arrabbiata sapendo che
durante la sua breve assenza, la sua sciatta coinquilina, aveva baciato
l’uomo che lei aveva deciso di conquistare.
Alla prima
occasione le avrebbe detto tutto, pensò mentre decideva cosa
mettersi.
Due
ore dopo…
«Eva,
sei la salvezza della Draghessa lo sai?» –
le
sussurrò Julian mentre Matleena sottobraccio a Simone,
passeggiava per la sala esposizioni.
Nur,
guardava le opere di Julian con disappunto: l’idea
d’arte della sua coinquilina era la pittura e basta. Si
ripromise di farle una breve panoramica sul variegato mondo
dell’arte in un prossimo futuro.
Lou sorrise
a Julian, che come sempre la osservava intensamente.
«È solo
metodica: è abituata al fatto che io so esattamente
cosa vuole, senza che debba arrabbiarsi…»
«Oh
dai, non fare la modesta: sei la migliore qua dentro! È per
questo che Matleena vuole solo te.»
Lou
scrollò le spalle come a dargliene atto, lusingata che lui
pensasse quelle cose di lei.
«Hai
programmi per la giornata, Eva? – chiese Julian cambiando
discorso – Mi chiedevo se ti andava di portarmi un
po’ in giro per la città…»
La
guardò speranzoso.
«Ho
promesso ai miei due angeli custodi di passare un pomeriggio in totale
relax all’insegna della bellezza e della cura del corpo, in
un centro estetico…» - gli
sorrise Lou,
scusandosi.
«E
tu potresti unirti a noi, Julian. – aggiunse Nur, che aveva
sentito le ultime parole – ho come l’impressione
che anche a te serva un pomeriggio di relax! Ti va?»
«Con
piacere… - disse Julian sbirciando la faccia di Lou che
cercava di mantenere un’espressione neutra, quando invece
avrebbe voluto staccare la testolina della sua amica – Sempre
se a Lou non dispiace…»
«Ma
certo che mi fa piacere, Julian…» –
rispose lei, con una punta di fastidio nella voce.
«Ah,
che bello! Allora aspettiamo che anche tu finisca qui e andremo tutti
insieme!»
Nur la
guardava soddisfatta come se le avesse fatto un gran piacere e non
appena Julian si distrasse le strizzò anche
l’occhio in maniera complice.
“Di
male in peggio! Devo dirle subito di Ville o non la finirà
di cercare di buttarmi tra le braccia di Julian!”.
Finito che
ebbero di soddisfare le richieste di Matleena, uscirono tutti e
quattro, con Julian che parlava come sempre con entusiasmo della sua
esperienza finlandese, mentre guidava la sua auto sportiva.
Lou guardava fuori dal finestrino, distratta: era passata
un’altra ora e non era riuscita a parlare da sola con Nur.
Quest'ultima
era sempre stata attaccata al cellulare o lei era stata impegnata con
Matleena.
Si massaggiò le tempie: aveva un principio di mal di testa
che prevedeva non sarebbe migliorato.
Cercò di rilassarsi e godersi il massaggio dopo
l’esperienza sempre traumatica della ceretta inguinale.
Mentre i
ragazzi erano in sauna lei si era sottoposta alla tortura ed ora, dopo
un trattamento viso, che doveva servire a rendere la pelle luminosa,
come le aveva assicurato Nur esperta di centri estetici, cercava di
trovare le parole giuste per dirle di Ville.
Ma la sua
amica era in fase silenziosa.
Aveva
provato a portare l’argomento dove le era comodo, ma Nur o
era troppo stanca per risponderle o stava pensando.
Quindi
rimase in silenzio anche lei, mentre le mani esperte della
massaggiatrice scioglievano i suoi muscoli rattrappiti.
Si concesse
di pensare a Ville… si chiedeva quando lo avrebbe rivisto.
Dopo la
crisi di panico del giorno precedente, aveva cercato di prendere la
cosa con filosofia e di godersi, come le consigliava Simone, la
compagnia di Ville e di tutto quello che ne sarebbe conseguito.
«Grace,
hai la malsana idea che un rapporto debba per forza sfociare in
qualcosa di scontato e romantico: non tutte le coppie si sposano, non
tutte vanno a vivere insieme, non tutte le storie nascono nello stesso
modo. Può benissimo accadere che una storia di sesso diventi
la storia più bella della tua vita, o come può
accedere che quella nata con tutti i parametri giusti, vada a finire
nel disastro più totale… devi imparare ad
apprezzare le sorprese e le incognite che la vita ti mette sul cammino.
Smetti di pensare che non sei "abbastanza" per le persone: sono il tuo
migliore amico e ti voglio bene. Conosco i tuoi difetti meglio di
chiunque altro, ma conosco anche quella che sei al di sotto di quella
corazza che hai. So che quando ami qualcuno, lo fai con tutta te
stessa, donandoti senza remore… se ami un uomo una minima
parte di quanto so che ami me, che sono solo tuo amico, allora
credimi… è già abbastanza. E so che
hai amato molto… e spero davvero tanto, con tutto me stesso
che tu possa innamorarti ancora… e che qualcuno possa essere
amatoda te… e che tu possa essere ricambiata come
meriti…»
Quando la
sera prima, a letto Simone le aveva detto quelle cose, le era stato
difficile non mettersi a piangere. Tutti non facevano che dirle di
sciogliersi, di lasciarsi andare… di vivere.
E lei voleva
farlo. Con Ville.
Erano
immersi beati nella vasca idromassaggio quando Simone
sganciò la bomba.
«Ragazze, che
ne dite di cenare insieme stasera? Una cenetta
casalinga: Julian ha appena detto che la sua paella è al
migliore che mai mangeremo nella nostra vita… io gli ho
detto che se vuole competere con la pasta al pomodoro di Lou, deve
darcene la prova!»
Nur accolse
la proposta con entusiasmo, anche se questo le avrebbe impedito di
buttarsi in una delle sue notti folli in giro per discoteche e pub
della città.
Lou ne fu
felice per lo stesso motivo: le avrebbe dato l'ottima scusa di non
farsi trascinare in giro per la città.
Poco
importava se doveva spadellare per tutta la serata mentre con tutta
probabilità, sia Simone che Nur avrebbero trovato mille
scuse per eclissarsi dalla cucina.
«Vedrete,
non ve ne pentirete! Assaggerete la migliore paella del
mondo!» –
rise allegro Julian, mettendo in mostra i
denti bianchissimi e perfetti.
«In
ogni caso, io la famosa pasta di Lou, l’ho già
mangiata… ricordi? – disse improvvisamente
rivolgendosi a Lou che alzò di scatto la testa -
è stato quel giorno che ho conosciuto Ville a casa
tua!»
“Ecco!
Grazie Julian!” – pensò acida
Lou.
Nur la
guardò con curiosità, Simone con
l’espressione “Ora-sei-fregata-“
e Julian attendeva la conferma.
«È
vero… lo avevo
dimenticato...» - disse
piano Lou.
«Ville?
– chiese Nur con una strana nota nella voce – Come
mai Ville era a casa nostra?»
Prima che
Lou potesse risponderle, Julian continuò: «Era
venuto a vedere come stesse la gattina e poi l’ha portata via
con sé!»
«La
gatta? Che c’entra la gatta con Ville?»
«L’abbiamo
trovata insieme e sentendola piangere, siamo accorsi entrambi,
Nur.» –
disse cauta Lou, guardando la sua amica
negli occhi.
«Davvero?
Che cosa carina…» - sembrava
di nuovo rilassata.
Simone la
guardava ad occhi socchiusi. Lou lo ignorò.
«Sì,
molto carina… - disse Lou con un’occhiataccia a
Simone e poi rivolgendosi a Julian gli disse: - Dovremmo fare la spesa
però, a casa non abbiamo molto, men che meno ingredienti per
la paella!»
«Andremo
a farla insieme, se vuoi!»
«Bene,
e mentre voi fate la spesa, io e Nur prepareremo una tavola magnifica,
vero cara?» –
chiese Simone raggiante a Nur che era
di nuovo distratta e silenziosa.
«Assolutamente
sì.»
Tre
ore dopo…
Lou
camminava tra le corsie del supermercato vicino casa, in cerca di
verdure fresche.
Julian poco più lontano si aggirava veloce nel reparto
surgelati.
Spingeva il
carrello già pieno a metà di vino, pane e altra
roba che Simone le aveva detto di volere.
Il mal di
testa era aumentato invece che svanire.
La reazione
di Nur era stata strana: si era aspettata che chiedesse ulteriori
spiegazioni, come faceva sempre, invece aveva lasciato cadere
l’argomento, ma era rimasta in silenzio per il resto del
tempo.
Lou era
preoccupata più per quella reazione che se non si fosse
infuriata.
Sperava di
trovare il tempo durante la cena di dirle tutto… non ce la
faceva più a sopportare oltre quella tensione.
Aveva
bisogno di liberarsi la coscienza, anche se come aveva detto Simone non
aveva motivi di sentirsi in colpa verso la sua amica.
Totalmente
sovrappensiero girò l’angolo, investendo in pieno
la persona che in quel momento era proprio accanto allo scaffale
nascosto.
«Oh,
mi scusi… - disse in italiano imbarazzata, poi in inglese
– non l’avevo vist…»
E si
ritrovò ad annegare negli occhi verdi e sorpresi di Ville.
Un lento
sorriso sfiorò le labbra di Ville e gli occhi da sorpresi,
s’illuminarono maliziosi.
«'Prinsessa'
”… devi sempre colpirmi in
qualche modo…” – disse piano.
Lou si
aggrappò al carrello, per non cadere a terra.
Le era
mancato da morire… oh, era possibile che il suo sorriso
fosse ancora più bello e dolce di quanto ricordasse?
E gli
occhi… erano sempre stati così verdi?
“Oh,
mio dio… mi sei mancato… mi sono mancati i tuoi
occhi…” - pensò Lou,
rimanendo in silenzio, con il cuore che le galoppava nel petto.
Ville la
guardava scuotendo la testa.
«Ciao
Ville, sono felice di vederti! … dai prova, ce la puoi
fare…»
La prese in
giro andandole vicino,
affiancandola appoggiandosi con il bacino al carrello che lei stringeva
tanto da far sbiancare le nocche delle maniLe sussurrò
all’orecchio chinandosi su di lei, sfiorandole una mano, che
si sentì ancora più piccola con lui che la
sovrastava.
«Dici
che se ti bacio qui, è sconveniente?»
Lou
avvampò, guardandogli le labbra che erano stirate in un
sorriso da satiro.
“Lou!
Fatti tornare la parola e digli qualcosa, che diamine!”.
«Ville…»
«Sì,
sono io… e tu sei sempre "Lou-che-sogna-alla-finestra"? O
sei la sorella cattiva della mia 'Prinsessa'…?»
La sua voce
così vicino… la accarezzava come stavano facendo
gli occhi.
«Quando
sei tornato?… mi sei… ci sei
mancato…» –
disse Lou senza fiato.
«Vi
sono mancato o ti sono mancato?» –
le chiese
sfiorandole la tempia con le labbra.
«Ci
sei mancato… a me e Katty…»
«Katty?»–
rise piano con gli occhi che le fissavano la bocca.
Lou
pensò che avrebbe iniziato a perdere ogni controllo se
continuava a guardarla in quel modo e a sussurrarle, sfiorandola con il
fiato ogni volta.
«Sì,
non potevo chiamarla “Gatta” ogni volta che mi
rivolgevo a lei… è temporaneo!»
– disse agitata.
«Sempre
tesa, la mia 'Prinsessa'- le sussurrò
appoggiandosi con il corpo snello a quello di Lou, passandole un
braccio intorno alla vita, premendo le dita attraverso gli strati del
suo giaccone – Hai un buon profumo... sai di
vaniglia...» - le disse
annusandole i capelli, strofinandole
le labbra sui ricci.
Lou
posò una mano sulla sua e lui girò il palmo
intrecciando le dita a quelle di lei... aveva sempre delle mani
così calde.
Si
aggrappò a quella mano, mentre lui ne accarezzava lentamente
con il pollice il dorso.
«Penso
che sia meglio andare via: spesso i fan mi seguono quando vado in
giro... non vorrei ritrovarmi su qualche blog mentre amoreggio con una
bionda in un supermercato... - le strizzò l'occhio
– E poi, sto davvero facendo uno sforzo enorme per non
prenderti e baciarti fino a toglierti il respiro.»
Lou
sentì lo stomaco contrarsi a quelle parole, un delizioso
languore al basso ventre.
«Ville!»
- la voce di Julian, dietro di loro, li fece sobbalzare mentre
continuavano a fissarsi in silenzio.
Julian era
stupito di vedere Ville, appoggiato in modo del tutto rilassato al
carrello di Lou e vide che erano molto vicini.
«Julian...
giusto?» - chiese
Ville senza muoversi di un millimetro, alzando lo
sguardo altrettanto stupito di vederlo lì.
Poi
notò che l'altro aveva tra le braccia qualcosa che
andò a depositare nel carrello di Lou, per affrettarsi a
salutarlo, stringendogli la mano; contemporaneamente Lou sciolse le
mani e si staccò leggermente da Ville.
Lui si
raddrizzò lentamente, non senza aver prima buttato
un’occhiata in tralice a Lou.
«Accidenti,
anche Ville Valo fa la spesa come tutti i comuni mortali
allora!» - disse
ridendo Julian additando la sacca che pendeva
dalle mani di Ville.
«Eh
già, anche Ville Valo pare mangi ogni tanto. - rispose lui
secco – Cenetta romantica?» - chiese
poi, con aria
indifferente e tono piatto, indicando il carrello dietro di
sè, con gli occhi che fissi al pavimento.
«Ville...»
- sussurrò Lou, cercandogli gli occhi.
«Oh,
no no, assolutamente no... purtroppo!» - disse
ridendo Julian.
“Grazie
Julian...”
«È
una cena tra amici in realtà, organizzata all'ultimo
momento, mentre eravamo a mollo nella vasca idromassaggio, oggi
pomeriggio! Ma perché non ti unisci a noi?! Sempre se a Lou
va bene, ovvio!»
Ville
rimaneva in silenzio.
Lou chiuse
gli occhi per un istante.
«Mi
farebbe piacere se tu venissi, Ville...» - disse
fissandolo dritto in viso.
“Ti
prego guardami...”.
Lui si
girò piano, guardandola con uno sguardo totalmente diverso
da quello di pochi minuti prima.
Come se non
la conoscesse neanche.
Lou si
sentì investita da una ventata gelida.
Si
sforzò di sorridergli calma, ma le tremavano gli angoli
della bocca.
«Ok.»
«Grandioso!
- esclamò Julian, che non si era minimamente reso conto
degli sguardi e dell'improvviso cambio d'umore di entrambi –
A più tardi allora; Lou io devo prendere altre cose, arrivo
subito... Ciao Ville, a dopo!»
Ville
alzò la mano in segno di saluto, sorridendo.
«Non
eri obbligata ad invitarmi se non volevi.»
«Ma
che stai dicendo? Certo che voglio che tu venga... non fare
l'antipatico! Non mi aspettavo di vederti...» -
ribatté acida Lou.
«Sei
sicura che non preferiresti stare con il tuo Banderas, invece che con
un palloso e pallido finlandese?» - chiese
a bassa voce,
guardandola in tralice.
«Non
vorrei essere con nessun altro che con te, stasera.» -
rispose lei seria, guardandolo dritto negli occhi.
“E
al diavolo le reticenze.”.
Ed ecco di
nuovo quelle fiamme verdi che la bruciavano.
Ville
buttò uno sguardo al di là degli scaffali,
corrugando la fronte; lei seguì i suoi occhi e vide,
girandosi, che c'erano tre ragazze che si sgomitavano agitate,
indicandolo.
«Ti
hanno beccato. - disse lei, mentre le tre ragazze avanzavano
verso di loro – O scappi o ti arrendi e fai il
carino.»
«Oggi
sono di buon umore: farò il carino. Grazie a te.»
«A
me? Pensavo fossi irritato...» -
sbatté le
palpebre lei.
«Oh,
no... non mi hai ancora mai visto davvero irritato,
credimi...»
«Bene,
avvertimi quando lo sei, perché non voglio essere
presente... ora vado, ti lascio alle tue fan.»
«Fifona...»
- le sussurrò lui, raddrizzando le spalle mentre la prima
delle ragazze si avvicinava tremante con una macchinetta fotografica,
chiedendogli in un inglese stentato se potesse farsi una foto con lui.
Lou prese il
suo carrello e si allontanò da lui, che ora era attorniato
da donne adoranti e rosse in viso.
«Ehi,
biondina!» - la
richiamò mentre firmava
autografi.
“Biondina?!”
Lei si
girò rigida, con un sopracciglio alzato.
«Tu
non lo vuoi l'autografo?» - le chiese
con un sorriso da un
orecchio all'altro.
Le tre
ragazze si voltarono come un sol uomo a fissarla con gli occhi stretti.
«La
prossima volta, Valo!» - rispose
lei, dandogli le spalle.
Lui
sghignazzò e le tre ragazze aprirono la bocca in un
“O” indignato.
Era tentata
di dirgli qualcosa, tipo “ci vediamo a cena, Valo”,
ma era meglio non sfidare la sorte.
Si
avvicinò a Julian che aveva le braccia piene di viveri,
aiutandolo a liberarsi mettendole nel carrello.
Una volta
alla cassa Lou si girò per dare un'occhiata a Ville che
ancora s’intratteneva con le ragazze estasiate; sorrideva
gentile rispondendo alle domande, facendosi fotografare.
Quasi l'
avesse sentita lui alzò gli occhi, incrociando i suoi e le
strizzò l'occhio con un ghigno.
Lei
uscì a mento alto dal super, affiancata da un Julian
ciarliero... una volta usciti pensò che aveva dimenticato di
dire a Ville che Nur era tornata.
E che non
sapeva nulla degli ultimi sviluppi.
******
Quando erano
tornati a casa, Lou ammirò con piacere il lavoro che Simone,
con l'aiuto di Nur, aveva realizzato: come sempre un miracolo, ogni
volta che lui toccava qualcosa, questo diventava unico e speciale.
Non sapeva
come aveva fatto, ma aveva reso il salottino più bello di
quanto fosse mai stato prima: candele e foulard che probabilmente aveva
rubato a Nur, coprivano ogni angolo libero.
Anche sulla
lampada anonima del salotto c'era un foulard a colori caldi che rendeva
l'atmosfera molto intima.
La musica
che usciva dallo stereo era soft e
sensuale.
«Ragazzi,
non immaginerete mai chi abbiamo incontrato mentre facevamo la
spesa!» - Julian
non vedeva l'ora di svuotare il sacco.
«Fammi
indovinare – disse Simone adocchiando il viso tetro di Lou
– Ville Valo, per caso?»
«Esatto!
Viene a cena qui! Ancora non posso crederci... anni fa avrei dato un
braccio per conoscerlo e stasera sono a cena con lui!»
Nur che era
in bagno fece capolino con il mascara in mano.
«Davvero?
Forse ha saputo che ero tornata...» - disse
sorridendo.
«Certo...
- borbottò Simone, in italiano – Proprio
così...»
Nur
indossava un normale jeans attillato e un maglione rosso a collo alto,
ma alla notizia che Ville sarebbe stato a cena, corse a cambiarsi per
tornare con un abito anch'esso rosso, scollato e stretto in vita, per
poi ricadere morbido fino al ginocchio.
Ovviamente
accompagnato con un paio di scarpe dal tacco altissimo.
Simone le
disse in tono accondiscendente e mellifluo che era strepitosa,Julian
sbatté più volte gli occhi imbambolato.
Lou dal
canto suo sospirò in preda ad un attacco di panico misto a
gelosia.
«Tu
rimani così? - le chiese Simone, indicando il suo
abbigliamento, jeans chiaro e maglioncino bianco, con occhio schifato -
perché non metti quel vestito verde che ho visto nel tuo
armadio?»
«Perché
devo spignattare e non ho voglia di rovinarmi un vestito: e poi
rimaniamo in casa, voglio stare comoda.» -
tagliò
corto lei mentre tirava fuori la spesa dai sacchetti.
Simone
incrociò le braccia sibilando in italiano: «Mettiti quel
maledetto vestito verde o ti strozzo
stasera!»
«Will,
piantala.»
«A
costo di spogliarti e infilarti quel vestito io stesso, stasera
metterai quello...»
«Che
cosa t’importa? Non ho voglia di agghindarmi, ok? Non mi
sento a mio agio con quella roba addosso e ho già tensione
in abbondanza. Non insistere!»
«Eccoli
che parlano in italiano... avete segreti ragazzi?» - chiese
Nur, avvolgendoli in una nuvola di profumo mentre passava accanto.Lou
fulminò con gli occhi Simone.
«No
Nur, nessun segreto: Simone si rifiuta di collaborare in cucina e lo
stavo insultando in italiano...»
«Grace.»
«Will.»
«...»
«...!»
Nessuno dei
due cedeva.
«Ti
odio.»
«Me
ne frego, non sono una delle tue modelle che le vesti e le giri come ti
pare.»
«Come
vuoi. La Regina di Saba allora avrà tutta l'attenzione del
tuo principe.» - le disse
sperando di smuoverla.
Lou
alzò le spalle, per fargli capire che per lei era lo stesso.
«Ora
sparisci di qui: ho da lavorare.» - disse
chiudendo il
discorso.
Se Simone
sperava di farle cambiare idea sul suo abbigliamento e di metterla in
ghingheri solo per competere con Nur, si sbagliava di grosso.
Non avrebbe
cambiato il suo modo di fare e di essere, solo per mettersi in mostra.
La
differenza tra lei e Nur era abissale.
Ville ce
l'aveva sotto gli occhi anche senza che lei si mettesse a fargli le
sfilate sotto il naso.
Se c'era una
cosa che aveva imparato da quando non stava più con Andrea,
era che per quanto potesse cercare di cambiare e rendersi
più attraente agli occhi del suo ex, non raggiungeva il suo
scopo.
Per cui
aveva deciso di essere se stessa, sempre: se qualcuno la trovava
sciatta e banale, pazienza.
Ora mentre
osservava Ville e Nur che parlavano fitto sul divano, era quasi
dispiaciuta di non aver seguito il consiglio di Simone.
Nur aveva
accolto Ville con un sorriso da ammaliatrice.
Non aveva
visto il viso di Ville cambiare espressione, ma era sicura che neanche
a lui era passato inosservato quanto fosse bella la sua amica.
Katty, ormai
Lou la chiamava così per comodità, era schizzata
via dal suo rifugio sotto il letto di Lou per fiondarsi tra le braccia
di Ville.
Non si era
staccata un secondo da lui, e ogni tanto gli leccava le dita tra un
sonnellino e l'altro.
Lui la
teneva sulle gambe e la accarezzava di tanto in tanto, mentre parlava
con Nur o Simone, che era totalmente affascinato da lui.
Il suo amico
che di solito era disinvolto con tutti, davanti a Ville aveva avuto una
reazione all'inizio timida.
Lou pensava
che lo stesse valutando, ma era evidente che Ville piaceva anche a lui.
"E
come poteva essere altrimenti?" - pensò
sbirciando il finnico.
Quella sera
le sembrava fosse più bello che mai.
Indossava
dei jeans scuri, con sopra una maglia verde scuro a maniche lunghe e
sopra un semplice pullover di lana, aperto con la zip, anch'esso
nero.
Lou l'aveva
guardato con gli occhi a cuore, come le aveva sussurrato Simone in
italiano, passandole accanto.
«Attenta
Grace: spari cuori e ormoni ovunque!»
Ville aveva
legato i capelli in un cipollotto scomposto dietro la testa, che gli
metteva ancora più in risalto gli zigomi alti.
Si era tolto
il cappello e lei era rimasta a bocca aperta... diventava
più bello di ora in ora per caso?!
«Ciao
Lou...» - aveva
sussurrato lui rivolgendosi a lei che era
intenta ad affettare cipolle.
Lei aveva
tirato su col naso, con gli occhi pieni di lacrime, abbagliata dal suo
sorriso.
«Ville...
ciao...»
Non doveva
essere un bello spettacolo con i lunghi capelli ricci, raccolti in cima
alla testa e la faccia accaldata dai fornelli.
Lui si era
appoggiato al muretto osservandola divertito, fino a che Nur non aveva
reclamato la sua attenzione, pilotandolo sul divano con la scusa di
offrirgli qualcosa.
Lui aveva
risposto di non volere nulla e ogni tanto la sbirciava, sorridendole.
Rinfrancata
dal fatto che lui non la perdesse d'occhio, si rilassò.
Cercò
anche di non guardare la sua amica fare la gatta morta, accavallando le
gambe più volte del dovuto e lisciarsi i capelli, mentre gli
parlava.
Con un colpo
secco di coltello tagliò in due una zucchina.
«Ehi,
Eva attenta... - disse ridendo Julian, rosso in viso a causa dei
fornelli anche lui – per un attimo mi sono immedesimato in
quella zucchina e... ahia!»
Lou rise suo
malgrado.
«Non
farmi mai arrabbiare, Pirata!» - lo
minacciò lei
con il coltello alzato.
«Mai!»
- lui alzò le mani in segno di resa.
Julian si
appoggiò al bancone mentre lei controllava che il sugo
istantaneo di pomodoro con prendesse fuoco.
«Sei
molto carina stasera... - le disse sorridendole malizioso –
Cioè lo sei sempre, ma stasera hai una luce diversa negli
occhi...» - con una
mano le riavviò il ricciolo
che le pendeva, sistemandolo dietro l'orecchio.
Gli occhi di
Lou saettarono al divano.
Il finnico
non si era perso un passaggio della scena e la guardava senza
sorridere… che fosse geloso?
"Naaaa...”
Le venne
voglia di metterlo alla prova, ma non voleva creare casini ulteriori
quella sera... se lui si fosse incavolato era capace di prendersi Katty
e andare via, come aveva fattola prima volta che l'aveva trovata con
Julian.
«È solo la
cipolla, Julian…»
«Uhm…
no, non credo. Sono contento che tu mi abbia chiesto di esser qui
stasera, avevo voglia di stare un po’ con te. Era da un
po’ che non avevo modo di parlarti, al di fuori della
galleria…»
Lou stava
per ricordargli che era stata Nur ad invitarlo, ma
preferì lasciar correre.
Non riusciva
a concentrarsi: faceva fatica a non guardare cosa succedeva sul divano.
Ammise con
se stessa di essere un po’ gelosa della sua amica che stava
monopolizzando il Valo.
«Sono
contenta che tu sia qui, con tutte le persone che amo di
più.» - disse lei.
«Tutte?
Compreso il Valo? Pensavo ti fosse antipatico…»
«Non
è male se lo conosci meglio…» - disse
arrossendo, guardando ancora verso Ville.
Che la stava
guardando a sua volta.
“Dio…
com’è bello!”.
Ville si
alzò di scatto dal divano, depositò Katty sul
cuscino, scusandosi con Nur troncandole le parole sulla bocca, tanto
che lei lo guardò sbigottita... Anche la micia lo
guardò con disappunto.
Lou si raddrizzò ansiosa, vedendolo avanzare verso il
muretto.
Non
staccò gli occhi da lei un solo istante: fremeva.
“Che
gli prende ora?”.
«Vieni
un attimo con me, Lou? – le parlò seccamente,
porgendole la mano – ho bisogno di un tuo consiglio. Julian,
non ti spiace se la prendo un attimo, vero?» –
chiese rivolto a Julian, senza smettere di tenerla inchiodata con gli
occhi. E senza aspettare risposta.
Julian,
Simone, Nur e Katty assistevano alla scena, immobili.
Lei prese la
mano e si lasciò guidare fuori dal salotto, verso il
corridoio buio.
“Che
bello stringergli la mano…”.
Non appena
si allontanarono, Katty saltò dal divano per seguirli.
«Ville,
che succede – chiese lei curiosa – cosa devi
dir…»
Lui non le
lasciò finire la frase.
La
afferrò e tirandola a sé, una mano dietro la
testa, le prese le labbra in un bacio famelico.
“Muoio…”
– pensò lei con le ginocchia che le cedevano.
La bocca di
Ville, la lingua prendeva e prendeva da lei, come se non ne avesse mai
abbastanza.
La mano
libera le premeva sulla schiena, schiacciandola contro di lui.
Lou gli si
aggrappò alle spalle istintivamente, le braccia passarono
sotto quelle di lui per stringerlo ancora di più.
Una mano
curiosa s’insinuò sotto il maglione di Lou,
accarezzandole la pelle sopra il bordo dei jeans.
“Se
non ci fermiamo immediatamente, lo stendo a terra e non rispondo di
me…” – pensò Lou,
con il sangue che correva veloce e il cuore galoppante.
Ville
però non sembrava dello stesso parere.
Ogni volta
che lei cercava di staccare le labbra dalle sue, lui rafforzava la
stretta.
Dimenticò
tutto: la cena che poteva bruciare, i suoi amici al di là
del corridoio che potevano coglierli sul fatto da un momento
all’altro…
Se Nur fosse
comparsa
all’improvviso…
Dimenticò
ogni cosa.
Sentiva solo
lui.
Lui che ora
le mordicchiava il labbro inferiore, per passarci poi la
lingua…
«Ville…
- ansimò, trovando lo spazio per prendere respiro
– Non riesco a respirare…»
Lui
posò la fronte sulla sua, con gli occhi chiusi, senza
lasciarla andare, anzi le sue braccia la strinsero ancora di
più.
«Ora
va molto meglio... – sussurrò lui con la voce
bassa e sexy – Non resistevo più, scusa se ti ho
rapita così…»
Non era per
nulla dispiaciuto… ghignava.
Riusciva a
vederlo anche al buio, con la sola debole luce che proveniva dal
salotto.
Katty si
strusciava ai loro piedi, passando da una all’altro, facendo
le fusa.
«Mi
farai morire uno di questi giorni, Valo…» -
mormorò ansando come se avesse corso.
Le stava
andando a fuoco il viso.
«Lo
spero vivamente. Banderas ti stava troppo vicino per i miei
gusti… sono corso a salvarti.»
Lei
ridacchiò piano.
«Sei
tutto matto, Valo… si staranno chiedendo che fine abbiamo
fatto…»
«Lou,
pensi che m’importi qualcosa? Se fosse per me, ti prenderei
in questo preciso istante e ti porterei dritta a letto…
così la tua idea di morte sarebbe diversa… ti
darei una dolce morte…»
La voce, il
tono basso e roco, le parole e la sua mano che dalla schiena ora era
passata davanti, sostando appena sotto il bordo del reggiseno, le
scoppiarono nella testa come un tuono.
Trattenne il respiro.
Per un
instante era stata sul punto di trascinarlo lei stessa in camera.
«Qualcuno
deve fare la persona ragionevole, Sig.
Valo… e credo tocchi a me.» - disse con
voce
tremante.
Lui
aprì gli occhi guardandola divertito.
«Non
credo mi piaccia questa storia dell’essere ragionevoli. Molla
tutto e tutti e andiamo via.» - la
tentò.
«Fai
il bravo… - rispose lei, massaggiandogli la nuca libera dai
capelli mossi. – sei carino con il cipollotto, Sig.
Valo…»
«Il
Sig. Valo pensa di essere al limite della lascivia stasera e se
continui a toccarmi così, mia cara, non
c’è niente che ti possa
salvare…»
“Oh…”.
«Ehi,
voi due! Lou! – urlò Simone dall’altra
stanza – Qui c’è qualcosa che va a
fuoco!»
«Anche
qui…»-
mormorò Ville.
Lou si
allontanò a malincuore da lui, dandogli una leggera spinta.
Lui per
tutta riposta la tirò di nuovo verso di sè,
rubandole un altro bacio.
«Signorina
Zarda, lei si salva sempre per un pelo.» - le
sussurrò rimettendole a posto il maglione, guardandola con
occhi di fuoco.
Ridacchiò
nervosa con un brivido di eccitazione.
Non aveva
nessuna voglia di tornare dagli altri. Le sarebbe piaciuto rimanere
in quel corridoio buio, ad amoreggiare con Ville, che continuava a
guardarla intensamente.
Con un
sospiro si avviò verso il salotto lasciando la mano di
Ville, cercando di dare al suo viso un’espressione neutra e
indifferente.
Ovviamente
tre paia d’occhi si voltarono all’unisono quando
rientrarono.
Simone, le
lanciò un’occhiata di chi la sapeva lunga. Nur e
Julian
intenti a cucinare.
Con un
sorriso Lou osservò la sua amica che aveva occupato il suo
posto ai fornelli.
«Tutto
ok? – le chiese neutra Nur – Sei ancora rossa in
viso…»
«Tutto
ok, lascia faccio io… è quasi pronto. Potete
mettervi a tavola…»
Tavola che
consisteva nel basso tavolino e come sedie Simone aveva disposto dei
cuscini intorno.
Si sedettero parlando allegramente. Julian li deliziò come
sempre con i suoi racconti divertenti.
Simone, che era un vero e proprio pagliaccio, raccontò i
tempi in cui lui e Lou frequentavano l’Accademia facendoli
ridere con aneddoti che lei aveva rimosso.
«Ragazzi
Lou era un vero spasso… diversa dalla donna pallosa che
vedete qui ora» –
le fece una linguaccia.
Ville rideva
rilassato.
Era bello
vederlo a suo agio e soprattutto, vedere i suoi amici a suo agio con
lui.
Simone in
particolare, notò Lou, era del tutto a suo agio e spesso si
ritrovavano a parlottare tra loro con aria complice.
Nur
continuava ad essere distratta e pensierosa e Lou pensò che
probabilmente era a causa di Ville, che le parlava in tono gentile, ma
senza mostrare nessun tipo d’interesse in più.
«Grace…
- le sussurrò Simone in italiano, mentre Ville raccontava ad
un Julian estasiato aneddoti sul suo gruppo – il finnico
è un gran figo. Ed è pazzo di te: non ti ha perso
di vista un secondo. E cavolo se si è accigliato quando
Julian si è avvicinato troppo! Mia cara, penso proprio che
sia cotto a puntino… ti ha agguantata quando ti ha portata
di là, eh? Si vedeva chiaramente che vi eravate
baciati… tu avevi una faccia sconvolta e lui…
beh, riusciva a camminare a stento!»
«Will!
Smettila! Sei un porco! – sibilò Lou di rimando
arrossendo – Dici che era palese quello che era
successo?»- chiese Lou
sbirciando verso Nur.
«Palese?!
Solo un cieco non avrebbe capito… penso che Julian soltanto
non abbia capito una fava…»
Lou
iniziò a rilassarsi… stretta tra Simone e Julian,
con Ville di fronte che spesso la cercava con gli occhi, si godeva la
cena che lei aveva temuto diventasse un inferno.
Il cibo
buono e il vino fecero il resto.
Julian, Nur
e Simone vuotarono quasi due bottiglie da soli, mentre lei ancora
reduce della sbronza con Simone qualche sera prima e ancora disgustata,
ne bevve davvero poco.
Ville non lo
accettò quando lei gli chiese se ne voleva un po’.
Notò
anche un momento di silenzio imbarazzato degli altri tre, ma Ville le
sorrise scuotendo la testa.
Quando si
alzò per prendere il gelato, Simone la seguì.
«Grace,
quando ti ho detto che dovevi leggere e informarti sul tuo finnico era
per evitarti di fare figuracce come quella del
vino.»
Lou cadde
dal pero.
«Che
vuoi dire? Che figuraccia avrei fatto?» –
chiese
allarmata.
«Grace…
lo sanno tutti che Ville non beve
più…» - la
guardò seriamente.
Lou
continuava a non capire.
«Ok,
te lo dirò in maniera cruda: Ville aveva problemi con
l’alcool. E ora non beve più. Tu non potevi
saperlo e lui ha capito.»
Lou
avvampò d’imbarazzo, poi impallidì
deglutendo a vuoto, non osando guardare verso Ville.
Simone
sapeva anche cosa le stava passando per la testa: Lou aveva
già avuto a che fare in passato con tipi che bevevano.
Come il suo
ex.
Che non
mancava di strapazzarla quando questo accadeva. Vale a dire spesso e
volentieri, negli ultimi tempi del loro fidanzamento.
«Non
lo sapevo… - mormorò lei – non avrei
mai fatto una gaffe del genere se avessi dato ascolto a te,
vero?»
«Lo
so, lo so… e penso che anche Ville abbia capito che tu non
sapevi. Grace, a fine serata ti dirò cosa penso di lui, ora
però godiamoci la cena… e per favore, fa finta
che io non ti abbia detto nulla. Levati quella faccia da cane
bastonato.» –
le disse sorridendole e
abbracciandola affettuosamente.
Lou se lo
strinse contro baciandogli la guancia.
«Grazie
Will…»
Quando
tornarono con le mani impegnate dalle coppe di gelato, queste furono
accolte con entusiasmo.
Le dita di
Ville trattennero per un istante di troppo le sue, mentre lei gli dava
la sua.
Simone
continuò imperterrito a prenderla in giro per le monellate
che Lou combinava in Accademia.
«Non
è vero – si difese ridendo Lou – stai
dicendo un mare di baggianate buffone! Vogliamo parlare dei tuoi
travestimenti?!»
«IO
ERO una star, cara!»
Tutti risero.
«A
tal proposito: ho un regalo per te, Grace… Mara ha
realizzato un DVD con tutte le nostre vecchie videocassette. Se mi dai
il permesso e ai nostri amici non dispiace lo metto su, così
possono vedere con i loro occhi che quello che dico è la
verità e che io, ovviamente, ero davvero una
star!»
«Ma
assolutamente no!» –
esclamò lei.
«Ma
assolutamente sì!» –
dissero nello stesso istante
in coro Nur e Julian, scoppiando a ridere.
«Ville?
La maggioranza ha già vinto, ma te lo chiedo per
correttezza.» –
disse Simone alzando il viso con
aria di finta superiorità.
«Per
me va bene… Vediamo cosa combinava la Signorina Zarda
quando era giovane…»
«Ehi!
– lo apostrofò ridendo – Io sono ancora
giovane!»
Ville le
strizzò l’occhio mentre leccava il cucchiaio di
gelato.
“Oh
mamma… Lou, smettila di fare pensieri sconci con lui e il
gelato!”.
Lui le
sorrise sornione come un gatto… accidenti se le leggeva
nella mente!
“Saprei
io dove spalmarti quel gelato...”-
pensò Lou con la pancia che le tremava e gli ormoni
impazziti.
Visioni di
Ville steso sul suo letto con il gelato che gli si si scioglieva
addosso le attraversarono la mente... e allora anche lei gli sorrise
maliziosa.
Simone che
si era allontanato per prendere il famoso DVD, dopo averlo infilato nel
lettore, si risedette accanto a Lou, dicendole: «Grace, lo
stai spogliando con gli occhi... datti un contegno!” - le
sibilò Simone in italiano, ghignando.
«E
menomale che non ho bevuto nulla... altrimenti era fregato!»
«Ah,
se è per questo io credo che lui non veda l'ora di farsi
fregare, sorella!»
«Ecco
a voi, il “Simone&Lucia Show”!» -
annunciò Simone ridendo.
Mara era una
bravissima videomaker: lavorando in tv aveva imparato a montare video,
più o meno in maniera professionale.
Sullo
schermo si succedevano immagini e spezzoni di video di loro tre nei
vari anni.
Le prime
sfilate disegnate da Simone, la prima mostra da solista di Lou...
quella fotografica di Mara.
Loro tre,
intenti a disegnare le tavole nel loro vecchio salotto... Simone
vestito da Drag Queen per la Festa di Carnevale; Lou con i capelli
corti e lisci e il viso da ragazzina, che rideva a crepapelle per
qualcosa che aveva detto Simone, tanto da cadere dal divano.
Ville le
lanciò uno sguardo dolce che le fermò il
respiro... Lou e Mara, vestite a festa per la sfilata di Simone,
imbronciate e con una pettinatura ad alveare.
Nur rotolava
dalle risate.
Loro tre al
mare, nella casa di proprietà dei genitori di Simone: Lou
arrossì fino alla cima dei capelli a rivedere se stessa
stesa al sole, con il minuscolo bikini bianco che il suo
amico-stilista-pazzo le aveva imposto di comprare.
Con la coda
dell'occhio vide Ville sorridere da un orecchio all'altro.
Mara che
all'improvviso le buttava una secchiata d'acqua lasciandola senza
fiato, impiastricciata di sabbia e crema solare.
Lou che
prendeva la
rincorsa per darle una lezione.
Simone che
zummava sul suo sedere.
«Will!»-
strillò Lou, nascondendo il viso nelle mani quando gli altri
scoppiarono a ridere.
“Che
figura di merda!”.
Le scene
ridicole e dolci si succedevano e Lou tornò indietro a quei
tempi felici e spensierati.
Ogni tanto scambiava un sorriso con Simone, per cose che solo loro
potevano capire.
La laurea e
la seguente festa dove Lou si era buttata in mare vestita.
Mentre
Simone raccontava la performance con tanto di spogliarello finale,
sullo schermo apparve una scena che nessuno si aspettava, soprattutto
Lou e Simone.
Un' altra
festa, gente che ballava e luci soffuse... e sullo sfondo Lou e Andrea
che si tenevano stretti, le braccia allacciate, occhi negli occhi.
Lou si
immobilizzò impietrita: aveva dimenticato quella festa,
aveva dimenticato anche che Simone aveva la telecamera, aveva rimosso
quasi ogni cosa che lo riguardava..
Guardò
se stessa
abbronzata e ridente, il volto illuminato alzato verso lui, con il
corto vestito estivo verde mela, a bretelle sottili e i capelli che le
ondeggiavano sulla schiena ogni volta che lui si piegava su di lei per
baciarla.
Andrea.
Stupendo, scuro, alto nella maglietta attillata che metteva in mostra
il fisico perfetto, che le parlava mormorando qualcosa sulle labbra.
A Lou
mancò un battito del cuore a vederlo... soprattutto a vedere
come si guardavano.
La
videocamera si avvicinò alla coppia una voce fuori campo,
Simone, che diceva in italiano:
«Ehi smettetela voi, fate
venire il diabete solo a guardarvi!” e la mano
scura di
Andrea che ridendo, copriva l'otturatore. Lei che si girava con un
sorriso luminoso e gli occhi che brillavano, per poi appoggiare la
testa al petto di lui.
All'improvviso
lei ricordò chiaramente quella sera: avevano cercato una
scusa per lasciare la festa in modo da starsene soli e si erano
allontanati verso la spiaggia, dove avevano fatto l'amore.
Ricordò anche la canzone che sentiva in sottofondo,
perché Andrea gliela stava cantando e nel frattempo gliela
traduceva in italiano...“The Promise”
di Tracy Chapman.
“Di
nuovo assieme
mi sentirei cosi bene
nelle tue braccia
dove tutti I miei viaggi finiscono
se puoi fare una promessa
se è una promessa che puoi mantenere
ti prometto che tornerò da te
se tu mi aspetterai...”
Ora
ricordando le parole della canzone, un sorriso amaro le si
disegnò sul viso.
Non c'era nessuna promessa mantenuta. Di ritorni ce n'erano stati tanti
ma nessuno era stato bello... non c'era più niente da
custodire, niente e nessuno da attendere...
Simone si agitò sul telecomando, Nur la guardò
preoccupata, Ville strinse gli occhi fissando lo schermo, Julian...
abbassò gli occhi al tavolo basso.
«Non fa
niente, Will. Sta' calmo... posso sopportare di
vederlo sullo schermo... - mormorò Lou in italiano, poi
aggiunse in inglese a beneficio degli altri – È
tutto ok!»
Simone tolse
il DVD, ormai l'atmosfera serena rovinata.
«Ehi! Va
tutto bene... non fate quelle facce!» -
disse con tono leggero soprattutto a Nur e Simone che conoscevano i
risvolti della storia.
Ville le fissava il volto scandagliando ogni sua emozione, che lei
mantenne neutra e ben nascosta.
«Qualcuno
vuole dell'altro gelato?» - propose
allegra Lou, cercando una scusa per allontanarsi e riprendere respiro.
«Io, grazie!»- disse
gentile, Julian –
capendo al volo la sua esigenza di allontanarsi.
Nascosta con il viso nel freezer, Lou cercò un modo per
tornare a respirare normalmente prima che la morsa che sentiva nello
stomaco la sopraffacesse.
“Respira Lou, respira... ce la fai...
respira...” - diceva a se stessa con un groppo in
gola.
Quando rialzò la testa, gli occhi erano asciutti e si
ritrovò Ville appoggiato al muretto che la guardava
concentrato.
«Ehi...»
«Stai bene?» - chiese
piano, gli occhi di giada che
parevano bucarle la pelle.
«Sto bene.» -
posò la mano sulla sua
sorridendogli, desiderando sentirlo vicino.
Lui le prese
le dita stringendole piano, abbassando lo sguardo sulle loro mani.
Ringraziò il cielo che lui fosse lì quella sera:
la sua presenza aveva reso tutto più bello.
Voleva rifugiarsi tra le sue scarne braccia, in cerca del calore di cui
lei aveva bisogno.
«Aiutami
a portare il dolce di là, vuoi?» - gli
chiese
dando un tono sereno alla sua voce.
L'ultima
cosa che voleva era rovinare agli altri la serata, per uno come Andrea.
«Certo... che
roba è? - chiese Ville curioso,
guardando scettico il dolce che Lou gli appioppava tra le mani - Non ho
mai visto niente del genere...»
«Ehi,
finnico: questo è una “Torta di
Rose”... ti piacerà vedrai!»
Ville
tornò a guardare il dolce tondo con tanti rotoli di pasta
frolla arrotolati e ricoperti di zucchero, che davano davvero l'aspetto
di tante rose impiattate.
Lou prese la coppa di gelato promessa a Julian e spinse il finnico
perplesso verso il salotto, con una leggera pacca sul sedere.
Lui si
voltò a fulminarla con gli occhi.
Lei ridacchiò a bassa voce e lui le sibilò roco
all'orecchio: «La pianti di
palpeggiarmi il culo, ogni volta
che sono distratto e ho le mani impegnate? Te ne approfitti
perché pensi di essere al sicuro da me...»
«Penso? Io
sono al sicuro da te, almeno per
stasera...»
«Non ci
giurerei se fossi in te, biondina...»
«Ville, se mi
chiami ancora una volta biondina, te ne
farò pentire.» -
minacciò lei.
«Uhm... e
dimmi, che tipo di punizione mi darai?»
Accidenti a
lui... passava dall'essere dolce e delicato, nel suo essere premuroso a
farla andare a fuoco solo con uno sguardo e una sola parola...
«Uhm...
un giorno lo vedrai...»
«Perché
non subito?»
«Fai il
bravo, Valo.»
«Io lo sono
sempre!» - le
sorrise con aria
diabolica lui.
Nel frattempo che Lou e Ville si era beccati amoreggiando, Simone aveva
imbracciato la chitarra che Nur teneva per arredamento in camera sua e
con la lingua di fuori, cercava di suonare.
«Per
carità! Toglietegli di mano quell'affare se
volete uscire di qui con i timpani sani e salvi! Quando canta sembra
un cornacchia in agonia! - disse Lou ridendo – Katty
è scappata via stamattina quando lo ha sentito
gracchiare!»
«È scappata
via solo quando ti sei unita a me!» -
rispose stizzito lui, riprendendo a violentare le corde della chitarra.
Lou scoppiò a ridere divertita.
«Hai
ragione!»
«Beh,
ragazzi... - intervenne Julian – con tutto il
rispetto per Simone e il suo innegabile impegno, ma qui abbiamo uno dei
più bravi cantanti del mondo, a mio parere... se qualcuno
deve cantare stasera, quello è Ville!»
Quattro paia di occhi di girarono speranzosi verso Ville.
«Oh cavolo,
volete farmi lavorare anche stasera?» -
rise lui, facendo segno a Simone di passargli la chitarra.
Simone la tenne stretta con il broncio, poi a malincuore gliela
consegnò, buttandosi sul divano incrociando le braccia.
Lou tornò a ridere e gli fece una carezza sulla testa,
prendendolo in giro.
«Povero Will,
nessuno apprezza le tue qualità
canore...»
«Umpfh!»
Ville sedette sul divano, imbracciando la chitarra.
«È un
disastro... nessuno ha mai accordato come si deve
questa ragazza.» - disse con
un cipiglio severo.
Lou si acciambellò poco distante da lui, stringendosi la
gambe al petto.
Era emozionata: lei adorava la sua voce e ora lui avrebbe cantato solo
per loro.
Non capitava tutti i giorni avere un unplugged di Ville Valo nel
salotto di casa!
Nur si giustificò dicendo che quando suo padre gliel'aveva
regalata si era aspettato che imparasse sul serio a suonarla, ma era
stato uno dei suoi tanti progetti mai portati a termine, per cui la
chitarra dopo i primi mesi in cui era stata maltrattata dalle dita
nervose di Nur che non riusciva ad imparare nessuna posizione, era
diventata oggetto di arredamento.
“Che aria professionale che hai Valo... e quanto
sei bello...”.
«Avete
richieste?» - chiese
Ville, alzando gli
occhi, guardando ognuno di loro per poi posarsi su di lei.
«Ehm... -
disse imbarazzata Lou. Non conosceva ancora tutte
le sue canzoni e stava per fare un'altra figuraccia!- Non
saprei...»
Julian le
venne in soccorso.
«Ville, mi
piacerebbe che cantassi “Close
to the Flame”: credo sia una delle tue canzoni
più belle.»
Ville fece
un cenno d'assenso con la testa, sorridendo.
«Bella
scelta.» -
sussurrò.
Le dita lunghe di Ville si mossero leggere sulle corde, accarezzandole
come se toccasse il corpo di una donna.
I primi accordi e le note a danzare tra loro. Quando la voce di Ville
iniziò a vibrare nella sua gola, Lou si sentì
mancare. La voce calda e roca di Ville riempiva lo spazio.
“The
kiss sweetest
And touch so warm
The smile kindest
In this world so cold and strong...
Ad occhi
chiusi, totalmente concentrato e intenso: sembrava dimentico di ogni
altra cosa gli fosse intorno.
So
close to the flame
Burning brightly
It won't fade away
And leave us lonely...
Lou
sentì gli occhi riempirsi di lacrime... era una canzone
dolcissima, anche se un po' triste e lui la stava dipingendo con la
voce. Lou chiuse per un solo istante gli occhi: non voleva perdersi un
solo secondo della visione del viso di Ville che cantava.
Lui
aprì gli occhi, le pupille dilatate.
Cercò
gli
occhi di Lou fissandola con intensità, come se quelle parole
fossero per lei.
Il cuore le
tamburellava veloce nel petto, senza respiro...
The arms safest
And words, so good
The faith deepest
In this world so cold and cruel...”
Quando le
ultime note risuonarono, per poi spegnarsi piano piano, un silenzio
quasi religioso aleggiava tra loro.
Lou non riusciva a muoversi: stringeva convulsamente le braccia intorno
alle gambe.
Non si era mossa di un millimetro.
Con il cuore in tumulto, non seppe far altro che fissare Ville con gli
occhi sgranati... sicuramente lui le stava leggendo sul viso, ogni sua
emozione.
«Fantastico...
- sussurrò Julian, emozionato anche
lui – Ville, grazie...»
Simone e
Nur, guardavano Ville con gli occhi lucidi: dopo un momento di
silenzio, Nur battè la mani.
«È
stupenda! Che romantico che sei!»-
commentò anche lei.
«Mio dio...» - disse
Simone, che però fissava ttento il viso di Lou.
Ville le sorrise... e Lou pensò che sarebbe morta.
Lou era l'unica che non aveva detto nulla...e non ce n'era bisogno:
quello che provava era scritto a chiare lettere sul suo viso.
Si sarebbe sciolta da un momento all'altro...
Poi fece una cosa che probabilmente nessuno dei presenti, specie Ville,
si aspettava: si alzò lentamente e abbracciò
Ville.
Lui rimase un attimo interdetto, poi ricambiò l'abbraccio in
silenzio.
«Grazie...» - gli disse
piano Lou, con il volto
affondato nel petto di lui.
«Di nulla,
Lou... ci stanno guardando tutti – le
sussurrò divertito all'orecchio – Dimmi
che
non stai per toccarmi il sedere.»
Lei rise, ricacciando indietro le lacrime che rischiavano di tracimare.
«Promesso...
per ora!»- gli
sussurrò alzando solo un istante il viso per saziarsi di
giada.
«Ehm... - si
schiarì la voce Simone divertito
– scusate, voi due? Ville, si può sapere che le
hai fatto? Farla piangere è quasi impresa impossibile... ed
ora eccola qui, come gelatina molle tra le tue braccia! Ridammi la mia
arpia!»
Ville si
schernì scrollando le spalle.
«È la mia
tattica preferita per farle cadere ai miei
piedi...»
Tutti
risero. Anche Lou, che apprezzò il suo modo di
sdrammatizzare la situazione alquanto strana agli occhi di chi,
ovviamente, non si aspettava che Lou gli si avventasse addosso
strizzandolo in un abbraccio.
Con uno movimento veloce Lou si alzò, girandosi poi verso il
resto della compagnia, con le mani dietro la schiena come una bimba
monella. Alzò le spalle e indicò Ville,
annuendo: «È colpa sua...»
Nur, Julian
e Simone la guardavano tra il divertito e il perplesso.
«E ora
mangiamo il dolce!» - propose
Lou, forse con troppo entusiasmo.
Simone mise di nuovo la musica soft, in sottofondo, dopo aver chiesto
inutilmente a Ville di suonare ancora.
Lei gli aveva detto di lasciarlo stare.
«Non
è
venuto qui per suonare per noi: lasciamolo in pace... o dovrete
prendere dei secchi per le mie lacrime...»
“E per le bave...” - aggiunse
mentalmente.
Ville che cantava era una delle cose più belle e sexy che le
fosse capitato di vedere e sentire in vita sua.
Una canzone
era bastata a mandarla nel pallone... non avrebbe retto ad un'altra.
Non senza cadergli ai piedi sul serio.
Doveva pur
mantenere un briciolo di dignità!
Nur e Julian seduti vicini parlottavano tra loro e lei aveva la faccia
da “combattimento”...
«Oh no, ti
prego! - pensò Lou – anche
con Julian!»
Simone aveva
deciso di dare il tormento a Katty, tirandole la coda.
Lei gli
tirava zampate degne di una tigre.
«E se io
avessi voglia di tutt'altro tipo di
dolce?»
La voce di
Ville vicinissima la fece sobbalzare.
«Questo
è buonissimo! - disse lei masticando
decisa, facendo finta di non aver capito – dovresti
provarlo...»
«Lou... - le
disse lui ghignando – stai scherzando
pericolosamente stasera...»
«Uhm...»
La
marmellata alle ciliege che era all'interno stava colando dai bordi
e lei la raccolse con le dita come poteva: con un movimento veloce
Ville, le afferrò la mano chiudendo la bocca sulle dita,
ripulendole dalla marmellata, leccando piano.
“... anf...”.
Con un sorriso soddisfatto, Valo si leccava le labbra davanti alla sua
espressione inebetita.
Lou chiuse gli occhi.
«Hai ragione:
è ottimo!»
“Maledetto!”.
Maledizione a lui!
La stava
provocando da quando lo aveva incontrata quella mattina.
Le toglieva il respiro per ogni cosa che faceva... la sua
sensualità sfacciata la stordiva.
E quello che
era peggio era che lei ne godeva ogni istante...
Ville le dava sempre brividi di aspettativa... si chiese, arrossendo,
come sarebbe stato fare l'amore con lui.
Beh, se avessero continuato quel gioco pericoloso dello stuzzicarsi,
non ci avrebbero messo ancora molto prima che uno dei due trascinasse
l'altro verso il primo letto a portata di mano!
******
Beneeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee...
eccoci qui!!
Angolo di quella che pensa
di essere autrice:
Eccoci di nuovo qui con un
nuovo capitolo... sarà l'ultimo dopo aver pubblicato a
raffica.
D'ora in poi penso che le
pubblicazioni saranno a scadenza un pò più lunga.
L'ispirazione mi sta snobbando e ormai non scrivo da un bel
pò, quindi abbiate pazienza e godetevi questo...
orbene, che ne pensate
della cenetta?
Io avrei accoppato il
finnico in corridoio, non so voi ma io gli avrei fatto passare un
brutto quarto d'ora! :D
Mentre scrivevo la scena
col gelato avevo serie difficoltà a concentrarmi mie care...
il connubio finnico con lingua e occhio verde non mi faceva bene, no
no... :D
Basta chiacchiere ora...
come sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e
pronte a recensire alla velocità della luce: selevalo arwen85 Echelena Lady Angel 2002 Ila_76 apinacuriosaEchelon (ta-nha ta-nha ta-nha) Villina92 poi quelle un
pò più latitanti o tirchie di commenti:(ragazze
dite anche la vostra...ci tengo a sapere che ne pensate oltre al fatto
che leggete la storia, eh!) poisongirl76 marfa dile91 fnghera
e grazie anche ad angelica78vf e K Ciel, le nuove recensore!
Grazie
grazie grazie infinite a tutte e a presto! ;)
*H_T*
PS: la canzone che ho usato
per immaginare Ville che canta nel salotto di Lou... :) Ville
Valo - Close to the Flame (Acoustic)
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Capitolo 9 *** Capitolo otto - “Fuga da Helsinki” ***
testo.
Capitolo
otto
"Fuga da Helsinki"
«Mi
piace.»
– decretò Simone infilandosi tra
le lenzuola.
Lou
si stava struccando allo specchio, infagottata in un pigiama lungo
rosa.
La
sottoveste lilla che Nur le aveva regalato era troppo preziosa per
usarla ogni notte, quindi era tornata ad indossare le sue mise
improbabili.
«Davvero?
– chiese Lou dolcemente – Lo hai visto solo per
qualche ora, come
fai a dire che ti piace?»
«Tu
quanto tempo ci hai messo per decidere che ti piaceva?»
– le
chiese ironico.
Lou
gli sorrise attraverso lo specchio.
«Mezzo
secondo. E’ bastato che lo guardassi negli occhi…
non è neanche
il mio tipo ideale…»
– disse a bassa
voce.
«Non
esiste il tipo ideale, Grace. Esiste l’alchimia tra due
persone:
dopotutto siamo animali anche noi. A volte scatta la scintilla con
chi meno ti aspetti…»
«È
tutta chimica, vero?»
– Lou sapeva cosa pensasse il
suo amico
riguardo all’amore e ai colpi di fulmine.
Secondo
Simone due esseri umani erano attratti tra loro per una combinazione
di fattori e non tutti ammirevoli come la purezza e l’amore
romantico.
«Esatto…
chimica e anche altro. Nel vostro caso è un bisogno di
essere amati
per quello che si è dentro e non per come si
appare.»
Lou
si girò a guardarlo curiosa.
«E
tu hai capito questo, passando con lui solo qualche ora? Come fai a
dirlo?»
«Pensi
che a lui faccia piacere essere amato e desiderato solo per il nome
che porta? Oh sì, in passato deve essergli andato
più che bene:
lui, una star con centinaia di donne che gli morivano dietro. Non
doveva far altro che scegliere, anche se a quanto sembra, non sia mai
stato molto fortunato in amore… penso che per lui sia
arrivato il
momento in cui abbia bisogno di altro.
Negli
ultimi anni ha cambiato molto della sua vita, Lou… ha fatto
tante
cavolate, credimi; ha sofferto, è stato sul punto di
autodistruggersi ma ne è uscito. E forse si è
reso conto di quello
che è davvero importante in questa vita.
È sempre
stato un romantico, crede nell’amore: non come ci
credi tu.
Tu sei solare e sogni la favola. Lui è un principe dark e
vive
l’amore intensamente, con tormento, anche come sofferenza.
Vi
completate: siete come il sole e la luna.»
Lou
si morse le labbra, pensierosa.
«Sai
la favola del Sole e della Luna, Will? Beh, dice che non si
incontrano mai: si amano da lontano senza mai potersi
toccare
veramente… Non credo sia un paragone che mi
piaccia…»
- disse
depressa.
«Quella
è solo una favola. Intendevo dire che ognuno di voi
può portare
nella vita dell’altro qualcosa che manca. Grace, io vedo come
lo
guardi. E vedo come ti guarda lui: in questo caso specifico, penso
che il detto “gli occhi sono lo specchio
dell’anima” sia più
che giusto.
Diamine
– disse impacciato e con una punta di stizza – sai
come la penso
su determinate cose. Non credo nell’amore da film,
ma… me ne
pentirò di questa cosa, ne sono certo: la sensazione che ho
avuto è
che a parlare per voi non siano i corpi. Che detto tra noi schizzano
ormoni come vulcani, eh! Santo cielo stasera tra voi c’era
una
corrente invisibile a legarvi: se non c’eravamo noi presenti,
sai
benissimo come sarebbe finita… brutta maiala, non fare quel
sorriso
ebete! – Simone le lanciò un cuscino, ridendo,
vedendo Lou
sorridere estatica – Stavo dicendo, che sembra che siano le
vostre
anime ad essersi riconosciute…»
Lou
gli sorrise con gli occhi illuminati.
Sentir
dire una cosa del genere da Simone era qualcosa che non si sarebbe
mai aspettata.
«Lo
pensi davvero?»
– chiese lei senza fiato. Non
avrebbe mai ammesso
neanche a se stessa che quella era anche la sua sensazione: aveva
troppa paura di sperare.
«Sì,
non so come spiegarlo senza cadere nel ridicolo e in parole scontate!
Ma è questa la mia sensazione: siete uniti da qualcosa che
non
riesco a capire… e vorrei dire che potrebbe essere solo
attrazione
fisica, ma vedo anche altro. Potreste stare in una stanza affollata,
circondati da mille persone e voi continuereste a guardarvi come se
non ci fosse nessun altro al mondo… Disgustosamente
romantico!»
–
sbuffò.
Lou
si infilò nel letto accanto a lui, ridendo del cinismo del
suo
amico.
«Spero
con tutto il cuore che sia così… per me lo
è. Sono una stupida,
lo so: mi contraddico da sola.
Ho
paura, ho mille dubbi e poi credo a qualcosa tipo “la mia
anima ha
riconosciuto la sua”… patetico. Ma lui…
lui tocca qualcosa
dentro di me, che non sapevo nemmeno di avere.
Con
Andrea era diverso – disse accigliandosi – non so
dire ancora in
che modo differente, ma lo è. Ville mi emoziona. Mi
intenerisce e mi
fa infuriare. Riesce a farmi toccare il cielo con un dito anche solo
con uno sguardo…»
«Grace…
sei innamorata: dillo. Non è mica una bestemmia!»
«Pensi
che io sia innamorata di lui? – chiese lei massacrandosi le
unghie,
laccate di fresco – Ma lo conosco appena!»
Simone
le allontanò le mani dalla bocca, con un colpetto secco,
continuando
a parlare.
«Hai
appena detto come ti senti quando sei con lui: ti dà
emozioni. Già
il solo fatto che qualcuno riesca a farti effetto è
importante,
Grace. Da quanto tempo non ti sentivi così?»
«Non
mi sono mai sentita così…» -
rispose Lou
con un filo di voce.
«Ti
sei appena risposta da sola, allora! E che cosa vuoi che ti dica? Non
ci sono regole in amore… per quello che ho potuto vedere
stasera,
dico che ci sono tutti i presupposti per qualcosa che non
dimenticherai mai.»
«Dai
per scontato che possa finire, allora?»
«Non
farti venire le paranoie come al solito e non pesare ogni parola che
ti dico, santo cielo! Voglio solo dire che, se anche non fosse per
sempre come ti piace pensare, una storia come questa vale la pena di
viverla, perché non potrebbe che darti tante emozioni forti
e
avresti tanti ricordi piacevoli.»
******
Di
emozioni Ville gliene dava ogni volta che posava gli occhi su di lei.
Lou
pensò al modo in cui l’aveva salutata solo
mezz’ora prima.
Abbracciati
davanti alla porta di casa dove lei lo aveva accompagnato prima che
andasse via per tornare alla sua magica torre.
«”Prinsessa”…
- le sussurrava all’orecchio, causandole brividi infiniti
– posso
rapirti e portarti via con me, nel mio mondo oscuro e
tenebroso?»
Sorrideva
dolce.
«Perché
oscuro? – aveva chiesto, accarezzandogli la guancia
– non sei per
niente oscuro, Ville. Forse un tantinello tenebroso e poco socievole,
ma non oscuro. Non per me…»
«E
come mi vedi? – le aveva chiesto alzando gli occhi,
baciandole il
naso – non ti faccio per niente paura?»
«Paura?
No, paura no. A volte mi irriti a morte… per lo meno i primi
giorni
in cui ci siamo conosciuti, avrei volentieri tirato un bel ceffone su
questa faccia elegante e pallida… - disse sorridendo
dolcemente,
passandogli le dita sui lineamenti perfetti e cesellati –
come ti
vedo? Misterioso, interessante, dolce… sensuale…
- disse col
fiato mozzo mentre lui le intrappolava le dita tra le labbra
– un
uomo mai scontato e noioso, al contrario di quello che pensi tu. E
bellissimo.»
– concluse lei, senza nessuna vergogna
o paura.
Non
aveva senso nascondergli i suoi pensieri.
Non
voleva lei stessa tenergli nascosto quello che poteva benissimo
leggerle sul viso ogni volta che lo guardava.
«Bello?
Non sono bello quanto il tuo ex.» -
disse
pensieroso.
Perché
tirava in ballo Andrea ora?
«Ville,
la bellezza è soggettiva. È vero, il mio ex
è un bel ragazzo…
una bella scatola vuota.
E
mi fa male dirlo: ho passato con lui dieci anni della mia vita.
–
non voleva parlare di lui e rovinarsi quel momento perfetto con Ville
– Tu sei bello. Andiamo… lo sai bene! Sei uno
degli uomini più
belli che io abbia mai visto, ma non è questo che io intendo
per
bellezza…
Sei
bello per come mi fai sentire.
Sei
bello per quello che fai e che dici, per come lo dici e lo
fai…
Hai
una voce indescrivibile, un talento unico…
Tante
“piccole cose” - se piccole possiamo
chiamarle.»
"Mi
spaventa solo pronunciare il tuo nome e collegarlo all’uomo
che sto
guardando negli occhi, a te che ora sei qui, con me… e mi
baci…"
«Cose
che potrebbero passare inosservate, ma che unite tra loro ti rendono
ai miei occhi… perfetto. Oh, so che non lo sei… -
disse notando
il suo ghigno – ma quello che vedo mi piace. E ti trovo
bello.»
Ville
non rispose subito… si limitava a cullarla tra le braccia,
dondolando piano sui piedi.
«Non
so che dire… non voglio contraddirti. Ma devo avvisarti che
tutto
sono tranne che bello e perfetto. Sono davvero un rompipalle, forse
sono anche un geloso e insicuro cronico. Spesso sono esigente con
tutti, anche per cose banali. Sono ossessivo e con tendenze
autodistruttive…»
Lou
gli prese il viso tra le mani, baciandogli le labbra.
Come
poteva fargli capire che tutti quei difetti che lui le stava
elencando, ai suoi occhi apparivano affascinanti? Come fargli capire
che per lei era diventato caro e prezioso, in così poco
tempo,
toccandole il cuore? Che oltre che bello e misterioso lo trovava
tenero e dolcissimo?
Non
aveva parole abbastanza belle e chiare per spiegarglielo.
Nessuna
bella come la canzone che aveva cantato quella sera e che lui aveva
scritto… non poteva competere con quello che racchiudeva
quella
mente e quel cuore che batteva lento e regolare contro il suo.
Poteva
dimostrarglielo nell’unico modo che al momento le veniva in
mente,
spinta dal bisogno di sentirsi unita a lui, di fargli capire quello
che provava.
Lo
baciò impetuosamente, aggrappata al suo collo, in punta di
piedi per
arrivare alla sua bocca.
Lui
le rispose pronto, con entusiasmo crescente.
“Sentimi…
mi senti? Ti prego entra nel mio cuore e non farmi
male…” - pensò
ansiosa mentre il bacio diventava sempre più profondo.
Chiuse
gli occhi concentrandosi sulla sensazione che le dava averlo
così
vicino, con le labbra fuse alle sue, le braccia, le mani che
varcavano confini…
Il
cuore di Lou correva veloce, il respiro affannoso… emozioni
come
desiderio, dolcezza, commozione si riversavano dentro di lei, ogni
volta che Ville la guardava, la toccava… le veniva da
piangere e
non per la tristezza.
Era
la prima volta che provava qualcosa del genere e un singhiozzo
trattenuto le sbocciò dalla gola.
Ville
la strinse ancora più forte, quasi a voler fondere i corpi
in uno
solo, schiacciandola tra lui e il muro. Le mordicchiava piano le
labbra, ne tracciava i contorni con la lingua per poi tornare ad
accarezzarle piano, senza fretta con studiata lentezza...
Il
bacio si prolungò, lasciandoli senza fiato... crescendo
d'intensità,
fino a farle temere che sarebbe implosa... la braccia scesero a
circondarli il bacino spingendosi contro il suo istintivamente.
Sentì
le mani impazienti di lui che le aprivano la giacca per infilarsi
sotto il maglione in cerca della pelle.
Lou
trattenne il respiro quando sentì la mano sfiorarle il
ventre piatto
per risalire e posarsi a coppa su un seno.
«Lou...
- sussurrò roco, staccando per un attimo la bocca
– guardami...»
Lei
obbedì alzando il viso, distratta dalle sue labbra arrossate
e
gonfie per i baci; poi incontrò i suoi occhi....e
dimenticò anche
come si chiamava.
Annegò
in quei pezzi di giada che la divoravano come una fiamma.
Non
voleva che si fermasse.
«Sì?»-
rispose in un soffio, fissandolo con occhi socchiusi.
«Lou...
ripeté ancora – ti desidero, ti voglio...» - lo
disse come una
constatazione di fatto, accigliandosi, accarezzandole le labbra con
il pollice.
«Sì...
- rispose, confusa da tutto quello che lui le faceva, la mano calda
sul seno che si muoveva piano sopra la stoffa sottile del reggiseno,
il corpo magro che premeva contro il suo, gli occhi... l'altra mano
che le teneva il viso... - Ville... anche io...»
Lui
rise piano.
«Allora
credo che abbiamo un problema...»
Lou
aveva le balle di fieno che rotolavano nella testa: era completamente
rimbecillita dalla sua vicinanza e ci mise un po' per raccogliere
qualche pensiero coerente, non invaso da ormoni.
«Che
vuoi dire?»
– chiese ansimando.
“Concentrati
Lou...”
«Che
se continuiamo così, ci prenderemo un bel raffreddore...
perché
temo che non possa controllarmi oltre.»
«Oh.»
Ville
rise, baciandola ancora.
«A
meno che tu non voglia venire a casa mia...» -
buttò lì lui a
voce bassa, guardandola di sottecchi.
Lou
non rispose.
«Immagino
sia un no...» -
sospirò baciandola ancora.
Tolse
lentamente e con riluttanza la mano da sotto il maglione, prendendola
per la vita, abbracciandola
ancora e posandole la fronte sulla sua.
“Veramente
non mi hai dato il tempo...” - pensò Lou
mordendosi le labbra.
Era
stata sul punto di urlargli sì, ma lui aveva interpretato il
suo
silenzio per un no.
Forse
era meglio così in fin dei conti.
Non
se la sentiva di andare da lui: quella era la casa del cantante,
mentre a casa sua lui era solo Ville... si rese conto che faceva
discorsi contorti nella sua mente ma non se la sentiva di entrare nel
“suo mondo”... mentre lui già era parte
di quello di lei.
Si
appoggiò tremante a lui e stringendolo forte,
affondò il viso nel
collo respirando il profumo della sua pelle.
Le
piaceva da morire il suo odore... “alchimia” la
chiamava Simone.
Forse
aveva ragione lui. Sarebbe rimasta così anche tutta la
notte, solo
per non farlo andare via.
Lou
cercò di riportare il respiro ad un ritmo meno frenetico.
«Se
continui così Valo, mi ammazzi sul serio... allora
sì che farò il
tuo fantasma...»
Ville
rise divertito.
«Te
lo ha detto Nur?! Sai mi piaceva l'idea che tu fossi lì solo
per
me... non ti ho mai vista come qualcosa di reale...c'eri ma non
c'eri... apparivi e basta.»
«Io
invece non ti ho mai visto prima di quella notte... strano vero? -
disse lei alzando il viso per guardarlo. Era così bello
quando
rideva... - per me eri veramente un fantasma.»
«Non
mi hai mai visto e scommetto che non volevi neanche vedermi...
ammettilo: ti stavo sulle palle!- sospirò lui –
Ora ti sto
ancora antipatico?»
«Un
po' – rispose vaga Lou, baciandogli il mento – ma
non sei
malaccio, dopotutto...»
Altra
bassa risata.
«Menomale...
sto facendo progressi per entrare nel tuo cuore, allora?»
“Non
sai quanto sei già radicato dentro...”
«Te
la stai cavando bene... per ora...» -
scherzò lei.
«Ne
sono lieto.» -
rispose lui, con gli occhi chiusi mentre
cercava di
cogliere al volo le labbra di Lou che gli baciavano ancora il mento.
«Ville?
- bisbigliò – Verrai ancora qui, di tanto in
tanto?»
Improvvisamente
aveva paura che lui facesse brevi sporadiche apparizioni.
Non
voleva chiedergli quando lo avrebbe rivisto... era ancora pudica in
quel senso e non voleva dargli l'impressione di stargli addosso.
Non
voleva allontanarlo da lei, per nessun motivo al mondo.
Lui
aprì gli occhi guardandola serio.
«Certo
che verrò ancora da te... che domande sono? Verrò
ogni volta che
avrò voglia di vederti o tu avrai voglia di vedere
me.»
“Se
fosse per me ti legherei a letto e non ti farei andare più
via...”.
Si
morse le labbra.
«E...
quando avrai voglia di vedermi di nuovo?»
«Mi
stai chiedendo per caso se voglio vederti subito, già da
domani? Sai
che la risposta è positiva vero?»
Il
suo stomaco fece un sobbalzo di piacere. Gli si strinse contro,
restando in silenzio.
«Vorrei
passare con te ogni momento libero, Lou... devo avvertirti
però che
non me ne concedo mai molto: sono molto preso dalla musica. Sempre.
Stiamo registrando e provando dei brani per il nuovo album, quindi
sparisco spesso...»
«Il
nuovo album? - chiese Lou alzando gli occhi a guardarlo in viso,
notando la nota diversa del suo tono – Non sapevo che steste
preparando un nuovo album.»
Del
resto lei non conosceva gli HIM... come poteva saperlo, se non era
una loro fan e non li aveva mai seguiti?
«Sì,
proviamo da un po'... ma ci sono stati diversi intoppi e cosa
più
importante, non abbiamo una casa discografica ancora! Questo ci ha
rallentato e porta tensione al gruppo... ma non voglio parlare di
questo con te, non ora...”- le disse tornando a guardarla.
Lou
non fece altre domande: aveva capito che per lui, la musica era tutto
e non voleva invadere quel suo spazio intimo se non voleva... avrebbe
atteso fino a che non fosse stato lui a parlagliene spontaneamente.
Posò
la testa sul suo petto all'altezza del cuore, stringendogli la
braccia intorno ai fianchi snelli.
Si
rese conto che non voleva lasciarlo andare via... se solo casa sua
non fosse invasa dagli amici, gli avrebbe chiesto di rimanere a
dormire con lei.
Ma
c'era Simone che dormiva in camera e Nur con Julian ancora sul divano
che parlavano e bevevano allegramente e aveva la netta impressione
che presto si sarebbero trasferiti in camera da letto... non sapeva
se a quel punto aveva ancora senso dirle di lei e Ville, se ancora
non ci fosse arrivata da sola.
«Uhm...
a cosa pensi?»- le
chiese Ville posandole le labbra sulla
fronte.
«Non
voglio che tu vada via...»
- rispose semplicemente lei a
voce
bassa, la bocca soffocata contro il suo petto.
Lei
sentì la sua risata gorgogliare.
«E
rimaniamo qui tutta la notte? Ok... mi sta bene, sei tu che sei
infreddolita, cara la mia ragazza italiana...»
«Se
ci sei tu a tenermi stretta, non ho freddo.»
Ville
non rispose ma lei sentì che tratteneva il respiro e la
stringeva
ancora più forte.
«Dolce...
sei così dolce, 'Prinsessa'...»
- disse poco dopo con
voce roca.
Lou
chiuse gli occhi al suono della sua voce: ne era incantata.
Le
entrava direttamente nel cuore ogni volta che lui apriva bocca... e
quando le sussurrava chiamandola “Prinsessa”,
lei non
resisteva.
Sempre
ad occhi chiusi alzò il viso chiedendogli silenziosamente di
baciarla ancora.
Ville
non la fece attendere molto... le sue labbra erano così
vellutate
che lei sentì le ginocchia piegarsi.
Come
ogni volta, non riuscivano più a fermarsi... i respiri
affannosi e
le mani che cercavano scorciatoie attraverso i vestiti.
Ora
le mani di Ville sembravano essere ovunque su di lei, lasciandola
stordita.
La
spingeva contro il muro e lei sentiva chiaramente il suo desiderio
premere contro i jeans.
Non
aveva smesso di baciarla per tutto il tempo, ma ad un certo punto si
staccò improvvisamente, facendola vacillare in avanti.
«'Prinsessa'...
- disse secco con voce arrochita, passandosi una mano sul viso
–
diamine! Mi stai mandando fuori di testa...»
«Scusa.»
- disse lei piano facendosi piccola piccola, temendo di aver tirato
troppo la corda.
«Ma
no... non chiedere scusa. È che... beh, ho voglia di te, ma
se
rimaniamo qui daremo spettacolo. In effetti non ricordo di aver mai
fatto l'amore in strada...»
Lou
sentì una fitta di gelosia al pensiero di lui con altre
donne, ma
tenne la sua espressione neutra.
«Hai
ragione... allora è meglio che rientri.» -
disse con la gola
secca.
Ville
le guardava le labbra poi le tese una mano tirandola verso di lui.
«Sogni
d'oro, 'Prinsessa'...»
-
le baciò lieve la fronte.
«Dormi
bene, Ville...»-
rispose lei delusa dall'improvvisa distanza
che
aveva messo tra loro.
Sapeva
il perché l'aveva fatto ma avvertiva già la
mancanza del contatto
fisico con lui.
Ville
le sorrise allontanandosi lungo il vialetto e prima di scomparire
dietro il muretto di mattoni rossi si
voltò ancora una volta per salutarla con la mano.
Lou
rispose, rabbrividendo prima di rientrare in casa sospirando e ancora
infiammata dai suoi baci.
******
«Lì
fuori abbiamo rischiato di farlo contro la parete... - disse Lou
distrattamente – Santo cielo... mi
fa
impazzire...»
«Lo
vedo, eh! Eri sconvolta quando sei rientrata! Ma perché
non sei
andata da lui, non capisco?»
«Me
lo ha chiesto ma non mi ha dato tempo di rispondere... e poi credo
sia meglio così per stasera: non potevo lasciare voi qui,
non sta
bene!»
«Grace,
sinceramente a me avrebbe fatto più piacere saperti nel
letto con
Valo... e credo che a Nur importi poco ormai.» -
disse acido
e
ironico, facendo segno verso la camera attigua da dove venivano suoni
soffocati di tanto in tanto. Come avevano previsto, Nur si era
portata a letto Julian: entrambi alticci si erano defilati mentre lei
e Ville erano intenti a pomiciare in strada.
«In
fondo è meglio così: mi sento meno in colpa ora.
Le dirò comunque
di Ville ma con meno ansia!»
«Io
se fossi in te me ne fregherei altamente: come ti ho già
detto, la
Regina di Saba non aveva nessun interesse per Ville, se non quella di
avere un altro trofeo.»
«Non
dire così, non mi piace che parli di lei in questo modo: non
è come
sembra!» -
rispose stizzita Lou, difendendo la sua amica.
«Ah
no? Secondo te quanto gliene importa a lei di essersi portata a letto
uno che fino a due ore fa faceva il cascamorto con te?»
Lou
lo fissò senza rispondere, poi disse: «Evidentemente
anche a
Julian andava, da come la guardava stasera.»
«Solo
perché tu non gli hai dato corda, Grace... ripetiamo la
stessa cosa.
Lui piace a lei, lui non la ricambia ma gli piace l'amica, l'amica
invece piace al terzo amico ma si accontenta della prima...»
«Uhm...
le cose non sono sempre semplici, vero?»
«Quasi
mai, ma almeno due in questa storia sono soddisfatti: tu e Ville. E
direi che è la cosa più importante, o
no?»
«Sì,
è la cosa importante in questo momento.»
-
sospirò pensando a
Ville, desiderando essere con lui.
Poi
riportò l'attenzione al suo amico, ricordando all'improvviso
che
nella mail lui le diceva di avere cose importanti da dirle.
«Cos'era
che dovevi dirmi di importante? Mi avevi accennato nella mail che
c'erano novità... non abbiamo avuto un attimo di tregua in
questi
giorni, dimmi di che si tratta?»- gli
chiese voltandosi verso
di
lui, curiosa.
«Ah
sì... beh, - sorrise imbarazzato – forse mi
daranno una mia linea
di abiti.» -
buttò lui con indifferenza.
«Cosa?!
E me lo dici così? Come? Quando? Oddio, sono strafelice!
Racconta!»-
saltò sul letto contentissima per il
suo amico.
«Niente
di che, Grace: è solo una linea minore... ma è
solo mia!» -
disse
lui entusiasta con gli occhi che gli brillavano.
Lou
lo abbracciò stritolandolo.
«Oh,
mi farai vedere i bozzetti quando li disegni?! Ti prego, ti prego,
ti prego! Voglio essere la prima!»
Simone
rise compiaciuto del suo entusiasmo.
«Non
posso e lo sai... ma ti manderò un invito speciale per la
mia prima
sfilata: non potrai mancare, dovrebbe essere questa estate. Avevi
detto che saresti venuta per le vacanze, ricordi? O stai già
cambiando idea, ora che c'è Valo?” - le chiese
dubbioso.
«Assolutamente
no, verrò!» -
rispose Lou, anche se in un primo
momento, aveva
pensato alla possibilità di rimandare le vacanze per stare
ad
Helsinki.
Con
Ville.
Era
meglio che rimanesse con i piedi per terra: fare progetti a lungo
termine o cambiare i suoi programmi in base alla storia, se
così
poteva chiamarla, con Ville, era sbagliato.
Il
piacere di frequentarlo e averlo nella sua vita non doveva
interferire con quello che aveva sempre fatto, si disse convinta.
Non
avrebbe più vissuto in funzione di qualcuno, anche se era
speciale
come Ville.
Simone
alzò gli occhi al cielo sentendo i rumori e i gemiti
soffocati che
venivano dalla stanza di Nur.
«Almeno
potevano andarsene a casa di Julian...»
«Beh
è anche casa sua questa, Will... può fare come
vuole...» -
rispose Lou
perplessa.
Ma
anche lei era un po' stupita dal comportamento strano di Nur.
Sperava
di trovare un attimo di calma il giorno seguente per poterle parlare
e chiederle cosa non andava.
Quando
però lei e Simone si svegliarono, molto tardi dal momento
che
avevano parlato fino all'alba, Nur e Julian erano già usciti.
Come
tutti i sabato Lou andò nel vicino supermercato per la spesa
settimanale e l'appuntamento con il Sig. Korhonen, che come sempre
l'aspettava pacifico davanti al cancello di casa.
Lui
squadrò attentamente Simone quando lei lo
presentò come il suo più
caro amico italiano limitandosi ad uno dei suoi sorrisi gentili e
luminosi.
Passando
davanti casa di Ville lei sbirciò in alto chiedendosi se
fosse già
sveglio.
I
pensieri di Lou però erano per Nur: era preoccupata e
sentiva la sua
amica lontana e aveva una strana sensazione. Sperava di sbagliarsi.
Dopo
aver aiutato il Sig. Korhonen a portare la sua spesa fin davanti la
porta, lei e Simone erano indecisi sul da farsi: aspettare Nur per
pranzo oppure uscire per conto loro.
Mentre
si avviavano verso il cancello Lou girandosi vide che qualcuno era
vicino al cancello di casa di Ville.
Una
donna.
Una
donna mora, molto alta e bella per la precisione. Che attendeva di
entrare, battendo il piede impaziente. Lou si immobilizzò
improvvisamente gelata.
Si
girò verso Simone che perplesso seguì il suo
sguardo. La donna
pochi secondi dopo sparì all'interno. Nausea e malessere
subito le
furono addosso.
Simone
la spinse verso casa in silenzio. Una volta all'interno le tolse le
buste della spesa dalle mani.
«Grace!
Ora non viaggiare con la fantasia! Può essere una
collaboratrice,
qualcuno della casa discografica... non farti venire subito strane
idee!» -
sbottò spazientito davanti
all'espressione pallida di Lou
che ancora non proferiva parola.
«Una
collaboratrice? Quella?! Sembrava una modella.... quale
collaboratrice? Ma l'hai vista?» -
disse senza fiato Lou.
«L'ho
vista! Cavolo, Helsinki è pieno di donne simili, di che ti
stupisci?! Guardami!» - le
ordinò piazzandosi
davanti a lei, che
si era accasciata sul divano, inerme.
Lou
alzò gli occhi su di lui e ciò che Simone vi
lesse non gli piacque
affatto.
Sembrava
tornata la Lou ai tempi di Andrea, il che lo fece andare su tutte le
furie, ma si trattenne cercando di mantenere un tono calmo e
accondiscendente.
«Frena
qualunque cosa quella tua testolina malata stia macinando,
perché
non ti servirà a niente! Grace: dagli fiducia. Non puoi
saltare a
conclusioni sbagliate non appena vedi l'ombra di qualcosa che
è
fuori dal tuo mondo! E' solo una donna!»
«Solo
una donna... anche Sophie era solo una donna.»
«Ecco
che paragoni Ville ad Andrea! Sei impossibile: sono come la notte e
il giorno! Ville tiene a te... sei cieca? Vedrai che ci sarà
una
spiegazione e te la darà lui... e se non lo farà,
non prendere le
distanze come tuo solito!» -
sbottò Simone che la
conosceva fin
troppo bene e sapeva che Lou ora stava fantasticando senza sosta con
pensieri assurdi.
Lou
si sentiva fiacca e svuotata: ogni sua paura, ogni suo timore e
insicurezza la stavano sopraffacendo senza che lei potesse far nulla
per fermarle.
«Will,
ma che ne so io com'è lui?! Non lo conosco che da poco
tempo.
Potrebbe essere un bravo attore, per quel che ne capisco di uomini! -
sbottò Lou - Sono la solita stupida che si fa
abbindolare...»
«Oh
santo cielo! GRACE!- urlò Simone stridulo, facendo
schizzare
via Katty dal divano che corse a rifugiarsi in camera da letto
– Ma
non può essere un'amica?! O solo tu puoi averne e meritare
fiducia?!
Sei insopportabile, davvero!»
Come
faceva a dirgli che era terrorizzata? Come faceva a dirgli che Ville
era già diventato troppo importante per lei? Come faceva a
dirgli
che non si sentiva all'altezza di nessun uomo, figuriamoci di uno
come Ville? Cercò di rilassarsi respirando a fondo,
chiudendo gli
occhi.
Erano
solo sue paure, lo sapeva bene: aveva ben a fuoco l'idea e la
possibilità che tutto potesse finire da un momento
all'altro, come
in un sogno.
Lei
si sarebbe svegliata e avrebbe preso coscienza che con Ville era
stata solo una favola.
Aveva
deciso che avrebbe vissuto quella storia, così come veniva,
senza
aspettarsi nulla di più... eppure...
Eppure
non riusciva ad
arrestare il panico.
Non
riusciva a pensare ad altro che alla donna splendida che aspettava di
entrare impaziente e imbronciata in casa di Ville... immaginava loro
due insieme, le mani e le labbra di Ville che si posavano dove, solo
la sera prima, avevano vagato su di lei. Un sudore freddo la
investì
in pieno.
Si
alzò di scatto avvicinandosi alla porta finestra guardando
in
direzione della Torre.
Simone
la guardava accigliato e silenzioso, irritato.
«Beh?
Che c'è? Che stai pensando ora? - chiese acido –
Grace, mi fai
saltare i nervi quando sei così insicura di te
stessa!»
«Will...
- replicò lei a bassa voce – saltano i nervi anche
a me, per come
agisco, ma non riesco a farci nulla.»
«Beh,
cerca di reagire! Provaci.»
Lou
pensava alle parole di Ville della sera prima e si chiese se lo
avrebbe visto quel giorno stesso, come lui le aveva quasi promesso.
In quel preciso istante il cellulare di Lou iniziò a
squillare
vibrando in borsa: lei ci mise un'eternità a ritrovarlo.
Assurdamente pensava potesse essere lui, ma non poteva: non si erano
mai scambiati i numeri.
Era
Nur, ma appena lo ritrovò nel caos della sua enorme borsa,
il
cellulare smise di squillare.
Stava
per richiamarla quando il bip degli SMS le annunciò un nuovo
messaggio.
“Non
aspettatemi a pranzo e neanche a cena, sono impegnata.”.
Secco,
sintetico e molto freddo. Ecco. Anche Nur ci si metteva ora, con il
suo atteggiamento freddo e distaccato!
Lanciò
a Simone il telefonino per fargli leggere il messaggio e lui
alzò un
sopracciglio.
«Meglio
così, non era il caso che ci si mettesse anche la Regina di
Saba
offesa in tutto questo melodramma!»
Improvvisamente
Lou sentì che sarebbe scoppiata se rimaneva in casa ancora
un minuto
di più.
«Fai
una borsa e mettici dentro il necessario per due giorni: andiamo in
un posto dove saremo solo io e te, lontani da tutto e tutti.»
«Stai
scappando?»
«No,
sono stanca di aspettare i comodi di tutti: sei qui e voglio fare
qualcosa solo con te.» -
rispose decisa, dirigendosi in
camera per
preparare la sua borsa.
«Ehm...
- disse Simone, schiarendosi la voce – Non vorrei dire nulla,
lungi
da me frenare questo entusiasmo, ma non dimentichi qualcosa?»
«Cosa?»
«La
gatta? Come fai con lei?» -
chiese Simone andandole dietro.
«Chiederò
a Nur di occuparsene.»
Non
intendeva farsi prendere dai sensi di colpa verso la felina. Le
avrebbe mandato un messaggio dicendole che lei e Simone, avrebbero
fatto escursioni nelle città vicine: del resto stava per
finire la
vacanza e lui non aveva visto che la sua casa, la galleria e il
supermercato!
«Nur?
Occuparsi di un micetto piccolo? Se vuoi ritrovarlo vivo al tuo
ritorno ti consiglio di trovare un' altra soluzione!» -
disse
ironico Simone, sedendosi sul letto.
«E
tu che consigli, genio?» -
chiese seccamente Lou mentre
apriva
cassetti per buttare slip e canotte sul letto.
«Portala
a Valo.»
Lou
si fermò con uno slip a mezz'aria fulminandolo con gli occhi.
«Non
sei divertente.»
«Non
intendevo esserlo.»
«Allora
evita di dire stronzate.»
«Grace,
sto parlando sul serio: sai che Nur non è affidabile. E
probabilmente Valo non sarà contento se la lasci a lei e te
ne vai
senza dirgli nulla...»
«Me
ne frego di quello che può dare o no fastidio a
Valo!»
«Addirittura?
Lo hai già condannato?! - replicò ironico Simone
– Senza neanche
dargli il beneficio del dubbio: migliori di minuto in minuto!»
«Piantala!
Ho voglia di andare via da qui! Portiamo la gatta con noi:
muoviti!»
«Con
noi? E come pensi di fare?»
«Andremo
a comprare una cuccetta da viaggio.» -
rispose sintetica Lou,
tornando all' “Operazione fuga da Helsinki”.
«Ooooook...
- disse rassegnato Simone alzandosi per preparare la sua roba. Quando
Lou faceva la decisa, c'era poco da discutere - Posso almeno
chiedere dove andiamo?»
«Porvoo:
è qui vicino ed è un posto tranquillo. Prenderemo
una casetta sul
fiume e staremo lì per qualche giorno. Ti
piacerà.»
******
Camminando
in riva al fiume, mano nella mano come due innamorati, Simone
cercò
più di una volta di riprendere il discorso Valo ma Lou lo
bloccò
seccamente.
Non
aveva voglia di parlarne. Voleva godersi semplicemente la calma del
posto e il suo amico.
Visitarono
la famosa Cattedrale in legno, mangiarono in posticini minuscoli ma
deliziosi.
La
loro casetta sul fiume era anch'essa piccola: la signora che
gliel'aveva affittata per tre giorni li guardò ammiccando
con gli
occhi, dicendo in inglese stentato che era molto romantico... Simone
per non deluderla, le passò un braccio intorno alle spalle
schioccandole un sonoro bacio sulle labbra.
Lou
stette al gioco ridendo.
«Lou,
fra 4 giorni riparto e tu mi porti lontano da casa tua... prima o poi
dovrai affrontarli entrambi: il Principe e la Regina. Sono contento
comunque di averti tutta per me.»
Katty
che aveva pianto per tutto il viaggio in treno non uscì da
dentro la
sua cuccetta per il resto della giornata, assumendo un'aria offesa e
non degnandoli di uno sguardo.
«È
tutta il suo padrone.» -
sbottò Lou acida, dopo
l'ennesimo
tentativo fallito di farla uscire fuori con moine e paroline dolci.
«A
me ricorda più la padrona veramente...» -
provò a dire Simone
ridendo.
«Che
vuoi dire?»
«Oh,
niente... - continuò ridendo sotto i baffi lui –
Sai, mi chiedevo
come era andata la notte d'amore dei due nostri amici...
cioè, più
o meno abbiamo intuito com'è andata, dal momento che abbiamo
sentito
quasi tutto...»
«Spero
per loro che si siano divertiti.» -
rispose seccamente Lou.
Non
aveva voglia di parlare neanche di loro due.
«Le
hai detto che andavamo via, almeno?»
«Sì,
le ho lasciato un biglietto.»
«Uhm...»
«Che
c'è?» -
scattò Lou.
«Niente!
Calmati Grace... cielo, sei isterica.»
«Will
vuoi litigare? No, perché non è aria!»
«Non
voglio litigare, ma stavo pensando che avresti dovuto lasciare un
biglietto anche a Ville, come minimo...»
«E
perché, lui mi informa di tutti i suoi movimenti e delle sue
ospiti?»
«Se
non erro ti ha avvisata quando è andato via, poco prima che
io
venissi...»
Lou
lo ignorò.
«Non
è la stessa cosa! Non avevamo deciso che avrei dovuto
viverla come
viene? Senza aspettarmi nulla? Bene! Lo sto facendo e anche lui non
deve aspettarsi nulla da me!»
«Un
conto è viverla come viene, un altro è tagliare
la corda. E tu hai
tagliato la corda per evitare di incontrarlo e di sparare a zero. Il
che può essere positivo visto il tuo
caratteraccio!»
Seduti
in veranda su due poltroncine di vimini, guardavano il tramonto che
illuminava l'acqua del fiume con mille riflessi dorati.
«Allora
forse è meglio chiuderla prima che inizi: non è
per me. Non reggo
alla tensione, non reggo ai confronti con altre donne e non ho voglia
di stare male.»
«I
confronti li fai solo tu. Scommetto che a lui non passa neanche per
l'anticamera paragonarti alle altre.»
Silenzio.
«Grace...
smettila di fare la bimba. Si stancherà prima ancora di
conoscerti:
non tutti hanno la mia pazienza.»
«Tu
non sei il mio ragazzo.»
«Appunto...
è già difficile avere a che fare con te come
amica, penso che come
tuo ragazzo ti staccherei la testa a morsi.»
Lou
sospirò, buttando la testa all'indietro chiudendo gli occhi.
Non
posso farci nulla, io sono così...»
«No
ti sbagli, tu non sei solo questo... permettigli di conoscere la vera
Lou. Fidati di lui. Fidati di te stessa. E fidati di quello che
c'è
tra voi.» -
disse dolcemente Simone.
«E
cosa c'è tra di noi? - chiese più a se stessa che
a lui – Se
analizzo la cosa dal di fuori non vedo altro che una sfigata che si
sta illudendo di stare con uno degli uomini più desiderati
al mondo.
Patetico.»
«E
il fatto che quell'uomo desideri stare con te non ti dice
nulla?»
Lou
si trincerò dietro il suo silenzio.
«A
cosa pensi?»- le
chiese dopo minuti interminabili.
«A
lui. Con quella.»
«E...
?»
«E
mi sento morire.»
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
Eccoci
di nuovo qui: so che vi avevo detto che per un pò non
avrei aggiornato...
La
verità è che dopo la visione di Titanic, siamo
devastate, anneghiamo in una valle di lacrime e dal momento che i
capitoli fino al decimo li ho, ho pensato di risollevare gli animi...
(oddio: visto il capitolo, non so quanto vi abbia alleviato....XD);
La
Musa mi sta snobbando ancora alla grande e brancolo nel
buio totale..
Ehm...
ok sono pronta a sentire le vostre urla e scleri... ho fatto
scappare Lou...
ma
voi che avreste fatto al suo posto? Avreste affrontato Valo,
rischiando di fare una figuraccia e una sceneggiata o sareste fuggite
anche voi, piene di dubbi e paure?
Chissà
che le passa per la testa..(oddio io lo so... sono la
mamma!! XD )...
chissà
come la prende il Valo...
intanto
Katty ha già ampiamente dimostrato il suo dissenso
alla cosa!XD Adorabile di una micia... <3
Basta chiacchiere ora... come
sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia
Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e
pronte a recensire alla velocità della luce: selevalo, arwen85, Echelena, Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon
(ta-nha ta-nha ta-nha: a proposito tesò...
vedi di riprenderti, perchè mi mancano le tue recensioni
folli!!U.u) Villina92
poi quelle un
pò più latitanti o tirchie di commenti... poisongirl76, marfa,
dile91, fnghera;
e
grazie
anche ad angelica78vf, K Ciel e
VioValo
,LonelyJuliet
,le
nuove "recensore"!
Spero di riacciuffare la mia musa per le orecchie e spremermi come ai
primi tempi!Grazie, grazie infinite a tutte e a presto!! ^O^
Con
ammooore,
*H_T*
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Capitolo 10 *** Capitolo nove: "I'm waiting for your touch..." ***
Capitolo
nove
"I'm
waiting for your touch..."
Lou
si
guardò intorno circospetta mentre attraversava il vialetto
che da casa dei vicini intersecava con il suo; camminava rasente il
muro evitando le pozze di luce che gettavano i lampioni.
Se
avesse
visto se stessa dall'esterno con ogni probabilità sarebbe
scoppiata a ridere prendendosi in giro... ma quella era sopravvivenza!
Al diavolo!
Da
circa due
settimane, ovvero dalla partenza di Simone, evitava di usare la solita
entrata ufficiale, quella che dava sulla strada... quella in cui
avrebbe potuto “casualmente” incontrare
lui.
E
a nulla
erano valse le promesse fatte a Simone di cercarlo non appena lui fosse
ripartito.
«Hai
bisogno di chiarire, hai bisogno di vederlo, non raccontarti fandonie!
Cercalo e piantala di fare la codarda! Me lo prometti?»
«Te
lo prometto...» – aveva risposto a denti
stretti.
Ovviamente
non lo aveva fatto. Non solo: stava letteralmente nascondendosi da lui.
Non
che lui
l'avesse cercata del resto... questo la rendeva ancor più
titubante su tutta la storia.
Perchè
non la cercava? L'aveva già rimpiazzata con la tipa mora
tutta gambe ... ecco perchè!
Ritirava
la
posta in orari impensabili, uscendo di mattina presto, sgattaiolando
sul vialetto come una ladra. Faceva il giro dell'isolato per correre a
prendere il tram per andare al lavoro, lo stesso per andare a fare la
spesa... usciva prestissimo e rientrava quando era già buio;
evitava di accendere le luci di casa, aveva tirato giù le
tapparelle per non far filtrare luce dall' interno, dando l'impressione
che non fosse in casa, evitando così anche di guardare verso
quella maledetta torre.
Aveva
sviluppato un piano di fuga e di occultamento perfetto.
Era
quasi
arrivata. Un'altra giornata era finita; ora si sarebbe potuta rilassare
con un bel bagno caldo profumato, le coccole di Katty e un buon libro.
Cercò
le chiavi di casa nel caos della borsa mentre girava l'angolo e... ecco
Ville che la guardava.
Appoggiato
al muro appena fuori dalla porta, rivolto verso l'angolo dal quale era
sbucata, come sapesse esattamente da dove sarebbe arrivata.
Le mani
affondate nelle tasche dei jeans, un piede appoggiato al muro e negli
occhi un'espressione che non prometteva nulla di buono.
No no, per niente.
Si
bloccò pietrificata e gli occhi sgranati, con la mano ancora
dentro la borsa.
«Buh.»-
La sua voce era bassa e rauca e molto, molto seria, al contrario
dell'espressione usata.
Lou
rimaneva
sul posto immobile, si guardò un attimo alle spalle
pensando: “Se
magari corro veloce...”
«Non
pensarci neanche: - disse piatto, leggendole come sempre nella
mente – ti riacciuffo in mezzo secondo.»
Staccò
il piede dal muro riaddrizzandosi. Lou fece un passo indietro.
Lui assunse
un'aria irritata e strinse le labbra accigliandosi.
“Dì
qualcosa! Dì qualcosa maledizione, stupida!”
«Che
vuoi?» - sbottò acida.
Lui
alzò un sopracciglio, fissandola ironico.
«Te?!
Prima che tu possa gelarmi con un'altra risposta, posso almeno sapere a
cosa debbo tutto questo?» - chiese sferzante.
La
gola
secca per la sua risposta diretta e sincera.
“ME?!
E la spilungona mora?!”
«Non
so a che cosa ti riferisci.» - rispose lei alzando il
mento con aria di sfida.
“Lou,
sei una kamikaze...”.
Ville
strinse gli occhi verdi con un lampo assassino.
“Diamine...
ma così non vale però..."
Lou
annaspò in cerca d'aria.
«Lascia
che ti illumini allora: mi stai evitando, sei sparita senza dirmi
nulla, hai portato via con te la mia gatta e ora ti comporti in un modo
che mi irrita a morte e mi fa venire voglia di...»-
sbottò lui sbuffando.
“La
SUA gatta?!”
«Voglia
di...?» - chiese lei prima di potersi mordere la lingua per
averlo solo
pensato.
«Voglia
di prenderti e baciarti fino a toglierti quell'espressione distaccata e
circospetta che hai.»- le rispose calmo, fissandola con i
pezzi di giada.
“...”
«Ville.» - mormorò con la gola secca.
«Sì,
Ville. Ti ricordi di me?»
“...”
«Restiamo
qui tutta la notte? -chiese lui con un sospiro - Voglio vedere la mia
gattina... se me lo permetti, ovviamente...» - aggiunse con
un sorriso malizioso.
Lou
avvampò per il pensiero perverso vedendo un doppio senso
nelle sue parole.
Affondò
la mano nella borsa trovando quelle maledette chiavi, finalmente.
«Ma
certo... - mormorò lei piano – e per inciso: non
è la tua gatta.» - aggiunse lei, muovendosi verso
la porta evitando di passargli vicino.
Ville
le
fissava il profilo, l'espressione tra l'irritato e il divertito.
Lei
cincischiò per lunghi istanti non riuscendo ad inserire la
chiave nella toppa per l'agitazione.
“Mi
ha fregata! Non ci posso credere...”
Finalmente
aprì la porta fiondandosi dentro per sfuggire a quegli occhi
che le stavano bucando la nuca, lasciandogliela aperta con una mano.
«...e comunque come sei entrato?»
Lui
fece un
sorriso da vampiro.
«Ho
scavalcato il cancello... ovviamente.» - ghignò.
Lou
cercava
di trovare parole per l'interrogatorio che sarebbe presto arrivato: se
lo sentiva che lui non aveva nessuna intenzione di lasciar cadere il
discorso e Katty era solo una scusa.
La gatta
sentendo aprire la porta apparve in fondo al corridoio e si
lanciò in una corsa per darle il benvenuto: lei si
chinò per accoglierla commossa da tanto affetto, ma la
malefica felina la superò come un fulmine per gettarsi
addosso a Ville.
“Maledetta
stronza traditrice!”
Lou si
alzò stizzita girandosi con gli occhi sgranati e offesi
verso quei due che tubavano rumorosamente alle sue spalle.
Katty
faceva
letteralmente l'amore con lui, strofinandosi e leccandogli le mani.
Anche
lui
sembrava commosso: aveva gli occhi rossi e gonfi.
“Questo
è troppo!"- pensò lei
buttando borsa e giacca sulla sedia in corridoio e lasciandoli alle
loro moine, se ne andò in salotto.
Una volta un
cucina si preparò del latte caldo, per calmarsi e placare i
morsi della fame.
Ville
apparve con Katty tra le braccia, cercandola con gli occhi e ridendo
sotto i baffi.
Quei
due
erano due gocce d'acqua... entrambi la guardavano beffandosi di lei,
gli occhi verdi e l'espressione furba e divertita.
Lou
meditò di buttarli entrambi fuori di casa a calci nel sedere.
«Non
hai risposto.» - disse avvicinandosi al
muretto divisorio tra salotto e cucina, guardandola fisso negli occhi.
«Non
ho capito la tua domanda.» - rispose Lou freddamente.
Ville
sibilò tra le labbra.
«Perchè
mi eviti?»
«Non
ti evito: ho avuto da fare.»
«Balle.
Ti ho cercata il giorno dopo e la tua amica, alquanto freddamente, mi
ha detto che eri andata via con Simone per qualche giorno, non sapeva
dove, senza dir nulla anche a lei.»
“Bene!
Anche Nur, ora...”.
Non
aveva
chiarito neanche con lei: quando erano tornati a casa tre giorni dopo,
aveva trovato un biglietto dove la avvisava che sarebbe andata via
prima del previsto, causa chiamata urgente dal lavoro- chiaramente una
scusa- ma aveva casualmente evitato di dirle che
Ville l'aveva cercata! Maledizione. Ora lui aveva tutte le carte in
mano per darle contro.
«Nur
non mi ha detto che mi avevi cercato: è andata via prima che
tornassimo.»
«E
non potevi cercarmi tu... giustamente. Sapevi che sarei venuto qui il
giorno dopo, te lo avevo promesso. Me lo avevi chiesto tu... guardami
Lou.» - sbottò irritato mentre lei evitava di
guardarlo
trafficando inutilmente in cucina, tra tazze e latte e biscotti.
Lei
alzò gli occhi, tremando.
“Stramaledetto
gatto gigante che mi lascia sempre senza fiato.”.
Si
fissarono
in silenzio per diversi, interminabili minuti.
«Perchè
mi stai evitando? Pensavo... insomma, pensavo che dopo la cena tu
fossi... che provassi quello che provo io. Mi sono
sbagliato?» - le chiese, diretto come sempre.
«No, non ti sei sbagliato.»- rispose in un soffio.
«E
allora cos'è successo? Spiegamelo per favore...»
«Non
è importante...»
«Lo
è per me. Dimmelo.»- ordinò lui.
«Ville,
non ho voglia di parlarne ora.»
«E
quando? - posò la gatta per terra, che si
lamentò offesa, aggirando il muretto per avvicinarsi
impetuoso a lei, prendendole il mento fra le dita – Guardami!»
Lei
alzò di nuovo gli occhi su di lui, perdendosi in quei laghi
verdi e chiari: le gambe inziarono a cedere.
Troppo
vicino. Troppo.
Sentiva
l'odore della pelle, e il leggero profumo del dopobarba o sapone che
aveva usato per lavarsi... patchouli e spezie come sempre... le labbra
piene e sensuali. Perfette.
No,
decisamente non andava bene.
Doveva
metterlo alla porta. Ora. O non ne sarebbe uscita viva.
Cercò
di svicolarsi, ma lui l'afferrò per le braccia
costringendola a guardarlo, spingendola contro il piano,
imprigionandola con i fianchi.
«Non
scappare...» - le sussurrò con quella voce bassa e
roca che le metteva i brividi.
«Mi
sei... mancata, 'Prinsessa'...»
“Già.
Certo. E la stangona mora?”.
Non
mi piace starti lontano se non è necessario e tu hai messo
le distanze tra noi: vorrei sapere perchè...»- le
sussurrava sulle labbra vicinissimo, senza toccarle.
Lei
battè le palpebre rapidamente, stordita dal sentirlo
premerle contro con il corpo snello.
«Lou...?»
- la domanda nella sua voce.
«Non
è importante ora.» - rispose lei fissandogli le
labbra rapita, col fiato mozzo.
Le braccia
si alzarono a cercargli il viso, sfiorandoli gli zigomi con dita
leggere.
Una
mano
dietro la nuca ad accarezzargli i capelli mossi e scuri... lui chiuse
gli occhi sospirando.
Quella
di
Ville si spostò verso il collo, piegandole la testa
all'indietro.
La
tenne
inchiodata con gli occhi, sfiorandole il viso con il naso, le labbra,
senza mai toccarla sul serio.
Lou
era sul
punto di svenire se non l'avesse baciata immediatamente.
Sarebbe
morta in apnea, in attesa di un bacio da Valo, pensò ridendo
dentro di sè.
«Sì,
che lo è... dimmelo...» - le sfiorò le
labbra con la punta della lingua.
Accidenti a
lui: se voleva estorcerle parole aveva capito esattamente come fare!
«Io...
io... - balbettò lei senza voce – ho... visto
quella stangona mora al tuo cancello e mi sono girate le balle, ero
gelosa e... ho pensato che mi stessi... solo prendendo in giro e che io
mi stavo illudendo come una stupida... e che tu non potessi
interessarti davvero ad una come me... e non ho voluto passare la
giornata ad aspettarti perchè se tu non fossi venuto, come
avevi detto, io... sarei stata male. E non voglio stare male. Neanche
per te.”- disse tutte d'un fiato vuotando il sacco,
guardandolo in tralice.
Lui
si
bloccò interdetto.
«Quale
stangona? Di che stai parlando? - chiese aggrottando le sopracciglia
– Non ti seguo...»
«La
tipa che era al tuo cancello: quella che impaziente attendeva di
entrare in casa tua il mattino dopo la cena, dopo che ti eri strusciato
per ore con me!» - proruppe lei con voce acida.
Lui si
scostò indeciso se ridere o arrabbiarsi.
«Amy?
Sei gelosa di Amy? Lou...» - scoppiò a ridere
lui capendo improvvisamente, stringendola, posandole la testa sulla sua.
“Chi
diavolo è Amy!?”- pensò
lei
desiderando la morte immediata della stangona mora.
O
perlomeno
una bella diarrea fulminante.
Lo
fissò rigida.
«Lou...
Lou... mia irascibile, insicura, gelosa Prinsessa... Amy è
una vocalist. Abbiamo provato una canzone... e mi serviva una voce
femminile.» - ridacchiò lui, come se la
spiegazione dovesse esserle chiara.
Rimase
rigida tra le sue braccia.
«Provare
una canzone. A casa tua. Di mattina.» - disse lei piatta,
sentendosi una perfetta scema a fargli una scenata di gelosia.
Che
diritto
aveva? Non stavano mica insieme ed era molto stupido da parte sua.
Lui
strinse
gli occhi, continuando a ghignare.
“Ora
gli tiro una sberla.”
«Sì,
a casa mia... dove ho uno studio. Con tutte le attrezzaure... sai,
quella roba con cui si fa musica...? - disse passandole una mano dietro
la schiena accarezzandola piano, avvicinandola al petto scarno
– 'Prinsessa'...
tu
sei scappata via per questo? Perchè pensavi cosa? Che io e
Amy...?»
«Sì.
Non è così? Senti, non mi devi spiegazioni e io
mi sento stupida a dirti questo! Non mi devi nulla, non sono affari
miei. Sei libero di fare quello che ti pare, non stiamo insieme: quindi
fa finta di nulla. Sono italiana. - disse velocemente, cercando di
darsi un tono leggero – sai, noi italiani siamo
così: passionali, ci inalberiamo velocemente e siamo
possessivi. Lo sono con tutti. Non farci caso...”.
«Non
stiamo insieme?» - chiese, guardandole le labbra mentre
parlava.
«Eh?»-
lo guardò inebetita.
«Hai
detto che non stiamo insieme e che non sono affari tuoi, di fare finta
di nulla... 'Prinsessa',
ascolta. Io non so tu cosa intendi per stare insieme... sono libero di
fare quello che voglio, questo lo so e lo faccio, ma non quello che
pensi tu. Non sono il tipo che riesce a gestire più
relazioni nello stesso momento: il tempo che posso dedicare ad una sola
persona è già troppo poco e, credimi, non ho
tempo per avere cose losche in ballo... e non sono il tipo. Il sesso
senza amore è triste. Quindi
qualsiasi cosa tu abbia potuto pensare con quella deliziosa testolina
piena di ricci,
è sbagliata: Amy è solo una vocalist, una voce.
Per una canzone che ho scritto, pensando a te.»
- disse
serio.
«Una
canzone... per me?» - chiese lei con un filo di voce,
sentendosi ancora più sciocca e in colpa.
«Per
ora è solo un' idea... ma sì, avevo questa
melodia che mi girava in testa ogni volta che ero con te... volevo
provarla.» - le rispose alzando le spalle, come se nulla
fosse.
“Ok,
calma. Ville Valo ha solo detto che sta scrivendo una canzone. E che
gliel'hai ispirata tu. Calma. Non è niente... che vuoi che
sia? … ora svengo..."
Lou
lo
guardò come se fosse pazzo.
Lui
ridacchiò baciandole la punta del naso.
«Non
andare mai più via senza dirmi nulla, 'Prinsessa'.
Soprattutto per ragioni stupide come altre donne: ci sei tu ora.
Non ho bisogno di altro.»
«Ville...»
- disse Lou senza aggiungere altro.
«Mi
ringrazierai quando la sentirai, ok? - disse ridendo a bassa
voce -
Magari ti fa schifo...»
«No,
io volevo chiederti scusa... mi sento sciocca e infantile. Faccio
pagare a te le mie insicurezze e non è giusto... scusa se
sono andata via senza dirti niente, ma ero... non lo so neanche io come
mi sentivo. Avevo bisogno di andar via. Ma non è servito
mettere le distanze tra noi per non pensarti più: ti ho
pensato ogni momento di ogni giorno...»
“Ha
detto che non contano le altre donne?" Le si
piegarono le ginocchia.
Ville
la
strinse ancora di più a sè, baciandole i capelli,
strofinandovi il viso sopra, aspirandone il profumo.
«Ti
prometto che non tradirò la tua fiducia, Lou... fidati di
me...»
Lei
annuì tornando a respirare normalmente abbracciandolo,
facendo passare le braccia intorno alla vita snella e sottile di lui.
«Scusa...»
- gli borbottò contrò il petto, sulla camicia
azzurra che aveva sotto la giacca che profumava di lui.
«Dovrai
fare ben altro che chieder scusa, per farti perdonare...»
-
sussurrò lui con voce sexy, scendendo con le mani dalla
schiena fino sopra il bordo dei jeans a vita bassa.
Le
fischiarono le orecchie e avvampò fino alla radice dei
capelli.
Alzò
il viso per chiedergli cosa intendesse ma la bocca di lui scese sulla
sua senza darle tempo di parlare o blaterare ancora.
La
baciò con lentezza strofinando prima le labbra sulle sue,
poi affondò la lingua accarezzando quella di lei in una
danza lenta e sensuale.
Lou
si
aggrappò alle sue spalle per non scivolare in una pozza
informe ai suoi piedi.
La
baciava... eccome se la baciava e anche bene!
“Perchè
mi sono negata tutto questo paradiso?”
Pensò
con una parte del cervello non ancora fusa, mentre si strofinava contro
di lui mugolando.
Le
prese la
bocca in un bacio famelico, leccandole le labbra, mordicchiandole fino
a farle girare la testa, lasciandola senza fiato nei polmoni.
Intanto
le
mani affusolate di Ville si erano insinuate sotto la maglietta, senza
perdere tempo le scostò il pizzo del reggiseno, una mano a
coppa sul seno, stuzzicandole un capezzolo con il pollice, facendolo
ruotare fino a farlo indurire come un diamante, senza smettere di
baciarla.
Vacillò
leggermente nel sentire finalmente, la sua mano sulla pelle sensibile
del seno... aveva dimenticato la sensazione di essere toccata in quel
modo.
Ville
si
fermò per un secondo solo, guardandola intensamente negli
occhi, bruciandola.
«Ti
voglio...»
- le sussurrò appena, aspettando la sua
risposta.
Lou
sentì il suo neurone, l'unico rimasto sano esalare l'ultimo
respiro.
Esitò
solo un'istante.
«Anch'io...»
La
prese per
mano portandola velocemente in camera da letto.
Con
il cuore
che voleva scoppiarle dentro il petto lo seguì senza fare
storie, lasciandosi baciare non appena toccarono il letto.
Ville
la
baciò ancora a lungo, senza fretta.
Lou
slacciò i bottoni della camicia azzurra vedendo animarsi
sotto le dita il respiro di lui, sotto strati di ossa e carne.
Fissò sbigottita gli innumerevoli tatuaggi su tutta la
superficie del petto, trovandolo ancora più sexy se mai
fosse possibile... posò le mani sul petto e poi
più su, fin sulle spalle, facendo scivolare le maniche lungo
le braccia seguendo i suoi movimenti.
Lui si
sbarazzò della camicia lanciandola via.
Posò
le labbra bollenti sulla pelle strappandogli un sospiro, la mano pronta
a sostenerle la testa massaggiandole la nuca in modo sensuale...
lambì i contorni dei piccoli capezzoli maschili con la punta
della lingua.
La
sua pelle
aveva un sapore che la faceva impazzire... gli fece scivolare le dita
fino all'ombellico e si ricordò improvvisamente del
tatuaggio proprio al di sotto di esso. Lo sfiorò con le
dita, ripromettendosi che ci sarebbe arrivata più tardi.
Ville
le
baciava il collo.
“Un
bacio, un altro, un altro ancora... una collana d'estasi che mi cinge
il collo... un'incantesimo sulle tue labbra, intrappolato fra di
noi...”
…alternando
baci e morsetti, leccandole la pelle dolcemente le
sfilò una bretella seguendola con le labbra lungo il
braccio, poi si dedicò all'altro... stesso percorso che le
procurò brividi di piacere, facendole tremare qualcosa
dentro la pancia.
Le
labbra
poi si spostarono sulla gola scendendo più giù,
lentamente, lasciando una scia di piccoli baci fino alla cupoletta del
seno tondo di Lou.
Strofinò
il viso e le labbra sulla stoffa leggera del reggiseno, scostandola con
i denti.
Lei
annaspò nel sentire le labbra e la lingua che la lambivano e
accarezzavano dolcemente... gli inifilò una mano fra i
capelli attirandolo su di sè, con un sospiro.
«Sei
dolce, “Prinsessa”... Mi piace
il profumo della tua pelle... e il tuo sapore... sai di vaniglia... e
di sole... »
- bisbigliò lui.
La
mani
scivolarono sulla vita sfiorandole i fianchi, facendole accapponare la
pelle... le mani di lei sulle sue spalle, sulla schiena a scoprire
sentieri e avvallamenti sulla sua pelle... lui sospirò,
sommesso, rapido, le mani si strinsero sui fianchi di Lou. La fece
rotolare su di sé, liberandola dall'impiccio del reggiseno e
con un rantolo soddisfatto prese un capezzolo roseo tra le labbra.
Lou gli
prese il volto tra le mani baciandolo con passione, per poi scendere
lungo il collo, il mento, strofinandosi su di lui, inalando con un
gemito il suo odore.
«Anche
tu hai un buon profumo... e mi piace il sapore che hai...»
-
gli sussurrò in un orecchio, sentendolo trattenere il
respiro.
Le
labbra
scesero giù sul petto, una lunga scia di baci, le mani che
andarono in avanscoperta.
Si
ritrovò a baciare facce di sconosciuti disegnati sulla pelle
bollente di lui, dei quali avrebbe chiesto successivamente... le labbra
tracciarono i contorni sui muscoli e le linee della gabbia toracica,
che si espandeva al ritmo del suo respiro irregolare... giù,
più giù, a baciare, a mordicchiare la carne
dell'addome di lui, sfiorando il tatuaggio appena visibile dal bordo
dei jeans a vita bassisima.
Lo
baciò con emozione, leccando piano la pelle, sul cuore
disegnato al centro del tatuaggio... sapeva cos'era, era il
“suo simbolo”. Ville lo
aveva disegnato quando giovanissimo, aveva iniziato a pensare ad una
band sul serio... il significato di tutta la musica degli HIM... amore
e morte, gioia e dolore, in un connubio perfetto, non esiste l'uno
senza l'altro... Il pentacolo simbolo della morte, il cuore dell'amore
e il cerchio che rappresenta la convivenza.
L'heartagram.
Lo
sentì inspirare rapidamente mentre le sfiorava i capelli con
una mano.
Tornò
su lentamente, facendo il percorso al contrario... una scia di baci e
colpi di lingua... posò la testa sul cuore, sentendolo
battere frenetico al di sotto degli strati di pelle e muscoli.
«Vieni
qui...»
- la attrasse a sè facendola stendere su di lui, pelle
contro pelle, le sue mani che correvano veloci sulla schiena, ad
afferrare la forma tonda dei glutei di lei, sopra i jeans stretti.
Le
piaceva
il contatto della pelle di Ville sulla sua, calda e setosa... il
profumo che sprigionava era un afrodisiaco sui suoi sensi assopiti.
Ville
non
aveva nessuna urgenza... la baciava e sfiorava senza forzare mai la
mano.
Per
Lou era
un modo di fare l'amore che le era sconosciuto: con Andrea si era
sempre sentita “consumata in fretta”... era sempre
stato precipitoso e l'aveva schiacciata in tutti I sensi.
Anche
nel
sesso con lui si era sempre sentita un personaggio marginale, a lato
della storia... mai protagonista, mai importante.
Venivano
prima sempre i desideri di Andrea e poi i suoi.
Ville
stava
facendo l'amore con lei nel modo più dolce, più
sensuale, più travolgente.
La
scopriva
pian piano, lasciandola sciogliersi tra le sue braccia secondo i suoi
tempi e per tutto il tempo la guardava negli occhi... cercando di
capire cosa stesse provando... sorridendole, sussurrandole parole sulla
pelle...
I jeans di
entrambi volarono sul pavimento... lei trattenne il fiato quando lui
rimase nudo.
Non
portava
intimo!
Ville
ridacchiò divertito davanti al suo rossore, baciandola sulle
labbra lentamente e accarezzando languidamente la schiena nuda di Lou.
Si
stese
sopra di lei, lasciandola senza fiato con una raffica di baci dalle
labbra al ventre piatto, sfiorando con le labbra il bordo degli slip
bianchi e semplici.
Una
parte
del suo cervello si maledisse per non aver mai dato ascolto a Nur di
arricchire il suo guardaroba di completini sexy... ora Valo si
ritrovava a fare l'amore per la prima volta con lei, con indosso uno
slip che faceva tristezza solo a vederlo!
Un
dito
lentamente tirava giù lo slip, mentre lui tornava su per
intrappolarle le labbra in un bacio travolgente... a momenti si sarebbe
liquefatta, ne era certa... quando anche gli slip tristi e bianchi
raggiunsero il resto dei vestiti, Ville si stese di lato, accanto a lei
tenendola stretta con un braccio e con l'altro la sfiorava con dita
leggere dal viso, giù... giù... fino ai
polpacci.
Lei
lo
guardava negli occhi, con il respiro che a tratti le mancava.
«Voglio
toccarti anche io...»
- gli sussurrò con un
brivido.
Lui
fece un
sorriso da Stregatto e si stese a pancia in su in attesa.
Lou
deglutì a vuoto, guardandolo per tutta la sua lunghezza. Era
alto e lungo: snello e non
scheletrico come pensava.
Ogni parte
del suo corpo era perfetta anche se non scolpito e mascolino in modo
canonico.
La mano di
Lou scoprì i punti in cui gli piaceva essere toccato guidata
dai suoi sospiri, dal modo in cui tratteneva il fiato... vide il
desiderio di lui crescere sotto i suo occhi, il sesso che svettava
orgoglioso.
Avvampò
sentendosi mancare, sentendosi eccitata come non ricordava di essere
mai stata.
Sentendo di vivere un sogno che non le era concesso di
desiderare.
Quando, dopo
molto tempo, tanti sospiri e brividi dopo.. si stese su di lei,chiuse
gli occhi abbandonandosi alla passione...
«Guardami
Lou... - bisbigliò sorridendole, baciandole le labbra fino a
consumarle, come se conoscesse un segreto su di lei – voglio
che mi guardi...»
E la
portò con sè nel suo paradiso privato...
******
“Il
mio cuore nei suoi polsi... il suo nei miei... il mio corpo una mappa
per i suoi baci, una carta geografica sotto le sue dita
pazienti...”.
Lou era
seduta con la schiena appoggiata al calorifero, lo sguardo fuori,
avvolta nel plaid seduta sopra il gatto morto come tante innumerevoli
volte prima... ma ora in quella stanza oltre al suo respiro c'era anche
quello dell'uomo addormentato nel suo letto.
Si
guardò le cosce e sorrise avvampando: le aveva lasciato i
segni dei baci, segni rossi dovuti alla barba che stava ricrescendo.
Lo aveva
guardato dormire per molto tempo e quando lui aveva allentato la
braccia intorno a lei si era alzata in preda ad emozioni contrastanti.
Era felice,
appagata... e lui era meraviglioso... e lei, spaventata a morte.
Era
innamorata di lui. Non si sarebbe lasciata andare in quel modo, se non
lo fosse stata.
Lui le
aveva rubato il cuore con un solo sguardo.
Un
movimento alla sua sinistra e due occhi verdi nella penombra della
stanza che la osservavano.
Katty era
sull'uscio a fissarla: avanzò nella stanza guardando prima
verso di lei poi verso il letto, indecisa sul da farsi. Lei
allungò un braccio per chiamarla a sè, per farlo
dormire ancora un pò prima che sorgesse il sole e lui
andasse via...
La gatta la
osservò e con un salto si arrampicò su per le
coperte per arrivare a fatica fino ai piedi nudi di Ville. Per fortuna
si accoccolò senza salirgli addosso, accontentandosi di
stargli vicino.
Lei
guardò la sua schiena, ritrovandosi a fissare gli occhi
tatuati di Poe... sorrise... le sarebbe piaciuto ascoltare la sua
spiegazione personale di tutti quei tatuaggi su quel corpo che amava.
Tornò a guardare il cielo che stava rischiarando nell'alba
imminente.
Era
stranamente calma e serena... e la cosa era in contrasto con la paura
che era nel suo cuore.
La paura di
fare un passo falso, di farsi male... ma voleva viverla fino in fondo.
Un
fruscìo di lenzuola.
Si
voltò piano e ora gli occhi verdi che la fissavano erano
quattro.
Le sorrise.
Un lento, sensuale sorriso che le fece stringere le pareti dello
stomaco.
«Che
fai lì?» - bisbigliò con
la voce più sexy che lei avesse mai sentito.
«Sto aspettando che sorga il sole...»
- rispose lei
piano, affondando in quei laghi di giada.
«Vieni qui...» - le fece segno lui sorridendo,
battendo con un dito sul letto.
Lei sorrise
e fece segno di no, maliziosa.
Ville
sospirò piano, alzandosi dal letto e andando verso di lei
nudo.
Lei
fissò quel corpo slanciato e perfetto nel suo essere unico,
non perdendosi nulla, nessun particolare, mentre lui avanzava elegante
come un gatto.
Si
accoccolò davanti a lei, incrociando le lunghe gambe magre.
«Allora aspetterò con te...» –
disse piano sorridendole.
«Se rimani lì non lo vedrai... sorge solo da
questa parte, sai?»
Lui scosse
la testa lentamente, continuando a sorriderle dolce.
«Non importa... lo vedrò sorgere nei tuoi
occhi...»
******
Angolo di quella
che pensa di essere autrice:
Oooooookkkkkkk
ora non voglio sentire storie!!
Avete
avuto quello che aspettavate da nove capitoli!! :D
Ammetto
che scrivere questo capitolo ha provato anche me... ero lì
col batticuore per tutto il tempo... manco ci fossi io con
Valo...ç.ç... spero di non aver deluso le vostre
aspettative... rileggendolo ho ancora il cuore che mi batte forte...
stupida donna romantica...U,u
Ora
aspetto i vostri commentini, mie amate!
Come
sempre devo ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta:
Mia
Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le
mie sister fedeli e pronte a recensire alla velocità della
luce: selevalo, arwen85, Echelena, Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon,
Villina92
poi quelle un
pò più latitanti o tirchie di commenti...
poisongirl76, marfa,
dile91, fnghera;
e
grazie anche a angelica78vf,
K Ciel e
VioValo
,LonelyJuliet
,le nuove
"recensore"!
Spero che prima
o poi commentino anche le "fantasmine" che leggono e non lasciano
nessun segno del loro passaggio... accontentate questa povera donna...
Ora basta
blaterare, che faccio concorrenza a Lou nei suoi momenti peggiori!!
A presto,
*H_T*
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Capitolo 11 *** Capitolo dieci: “Do you really want me?” ***
testo.
Capitolo
dieci
"Do you really want me?"
Pro:
1: È
bellissimo...
2:
Bacia da dio... e fa l'amore allo stesso modo.
3:
Ha una risata adorabile.
4: È dolce e sexy: fuoco e ghiaccio allo
stesso momento; stimola la tua
fantasia, ti lascia senza parole, ha sempre una domanda e una
risposta pronte.
5:
Ti guarda sempre negli occhi.
6: È
terribilmente romantico.
Passò
rapidamente ai contro.
Contro:
1: È
bellissimo. Troppo per una normale come te.
2: È
famoso, ricco e corteggiato dalle donne di mezzo mondo.
3: È
imperioso e imprevedibile.
4:
Sviscera ogni argomento fino allo sfinimento.
5:
Ti legge nella mente... fastidiosissima cosa.
6: È...
Ville Valo.
“Ok...
parità... Vediamo... cos'altro?”
Lou
era sotto la doccia, cercando di trovare pro e contro come faceva
sempre quando qualcosa la turbava. Ville era ancora in casa sua... lo
sentiva canticchiare e parlare con Katty, mentre si rotolavano sul
letto.
La
gatta sembrava fuori di sé
dalla gioia:
arzilla e felice come non l'aveva mai vista.
Ridacchiò.
“Chiamala
scema!”
Dopo
aver aspettato paziente che lei vedesse il sorgere del sole lui
l'aveva presa e
riportata a letto,
lanciando via la coperta che lei si teneva stretta attorno al corpo.
«Lasciati
guardare...» - aveva sussurrato inchiodandola con
gli
occhi.
Le
si era seccata la bocca arrossendo fino alla cima dei capelli mentre
con calma lui la osservava e le sfiorava il corpo, illuminato dai
raggi del sole rosati che filtravano attraverso la portafinestra.
«Hai
fame? Vuoi fare colazione?»
- gli aveva sussurrato lei con la
voce
soffocata.
Lui
le aveva sorriso stendendo la bocca morbida da un orecchio all'altro.
«È
proprio quello che sto per fare...»
- aveva bisbigliato
baciandole le labbra.
Lou
chiuse gli occhi annaspando ancora al pensiero, aggiungendo ai Pro
anche il 7: insaziabile.
“Oh, mamma...”
Il
sole era sorto da un bel pò prima che lui la facesse alzare.
Le
aveva concesso una doccia solo a patto che subito dopo tornasse a
letto.
«Ma
non hai da fare? - gli aveva chiesto ridacchiando, alzandosi dal
giaciglio sfatto, instabile sulle gambe – che ne so?
Accogliere una
stangona in casa per fare le prove, stendere il bucato... andare a
fare la pipì? Sei umano?»
Lui
l'aveva afferrata per la vita tirandola di nuovo sul letto, con un
balzo felino.
«Non
fare la gelosa... non ho nulla da fare oggi. E anche se avessi avuto
da fare avrei rimandato qualsiasi impegno: voglio stare con te... -
l'aveva fissata interrogativo – a te va di passare del tempo
con
me?»
Certo,
il fatto che lui le stesse steso nudo sopra, mentre le baciava il
collo, non aiutava la sua concentrazione nel trovare una risposta
arguta e spiazzante, come avrebbe voluto...
«Sì...»
-
aveva squittito a mezza voce Lou.
«Perfetto,
ora puoi andare... - aveva detto ridendo sornione - Ma non metterci
troppo.»
«Oh,
grazie per la concessione, Sua Maestà...»
- aveva risposto
infilandosi la sua camicia azzurra. Lo aveva guardato pensando che
potesse dargli fastidio che si prendesse tante libertà ma
l'occhiata che lui le aveva riservato, dolce e sexy, l'aveva
rassicurata.
«Sta
meglio a te che a me quella camicia... specie se sotto non indossi
altro.»
Aveva
fatto il percorso dal letto al bagno con la schiena rigida,
sentendosi gli occhi verdi puntati alle spalle come chiodi.
Una
volta chiusa in bagno si era accasciata contro la porta e portandosi
una mano alla bocca, cercava di soffocare una risata isterica.
Aveva
voglia di saltellare, ma di sicuro non sarebbe sfuggito all'orecchio
bionico di lui.
Si
guardò allo specchio.
Guance
rosee e occhi che brillavano, labbra gonfie. Scarmigliata. Luminosa.
Felice.
Quello
che vedeva allo specchio la stupiva e spaventava.
Se
lui aveva fatto quel miracolo in una sola notte... cosa ne sarebbe
stato di lei a fine giornata?
Le
tornò alla mente la voce di Simone.
“Goditelo,
vivila... lasciati amare. Lasciati scoprire...”.
Tolse
la camicia portandola al naso, aspirando l'odore di Ville
intrappolato dentro la stoffa.
La
lisciò con la mano sorridendo, prima di posarla sulla sedia
ed
entrare nel box doccia.
Era
concentrata a elucubrare I pro e I contro del Valo con la testa
piena di schiuma, quando la porta a vetro scorrevole del box si
aprì
improvvisamente facendola sobbalzare.
«Ci
hai messo troppo... mi spiace; ora paghi penitenza.»
- disse
lui
con la sua voce bassa e roca, entrando in doccia, addossandola alla
parete scivolosa.
8:
Decisamente insaziabile.
******
«Lou?...
Mi stai seguendo?»
- la voce di Julian la riscosse dai suoi
sogni
ad occhi aperti.
Soffocò
uno sbadiglio, girandosi verso di lui con un sorriso di scuse.
«Perdonami,
ero sovrappensiero, Julian... che dicevi?»
Julian
la fissò con gli occhi socchiusi, la testa inclinata e un
mezzo
sorriso.
«Già...
vedo che sei distratta... e dal succhiotto che hai sul collo e la tua
aria di principessa fra le nuvole, posso anche immaginarne il
motivo.»
- disse a voce bassa e contrita.
Lei
si portò immediatamente una mano al collo, alzando il
risvolto del
maglione.
Lo
sbirciò: nei giorni successivi alla cena in casa loro lei e
Julian
si erano evitati, interagendo lo stretto necessario.
Solo
una settimana dopo circa lui era sbottato avvicinandosi, chiedendole
di parlare.
«Lou,
mi spiace per quello che è successo dopo la cena a casa
vostra: ero
brillo e... insomma!
Tu
flirtavi chiaramente con Ville... e Nur... insomma era lì,
voleva
quello che volevo anche io. Mi sono comportato in modo scorretto, lo
so.»
Lei
lo aveva guardato imbarazzata non sapendo da dove iniziare.
«Julian
aspetta, non ti devi giustificare con me! Insomma... non so come
dirlo. Avrai
capito che io e Ville ci... sì, insomma, ci vediamo da un
pò... e
non devi giustificarti per quello che fai con Nur o con
altre...» -
disse lei d'un fiato.
«Non
mi sto giustificando: cercavo di dirti... che nonostante il fatto tu
frequenta Ville e chiaramente sei pazza di lui, nonostante io sia
andato a letto con la tua coinquilina... a me piaci. Non è
cambiato
nulla - disse lui a voce bassa – mi spiace ma è
così, sono
ancora attratto da te e non solo fisicamente. Mi piaci.»
«Julian...
- lei lo guardava mordendosi le labbra agitata –
io...»
«Lo
so! Non vuoi storie. Con me. Questo l'ho capito. Lo accetto. Mi
scoccia,
ma lo accetto. Non posso competere con Ville Valo, è
ovvio!»
«Non
si tratta di questo... Julian, ti prego...»
- annaspava lei
in
imbarazzo.
«Ascolta
Eva, so mettermi da parte. Semmai però dovessi renderti
conto che ti
sei sbagliata... beh, io ci sono. Volevo che sapessi questo. Tutto
qui, ok?»
«Ok...
- mormorò lei – mi spiace...»
«Spiace
molto più a me, credo... però ora non voglio
rinunciare anche alla
tua compagnia, quindi cercherò di essere solo un amico, se
tu
vuoi...»
- la guardò sereno e sorridente.
«Ma
certo che ti voglio come amico, Julian!»
-
sbottò
lei.
«Perfetto,
andiamo a pranzo insieme ora? Sono affamato!»
-
disse
rilassato e
con un sorriso sincero.
Lou
si rilassò di colpo anche lei, sorridendogli.
«Andiamo
Diabolik... sto morendo di fame anche io: non ricordo
quand'è che ho
mangiato l'ultima volta!»
«Ah
beh, certo! Immagino che Valo ti abbia distratta anche dal
cibo!»
-
disse con lo sguardo tra il malizioso e l'irritato.
«Piantala...»
-
gli diede un cazzotto sui fianchi.
Ora
le restava solo di chiarire con Nur... non sapeva quando l'avrebbe
rivista e il cellulare taceva.
Di
solito le mandava sempre dei messaggini di buongiorno o della
buonanotte, ma dalla sera della cena non si erano
più
parlate
o sentite.
La
cosa la faceva stare male e allo stesso tempo era infastidita: era la
prima volta che aveva attriti con Nur.
Non
le piaceva quella sensazione di gelo e lontananza tra loro, eppure
non riusciva a trovare il coraggio di superare l'ostacolo del primo
passo. Non per orgoglio: non sapeva come iniziare il discorso, tanto
si erano ingarbugliate le cose e preferiva guardarla negli occhi
quando le avrebbe parlato.
Ma
non poteva neanche aspettare il suo ritorno, quindi decise di
mandarle un sms.
Pensò
a lungo a come esordire... poi ripensò improvvisamente al
loro
*“anime” preferito e
scrisse
d'impeto una delle frasi che
più le aveva colpite:
*“Non
importa che uomo io ami, il mio eroe rimarrai solo tu;
perché non
penso che troverò mai una persona fantastica quanto te.
Così e
stato e così sarà per sempre. Il mio eroe
rimarrai solo tu...”
Torna
presto... ti voglio bene. L.
Fissò
per lunghi minuti il messaggio prima di spedirlo, mangiandosi
nervosamente le unghie. Poi premette il tasto invio e chiuse il
cellulare con uno scatto, sorridendo fiduciosa, avviandosi a pranzare
con Julian.
******
Tornò
a casa trafelata e con il cuore in gola.
Quando
Ville era andato via da casa sua, ben 36 ore dopo, aveva detto che
non sapeva quando si sarebbero visti; voleva provare la
“sua”
canzone.
«Con
Amy?»
- chiese acida prima di poterselo impedire.
Ville
era scoppiato a ridere con la “lambretta” e lei non
aveva potuto
fare a meno di sorridere di rimando.
«'Prinsessa' la
pianti di fare l'acida gelosona? - le aveva detto allacciandole le
braccia intorno alla vita, baciandole il naso – se mi vuoi
torno
da te appena finisco...»
«Uhm...
non so... - aveva scherzato lei, facendo la vaga – Forse ho
da
fare... vediamo...»
Lui
aveva sorriso spostando le labbra dal naso sulle sue, baciandola fino
a lasciarla senza fiato.
«Hai
le idee più chiare ora?»
«...»
“Chi
sono? Dove sono? Aria...”.
«Non
molto... non ho capito l'ultima cosa...»
-
provò a
dire ma lui
già tornava a “spiegarle” meglio.
Aveva
un campo di falene morte nella pancia, ormai...
«Credo
che dopotutto... posso liberarmi...»
«Che
onore... - le aveva bisbigliato all'orecchio con la voce rauca,
facendola rabbrividire – allora aspettami.»
Ed
era andato via, sorridendole.
“Perché
il mio cuore batte così forte? Perché mi sento
così sola quando te
ne vai?”
Però
la sera precedente non si era fatto vivo. Lei e Katty passeggiavano
inquiete per la casa; lei mangiandosi le unghie cercando di distrarsi
con un libro, Katty piantonava il corridoio, tornava alla porta
finestra e poi di nuovo in corridoio.
«Mi
sa che ci ha dato buca...»
- disse rivolta alla gatta che la
guardava come se fosse colpa sua il fatto che lui non ci fosse. Si
erano consolate a vicenda sul divano: Katty si era lasciata coccolare
in un eccesso di depressione da mancanza di Valo e lei fissava gli
occhi della micia trovando le differenze con quelli di Ville.
«Ah
beh, siamo messe male amica mia se dopo un solo giorno siamo a
questo punto...»
-
ridacchiò lei grattando la testa
della gattina.
E
si erano addormentate sul divano fino a quando era stata svegliata
dal ronzare del cellulare.
"*A quell'epoca cercavo
disperata un legame inscindibile che mi unisse profondamente,
inestricabilmente a un'altra persona. Ma i legami tra gli esseri
umani non si possono stringere come nastri. Si può solo
camminare
mano nella mano. Non farti serrare in un nodo soffocante."
Torno
presto... ti voglio bene anche io. N.
Bene!
Ce ne aveva messo di tempo per risponderle... 5 giorni. Ma lo aveva
fatto. Sorrise e con la gatta addormentata fra le braccia si
infilò
a letto, cercando l'odore di Ville tra le lenzuola.
Altro
ronzìo. Aprì un occhio sbirciando il cellulare ma
questi era
spento. Le due di notte.
Era
il citofono.
Cancello.
Ville.
I
pensieri si accavallavano confusi nella sua testa.
La
gatta schizzò verso il corridoio miagolando forsennatamente.
Lei
la seguì inciampando nei suoi stessi piedi, ancora intontita
dal
sonnellino.
Adocchiò
il proprio riflesso allo specchio togliendo il mascara che le era
colato da sotto gli occhi alla velocità della luce, prima
di
pigiare il tasto dell'apertura cancello e aprire la porta.
Ed
eccolo che veniva verso di loro con un sorriso delizioso sul viso e
gli occhi ridenti.
«Stavi
dormendo?»
-
chiese ridacchiando baciandole
lentamente la
fronte, gli occhi, la guancia e poi le labbra.
E
a
lei venne in
mente “Ameliè”.
“Lei
era troppo timida per baciarlo... così lui con piccole
mosse,
realizzò il suo piccolo desiderio.”
«No!
- mentì spudoratamente alzando il viso verso di lui in cerca
di
coccole, quasi quanto la gattina che richiamava l'attenzione di Ville
con miagolìì alti e fusa rumorose, mentre si
strusciava sulle gambe
lunghe e magre – Stavo leggendo...»
«Sì certo,
come no... - la prese in giro, sfiorandole il viso con le dita
– Hai ancora il segno del cuscino sulla guancia,
imbrogliona!»
Strinse
le braccia intorno alla vita magra di lui.
«Ci
siamo appisolate mentre ti aspettavamo...»
«Non
volevo svegliarvi... . disse anche lui usando il plurale –
Volevo...
avevo
voglia di vederti. Scusa se mi presento a quest'ora...»
-
disse
fissandole le labbra concentrato.
Le
domande premevano sulle lingua di Lou: voleva chiedergli che aveva
fatto la sera prima, con chi era stato, com'erano andate le prove
della “sua” canzone e così via... ma fu
solo capace di fissarlo
ad occhi sgranati e tenerlo stretto a sè.
«Sono
contenta che tu sia qui... siamo contente – aggiunse facendo
un
segno con la testa verso la gatta che rumoreggiava inerpicandosi sui
jeans di Ville – Prendila o non la finirà
più di frignare e ti
rovinerà I jeans...»
Rise
divertito chinandosi a prendere Katty con un mano e con l'altra
cingeva la vita sottile di Lou.
«Andiamo
dentro.»
Varcarono
la porta tutti e tre insieme, stretti l'uno all'altro.
******
«Qual'è
il tuo colore preferito?»
- chiese passando un dito
sul
naso di
Ville.
«Un
tempo il nero e il rosa... ora... sai che non ne ho idea?»
-
rispose, la mano sulla coscia di lei adagiata sulla sua.
«A
quanti anni hai dato il primo bacio?»
- continuò
Lou.
«Ti
stupirò: diciamo che non ero popolare e richiesto dalla
ragazze...
preferivano gli sportivi ed io non avevo propriamente il fisico di
uno sportivo... molto tardi comunque... oddio non ricordo! E
tu?»
-
le chiese di rimando fissandola con gli occhi verdi ridenti.
«
15 anni: è stato terribile. Quello che all'epoca
è stato il mio
primo ragazzo mi baciò a tradimento senza che io volessi...
per
giorni e giorni mi sono sentita come se mi avessero portato via una
parte importante di me, senza il mio permesso...»
- disse
piano
passandogli il dito sulle labbra.
Ville
la ascoltava con l'espressione dolce e attenta, sfiorandole piano il
fianco nudo.
«Come
se qualcuno avesse spazzato via la tua infanzia in modo
violento...»
-
aggiunse lui.
Lei
annuì.
«Avevo
sempre immaginato il mio primo bacio diverso... dolce e delicato.
Invece mi sono ritrovata mezzo metro di lingua in bocca senza essere
preparata... forse lui pensava che io fossi già esperta, non
lo so,
ma questo ha influito sulla storia...»
- rispose piano lei
continuando la lenta discesa con il dito sul collo.
«Avrei
voluto essere il tuo primo bacio...»
- disse lui serio.
Lou
gli sorrise sporgendosi a baciarlo lieve sulle labbra.
«Sei
stato l'ultimo ed è importante uguale.»
Un
lampo negli occhi verdi.
«Quante
volte sei stata innamorata?»
Ville anticipò la
domanda
successiva che lei gli voleva fare.
Lou
pensò alla domanda a lungo guardandolo.
«Una
sola volta, credo... in realtà non ho avuto molte esperienze
da
poter dire se lo sono stata e quanto. Ho avuto una sola storia
importante, lunga dieci anni... penso di esserlo stata
perchè non
potevo fare altrimenti, perchè ero piccola ed inesperta,
perchè ero
curiosa...»
Il
dito sfiorava la clavicola, tracciando il tatuaggio di Maya Deren.
«E
tu? - sussurrò lei – Quante volte sei
stato
innamorato?»
Lui
ricambiò lo sguardo stringendo gli occhi, concentrandosi.
«Non
ne ho idea... forse mai, forse ogni volta. Mi innamoro sempre: di
un'idea, di un sorriso, di un gesto... e poi come è venuto
passa. Ma
ciò che resta di quell'emozione cerco di metterla in musica,
per non
dimenticarla... per poterla rivivere in seguito.»
Lou
gli sorrise con il cuore che batteva forte, la mano prese il posto
del dito posandosi sul capezzolo di lui, all'altezza del cuore.
Lou
ripensò improvvisamente alla domanda che una volta aveva
fatto ai
suoi amici, in preda ad una delle sue rare sbronze sfociata in
interrogativi esistenziali.
Erano
sulla spiaggia, di notte sotto la luna e lei si era spogliata rimanendo
in slip e reggiseno, stendendosi sul bagnasciuga a braccia
aperte guardando l'astro sopra di loro.
Mara,
Simone e altri di cui aveva dimenticato le facce e i nomi
ridacchiavano schizzandosi l'acqua, rincorrendosi, cantando a
squarciagola canzoni stonate.
«Grace,
sei sbronza.»
- le aveva annunciato Simone
sedendosi accanto
a lei,
completamente vestito guardandola con gli occhi sfuocati, come se non
fosse chiaro che lo fosse.
«Will...
secondo te, perchè il nostro cuore batte?»
- gli
aveva chiesto
lei con la voce impastata, fissando in alto.
«Oh,
merda, Grace che cazzo di domande fai?!»
- aveva sbottato lui
ridacchiando isterico.
Lei
si era girata con gli occhi lucidi a fissarlo seria.
«Dico
sul serio... rispondimi. Non ci hai mai pensato?»
Lui
l'aveva fissata ironico scuotendo la test, rassegnato, poi si era
chinato improvvisamente a baciarle le labbra, lasciandola di stucco.
Un lieve bacio a stampo, fugace e dolce.
«No,
Grace... non ci ho mai pensato... - aveva risposto a bassa voce
crollando su di lei, posando la testa sul suo stomaco, fissando anche
lui il
cielo con occhi vacui – Fammi pensare... nessuno sa
perchè
batte. Beh, però se non battesse non potremmo essere
vivi. È
meccanica. Semplice meccanica, Grace. Muscoli, sangue, arterie... una
perfetta macchina che da forza a tutto.»
«Sì...
ma perchè? Cosa da la forza al cuore di battere e mandare
avanti
tutto?»
- aveva insistito lei mentre
accarezzava i capelli
bagnati
di Simone.
Simone
gemette forte.
«Grace
quando ti ubriachi te ne esci sempre con queste robe complesse! Non
puoi semplicemente vomitare come fanno tutti?»
Lei
era tornata a fissare il cielo sorridendo.
Qualche
tempo dopo aveva fatto la stessa domanda ad Andrea.
«Che
domanda stupida!»
- le aveva risposto
freddandola con la sua
risata ironica.
«A
cosa pensi? - chiese Ville interrompendo I suoi ricordi,
scrutandola con la giada – Hai un'aria assorta...»
«A
niente... una cosa stupida che mi è tornata in
mente...»
- gli
rispose, il battito accellerato.
«Dimmelo:
adoro le cose stupide!»
- disse ridacchiando.
Lou
fece un respiro profondo, guardandolo di sottecchi.
«Mi
sono sempre chiesta perchè batte il cuore...»
Lui
la fissò per lunghi minuti, il sorriso svanì
lentamente dal viso.
“Ahia...
mi sa che ho zavorrato la serata...”.
«Non
è affatto una cosa stupida Lou, anzi... -
sussurrò con gli occhi
che brillavano – per niente stupida... e hai trovato una
risposta nel frattempo?»
Lou
sorrise muovendo piano la mano sul petto di lui.
«Forse.»
«Lo
dici anche a me?»
- le chiese Ville premendo una
mano sulla
sua,
bloccandone il vagabondare.
«Un
giorno... magari un giorno te lo dirò.»
«Nientemeno!
- rise – Ok, attenderò con ansia... Posso pensarci
anche io nel
frattempo?»
«Ovviamente...
- ridacchiò lei – Però poi devi
dirmelo!»
«Forse.»
- rispose lui, ghignando.
«Gne
gne gne...»
«Ora, 'Prinsessa'...
- mormorò lui muovendole la mano sul proprio petto e poi
spingendola
sempre più giù – avremmo un'altra
anomalia strana... Pensi di
potermi aiutare a risolverla?»
Lou
avvertì il solito crampo piacevole al ventre.
Avvampando
guardò la propria mano guidata dal suo scorrere sul corpo di
lui,
fino a raggiungere “l'anomalia”...
«Vedremo
come posso esserti d'aiuto...»
– gli
sussurrò prima di piegarsi
sulle sue labbra tese in un sorriso malizioso.
******
Lou
aprì un occhio lentamente mettendo a fuoco il profilo
addormentato
di Ville; aveva cercato inutilmente di dormire.
Con
lui che però le respirava sul collo, un braccio stretto
intorno alla
vita, le era risultato molto più difficile di quanto
pensasse.
Non
riusciva a rilassarsi neanche quando lui non le puntava addosso quei
laser verdi; ora
dormiva supino, un braccio sotto la testa e una mano posata sul
petto.
Era
quasi l'alba.
Con
movimenti lenti si sfilò dal suo fianco strisciando fino al
bordo
del letto per non svegliarlo.
Aveva
appena posato un piede a terra quando una mano scattò a
toccarle la
schiena nuda.
«Dove
vai?»
- le chiese con la voce rauca.
«Accidenti, Ville! Mi
è preso un'infarto! Stavo andando... in
bagno...»
- si
girò di scattò, fissandolo.
Lui
se ne stava ancora nella stessa posizione ad occhi chiusi e un
sorriso sulle labbra morbide e rosse.
«Eri
sveglio?»
«Sì...
è divertente starti ad ascoltare mentre cerchi di non fare
rumore, o
mentre cerchi di non muoverti...»
«Umpfh!
Smettila di ridacchiare sotto I baffi!»
Aprì
gli occhi girandosi a guardarla divertito.
“Oh,
santo cielo... mi abituerò mai a questi occhi, a questo
viso?”
- pensò guardandolo rapita.
«Non
hai chiuso occhio tutta la notte, 'Prinsessa'...
sono io che ti rendo ansiosa?»
«No...
beh sì, un pò...»
- ammise, alzandosi
dal letto infilando al volo
una maglietta sul corpo nudo.
«Ti
metto ansia e ti vergogni di farti vedere nuda da me...»
- le
disse
ancora con un tono serio.
Lou
si girò a guardarlo mordendosi le labbra agitata.
Ville
si puntellò con un gomito sul letto, gli occhi che la
scrutavano
attenti.
«Perchè?»
«Perchè...
perchè... Ville, insomma è da poco
che ci vediamo, che ci
conosciamo. Penso sia normale avere ancora un pò di
timidezza...»
- lei muoveva un piede avanti e
dietro sul pavimento, arrotolando un
dito nel ricciolo, guardandolo di tanto in tanto.
«Sei
bellissima... - bisbigliò lui – Vorrei che tu
potessi vedere come
sei ora, come ti vedo io... la luce rosa dell'alba che ti illumina la
pelle e I capelli, le labbra gonfie di baci... E gli occhi che
sembrano caramello fuso. Non nasconderti a me, ti prego...»
«Io...»
- la gola improvvisamente secca
lo guardò battendo le
palpebre
rapidamente. Ogni cosa che le diceva le andava dritta al cuore: il
modo di parlarle sempre diritto e sincero, dolce e leggero e allo
stesso tempo profondo... le faceva rimescolare tutto anche con un
solo sguardo intenso.
**“Arcangelo
o Sirena, da Satana o da Dio, che importa, se tu, o fata dagli occhi
di velluto, luce, profumo, musica, unico bene mio, rendi più
dolce
il mondo, meno triste il minuto?”.
La
voce di Ville era come una carezza che la avviluppava a distanza,
scaldandola.
Se
ne stette a fissarlo lì dal lato del letto senza riuscire a
dire
una cosa, una sola cosa intelligente.
«Torni
subito, vero?»
- aggiunse lui qualche istante
o qualche
minuto
dopo, non avrebbe saputo dirlo.
Lou
fece segno di sì scappando in bagno con il cuore in tumulto.
Si
guardò allo specchio non trovando nulla di nuovo in lei,
tranne per
la luce che le brillava negli occhi.
Lui
la vedeva bella.
Si
portò
le mani alle guance rosse, rimirandosi a lungo.
Si
riscosse sciacquandosi il viso con acqua fredda e tornò in
camera da
letto.
Ville
era adagiato alla spalliera del letto e fissava con un sorriso mesto,
sereno, al di là della finestra; si girò
sentendola entrare nella
stanza.
Si
fermò a metà strada poi fece un profondo respiro
e
tolse la maglietta
che la copriva andando nuda verso di lui, che la accarezzava con gli
occhi.
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
Bene
donnine è
passato quasi un mese dal mio ultimo aggiornamento e ringrazio tutte
per la pazienza... ma come sapete... la Musa mi ignora e volevo tenermi
questo capitolo come Jolly! Dire che amo il Valo è poco...
così tenero, sexy, romantico, oscuro... ahhhhh *sospiro*...
Penso che passerà ancora un pò di tempo prima che
pubblichi l'11, ma voi mi aspetterete vero?! :)
Come
sempre devo ringraziare tutte
a partire dalle mie due Beta: Mia
Mugliera Cicci-Vivi (Deilantha) e Sara Pulci;
le mie sister fedeli e
pronte a recensire alla velocità della luce: , arwen85, Echelena, DarkYuna,
Lady Angel 2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon,
Villina92,
VioValo_Villina,
poi quelle un
pò più latitanti... poisongirl76, marfa,
dile91, fnghera;
e
grazie
anche ad angelica78vf, infinity86dark2, K Ciel e
VioValo
,LonelyJuliet,BlackMidnights,
Blackie_
le
nuove "recensore"!
Grazie
ragazze: non sapete quanto mi faccia piacere
sapere che la mia storia vi stia piacendo e amate i miei personaggi
quanto me.
Spero, come sempre, che prima o poi commentino anche le "fantasmine"
che leggono e non lasciano nessun segno del loro passaggio...
accontentate questa povera donna...
A
presto, con ammooore... *H_T*
NB:
il titolo è un doveroso omaggio alle mie Echelon con una
frase che loro conoscono
bene... (vedi video Hurricane
- Thirty Seconds To Mars
)
*Cit:
dall'anime "Nana".
**Cit:
tratta
da "Inno alla bellezza" -
Charles
Baudelaire
|
|
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Capitolo 12 *** Capitolo Undici - "Creeping Inside" ***
testo.
Capitolo
undici
"Creeping Inside"
«No!
Katty! Scendi immediatamente di lì! Katty!»
-
urlò Lou correndo
verso la cucina.
La
gattina era saltata per sbirciare nella busta
della spesa che aveva posato due minuti prima, mentre si toglieva la
giacca.
Era
sudata: iniziava a fare caldo anche lì ad Helsinki e portare
due
buste di provviste piene di roba, a piedi per diversi isolati
dopo l'ennesima
notte insonne
l'aveva
sfiancata.
La
micia la guardò impassibile, sbadigliando e non facendo una
piega
mentre lei sbraitava.
Lou
rise.
«Sei
proprio uguale a lui...»
-
mormorò grattandole la
testa.
Katty
socchiuse gli occhi facendo delle fusa blande: quelle rumorose erano
riservate solo a Ville...
Se
chiudeva gli occhi riusciva a sentire ancora l'odore del finnico: le
si era impresso nella memoria olfattiva.
Pensava
che avrebbe potuto riconoscere l'odore della sua pelle anche in una
stanza affollata ad occhi bendati.
«Ah,
Valo... mi manchi...»
- sussurrò grattando la
testolina di Katty.
Ville
faceva apparizioni quando meno se lo aspettavano: a notte fonda o nel
primo pomeriggio, lo trovava ad aspettarla quando rientrava dal
lavoro alla galleria, appoggiato al muro davanti all'ingresso;
oppure la sorprendeva alle spalle al super dove andavano entrambi a
fare la spesa... era imprevedibile, affascinante e lei era pazza di
lui.
Era
drogata: quando non era con lui si sentiva nervosa e sola...
all'inizio tutto ciò l'aveva spaventata, poi si era
stizzita.
Non
sopportava di essere dipendente da qualcuno figuriamoci da un uomo,
seppur irresistibile quanto poteva essere il Valo!
Alla
fine si era rassegnata.
Ville,
al contrario del suo ex non sembrava approfittare del fatto che gli
si aggrappasse, nonostante lei cercasse di nasconderlo più
che
poteva... anzi: era sempre più dolce e attento, passionale,
divertente... adorava quando la prendeva in giro con dolcezza, con
gli occhi verdi che ridevano.
La
cosa che amava era che lui rideva con lei, non di lei...
La
travolgeva e la lasciava senza fiato ogni volta che facevano l'amore.
Ogni
volta le sembrava più bella ed intensa della precedente...
si diceva
“Non può essere più bello di
questa volta...” e ogni
volta si sbagliava: la successiva era sempre meglio e lei pensava che
non avrebbe potuto essere più perfetto.
Con
suo sommo piacere.
Era
allegra, rilassata, serena come non era mai stata prima.
Tutto
ciò era evidente sul suo volto: Matleena la guardava di
sottecchi
con gli occhi stretti e molto probabilmente si chiedeva cosa le
stesse succedendo... ma la sua adorata Draghessa non le aveva mai
chiesto nulla... finora.
Al
contrario di Julian, che nonostante cercasse di fare
l'amico era spesso acido e sferzante sul suo aspetto
“soddisfatto”...
“ma tant'è!”, si era
detta Lou con un alzata di spalle.
Non
poteva farci granché e al momento era talmente presa dal suo
di
benessere da non aver il tempo né la voglia di pensare a
quello
altrui, che non fosse quello di Ville.
E
di Katty ovviamente.
Dopo
aver posato a terra la gatta contrariata che la guardò male
sistemò
la spesa nei vari scompartimenti, pensando come sempre a lui.
Dormiva
sempre più spesso a casa sua ultimamente e oltre lei, anche
Katty
sembrava gradire particolarmente la nuova situazione: Ville arrivava,
faceva due coccole alla gattina che voleva assolutamente essere la
prima ad arrivare tra le braccia magre del finnico sexy e poi
prendeva Lou letteralmente di peso per portarla a letto.
O
sul divano... dipendeva dal “grado di eccitazione”
in cui si
trovava.
“Non
mi sazierò mai di te, mia 'Prinsessa'...” -
sussurrava con la voce roca baciandole il collo, stringendola tra le
braccia, mentre lei cercava di tornare a respirare in maniera
normale dopo l'assalto del portatore sano di giada e ormoni.
E
per tutto il tempo lui la guardava negli occhi non perdendosi un
solo istante di ciò che passava sul suo viso.
“Sei
bellissima quando fai l'amore con me... lo sei sempre a dir la
verità, ma quando il piacere sta per travolgerti I tuoi
lineamenti
cambiano e sembri esplodere, sei luminosa...”
- le bisbigliava sulle labbra facendole le fusa come un gatto.
Lei
per tutta risposta lo guardava estasiata senza riuscire a rispondere
nulla, rintanandosi nel suo silenzio; in compenso se ne stava
guardarlo a sazietà mentre lui dormiva, libera di lasciar
passare i
suoi sentimenti sul viso senza sentirsi scoperta... a volte non
resisteva e accarezzava con la punta delle dita i lineamenti perfetti
di Ville, le labbra morbide e dischiuse, la punta del nasino diritto
e piccolo... sulle palpebre che nascondevano le pietre preziose degli
occhi.
Posava
piano una mano sul petto scarno e liscio per
ascoltare il battito lento e regolare del suo cuorechiudendo gli
occhi, cullata dal suo ritmo.
Lou
ripose metodicamente negli scompartimenti la spesa appena fatta: quel
mattino il Sig. Korhonen non era come al solito ad aspettarla per
fare la spesa e tornare a casa insieme. Era preoccupata e avrebbe
voluto accertarsi che stesse bene passando da casa sua, ma non voleva
essere invadente e aveva desistito con un sospiro.
Se
solo fosse stata più intraprendente durante tutta la sua
vita, si
sarebbe risparmiata diverse fregature... ma era fatta così:
aveva
sempre paura di non essere gradita nella vita degli altri, di pesare
con la sua presenza.. e quella che lei chiamava discrezione, spesso e
volentieri, veniva fraintesa come freddezza e distacco.
Con
un succo d'ananas fresco e la gatta che passava tra le sue gambe
rischiando di farla cadere ogni volta passò in salotto, con
la
voglia di sentire musica: fissò per vari secondi i cd
regalatigli da
Simone, la discografia completa degli HIM.
Con
un sorriso di rassegnazione mise nello stereo “Love
Metal”
e mentre la voce del suo Valo riempiva la piccola stanza lei si
stese sul divanetto chiudendo gli occhi, sorridendo lievemente... con
Katty accoccolata sulla sua pancia che le piantava le unghiette
nella mano di tanto in tanto.
******
La
consueta familiare sensazione di qualcuno che la guardava mentre
dormiva.
Prima
ancora di aprire gli occhi e accertarsi che non
fosse sola un lieve profumo di ambra e vaniglia le
solleticò il
naso... Nur.
Sorrise.
«Potrei
benissimo essere un ladro e la tua gatta invece che difenderti, se ne
sta lì a squadrarmi con aria altera e
superiore...»
- sussurrò
con la voce divertita Nur.
Lou
aprì un occhio posando lo sguardo sulla sua amica
accoccolata sul
divano poco distante da lei, che la osservava con occhi divertiti e
la testa inclinata di lato; Katty ancora seduta comodamente sulla sua
pancia, fintamente indifferente teneva d'occhio Nur.
«Non
è mica un cane da guardia che deve abbaiare e avvisarmi di
possibili
ladri e malintenzionati, pronti ad approfittare delle mie grazie...-
rise Lou - Ciao...»
- continuò in un soffio,
sorridendo un po'
emozionata alla sua amica.
Era
passato decisamente troppo tempo da quando si erano allontanate.
«Ciao...»
- rispose Nur, le labbra carnose stese in un sorriso.
«Non
sapevo che saresti tornata così presto.»
- disse Lou per spezzare il
silenzio
imbarazzato.
«Volevo
farti una sorpresa... so che le odi... E comunque non ho mai visto un
gatto così altezzoso e snob...»
- disse
strizzandole l'occhio.
«Già...»
«Io
ho fame: che mi prepari di buono?»
- disse improvvisamente
Nur
alzandosi e sfilandosi i tacchi alti, camminando a piedi nudi fino
alla cucina.
Lou
sorrise grata: come sempre lei non era capace di alleggerire
l'atmosfera pesante; menomale che Nur al contrario, era capace di
sdrammatizzare... voleva parlarle, voleva dirle tutto di lei e
Ville... avrebbero avuto tempo per chiarirsi, per capirsi e ritrovare
la loro complicità.
Ne
era certa.
«Ti
vanno degli spaghetti al pomodoro?»
- propose Lou ridendo,
seguendola in cucina con Katty in braccio, mentre Nur mangiucchiava
una mela appoggiata al muretto.
«Non
osavo sperare tanto! Mi sono mancati i tuoi spaghetti... mi sei
mancata tu.»
- disse Nur come al solito schietta e sincera.
«Anche
tu mi sei mancata Nur... - rispose esitante Lou alzando gli occhi
sulla sua amica. - Pensavo fossi arrabbiata con me per... per
Ville.»
«Non
ero arrabbiata con te ma con me stessa... - spiegò Nur con
un mezzo
sorriso – Ho peccato di vanità come al mio solito
credendo, anzi
volendo credere che Valo fosse interessato a me, quando sotto sotto
avevo capito subito che lui aveva accettato la mia presenza quella
sera al pub solo dopo aver saputo dove vivevo... e con chi.
Era
chiaro che fosse interessato a te fin da prima che ci incontrassimo e
ha colto la palla al balzo.
È la prima volta che un uomo mi snobba elegantemente e non
ho saputo
accusare il colpo, tutto qui... ti chiedo scusa per averti messa in
imbarazzo.
So
quanto ti sarà costato, quanto ti sei sentita
colpevole... - ridacchiò – Simone me l'ha fatto
notare anche fin
troppo...»
«Simone?
- la interruppe Lou con aria scettica – In che
modo?»
«Beh,
mi ha mandato un sms acido dove mi diceva che non avevo il diritto di
fare l'offesa per una questione e per un uomo di cui alla fine non
mi interessava nulla... - disse divertita Nur – e aveva
ragione:
Valo non mi interessava. Volevo solo mettere alla prova il mio ego
conquistando un famoso cantante...»
Lou
non sapeva se indignarsi per l'intromissione del suo amico in
questioni private o riderne: avrebbe dovuto immaginare che Simone
nel tentativo di farle chiarire quanto prima e non fidandosi di lei,
prendesse in mano la situazione.
Sorrise
commossa, pensando che anche da lontano il suo amico le faceva da
angelo custode.
«Quando
ho visto come ti guardava Valo mi sono sentita stupida quella sera a
cena con quel mio vestito, il mio trucco, i miei tacchi vertiginosi
e soprattutto per aver cercato di attirare la sua attenzione per
tutta la sera fallendo miseramente.
Lui non aveva occhi che per
te... tu nel tuo golfino accollato, accaldata, i tuoi semplici jeans
e i capelli in una coda sfatta mentre cucinavi per noi.
Valo non ha
fatto altro che mangiarti per tutto il tempo con occhi... beh, sai
che intendo, vero?»
- ridacchiò Nur guardandola la
sua amica negli
occhi, divertita dal rossore che iniziava ad apparire sul viso
dell'altra.
«Vagamente...»
- annaspò Lou con l'immagine e la sensazione reale e
improvvisa di
Ville steso addosso, che la scrutava con quel suo mezzo sorriso...
Con i suoi occhi di giada, mentre faceva l'amore con lei.
«E
ho continuato a dare il peggio di me, portandomi a letto Julian...
così chiaramente invaghito di te anche lui, per... non lo
so
neanche io, il perché... - proseguì Nur
imbarazzata – Insomma è
stato stupido anche quello: eravamo brilli ed entrambi presi a
farci notare dalla persona sbagliata. Ti
chiedo scusa anche per Julian.»
«Nur
non devi... voglio dire: non devi chiedermi scusa per Julian! Non
devi chiedermi scusa e basta... - disse Lou d'un fiato gesticolando
– sia tu che Julian non dovete darmi
spiegazioni...»
«Neanche
tu dovevi darmene con Ville.»
- aggiunse Nur.
«Oh,
invece sì... lo hai conosciuto prima di me e pensavo, ero
convinta
che ti piacesse, mentre tu sapevi benissimo che Julian non mi
interessava se non come amico...»
«Lou
sei incredibile! - sbottò Nur ridendo – anche
davanti all'evidenza
tu ti senti in colpa! È assurdo! Tutti si sono resi conto
della
situazione tranne te!»
Lou
sbatté le palpebre perplessa.
«Sia
Valo che Julian erano qui solo per te. Io ero praticamente un
arredamento... e Julian è venuto a letto con me solo
perché si è
sentito rifiutato e credo abbia capito improvvisamente la situazione
tra te e Valo solo quando tu sei rimasta fuori con lui per
più di
mezz'ora... sai, gli ho dovuto far notare che forse non eravate
lì a
solo a parlare... Credo si sia sentito stupido anche lui ad un certo
punto, dicendo che non poteva certo competere con uno come
Valo.»
- spiegò Nur alzando le spalle con aria rassegnata.
«Mi
dispiace... - sussurrò Lou – mi dispiace di non
essere chiara e
diretta come voi nel far capire i miei sentimenti. Se solo fossi
più sicura di me magari avrei risparmiato un sacco di
fraintendimenti tra noi, tra me e te, tra me e Julian, tra me e
Ville...»
«Hai
avuto problemi anche con Ville? - chiese Nur preoccupata –
Che hai
combinato?»
«Non
ho combinato... niente, ho visto una stangona davanti al suo cancello
il mattino dopo la nostra cena e pensando che fosse una sua
“amante”,
me la sono data a gambe.»
«Ah!
Ecco perché siete improvvisamente andati via tu e Simone il
giorno
seguente senza neanche invitarmi... - disse sorridendo Nur ma con un
sottile tono di rimprovero – Sei sempre la solita... e
scommetto
che la stangona non era la sua amante.»
«Scusa
se non ti ho invitato a venire con noi... volevo stare da sola con
Simone... - si giustificò Lou con un sorriso - e poi pensavo
fossi
incavolata con me per via di Ville... No, la stangona è una
vocalist.»
«Io
pensavo la stessa cosa, credendo ti fossi offesa per essermi portata
a letto uno dei tuoi spasimanti... - aggiunse Nur trattenendo una
risata – Certo che non parlando se ne combinano di guai, eh?
Hai
chiarito con Valo almeno?»
«Ehm...
sì, dopo una decina di giorni... dopo essermi nascosta per
non
incontrarlo.»
Nur
scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Chissà
come gli saranno girate al Valo... - insinuò divertita Nur
– E poi?»
«E
poi mi ha teso una trappola una sera facendosi trovare davanti la
porta di casa, dopo aver scavalcato il cancello...»
-
arrossì Lou
al ricordo di quella loro prima, fantastica volta insieme.
«Bene
bene... - disse Nur divertita – credo proprio che la nostra
Lou
abbia finalmente iniziato a vivere le gioie del sesso...»
«Ah!
Smettila!»
- si schernì Lou, ridendo.
«È
così?! Hai già fatto sesso con lui?! Piccola
sfacciata...»
-
rise Nur prendendola in giro.
«Non
abbiamo fatto sesso: abbiamo fatto l'amore...»
- la
corresse Lou
con gli occhi brillanti.
«Ahia...
non dirmelo ti prego: sei innamorata di lui?! - chiese con un urlo
Nur – Ma... ne sei sicura?»
«Ehm...
credo di sì... è un male?!»
«No...
non lo è, anche perché da quanto ho visto lui
ricambia... almeno
credo, sperando non abbia perso ogni mio potere insieme a quello di
sedurre ogni uomo sulla faccia della terra...»
-
scherzò Nur,
strizzandole l'occhio.
«Lo
credi davvero? Credi che anche lui sia innamorato di me,
Nur?»
«Cielo!
Penso proprio di sì... dovresti saperlo meglio di me, visto
che sei
tu a frequentarlo... tu cosa pensi?» -
le chiese mettendo le
mani a
coppa sotto il mento e fissandola curiosa.
«Non
lo so... - rispose esitante Lou, mordendosi nervosamente le labbra
–
credo di piacergli molto questo sì, me ne rendo conto
perfino io
che sono un'eterna stordita... ma innamorato, oddio non saprei...
sarebbe troppo bello e anche troppo spaventoso.»
«Te
la fai sotto eh? - le chiese Nur, sorridendo dolcemente –
Credimi,
è più che un “gli piaci”...
fidati.»
«Sì,
ho una fifa pazzesca: che si stanchi di me, che si accorga che non
sono bella quanto uno come lui potrebbe pretendere, che non sono niente
di speciale... e ho paura che passata l'iniziale passione lui si
stanchi e un giorno mi dica che è finita... e io non posso
vivere
pensando di non poter più guardare i suoi
occhi...»
- continuò
sfiatata Lou.
«Lou...
- mormorò Nur posando una mano sulla sua, tenendola
stretta
– non sarà così vedrai. Non
avere
paura... e se mai dovesse
accadere, ricordati che io ci sono... e anche Simone: non ti
lasceremo da sola a raccogliere i cocci del tuo cuore. Te lo
prometto. E smettila di dire che non sei speciale e che lui potrebbe
volere di meglio: non vedo nulla di meglio di te che per un
uomo.»
Lou
ricambiò la stretta sorridendole fiduciosa: non voleva
pensare ad
un futuro senza Ville, senza la sua presenza, senza i suoi occhi che
la sfioravano o la sua voce che la cullava cantando
nell'oscurità
della stanza, dopo averla amata... ma la sicurezza, la certezza che
non sarebbe mai stata da sola d'ora in poi, la costante presenza dei
suoi amici le dava la forza per affrontare ogni cosa con maggiore
leggerezza e con un pizzico di follia.
«E
ora... me li fai questi spaghetti o devo mangiarli crudi?»
-
chiese
seria Nur mettendo un finto broncio.
Lou
sorrise di colpo alleggerita... Aveva temuto stupidamente di aver
perso la sua unica amica e invece...
“Perché
a volte pensiamo che tutto sia tremendamente difficile? Che non ci
sia soluzione, quando invece è tutto facile? Basta aprire
il cuore
all'altro senza recriminazioni, senza bugie, semplicemente dando
fiducia e ascoltando l'altro come si ascolta se stessi...”
«Arrivano!
- rispose pronta Lou iniziando a tirare fuori pentole e padelle per
dare il giusto e meritato benvenuto alla sua amica – e visto
che
voglio viziarti... ti preparo anche il sugo della mamma.»
«Fico!
Dobbiamo discutere più spesso se questo è il modo
per poi
rinsaldare la nostra amicizia! - scherzò Nur ridendo
guardandola
mentre Lou si dava da fare – Lou?»
«Uhm?»
«Ti
voglio bene.»
«Ti
voglio bene anch'io, Nur.»
******
«Beh?
Allora com'è Valo a letto?»
- chiese di punto in
bianco Nur dopo
aver mandato giù un'enorme forchettata di spaghetti.
Lou
che stava bevendo rischiò a momenti di strozzarsi.
«Nur!
- tossì ridendo – Sei sempre la solita!»
«Che
ho detto? Allora ce l'ha grosso?»
«NUR!»
«Ah!
Brutta finta santa che non sei altro!
Allora ci date dentro come due
ricci, eh?! Ce l'ha grosso o no? Con quella mani enormi che ha dubito
sia poco dotato... - insinuò Nur ghignando –
allora me lo dici
com'è?»
«È...
bravo.»
- tagliò corto Lou.
«BRAVO?!
Amica, sei diventata bordeaux... temo sia più che bravo!
Allora, lo
è?»
«È
fantastico... - sorrise Lou ghignando a sua volta – Nur, per
la
prima volta in vita mia ho capito cosa sia la passione... quella
vera.»
«Oh,
cacchio... sono quasi invidiosa! Ma sono così contenta per
te,
tesoro...»
«Lo
sono anche io Nur, lo sono così tanto che ho paura anche a
parlarne
per paura che possa svanire come un sogno...»
«Lou
smettila di farti come sempre mille problemi inutili! Non
sarà così!
Lui non è Andrea e tu non sei la stessa di prima... e se ti
fa del
male posso sempre gonfiarlo di botte.»
Lou
scoppiò a ridere immaginando la scena della sua statuaria
amica che
picchiava lo scheletrico Valo.
«Così
lo ammazzi... è talmente magro...»
«Peggio
per lui: finnico avvisato...»-
le puntò la
forchetta contro
impugnandola come una spada.
Nur
la guardava attentamente osservando il susseguirsi delle espressioni
sul viso dell'amica.
«Sei
davvero innamorata?»
«Credo
di sì... oddio, non lo so, Nur... io sto bene con lui, mi
sento
amata, mi sento viva...»
«E
questa è la cosa che importa: che tu stia bene e che sia
felice...
se tu lo sei, lo sono anche io.»
«Sei
stata sincera dicendo che Ville non ti interessava? Devo saperlo
sai...»
«Lou...
anche se mi interessava e non sto dicendo questo, sarebbe stato del
tutto inutile: lui era interessato a te ancora prima di incontrarti
di persona. Eri il suo fantasma personale, ricordi? Sta'
tranquilla... e smettila di farti venire ancora sensi di
colpa.»
«Il
suo fantasma personale...- ridacchiò Lou – Sai mi
sembra così
strano che lui possa interessarsi a me.»
«Ancora
questa storia?! Quando ti metterai in quella testolina che tutto sei
tranne che poco interessante? Lou, ascolta: te lo ripeto ancora una
volta: sei una donna bellissima, sei dolce e sensuale nel tuo modo
innocente di essere, sei generosa e schietta... hai talento e mille
altri pregi.
È normale che un uomo si innamori di
te e non
solo
del tuo adorabile visino e corpicino!
Non
voglio più sentirti dire niente del genere! Giuro che ti
prendo a
sberle se lo dici ancora una volta!»
«Ok,
ok, ok! La smetto! Prometto che non dirò ancora la parola
“e
se?”... per tutto il tempo che rimarrai qui! - sorrise Lou
– a
proposito stavolta quanto ti fermi? Ti hanno poi accettato la
richiesta che hai fatto tempo fa?»
«Bene,
lo voglio sperare... bah, non saprei: ho rivisto il nostro capo
settore e ho cercato di carpirgli notizie riguardo alla mia
richiesta, ma non si è lasciato abbindolare dai miei
occhioni...
sai, inizio a temere di aver perso il mio fascino... oddio, sarebbe
terribile! Dovrei fare il doppio della fatica per ottenere
ciò che
voglio: una noia mortaleeee!»-
urlò Nur sgranando i suddetti
occhioni color miele.
«Ma
no che dici? Non hai perso un grammo del tuo fascino sexy, fidati...
forse era gay.» - concluse ammiccando.
«Sicuramente.»
- sibilò Nur stringendo gli occhi a fessura - In ogni caso
riparto
come sempre lunedì... È un problema per te?
Voglio dire: tu e Valo
lo fate su ogni superficie scopabile e io vi sono
d'intralcio?»
-
chiese con espressione angelica.
«Nur!»
«Lo
sapevo... lo avete fatto anche su questo tavolo?! - chiese
fingendosi scandalizzata indicando il tavolo minuscolo che tiravano
fuori quando pranzavano in cucina – Ti prego, dimmi che
non
sto mangiando su qualcosa dove si sono posate le terga finniche del
Valo!»
«NUR!
la smetti?! - scoppiò a ridere istericamente Lou –
E comunque: no!
Non l'abbiamo mai fatto su questo tavolo... non ancora per lo
meno.»
«Dove
hai nascosto la mia amica? Esci da quel corpo!»
«Bella
domanda: penso che mi abbia fritto il cervello con quei suoi occhi e
il sorriso sexy...»
- disse Lou sognante.
«...
e non dimenticare anche l'altro arnese...»
- aggiunse Nur
serafica,
pulendo con un pezzo di pane il sugo rimasto nel piatto.
«E
non dimentichiamolo...»
- rise Lou complice.
Nur
volle sapere ogni dettaglio possibile e immaginabile della sua storia
con Valo; da come si erano incontrati a come era riuscito a
“convincerla” alle gioie del sesso.
«Non
che ci abbia messo a convincermi, eh... - ghignò Lou
– anzi, ero
così impaziente di sentirlo più vicino a me che
l'ho baciato io
per prima...»
«Ti
stimo sorella – sussurrò Nur portandosi una mano
al cuore – hai
la mia stima eterna! E lui?»
«Lui
non si è lamentato. Ma la gatta sì: voleva
cavarmi gli occhi!»
-
rise guardando la micetta che faceva le pulizie personali al centro
della cucina minuscola.
Sentendosi
osservata Katty alzò il musetto osservando entrambe le umane
con
aria di sufficienza per poi tornare a farsi la toilette in tutta
calma.
«È
inquietante quanto somigli a lui. - disse Nur seria – Sei
sicura
che non sia una specie di demone sotto sembianze di gatto che il
finnico ti ha messo in casa per sorvegliarti?»
«Con
Valo tutto è possibile... - rise Lou – ma non
penso abbia questi
poteri satanici: in fondo è solo la prima persona che ha
avuto
contatto con lei, è normale che abbia un debole per
lui.»
«Già...
è davvero un modo romantico per incontrarsi... sotto la
neve,
salvando un gattino...»
«È
vero...»
- sussurrò Lou ripensando emozionata la
loro primo
incontro, alla loro “prima notte” insieme. Le
raccontò
l'aneddoto e Nur rischiò di soffocare quando
sentì del primo
approccio e il sogno con successivo “agguanto della
chiappa”.
«E
lo stregò agguantandogli una chiappa! Lou sei fantastica: lo
credo
bene che lui sia pazzo di te... sei uno spasso anche mentre
dormi!»
«Beh,
quando lui si ferma qui io non dormo quasi mai... sono in agitazione
tutto il tempo o forse non voglio perdere tempo a dormire e
preferisco guardarlo mentre riposa.»
«Oh,
signore... adesso vomito! Vuoi dire che te ne stai a letto a
guardarlo mentre lui ronfa?! Io non ci riuscirei mai... sarà
che a
me viene sonno anche mentre faccio sesso a volte!»
«Nur
tu sei un caso disperato! Se non fossi sicura che sei donna,
sentendoti parlare penserei che sei un uomo fatto e finito! Certe
volte hai la sensibilità di un camionista... con tutto il
rispetto
per i camionisti!»
Nur
fece una linguaccia all'indirizzo dell'amica.
«Non
è mica colpa mia se la maggior parte dei miei amanti sono di
una
noia mortale!»
«Anche
Julian?»
L'altra
pensò un bel po' prima di rispondere.
«Beh,
sai a dire la verità non ricordo molto di quella notte:
eravamo
entrambi su di giri e da quello che riesco a ripescare in uno dei
pochissimi sprazzi di lucidità direi, o almeno credo di
ricordare,
che non se la cavi male...»
«Pensi
che ci possa essere un seguito a quella notte e che tra voi possa
nascere qualcosa?»
«Cielo,
no! Hai già iniziato a fare sogni romantici su di noi?
Scordatelo!
Ho già troppi uomini nella mia vita che spesso confondo
anche i loro
nomi nei momenti meno opportuni! E poi non dimenticare che lui
è
cotto di te! Non voglio essere la ruota di scorta di
nessuno!»-
replicò indignata Nur.
«Uhm...
scusa... pensavo che lui almeno un po' ti piacesse. È un
bravo
ragazzo: lui ti renderebbe felice, credo.»
-
sussurrò Lou.
«Beh,
peccato che invece lui voglia rendere felice te!»
«Scusa...»
- disse ancora Lou.
Nur
rimase in silenzio fissandola irritata poi le sorrise
improvvisamente.
«Ma
che gli fai agli uomini tu? - le chiese dolcemente – Sono
tutti
pazzi di te.... sarà quella tua aria indifesa da principessa
sul
pisello.»
«Sai
che questa frase può avere anche un doppio senso
vero?»
«Assolutamente
sì.»
«Umpfh.»
Dopo
avere dato una pulita alla casa che dava segni di abbandono le due
amiche si concessero un lungo bagno ristoratore, a turno.
Lou
era immersa nella vasca con oli e sali profumati alla vaniglia e
zenzero quando sentì il citofono ronzare: con un sussulto
cercò di
schizzare fuori dalla vasca, quando sentì la voce di Nur che
urlava
dalla sua camera da letto.
«Vado
io, calmati!»
Si
rituffò nell'acqua caldissima che le arrossava il viso e le
arricciava ancora di più i capelli già
selvaggiamente ribelli;
aguzzando le orecchie sentì le voci provenienti
dall'ingresso,
cercando di capire chi fosse il nuovo arrivato e sperando, ovviamente
che fosse il suo finnico del cuore.
«Chi
è, Nur?» - urlò qualche minuto dopo di
silenzio, impaziente e
allarmata.
«Mi
hai sfondato un timpano, 'Prinsessa'...»
- sussurrò Ville appoggiato mollemente a braccia conserte
sulla
porta del bagno.
Lou
si girò di scatto al suono della sua voce calda e arrochita.
Jeans
scuri e una maglietta nera con la scritta “Black
Sabbath”
sotto una giacca classica che sembrava di seta, foulard grigio al
collo e Converse nere ai piedi... solo lui poteva essere
così
splendido e perfetto con un'accozzaglia di stili addosso.
Lou
se lo mangiò con gli occhi.
Come
gli era venuto in mente di entrare in bagno!?
«Che...
diavolo! - annaspò Lou coprendosi con la schiuma le parti
del corpo
scoperte – Ville, che cavolo ci fai qui?»
«Non
c'è nulla che non abbia già visto, per cui non
affannarti a
coprirti...» - rise mordendosi un angolo delle labbra,
avvicinandosi alla vasca e affondando gli occhi nell'acqua, facendola
avvampare con una sola occhiata.
«Appari
sempre quando meno ti aspetto, Valo...» - borbottò
mentre
lui continuava a osservare interessato sotto la schiuma che la
copriva a stento, sedendosi sul bordo.
«Fa
parte del mio fascino, 'Prinsessa'...
se io ti dessi un orario staresti tutto il tempo in ansia,
così non
troverei altro che un fascio di nervi ad attendermi invece che la mia 'Prinsessa'
acida e
bisbetica...»
«Io
non sono acida! - sbottò lei stringendo gli occhi a fessura
– e
smettila di fissarmi le tette!v
Ville
alzò gli occhi ad incrociare quelli di Lou, ghignando.
«Sì
che lo sei... - disse ridendo anche con gli occhi – Ed io ti
adoro
anche per questo, cara la mia bisbetica, acida e dolcissima 'Prinsessa'...»
«Umpfh...»
«E
poi come faccio a smettere di fissarti, scusa? Sei troppo invitante e
io non resisto a non guardare le cose belle...» -
ribatté serafico
lui, inclinando la testa da un lato sbirciando sotto l'acqua e la
schiuma bianca e profumata.
«La
mamma non ti ha insegnato a bussare prima di entrare in una stanza? -
chiese Lou con le guance in fiamme – Sai che non è
educato?»
Ville
allargò il ghigno.
«Non
ho mai detto di essere un ragazzo educato.»
Come
al solito il finnico ribatteva ad ogni suo appunto. Lou lo adorava
anche per questo: era così intelligente, così
arguto.
Si
alzò improvvisamente togliendosi la giacca rimanendo in
maglietta a
maniche corte.
Con
movimenti lenti ed eleganti appoggiò la giacca sulla sedia
accanto
alla porta, tornando a sedersi sul bordo, languidamente.
Lou
lo osservava affascinata: sembrava un attore sul palco.
Calamitava
ogni sguardo con i suoi movimenti lenti e misurati.
Affondò
una mano nell'acqua accarezzandole una gamba, risalendo fino al
ginocchio.
Lou
iniziò ad agitarsi.
Ville
ghignò ancora di più stirando le labbra in un
sorriso da
Stregatto.
Maledetto...
era perfettamente a suo agio e consapevole di farle quell'effetto
ogni volta che la toccava.
«Che
intenzioni hai, Valo?»
Tirò
fuori la mano dall'acqua e prese una spugna sul bordo della vasca.
«Che
fai?» - chiese Lou allarmata.
«Ti
lavo... girati.- rispose serio guardandola – Avanti
girati, 'Prinsessa',
ti lavo la schiena.»
«No.
Non sono mica un cane che devi lavarmi!» - sbottò
imbarazzata.
In
realtà la sua mente aveva elaborato altre immagini di lui,
che non
contemplavano il “lavaggio” e se ne vergognava.
Giusto un po'.
Ville
sollevò un sopracciglio. Con uno lampo negli occhi verdi
tornò ad
alzarsi e iniziò a slacciarsi le scarpe.
«Valo!
Che stai facendo?»
«Ho
voglia di farmi un bagno.»
Lou
sbatté le palpebre. Non faceva sul serio.
No,
sicuramente stava prendendola in giro! Di là c'era Nur e lui
non
avrebbe avuto davvero la faccia tosta di infilarsi nella vasca con
lei!
Slacciò
la sciarpa leggera e tolse la maglietta lanciandole sulla sedia.
Lou
non sapeva se ridere o rimbrottarlo.
Il
ghigno non lasciò un attimo il viso di Ville che la sfidava
con gli
occhi.
Si
slacciò lentamente i jeans scuri dosando ogni movimento
come un
attore consumato, lasciandoli cadere lungo le gambe magre e
scavalcandoli quando furono a terra.
«La
biancheria intima ti fa proprio schifo, eh?» -
ansimò Lou.
Ville
scrollò le spalle con noncuranza.
«Mi
dà fastidio.»
«Ti
rendi conto che non siamo soli a casa, vero? - disse Lou dandosi un
tono severo, lo sguardo fisso sul corpo magro e tatuato di lui
–
c'è Nur di là...»
Ville
si avviò alla porta nudo, aprendo la porta quel tanto che
bastava
per infilarci il viso.
«Nur?
Non ti spiace se ti rubo la coinquilina per qualche ora,
vero?» -
gridò rivolgendosi a Nur, svanita da qualche parte della
casa.
Qualche
istante di silenzio e poi la voce soffocata di Nur, che, ne era
certa, tratteneva le risate.
«Ehm...
no, certo che no... basta che non fate casino o sarò
costretta a
mettermi le cuffiette!»
«Cercherò
di fare meno rumore possibile!» - rispose serio Ville,
chiudendo la
porta a chiave e girandosi a guardarla.
«Grazieeeeee!»-
ribatté urlando Nur ridendo.
Lou
aveva una faccia sconvolta: possibile che non avesse una sola persona
con il senso della decenza attorno?!
Ville
tornò verso di lei svettando in tutta la sua lunghezza,
guardandola
dall'alto le mani sui fianchi, trattenendo a stento le risa alla
vista dell'espressione di Lou.
«Sei
facile da scandalizzare, 'Prinsessa'...»-
mormorò entrando nella vasca posizionandosi di fronte a
lei,
adattando le lunghe gambe ai lati del corpo di Lou.
«Mmmmh...
sì, mi ci voleva proprio un bel bagno caldo
rilassante...»-
continuò chiudendo gli occhi e reclinando la testa
all'indietro.
Lou
ripresasi dallo smarrimento lo guardò attentamente: aveva
occhiaie
ancora più marcate del solito, il viso pallido.
«Sei
stanco, Ville?v - chiese posandogli le mani sulle ginocchia
ossute.
«Sì,
non ho chiuso occhio, ho scritto e suonato per gran parte del
tempo... Sono stanco, ma avevo voglia di stare con te.» -
disse a
voce bassa tenendo sempre gli occhi chiusi.
«Sono
contenta che tu sia qui, nonostante sia distrutto...» - gli
disse
facendo scivolare le gambe ai lati del corpo di lui, trovandosi in
quel modo incastrati perfettamente, come una specie di Yin e Yang
umano.
«Dove
altro potrei essere, se non con te?»
Lou
ingoiò il groppo in gola; ogni volta che lui le diceva
qualcosa la
colpiva e affondava con la dolcezza e la semplicità delle
sue parole
e nel modo in cui le pronunciava...
Lui
aprì un occhio non sentendola parlare.
«Vieni
qui... - disse Lou – appoggiati con la schiena a
me.»
Ville
si girò velocemente stendendosi supino su di lei che lo
abbracciò
avviluppandolo con le gambe e le braccia, posandogli il viso
nell'incavo del collo, inspirando il suo odore.
«Mi
sei mancato...»- gli disse scostandogli i capelli dalla nuca
e dal
viso, intrecciando le dita a quelle di lui posate sul petto.
Ville
allungò il viso all'indietro, guardandole le labbra.
«Baciami, 'Prinsessa'...»
- bisbigliò ad occhi socchiusi.
Un
rotolare di cuore, battiti furiosi nel petto... viscere che si
contraggono dal piacere...
Lievi
baci gli coprirono il volto, dalla fronte, sul naso... passando per
le guance scavate, fino a posarsi sulle labbra morbide e dischiuse.
Il
mondo esterno svanì improvvisamente chiudendoli all'interno
nella
loro bolla privata, cullandoli dolcemente come l'acqua calda in cui
erano immersi.
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
*si
prostra ai piedi delle lettrici*
Chiedo
venia mie adorate, ma sapete bene quanto mi sia contro la Musa Bastarda
e di quanto mi faccia penare!
Metteteci
il caldo e distrazioni varie, problemi personali e lavorativi e avrete
un'idea del mio stato attuale... :(
Questo
capitolo me lo tenevo in serbo come Jolly da sganciare in casi estremi
e direi che dopo più di un mese d'attesa la situazione
è estrema!!
Non
volevo che dimenticaste i miei bimbi adorati e molte di voi mi hanno
chiesto quando avrei aggiornato.. nn era il caso di prolungare l'attesa
e quindi ho deciso di non lasciarvi a bocca asciutta prima dell'estate!
Come
vedete finalmente Nur e Lou si sono chiarite... c'è anche
l'ennesimo streap del Valo con ammollo e...
Capitolo
di passaggio ma decisamente dolcioso....
Come
sempre devo
ringraziare tutte a partire dalle mie due Beta: Mia Mugliera Cicci-Vivi
(Deilantha)
e Sara
Pulci;
(devo assolutamente rendervi partecipi dei vari commenti che mi
lasciano a fine capitolo:
Sara:
"Santo cielo che splendore!!! Mi
sono sciolta nell'acqua calda........... *______* Complimenti
pulci!!!!!!!! stupendo!!! Villlllllllllllle TIIIIII AMOOOOOOOOOOOO"
Cicci:
"aaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhh!!!! Sospirone a cuore grande quanto una casa
<3" ;
arwen85,
Echelena, DarkYuna (che mi ha
suggerito il titolo per il capitolo: grazie <3) , Lady Angel
2002, Ila_76, apinacuriosaEchelon, Villina92,
VioValo_Villina,poisongirl76, marfa, dile91, fnghera, angelica78vf,
infinity86dark2, K Ciel e VioValo ,LonelyJuliet,BlackMidnights, Blackie_ !
Spero, come
sempre, che prima o poi commentino anche le "fantasmine" che leggono e
non lasciano nessun segno del loro passaggio... accontentate questa
povera donna...
A presto,
*H_T*
|
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Capitolo 13 *** Capitolo Dodici - "Around you..." ***
testo.
Capitolo
dodici
"Around you..."
«Che
ci fai qui?» - chiese Nur a bassa voce, intenta a guardare un
film
horror in televisione, vedendo Lou sedersi accanto a lei sul divano,
«È
crollato... volevo farlo dormire un po' e con me vicino che mi agito
sempre non avrebbe riposato per nulla.» - sorrise
pensando a Ville che si era addormentato fra le sue braccia dentro la
vasca; aveva cullato il finnico fino a quando l'acqua non aveva
iniziato a raffreddarsi. Dopodiché aveva svegliato il bell'
addormentato che aveva bofonchiato come un bambino capriccioso,
facendolo uscire dalla vasca con gli occhi assonnati, asciugandolo
per poi trascinarlo in camera da letto dove era crollato tirandosela
dietro, posandole il mento sulla testa e stringendola con forza prima
di darle un bacio sulle labbra e crollare di nuovo, borbottando frasi
sconnesse.
Aveva
lasciato lui e Katty accoccolata docilmente ai suoi piedi, rimanendo
in silenzio a guardare entrambi per qualche minuto, con nel cuore una
stretta piacevole,una sensazione di calore che partiva dal centro
esatto del petto.
“Il
mio piccolo mondo perfetto è tutto su questo
letto...”
«Uhm...
fai anche la babysitter ora?» - ridendo Nur le
passò la ciotola
ricolma di pop-corn.
«Non
mi dispiace farlo con lui, per nulla proprio...» -
ridacchiò Lou
riempiendosi la bocca di chicchi scoppiati e croccanti
deliziosamente insaporiti alla paprika.
«Pensavo
che ti avrei sentita ululare e invece si è
addormentato?» - la prese
in giro Nur ghignando.
«Piantala....
- Lou le tirò dietro una manciata di pop corn - era
veramente
stanco: non era mai successo prima... di solito non mi fa arrivare al
divano che già parte il “Walzer
dell'Ormone”; ha delle occhiaie
tremende e il visto tirato... temo che il suo lavoro non gli stia
dando tregua e nelle ultime settimane non ha dormito affatto. Tra me
e la musica, ho paura non si sia riposato per nulla.»
«Uhm...»
«La
smetti di mugugnare? Sono così contenta che lui sia qui con
me,
anche se avrebbe potuto benissimo starsene a casa sua, viene qui,
sempre e comunque... vuole stare con me! Mi sembra così
strano che
qualcuno cerchi la mia compagnia. Con Andrea ho sempre dovuto
elemosinare per attirare la sua attenzione, un abbraccio o un
bacio... era vicino a me solo quando “ne aveva
voglia” e anche lì
era frettoloso e prepotente. Ville è così
diverso, così dolce e
divertente...»
Nur
la fissò masticando rumorosamente.
«Che
c'è?! - chiese Lou sentendosi osservata –
Perché quella faccia?»
«Mi
stavo chiedendo come hai fatto a sopportare per così tanti
anni
quella specie di scimmia ottusa di Andrea... che ci trovavi in lui
non l'ho mai capito... è così diverso da te, come
il giorno dalla
notte.»
Lou
sospirò.
«Già,
me lo chiedo anche io... ero piccola, inesperta e stupida e lui era
il ragazzo più bello che avessi mai visto fino ad allora...
o forse
l'unico che mi aveva notato e fatta sentire carina.»
«Umpfh...
l'ho sempre detestato. Pallone gonfiato.»
«Sì,
lo so, me ne hai già reso partecipe... - sussurrò
Lou – Che ne
pensi di Ville? Sul serio.»
«Ancora?!
Lo sai che mi piace per te... siete compatibili e in qualche modo
penso vi completiate; non lo conosco abbastanza da poter dare un
giudizio preciso... ma da quel poco che vedo, è a posto. E
ti rende
felice e serena, per quanto serena tu possa mai essere, il che non
può che fargli ottenere dei punti a suo favore.»
Lou
ebbe improvvisamente voglia di tornare in camera per stargli vicino,
ma decise di aspettare ancora prima di disturbarlo con la sua
irrequietezza.
«Rilassati,
Lou...» - le disse Nur tornando a guardare la tv.
Lei
sorrise.
«È
quello che mi dice sempre anche lui...»
«Lo
vedi? Lo dicevo io che è un tipo intelligente...»
Lou
lanciò un'altra manciata di mais scoppiato in direzione
della sua
amica, ridacchiando.
******
La
scena clou del film prevedeva la tanto attesa apparizione del
fantasma che aveva ossessionato la protagonista per quasi l'intera
pellicola: Lou e Nur erano concentratissime, ad occhi sgranati al
buio, fissavano lo schermo rannicchiate sul divano, trattenendo il
fiato in attesa del finale.
«Buh...»
- una voce cavernosa alle loro spalle, sussurrata e profonda le fece
saltare su urlando.
«VILLE!»
- urlarono all'unisono le due ragazze, che erano impallidite al suono
della voce.
Ville
se la rideva appoggiato tranquillo allo schienale del divano dietro
di loro.
Nur
aprì la bocca per rimbrottarlo con qualche sua battuta
sferzante ma
le parole le rimasero in gola e la sua amica temette che le sarebbe
caduta la mascella: Ville era a petto nudo, i capelli scarmigliati e
selvaggi.
I
boccoli castani danzavano attorno al viso affilato, le labbra erano
gonfie e morbide come sempre appena ci si sveglia, gli occhi languidi
di chi è appena riemerso dal mondo sei sogni.
«Chiudi
la bocca, Nur... - le sussurrò sghignazzando Lou –
Valo, sei
sempre il solito...»
Ora
la sua simpatica coinquilina vedeva con i suoi occhi quello che
vedeva lei ogni volta che Valo passava la notte da lei.
Ville
le guardò entrambe ridacchiando.
«Vi
ho rovinato il finale...» - disse con la sua voce roca e
sexy.
"Se
apparirai sempre così, potrai rovinarmi qualsiasi cosa ogni
volta
che vuoi..."
«Valo,
se fossimo state al cinema ti avrei chiesto un rimborso!» -
disse
Nur appena si fu ripresa dalla visione del Valo mezzo nudo nella loro
cucina.
«Scusate
ancora... - ghignò lui – Sei andata
via...» - disse guardando
Lou e aggrottando le sopracciglia, causando uno sfarfallio nella
pancia di lei.
«Ehm...
volevo che dormissi e io mi agito, lo sai... ti avrei tenuto
sveglio.» - rispose Lou cercando di tenere un tono neutro,
tentando invano di concentrarsi su qualcosa che non gli facesse
venire l'impulso di trascinarlo a letto in quello stesso istante.
«Uhm-uh...»- mormorò lui fissandole le
labbra con un sorrisino furbo.
Nur
guardò prima l'uno poi l'altra e si alzò dal
divano ridendo.
«Ooooook
ho capito, va... meglio chiudermi in camera con le cuffie,
perché
Valo ha una faccia che non promette affatto bene per te mia cara...
- disse rivolgendosi a Lou che era arrossita fino alle orecchie
– Vi auguro una buona notte... o meglio: una buona
continuazione.»
«Sogni
d'oro Nur...» - disse Valo con un sorriso che aumentava di
minuto
in minuto.
«Vedi
di sfottere poco, Valo... a domani.» - ridacchiò
lei, sparendo
in camera da letto, chiudendola piano dietro di sé.
Ville
tornò a guardarla con la testa piegata di lato e gli occhi
verdi
ridenti.
«Dicevamo?»
- sussurrò posando il viso su una mano, sempre rimanendo
nascosto
dietro il divano.
«Me
la pagherai per avermi rovinato il finale del film.» Lou
strinse gli occhi in una stretta fessura.
«Davvero?
In che modo?»
«Lo
vedrai.» - disse alzandosi per girare intorno al divano,
avvicinandosi fino a sentire il calore del corpo di lui;
infilò un
dito nella cintura dei jeans tirandolo verso di sé.
«Che
paura...» - bisbigliò, accarezzando con un dito in
lenti cerchi,
la mano che lo teneva legato alla cintura.
Lou
sollevò il viso, alzandosi in punta di piedi per baciargli
il mento.
Subito
le braccia magre la catturarono stringendola a sé, sfregando
le
labbra sulla guancia.
Il
contatto con la sua pelle calda, liscia e l'odore che emanava ebbero
l'effetto devastante che avevano di solito sui suoi sensi: il dito si
spostò lungo il bordo dei jeans, raggiungendo il retro e
lasciò il
posto alla mano che come aveva già fatto in occasione del
loro
primo “incontro”, si insinuò all'
interno per afferrare con
decisione un gluteo tondo.
«Zarda,
stai scherzando col fuoco.» – le disse Ville,
abbassando
ulteriormente il tono di voce fino ad un basso mormorio, profondo
come un tuono, mordicchiandole le labbra ad occhi socchiusi.
«Uhm...
Valo... - sussurrò passando piano la punta della
lingua
sulle
labbra – ti devo pur punire in qualche modo...”.
«Se
proprio devi punirmi, - soffiò sulle labbra in un sussurro
bollente, prendendole la mano libera e la fece scivolare lentamente
dal petto fino al davanti dei jeans, fissandola negli occhi e sulle
labbra un ghigno sexy che la fece rabbrividire dalla testa ai piedi
–
fallo bene...»
******
«Uhm...
- Lou non voleva svegliarsi: stava facendo un sogno dove lei era
cullata dal movimento dell'acqua e stava bene, si sentiva rilassata e
in pace... qualcosa le stava solleticando la punta del naso
dolcemente ma con insistenza. - Katty, smettila...» -
mormorò
infastidita rifiutandosi di aprire gli occhi.
Sentì
sulle labbra la punta umida di una lingua calda e subito dopo un
mento ispido maschile.
Sollevò
una palpebra trovandosi a fissare un paio di occhi verde giada,
felini e caldi.
« 'Prinsessa'
devo svegliarti come la bella addormentata a furia di
baci?» -
ridacchiò a bassa voce Ville sfiorandole la fronte con le
labbra
piene e morbide.
Lou
si lamentò eccessivamente avvicinandosi e nascondendogli il
viso nel
collo e intrecciando le gambe a quelle di Ville, scese con una
mano sul sedere a reclamarlo come sua proprietà.
«Devo
dedurre che la notte scorsa la lezione non ti sia servita...»
La
mano calda, enorme e affusolata di Ville si spostò
lentamente dalla
nuca, lungo tutta la linea della sua schiena fino a fermarsi appena
sopra i glutei, sfiorando le fossette.
«Sono
stanca...» - mormorò Lou contro la pelle sottile e
liscia del suo
collo, sorridendo sotto i baffi sentendogli trattenere il fiato.
«Ogni
volta che fai così ripenso alla notte in cui ci siamo
conosciuti...»
- bisbigliò Ville premendole la mano sulla schiena,
avvicinandola a
sé proprio come aveva fatto la prima volta.
Lou
sollevò il viso a sbirciarlo da sotto le ciglia trattenendo
il
fiato sotto il suo sguardo intenso.
Si
guardarono in silenzio per lunghissimi instanti, entrambi trattenendo
il respiro per paura di spezzare quel momento.
«Sei
così bella, 'Prinsessa'...
e non voglio perderti.»
«Perché
dovresti, Ville? Io non voglio lasciarti.»
«Quando
sono così felice e sereno ho sempre paura che prima o poi
accada
qualcosa che possa ribaltare in un istante la situazione, che possa
finire...»
«Sei
felice davvero?»
Lou
lo chiese a bassa voce, con timore, quasi avendo paura di sentire la
risposta o temendo di essersi sbagliata, di aver sentito male.
«Certo
che lo sono, Lou... sono felice e sono sereno, perché sono
innamorato di te.»
La
sua risposta. Semplice e sincera.
Gli
occhi limpidi e avvolgenti, come le braccia che la stringevano; occhi
che le sondavano l'anima e il cuore come nessuno prima.
Aveva
immaginato tante volte il momento in cui lui le diceva cosa provasse
per lei, lo aveva sognato e niente... niente era paragonabile a
quello che stava provando lei in quel momento, niente paragonabile
alla realtà.
Stretta
tra le sue braccia, il corpo intrecciato al suo, gli odori di
entrambi che si mischiavano, la luce rosa che filtrava dalla finestra
socchiusa, il cantare lontano di uccellini, in ronfare lento e
regolare di Katty ai piedi del letto.
Un
groppo in gola non le permetteva di spiccicare parola, continuava a
sbattere gli occhi temendo di iniziare a piangere inondandogli la
spalla ossuta; voleva dirgli quello che sentiva, che lo amava e che
non poteva più immaginare la sua vita senza di lui, ormai...
Voleva
dirgli quanto stava bene con lui, quanto si sentisse amata e
desiderata, quanto la sua presenza fosse fondamentale, di come i suoi
occhi e il sorriso fossero in grado di riempirle la giornata, di come
amasse sentire le sue labbra sfiorarle i capelli, del fatto che
avrebbe potuto riconoscere il suo odore in una stanza affollata, di
come la sua voce la toccasse nel profondo, dell'effetto che le faceva
sentirlo cantare, di quanto fosse speciale Ville Valo il cantante
degli HIM che era capace di scrivere testi romantici e strazianti, di
quanto invece fosse unico Ville... Ville e basta.
Ville
che aveva raccolto un gatto mezzo morto in una notte nevosa, Ville
che mangiava con i suoi amici nel salottino scialbo di casa sua, che
faceva colazione a letto con una gatta rompipalle in grembo, Ville
che le sussurrava all'orecchio frasi da poesie in finlandese di cui
lei capiva meno della metà, mentre faceva l'amore con lei.
Incapace
di staccare gli occhi dai suoi continuava a guardarlo, vagando sul
viso imprimendone ogni particolare nella sua memoria,
deglutendo ad intervalli regolari.
Le
sorrise comprensivo quasi capisse perfettamente cosa stesse
succedendo dentro di lei.
Sì,
era certa che poteva sentire distintamente il battere furioso del suo
cuore impazzito, che era consapevole della stretta compulsiva delle
mani sul suo corpo magro.
Lou
prese respiro ma divenne una specie di singhiozzo mal trattenuto.
«Ville...»
«Lo
so.»
******
Quando
fu certa che lui fosse già fuori casa, in strada e persino
negli
studi ormai aveva aperto gli occhi e subito dopo aveva starnutito.
«Eh,
brava stattene nuda con le tette al vento per ore, solo
perché lui
ti ha detto di farlo...» - borbottò tra
sé acida, ma con
dentro lo stomaco un rimescolamento impetuoso che faceva fatica ad
assimilare e arginare.
Si
alzò inquieta per buttarsi sotto una doccia bollente anche
se
l'ultima cosa che avrebbe voluto era togliersi l'odore di Ville di
dosso.
Nur
era in camera sua intenta a smaltarsi le unghie di rosso fuoco
quando lei entrò silenziosa.
«Ehi
, buongiorno... - le disse sorridendole furba – dormito
bene?!»
«Umpfh...
non ho chiuso occhio.»
«Oh,
che peccato... quando mi dispiaceeee... e infatti sentivo che ti
lamentavi anche tu stanotte. Due volte, per essere precise. Ti
lamentavi così tanto che mi sono dovuta mettere le cuffie
per
prendere sonno...»
«Piantala...
- ridacchiò Lou – non mi lamento, io.»
«Ma
non era stanco? Santo cielo dove le prende le energie quel rachitico?
- borbottò Nur soffiando piano sulle unghie – Che
poi tu
miagolavi e lui quasi non si sente, tranne quando... beh, quella
specie di ringhio roco che emette quando... hai capito no?»
«Sì,
ho capito... c'ero anche io.»- rispose ridendo Lou sedendosi
sul
letto.
«Va
bene, nel frattempo che facciamo? Io ho fame... facciamo colazione? O
stiamo qui a parlare delle tue acrobazie notturne, mentre vaghi per
casa come Penelope o usciamo e dedichi un po' di tempo alla tua
coinquilina che non vedi da tanto?»
«Ci
sarebbe la spesa da fare...» - iniziò Lou
pragmatica ma venne
interrotta subito da Nur.
«Ah
no! Non cominciare con le tue fisse da casalinga disperata! Io
voglio uscire e divertirmi, non fare la colf!»
«Nur,
vuoi gli spaghetti al ritorno dal tuo
“divertimento”?»
«Beh
sì... ma...»
«Allora
niente ma: taci e si va a fare la spesa e dopo forse, dico forse,
facciamo altro...»
«SEI
UNA PALLA, LUCIA ZARDA!» - Nur esasperata batté i
piedi
a vuoto sul
letto, incrociando le braccia sul petto.
«Sì,
lo so... – rispose Lou ghignando - E comunque non
miagolo.»
******
«Non
andare via...»
«Torno
presto, 'Prinsessa'...
te lo prometto. La notte
appena trascorsa
merita di essere messa nero su bianco.» - le aveva
detto
baciandole le labbra ripetutamente.
«Vuoi
scrivere di... noi?» - gli aveva chiesto lei curiosa e
vagamente
lusingata.
«Di
te... di quello che provo per te... di come mi fai sentire, di come
mi sento quando sono qui con te, tra le mie braccia...»
“Diglielo!
Diglielo ora!Digli che lo ami, maledetta fifona!” .
Si
era urlata nella testa dandosi schiaffi mentalmente.
Ma
ancora una volta era rimasta senza parole al sentire quelle di lui,
incapace di dire qualcosa di sensato e di dannatamente romantico come
faceva lui, in maniera così naturale.
Così
si era rivestito, tornando di tanto in tanto a baciarla, a sfiorarla
mentre gli passava accanto nuda, per mettersi anche lei qualcosa
addosso.
«Non
vestirti, ti prego... rimani nuda fino a che non vado via... - le
aveva sorriso languido - il pensiero di te nuda in questa stanza voglio
che mi tenga compagnia tutto il giorno, fino a che non torno
qui per spogliarti di nuovo...»
Si
era fermata davanti a lui con le braccia lungo il corpo, lasciando che
gli occhi di Ville la percorressero in lungo e in largo, come unico
movimento a tradire il suo imbarazzo il piede che si contraeva
nervoso sul pavimento.
«Stenditi
sul letto...» - le aveva bisbigliato con la voce roca, dopo
aver
soffocato un sorrisino tenero vedendola ancora agitata quando gli era
nuda davanti.
Gli
aveva obbedito, continuando a guardarlo negli occhi.
Aveva
aperto le mani sulle lenzuola e voltato il
viso, inspirando ad occhi chiusi l'odore di Ville impresso nelle
trame del cotone.
Lo
aveva sentito muoversi piano, un fruscio di vestiti e poi il letto
sotto di lei sprofondare ai lati del suo viso.
Un bacio lieve come la
carezza del vento.
Le
sfiorò appena le palpebre con le labbra, posandole subito
dopo la
fronte sulla sua.
«Tu
mi ridai l'azzurro dei grandi firmamenti...»
E
subito dopo era uscito silenziosamente dalla sua stanza.
Lasciandola
a trattenere il fiato per lunghi istanti, tanto che aveva temuto di
andare in apnea.
******
«Fermi
tutti: cosa ti ha detto di preciso?»- Nur alzò le
mani chiudendo
gli occhi in attesa.
«Ehm...
ha detto che è felice e sereno perché
è innamorato di me.»
«Ok. Bene. E tu
che gli hai risposto?»
«Ehm...
niente... stavo per morire in realtà, non sapevo se sarei
riuscita a
fare il respiro successivo, con lui che mi guardava in quel modo e mi
teneva stretta e... ok, picchiami.»
Lou
stese le braccia poggiando la fronte sulla superficie del tavolo dove
stavano facendo colazione.
«Ma
sei stordita o cosa?! Ma santo cielo, tu muori per lui e quando
FINALMENTE ti dice che ti ama tu non rispondi urlando che anche per
te è così?!»
Nur la
strattonò per i capelli su e giù,
sbattendole piano la testa sul tavolo.
«Ahia!
- si lamentò debolmente Lou - Uffa...»
«E
lui, poverino che ha detto? Come ha reagito alla tua scena
muta?»
«Ora
sei la sua migliore amica? - chiese acida Lou, alzando la testa
–
Niente... mi ha sorriso e ha detto solamente 'Lo
so...'.»
«Lo
sa?! Sì, sa sicuramente che sei stordita e imbecille! Ma,
dico
io: non aspettavi altro e al momento opportuno sei stata
zitta?»
«Uffa...»
- ripeté Lou, tornando con la fronte sul tavolo.
«Senti,
deve essere davvero cotto per non aver battuto ciglio davanti al tuo
silenzio...»
«Ma
non c'era bisogno di parole, lui lo ha capito... io stavo per
crollare e iniziare a piangere dall'emozione... lui ha sentito quello
che provavo perché mi ha stretto ancora più forte
e mi ha
baciata...»
«Ti
odio.»
«Perché?»- Lou sollevò di
nuovo il viso, fissando ad occhi sgranati
la sua
coinquilina.
«Ti
rendi conto di quanto sia cotto? Di quanto ti veneri? Ti invidio
molto. Mi hanno amata molti uomini, ma nessuno in questo
modo...»
«Io
non sono mai stata amata... Ville è l'unico che mi faccia
sentire
completa e “giusta”...»
«Ok,
e quando è andato via come ti è
parso?»
Lou
alzò le spalle.
«Normale...
come sempre… felice... a posto...»
«Uhm...»
Mormorò Nur, stringendo gli occhi e posando il mento sulla
mano.
«Che
c'è?! Stava bene, non era arrabbiato o deluso: me se sarei
accorta!»
Effettivamente
Ville quando era tornato a casa sua per riprendere il lavoro
interrotto la sera precedente, le era sembrato sereno e tranquillo...
l'aveva tenuta stretta ancora per molto tempo, sussurrandole parole
rassicuranti mentre lei si calmava lentamente, stringendolo con
forza a sé, temendo quasi che gli svanisse tra le braccia...
e poi
le aveva sussurrato quelle parole dolcissime, mentre lei se ne stava
nuda, stesa sul letto con lui che la guardava....
Nur
restò in silenzio guardandola con la coda dell'occhio.
«Glielo
dirò quando torna. Promesso. Non ce la faccio più
neanche io a
trattenermi e scoppierò sicuramente a piangere; mi fa
questo
effetto lui... non riesco mai a dirgli cosa sento perché lui
mi
precede sempre e riesce a spiegarlo così bene,
così facilmente...
che io...»
«Sorella,
è il suo lavoro esprimere sentimenti con le parole giuste,
non
dimenticarlo.»
«Lo
so...»
******
«Sbrigati
Lou! Ma tu non eri quella che usciva sempre acqua e sapone?»
- Nur
già sull'uscio vestita, truccata e stranamente pronta per
uscire
molto prima di lei e la aspettava impaziente vociando senza tregua,
mettendole fretta.
Lou
si guardò impotente allo specchio del bagno: c'era poco da
fare per
le occhiaie e il correttore non le aveva minimizzate che
impercettibilmente, i capelli ricci erano un groviglio indomabile e
arruffato... in compenso aveva gli occhi luminosi, così come
la
pelle chiara risplendeva.
Per non parlare della bocca piccola che
era più carnosa e gonfia del solito.
Valo
era un ottimo “rimpolpante”: gliele mordeva
continuamente...
Titubanza
di esprimere i suoi sentimenti a parte, era più felice che
mai: aveva sempre timore che lui fosse solo un sogno e che prima o poi
sarebbe svanito al risveglio... ma nel frattempo, si godeva con tutta
se stessa ogni attimo che Ville passava con lei.
«Arrivo,
non urlare: ti sentiranno anche a Turku...»
Si
legò i capelli in una coda disordinata e aggiunse un velo di
gloss
color carne e uscì di volata fiondandosi verso la porta,
afferrando
al volo il cellulare dimenticato da giorni sul ripiano dell'ingresso.
Nur
la guardò sollevando un sopracciglio.
«Tutto
qui? Ci hai messo un'eternità! E sei uguale a
prima...»
«Oh,
piantala che palle!! Reggimi la borsa piuttosto! - sbraitò
scherzosa
Lou infilandosi la giacca di pelle nera – Sei diventata
pesante, lo
sai?»
«Uff:
non ne posso più di stare chiusa qui dentro! Voglio uscire,
muoviti!»
Lou ridacchiò chiudendosi la porta alle
spalle,
buttando un occhiata distratta al display del suo telefonino.
5
chiamate perse. E due messaggi.
Subito
il suo pensiero andò ai suoi in Italia, poi pensò
che l'avrebbero
chiamata sicuramente sul telefono di casa nell'ipotesi che fosse
successo qualcosa.
Le
venne in mente che poteva essere la sua draghessa, come sempre.
Scorse
le chiamate perse e si bloccò improvvisamente nel leggere il
nome e
il relativo numero che ora campeggiavano sul display.
Allora?!
Ma insomma... - Nur si girò non vedendola dietro di lei, ma
ancora
ferma sul prima gradino che fissava bianca in volto, il suo
decrepito telefonino. - Che c'è?»
“Devo
parlarti. Ho bisogno di vederti, Lu. Mi manchi piccola. Passo
più
tardi.”.
E
subito dopo un altro sms.
“Quei
giuramenti, quei profumi, quei baci infiniti, rinasceranno... non
rivestirti. V.”.
Ville...
Ville.
«Lou!
Che succede? Che cos'è quella faccia?»- chiese
allarmata Nur
tornandole vicino.
“Non
ora. Perché ora? Perché? No.”
Lou
sollevò gli occhi deglutendo a vuoto con un senso di nausea,
non
vedendola realmente.
«Andrea.»
******
Angolo
dell'autrice:
"MIIIII
come odio Andrea! Ancora deve fare la sua comparsa ufficiale, e
già
lo schifo col cuore! >:("
Salve
gente! Bentrovati!
Dopo
quasi 4 mesi rieccoci qui... il
commento iniziale è della mia Beta Deilantha
... (correte a leggere le sue bellissime FF, mi raccomando!)
Per la serie non siamo per niente di parte
xD!!!
Non
ero sicura di pubblicare questo
capitolo: mi sembra troppo vago e generico, non so... sarà
l' apatia della Musa Errante ma non mi soddisfa!
Ho
messo l'elemento di disturbo che
farà l'apparizione nel prossimo capitolo, ovvero l'odiato
ormai da tutte Andrea!
Ne
vedrete delle belle: Valo ha iniziato
già a soffiiare come un gatto gigante! xD
Ditemi
cosa ne pensate anche voi! Sapete che
tengo molto ai vostri commenti e considerazioni!
Bene...
ringrazio tutti quelli che leggono e
commentano così come quelli che non lo fanno: siete
tantissimi e so che ci siete.. "IO VI VEDO..." >:)
Alla
prossima, che spero sia moooooooooolto
presto! Byeeeeee....
*H_T*
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Capitolo 14 *** Capitolo tredici “Green and gold” ***
testo.
Capitolo
tredici
"Green
and Gold"
«Possiamo
prendere anche qualcosa di dolce? Ti prego, ti prego, ti preeeegoooo! A
casa non abbiamo più schifezze da un po', non ti
riconosco...»
La voce di Nur le arrivava come da un altro
pianeta. La
guardava con occhio distratto aggirarsi con passo sexy tra gli scaffali
del loro supermercato di fiducia, mentre lei le teneva dietro con la
testa che si arrovellava sull'sms inaspettato di Andrea.
Cosa voleva? Perché arrivava sempre nei
momenti
meno opportuni e tornava a scombussolare i suoi equilibri?
«Ti lamenti
sempre che ti faccio sgarrare
con il
tuo regime dietetico.» - si
lamentò debolmente
Lou.
«Certo! Ma il
fatto che non dovrei mangiarli
non
significa che non possa farmi tentare!» -
ribatté
Nur afferrando un enorme confezione di snack al cioccolato e buttandoli
con soddisfazione nella cesta che aveva appesa al braccio.
A Lou sfuggiva il nesso e la logica del suo discorso
ma era
troppo distratta e nervosa per altro; mettersi a ribattere con la sua
amica che l'aveva tranquillizzata immediatamente quando aveva letto il
messaggio, era l'ultimo dei suoi desideri al momento.
«Stai
tranquilla, lo gonfio io se si
presenta di
nuovo alla nostra porta! Se è sopravvissuto la volta
precedente ora è un pallone gonfiato morto!» - le
aveva assicurato battagliera Nur, pilotandola verso il supermercato con
l'intento vano di distrarla.
Lou era combattuta: voleva rispondere al messaggio di
Andrea
per dissuaderlo a non andare.
E la sua era solo paura... ma contrariamente a quanto
aveva
immaginato, aveva solo paura che Ville lo trovasse in casa sua.
Conosceva bene Andrea e come si incaponiva su
ciò
che riteneva suo.
E secondo il suo modo di vedere, lei gli apparteneva.
Poco importava che l'avesse mollata per un'altra
donna, che
l'avesse tradita ripetutamente sotto ogni punto di vista; lei era sua,
come gli aveva detto e ribadito molte volte, non dubitando per un
istante che lei lo avrebbe amato per tutta la vita, struggendosi nel
ricordo del loro amore.
A lei premeva solo che non la vedesse con Ville, che
non
scoprisse della loro storia, perché era certa che si sarebbe
intromesso, come aveva fatto ogni volta che qualcosa o qualcuno aveva
distolto da lui l'attenzione di Lou.
E l'ultima cosa che voleva era che Ville dubitasse di
lei e
del suo amore.
Nonostante non glielo avesse ancora confessato.
Una morsa allo stomaco la costrinse a fermarsi e
aggrapparsi
alla mensola dei biscotti, con un senso di nausea sempre maggiore; il
solo pensiero di perdere Ville, di vederlo allontanarsi da lei, di lui
che metteva distanza tra loro la faceva stare male fisicamente.
Non sarebbe potuta sopravvivere a quello.
No. Quello non poteva superarlo.
La presenza di Ville nella sua vita era diventata come
l'aria nei polmoni, si sentiva persa senza: non poteva sperare di
tornare a vivere una vita dove lui non fosse presente.
Lui, con il suo sorriso, quello che riservava solo a
lei,
con gli occhi di giada che si scurivano quando facevano l'amore; con il
suo modo dolce e unico di parlarle, di toccarla come se fosse una cosa
preziosa.
Le mani che stringevano il viso quando la baciava, il
modo
in cui giocherellava con i capelli quando la passione era placata,
attorcigliando le dita intorno ai boccoli... dita lunghe ed eleganti
che le sfioravano la schiena mentre canticchiava a bassa voce ad occhi
chiusi, con lei che gli si accoccolava sulla spalla...
Il modo in cui la amava, dandole piacere come se
potesse
morire l'attimo seguente, come se fosse l'ultima volta, avvolgendola
nella sua passione e trasportandola in alto, fino alle stelle, fino a
farle fischiare le orecchie, fino a farle dimenticare anche il proprio
nome.
Come si curvava dietro di lei prima di addormentarsi
col
mento sulla sua testa, gambe e braccia intrecciate, come temendo che
lei potesse scappare.
Respirò piano, cercando di calmare il
tremore
alle gambe, inalando aria.
Doveva calmarsi o non sarebbe arrivata a fine
giornata.
Andrea le aveva sempre reso la vita difficile ma
questa
volta non poteva permetterglielo; ciò che era in ballo,
tutto quello che stringeva tra le braccia ogni notte, tutto
ciò che ritrovava al suo risveglio aprendo gli occhi,
immergendosi nel verde degli occhi di Ville, tutto quello che da sogno
era diventato realtà non poteva perderlo.
Non voleva perderlo!
*******
«Lou per
l'amor di Dio, calmati! Sei un
fascio di
nervi!» - disse
esasperata Nur vedendola muoversi a scatti
una volta tornate a casa, mentre riponeva la spesa con gesti bruschi.
Aveva ragione Nur ovviamente: non riusciva a
rilassarsi.
Con tutta probabilità Andrea non sarebbe
neanche
andato da lei; gli piaceva da morire buttare l'amo e poi lasciare la
preda a dimenarsi nel vano tentativo di liberarsi.
Lo faceva spesso il gioco di mandarle sms per vari
giorni di
seguito, tenendola sul filo e avvisare che sarebbe passato da lei, per
poi non farsi vedere.
Gli piaceva il gioco di potere che esercitava sulla
sua
debolezza e lei sperava che quella fosse una di quelle volte.
Quello che lui non sapeva e non poteva neanche
immaginarlo,
era che per la prima volta se non si fosse fatto vedere, ne sarebbe
stata più che felice!
«Che paura
hai? Ci sono io qui con
te!»
- stava continuando Nur, aiutandola per una volta nel sistemare negli
armadietti le loro provviste.
«Non voglio
che sappia di Ville.»
-
mormorò a bassa voce.
«Perché
mai?” - Nur si
fermò con la confezione di latte a mezz'aria.
«Perché
non voglio che rovini
tutto.»
«E tu non
permetterglielo! Mandalo a quel
paese!
Prendilo a calci nei denti non appena bussa a quella dannata porta! E
se non lo farai tu, ci penserò io! Piantala di avere timore
di quello stronzo!” sbottò, gettando nervosamente
il latte nel frigo, chiudendo lo sportello con un calcio.
«Non spaccare
tutto o rimarremo senza
elettrodomestici... - tentò di scherzare fiaccamente,
osservando la sua coinquilina diventare paonazza in viso –
bene, ora sei tu ad essere nervosa...»
«Ascoltami
bene! - la minacciò
Nur
agitando un dito sottile e ben curato sotto il naso di una Lou che
cercava di reprimere la risata isterica che le saliva in gola - Non so
tu, ma io intendo dar sfogo a tutta la mia rabbia una volta per tutte
con quel cazzone avariato! E se tu non lo prenderai a calci stavolta io
prenderò a calci te! Questa storia deve finire e di
corsa!»
Ancora un volta aveva ragione: se fino a quel momento
Andrea
si era preso tutte quelle libertà era solo per colpa sua e
del suo poco nerbo. Non amava gli scontri, non le piaceva vivere in un
clima ostile e avere conti in sospeso... le mettevano ansia.
Cercava di avere con tutti un rapporto tranquillo, che
le
permettesse di sentirsi a suo agio. Non era questo il caso: doveva
mettere Andrea al suo posto in un modo o nell'altro, o il suo rapporto
con Ville ne avrebbe avuto conseguenze.
E col passare delle ore era sempre più
consapevole che era Ville la cosa più importante per lei
ora.
E la sua paura di perderlo cresceva.
«Sì,
hai ragione: non voglio
più che Andrea si senta padrone di poter fare o dire quello
che gli pare; non sono più cosa sua. Ho smesso di esserlo
nel momento in cui mi ha tradito, non sono più cosa sua da
molto tempo...»
«Vedi Lou,
nessuno è di qualcun
altro!
Ognuno di noi appartiene solo a se stesso! Siamo esseri umani, non
oggetti! Gli oggetti si possiedono, gli oggetti si buttano e si
sostituiscono quando non ci piacciono più, ce ne disfiamo
senza pensarci più di tanto, non le persone!
Lui ti ha sempre considerato un soprammobile da
muovere a
suo piacimento! Non ti ha mai rispettata, non si è mai reso
conto di chi sei veramente, di cosa potevi dargli e di cosa si
è perso!
Ha sempre contato sul fatto che fossi tu a cercarlo, a
tentare di mettere il vostro rapporto in sicurezza: TU lo hai seguito
qui per un suo capriccio, TU pensavi a tutto quello che riguardava
pagare bollette, fare la spesa e ogni altra cosa che riguardasse la
gestione della casa e della vostra vita insieme; LUI il suo stipendio
lo buttava via in abiti e scarpe, che comprava solo per se stesso!
Quante sono le volte che ti ha fatto un regalo? Quante
volte
si è presentato con una rosa per il tuo compleanno? Quando
ha avuto un solo gesto carino e sincero per te?! MAI!
E io ho visto solo quello che ti ha combinato dopo che
ti
aveva lasciata: non oso immaginare come si sia comportato per gli otto
anni precedenti... Tu meriti qualcuno che ti dia tenerezza, amore,
passione e rispetto. Sei troppo per lui.
È un cazzone avariato, un imbecille che non
merita niente e
tu, perdinci dacci un taglio o ti strozzo!» -
sbottò senza fiato e incrociò le braccia al
petto.
Lou, intenerita e anche divertita dalla reazione della
sua
amica la rassicurò abbracciandola di slancio, posandole la
testa sulla spalla e accarezzandole la schiena per calmarla.
Ancora una volta ebbe conferma di quanto le volesse
bene e
tenesse al suo benessere.
Ancora una volta le parole secche e lapidarie di Nur
le
aprirono gli occhi sul rapporto sbilanciato che aveva avuto con
Andrea... pensò a tutti gli anni persi a nutrire qualcosa in
cui credeva soltanto lei.
Avrebbe potuto rimanere a casa sua, in Italia, con i
suoi
amici, con la sua famiglia.
Chissà come sarebbe stata la sua vita, se
Andrea
non ne avesse fatto parte e stravolto ogni progetto sognato in
precedenza.
Sarebbe dovuta andare a vivere con Simone, trovare una
casa
in periferia e prendere un cane, come avevano deciso lei e il suo Will;
Mara e Karl sarebbero andati a trovarli spesso con il gatto Natale; le
loro carriere sarebbero decollate e l'uno avrebbe sostenuto l'altra,
avrebbero fuso i loro talenti per creare qualcosa che fosse solo
loro.
Per cosa aveva fatto sacrifici? Per cosa aveva
rinunciato ai
suoi sogni?
Solo per seguire quelli instabili di Andrea?
Andrea che non sapeva che un tempo c'era stata una
piccola
vita a pulsare dentro di lei.
Andrea che era certa se lo avesse saputo, l'avrebbe
fatta
sentire peggio di quanto non avesse mai fatto: inadeguata, una palla al
piede che impediva a lui di spiccare il volo.
Andrea che non l'aveva mai vista per quella che era.
Andrea che non l'aveva mai trattata come una vera
donna,
negandole amore, sensualità e non aveva permesso alla vera
Lou, la donna, di venire fuori.
Lui l'aveva sempre vista come la ragazzina diciottenne
che
aveva rimorchiato ad una festa.
Non ritenendola mai alla sua altezza, preferendole
sempre un
altro tipo di donna.
Era sempre troppo semplice, troppo sciatta, troppo
bambina
per lui.
Eppure ogni volta che tentava un cambiamento, pensando
di
renderlo fiero di lei lui la derideva.
Si era spesso chiesta se l'avesse mai amata o se lui
si
nutriva dell'amore che lei aveva per lui.
Di una cosa era però grata ad Andrea: senza
di
lui non sarebbe mai potuta essere lì dov'era ora, in quel
preciso istante.
Senza di lui non avrebbe conosciuto Ville.
Forse era proprio quello il suo destino: soffrire e
sopportare le angherie di Andrea per poter arrivare un giorno ad
incontrare il suo personale angelo dagli occhi di giada...
«Sta'
tranquilla Nur, lo butterò
fuori
a calci, te lo prometto... e se siamo fortunate, potrebbe non venire
affatto.»
«Lo spero
vivamente per lui!»
Katty fece la sua comparsa saltando agilmente sul
ripiano
della cucina, guardando fissa ad occhi socchiusi Nur: il loro rapporto
era ancora conflittuale.
Ogni mattina Nur trovava qualcosa rovinato dal
passaggio
delle unghiette affilate della micia dispettosa: il suo target
preferito erano le ciabatte fucsia a tacco alto, con il pon-pon di
struzzo che svolazzava al vento. Katty impazziva ogni volta,
appostandosi e lanciandosi all'agguato ogni volta che Nur abbassava la
guardia o si ritrovava la gatta sui piedi mentre camminava per casa,
rischiando di ammazzarsi.
Ogni volta si ripeteva la stessa storia: Nur che
usciva
urlando dalla sua stanza agitando l'oggetto malcapitato in una mano,
minacciando Katty di tagliarle le unghie e la coda; la micia che
schizzava via alla velocità della luce nascondendosi dietro
le gambe di Lou o infilandosi sotto il divano.
Nur che si accucciava sbattendo il palmo della mano
per
terra, intimando alla gatta di uscire.
Katty che non si scomponeva e ritornava all'attacco
subito
dopo.
Erano uno spasso insieme!
«Un giorno di
questi ti infilo in forno con
le
patate e poi vediamo!»
Nur ricambiò lo sguardo
della gatta minacciandola con un sedano. Katty dal canto suo,
fissò prima Lou, poi il gambo di sedano, infine
sbadigliò non degnando minimamente Nur di attenzioni e
poggiando il musetto sopra le zampine, chiuse gli occhi placidamente.
«Questa gatta
è tutta il padrone!
Ha la
stessa faccia tosta di quel secco antipatico!» -
esclamò esasperata Nur.
«La mia gatta
è stupenda... e
solo per
il fatto che somiglia a lui, lo è ancora di
più.» - disse Lou
grattando le orecchie della
micia che le leccò distrattamente la mano.
«Se, se...
certo. Sono una gran bella coppia
quei
due: tutti e due pronti a saltarti addosso senza preavviso, con quegli
occhi che ti sondano e ti mettono in soggezione, scrutandoti e
soppesando! Sono uguali.»
Lou guardò l'amica da sopra la spalla
ridacchiando.
«Pensavo fosse
diventato il tuo migliore
amico.»
«Tsk! Mai!
Solo perché mi sta
meno
antipatico di prima non significa che ora è mio amico!
Dovrà prima passare sul mio cadavere e se solo osa farti
soffrire, gli stacco quel nasino perfetto che si ritrova con un
morso!»
«Il nasino
perfetto, eh? -
scherzò Lou
piantandole un gomito nel fianco – Ehi, stai parlando del
nasino più bello della Finlandia... ed è solo a
mia disposizione e me lo bacio io, ogni notte!» -
continuò Lou, tronfia e con le gote rosse.
«Uhm,
già... e immagino che oltre
al
nasino perfetto ha anche qualche altro “arnese” che
trovi di tuo gusto baciare, giusto?»
«Nur! Come sei
volgare...» -
ridacchiò Lou.
«Se, certo...
io! Ti ricordo che siete VOI
che fate
casino, rifilandomi la tigre ribelle – additò
Katty – mentre IO cerco di dormire e voi vi rotolate
allegramente tra le lenzuola e chissà dove altro!
VERGOGNATI!»-
gridò ridendo.
«No, che non
mi vergogno... dovevo venire
fino in
Finlandia per scoprire che mi piace fare sesso e che sono passionale,
pensa te... Con... - stava per dire il nome di Andrea, ma
captò l'occhiataccia di Nur e sorvolò –
insomma prima ero convinta di essere una di quelle donne insensibili e
frigide.
Non pensavo potesse essere così...
così totale, così intenso, così
commovente... ogni volta che sto con lui mi sembra di essere sul punto
di implodere su me stessa, che mi ritroverò cenere l'istante
dopo... - sussurrò Lou, con la faccia sempre più
rossa – e invece quando apro gli occhi e torno sulla terra,
fra i comuni mortali, lui è lì e mi stringe a
sé, mi parla sussurrando, guardandomi dritto negli occhi e
dentro l'anima ed io mi sento... intera. Mi sento parte di qualcosa di
unico, qualcosa di prezioso. Mi sento a casa.»
«Wow... -
sussurrò Nur
sorridendole
dolce – questo lo fa salire di tre gradini nella mia
classifica di gradimento: l'espressione che hai quando parli di lui
dice tutto... e sono così felice per te, davvero, piccola...
te lo meriti.» - le prese
le mani pallide e fredde
stringendole fra le sue scure, calde e morbide.
Lou ricambiò il sorriso; per il momento
Andrea e
tutto quello che lui portava con sé era accantonato e
oscurato dalla luce di Ville e dei sentimenti di Lou per lui.
«Ho una fame
da lupi!» - proruppe
allegra Nur
spostando senza tanti complimenti Katty dal ripiano e posandola a
terra. La micia le soffiò contro indignata e si
allontanò con la coda alta a stendersi sul cuscino
preferito, quello accanto al calorifero.
Ridendo e chiacchierando allegramente sulle grazie che
Ville
metteva con piacere nelle grinfie di Lou prepararono un pranzo leggero
e colorato: insalata con ogni ben di Dio dentro, noci, pinoli,
mandorle, carote, peperoni, mais... pensarono di aver esagerato nelle
porzioni, come sempre, invece parlando senza sosta, diedero fondo
all'intera scodella.
«Adesso
esplodo!»
Nur si
appoggiò
pesantemente sul divano, tenendosi una mano sulla pancia si
sbottonò i jeans attillati; Katty sollevò la
testa, scostandosi per non farsi toccare.
«Antipatica!» - le
ringhiò contro Nur.
«Ma insomma,
lasciala stare povera patata!
E'
normale che non ti sopporti: le stai sempre addosso! Quello
è il suo posto!»
«Cosa?! Fino a
prova contraria questa
è
ANCHE casa mia, e la “cosa pelosa e puzzolente”
è solo un ospite, per altro neanche tanto gradita! Questo
è sempre stato il MIO posto! Non lo lascio di certo a
lei!»
Lou smise di lavare i piatti per guardare la sua
amica,
ridendo.
«Nur,
tesoro... ti rendi conto che stai
litigando
per il posto sul divano... con un gatto!?»- chiese
seria Lou.
«Umpfh... lei
non mi sopporta! Trama contro
di me!
Guardala come mi fissa: chissà cosa starà
escogitando!»- si
lagnò guardando la micia, che la
teneva d'occhio a sua volta con aria perplessa.
Lou scoppiò a ridere, guardando le due che
sul
divano, ai lati opposti si sfidavano a colpi di occhiatacce.
«Oh, mio
dio... - rantolò Lou
senza
fiato – voi due siete comiche! - Katty la guardò
dapprima speranzosa poi rassegnata, come chiedendole silenziosamente
con lo sguardo il motivo per cui le era capitata una sciagura simile
– Oddio, mi sento male, mi sta tornando tutto su!»
«Non sarai
mica incinta tu? Non me ne
stupirei
affatto, visti gli straordinari che fai con il secco...» -
disse distrattamente Nur, poi si alzò di scatto a sedere
girandosi a guardarla contrita.
«Oddio scusami...
– non volevo dirlo, mi è scappato... scusami
Lou...»
Alzandosi velocemente le si avvicinò.
Lou, con ancora un sorriso sulle labbra che si era
appena
incrinato, raggelandosi.
Sapeva che non era stata sua intenzione dirlo, eppure
una
fitta dolorosa e ancora sanguinante le pulsava dentro.
«Va tutto
bene, Nur... sto bene, so che non
volevi.” - la rassicurò sorridendole, cercando di
trasmettere, che tutto andava veramente bene.
Lo squillo del cellulare di Lou spezzò
quella
tensione e i brutti ricordi si ritirarono nel buio, quando lesse il
nome sul display.
Era Ville.
«Pronto?
Sì, Ville...»
- la
voce le risuonò un pochino stridula. Sperò che
lui non se ne accorgesse. Possibile che si emozionava ogni volta che
lui le mandava un sms o la chiamava?
“Non mi abituerò
mai...”.
«'Prinsessa'...
-
sussurrò lui con voce sexy – Non volevo
disturbarti, sei impegnata?»
E un calore le si diffuse in tutto il corpo,
allungando dita
in ogni angolo, stringendola in un abbraccio morbido e caldo come la
sua voce.
“Come se Ville Valo al telefono
potesse
disturbare! Sono certa che anche sul tavolo operatorio, una donna
sarebbe più che felice di ricevere una tua
telefonata!!”
«Ma no, tu non
mi disturbi mai Ville, -
oh, amava dire il suo nome! - non sono impegnata e anche se
lo fossi lascerei tutto per parlare con te...» - rispose
con
l'affanno, allontanandosi da Nur che faceva finta di essere presa dal
colore del suo smalto ma che in realtà non si perdeva una
sillaba della telefonata.
Le fece un cenno chiudendosi in camera da letto.
“Mi manchi...”.
Pensò ma non lo disse.
Ville se ne uscì con una risatina
deliziata.
Fremette come sempre al suono della sua voce: chiuse
gli
occhi, desiderando averlo vicino in quell'istante.
«Stai bene, 'Prinsessa'?
Sei
troppo dolce... che fine ha fatto la mia bisbetica?» - la
stava prendendo in giro dolcemente.
Le sembrava quasi di sentire le sue dita lunghe
attorcigliarsi intorno ai suoi capelli, sfiorarle il collo...
«Ehi!... Io
sono sempre dolce!» -
finse
di risentirsi, ridacchiando sotto i baffi.
«Oh
sì, lo sei... molto dolce...
- la
voce gli si arrochì – Questa conversazione sta
diventando velocemente una telefonata erotica, sai? Dimmi un po', 'Prinsessa'...
ti sei per caso rivestita?»
“Oh, cacchio! Anche a distanza mi
fa
contrarre lo stomaco e venire le ginocchia molli, come
gelatina!”
«Ehm,
sì... avevo freddo! Non
pretenderai per caso che vada in giro nuda tutto il giorno?! E poi sono
uscita con Nur per fare spesa...» -
si
distese a pancia in su sul letto, giocherellando con la coda di Katty
che ovviamente l'aveva seguita trotterellando.
«Freddo?
Italiana rammollita... ma se
è
quasi caldo! - ridacchiò lui dall'altra parte –
Beh, potevi metterti un impermeabile sopra il tuo delizioso corpicino
nudo e andare a fare la spesa... pensa se un'improvvisa folata di vento
avesse sollevato tutto... e quanti avrebbero gradito. A pensarci bene
no, hai fatto bene a rivestirti, voglio che le tue grazie siano solo
per me.»
Caldo, eh? Lou lanciò un occhiata perplessa
al
cielo plumbeo che minacciava pioggia.
Un momento: per caso le stava facendo intendere che
era
geloso?
Wow.
«Certo,
caldissimo... beh, che vuoi, Valo?
Hai
chiamato solo per prendermi in giro?»
«Ah-ha! Eccola
la bisbetica che adoro!
Sapevo che
era lì da qualche parte mascherata dalla brava bimba che
fingi di essere... - rise con la sua adorabile risata singhiozzante
– no, in realtà ti stavo chiamando per dirti che
questa sera farò molto tardi... e che nel frattempo potevi
rivestirti: non vorrei che ti ammalassi.»
Stava continuando a prenderla in giro, anche
annunciandole
una tragedia come quella della possibilità che non lo
vedesse?!
Era pazza di lui, sì.
Ma era geloso o no?
«Quindi non ci
vedremo stasera?» -
tentò invano di mascherare la delusione.
Altra risatina.
«Ti
mancherò?»
Ville
fece
la voce esageratamente suadente e bassa, roca e sexy.
“Maledetto diavolo tentatore! Lou,
respira. Non fare pensieri sconci, non fare pensieri
sconci...”
Ma associò instantaneamente quella voce ad
altri
momenti piccanti... lo voleva.
Ora. Immediatamente. Desiderò che si
materializzasse su quel letto.
«No, mia 'Prinsessa',
ho solo
detto che farò molto tardi: c'è una stramaledetta
intervista per un magazine e devo esserci... ti assicuro che per come
stanno andando le cose, vorrei essere con te il prima
possibile.» - aggiunse
con voce improvvisamente stanca.
«Ci sono
problemi?» - Lou lo
chiese
timidamente per non essere troppo invadente, chiedendosi se anche
“Amy-la-Stangona-Mora” fosse presente.
“E soprattutto ci sono
donne?!”.
Si morse le labbra prima che la domanda sfuggisse via.
«Diciamo che
le cose non stanno andando
esattamente come vorrei. - tagliò corto lui chiudendo l'
l'argomento – pensi che possa passare da te, anche se
farò molto tardi? Probabilmente sarai già a letto
e non voglio svegliarti... anzi sì, voglio svegliarti. -
disse ridendo – scusa se ti sembro egoista ma non voglio
starti lontano più del dovuto.»
Lo stomaco e il cuore e altri organi che non sapeva di
avere, fecero un doppio salto mortale carpiato.
«Ti aspetto.» -
soffiò
lei
cercando di essere sexy quanto lui.
Risatina dall'altra parte. Esperimento fallito.
Sbuffò silenziosamente, per evitare
un'altra
risatina.
«Forse,
dopotutto, metterò
l'impermeabile... e vado a farmi un giro, mentre ti aspetto.
Così mi alleno.» - si sentiva
terribilmente
stupida a tentare certi giochini nello sforzo di fargli dire ancora di
volerla tutta per sé.
Nessuno era mai stato geloso di lei prima d'ora,
nessuno
glielo aveva mai dimostrato: Andrea non lo era mai stato, anche se la
considerava roba sua non era mai stato geloso di lei.
Era fin troppo sicuro di sé per immaginare
che
qualcuno potesse trovarla interessante o temere che lei potesse trovare
qualcun altro interessante, che non fosse lui.
«Se vuoi che
DOPO ti leghi a letto fai
pure.» - rispose
lui calmo.
L'ego di Lou alzò la cresta.
“Ssiiiiiiiiiiiiii!
Legami!”.
«Seguo solo i
tuoi consigli...- disse Lou
seria
– anzi i tuoi ordini.»
«'Prinsessa',
non osare.» -
ridacchiò Ville.
“È geloso!”.
«Uhm...non
so... ci devo
pensare.»
«Lou, stai
giocando con il
fuoco...» -
la minacciò facendo la voce bassa e profonda da orco.
Stava flirtando spudoratamente con... il
“suo
ragazzo” al telefono... e la cosa le piaceva da morire, le
dava dei brividi da adolescente.
«Non essere il
solito
prepotente...» -
sospirò lei.
Si stava divertendo un mondo e da come ridacchiava
lui, le
sembrava che fosse lo stesso per lui.
«Tu non
provocarmi.»
«Non sarai
mica geloso, Valo?» -
si
ammirò per la finta indifferenza con cui gli fece la domanda
che le premeva sulla punta della lingua.
Non rispose. Lou temette di essersi giocata tutto e le
si
gelarono le mani dall'ansia.
«Ora che mi ci
fai pensare, credo proprio di
sì.»
La voce era terribilmente seria.
“Oh, oh...”.
Dall'altro capo del telefono, qualcuno che parlava a
Ville e
lui a bassa voce, che imprecava.
«'Prinsessa',
devo
andare...
mi aspetti vero?»
“Anche tutta la vita...”.
«Certo, con o
senza
impermeabile?»
La sua risata. Oh sì, lo amava.
«A spogliarti
ci penso io. A dopo 'Prinsessa'...»
La sua voce era come una carezza.
«Ok, a dopo...
Ville?»
«Uhm,
sì? Dimmi.
Lou...»
“Amo il mio nome sulle sue
labbra...”-
«Davvero sei
geloso di me?»
Risatina.
«Te lo dico
dopo...»
Click!
“Ma che cavolo... e almeno
rispondi,
maleducato!”.
Guardò Katty, che la stava osservando
curiosa,
grattandole la testolina:
«Anche
stanotte ci tocca aspettarlo,
sorella...
siamo delle eterne Penelope.»
Katty le rispose con un “maoaou”
solidale.
Tornò in salotto dove Nur faceva finta di
leggere
una rivista: avrebbe scommesso che non si era persa una sola parola e
avesse aguzzato le orecchie come un lemure.
«Tutto bene?» - chiese
infatti con
finto
interesse, continuando a far finta di leggere.
«Uhm,
sì...» - le
rispose
evasiva ghignando, certa che la curiosità di Nur non veniva
arginata da niente e nessuno al mondo.
Contò mentalmente fino a 4 e poi Nur
proruppe:
“Oh, uffa allora? Che ti ha detto?! Ti ha detto ancora che ti
ama e che appena torna ti ribalta come un calzino, così come
ha fatto la notte precedente? Dai dai daiiiiii dimmelo!»
«Ribalta? Lui
non ribalta... -
ridacchiò lei – lui “sommerge di
passione”, semmai...»
«Senti
“Sommerge-Di-Passione”,
insomma?! Ma perché non mi racconti mai nulla di quello che
fate?! Io voglio sapere tuttoooo... uffa...»
«Neanche
morta. Quello che
“facciamo” rimane solo tra me e lui, sono cose
private... non mi va di dirlo; è come se svanisse tutta la
magia se lo raccontassi a qualcuno!»
«Ma io sono la
tua migliore amica! Non sono
“qualcuno” e basta! Cattiva!»
«Dai su, non
fare la bimba
capricciosa...» - le
grattò la testa come faceva
con Katty che le osservava entrambe attentamente: sicuramente quello
che pensava di loro non era un mistero!
«Uffa!-
ripeté Nur incrociando le
braccia al petto – almeno posso sapere se anche stanotte devo
mettermi i tappi alle orecchie e portarmi “la
belva” in camera?»
«Ha detto che
farà molto
tardi...-
fissò Nur con la testa inclinata di lato – ti
dà fastidio che siamo di là a... beh
sì, insomma che stiamo da soli e si sente un
po'?»
«Umpfh, no...
è che sono un po'
invidiosa! Insomma qui i ruoli si sono ribaltati: tu adesso hai
un'intensa e soddisfacente vita sessuale e io non batto chiodo da
settimane! Tutto ciò è ingiusto!»
Lou scoppiò a ridere.
«Potresti
sempre chiamare Julian... mi pare
che
non sia stato così malaccio... o sì?»
Nur soppesò il suggerimento: «Ma
sai
che l'idea non è affatto male? Tutto questo amore fra te e
il secco mi mette tristezza: mi ci vuole una dose di sano e carnale
sesso! Lo chiamo!»
Lou sbatté gli occhi allibita.
«Stavo
scherzando, Nur! Non... non lo chiamerai sul serio?!» - allarmata
la
osservò mentre afferrava il sul palmare e scorreva la
rubrica con un dito laccato di rosso fuoco.
La sua amica sorrideva felina mentre partiva la
chiamata.
«Non ci posso
credere! Metti giù
quel
telefono! Smettila, Nur: sei senza pudore! Povero Julian!»
Lou tentava di prendere dalle mani il palmare e
mettere fine
a quell'ennesima follia dell'Hostess Ninfomane, sussurrando a voce
strozzata.
«Sta' zitta,
Suor Lucia... - Nur le fermava
entrambe le mani con una sola, piantandole un piede nudo sulla pancia
per tenerla lontana – Juuuuuuuuliaaan! - urlò
affettata – Ciao caro, come stai? … - ...Come
sarebbe a dire chi è che parla?!»
Offesa a morte Nur aggrottò le sopracciglia
curate e perfette, facendo un gestaccio con il dito medio all'indirizzo
del suo interlocutore dall'altra parte.
Lou si era rilassata e ridacchiava.
Julian era sempre uno spasso: era certa che stava
giocando
con la sua amica, che spesso e volentieri non coglieva l'evidente
ironia in molte cose.
«Coooooooomunque...
sono Nur. Sì,
quella Nur. La coinquilina di suor... ehm, di Lou. - fece una
linguaccia a Lou, schivando il cuscino che questa le aveva tirato. -
Sai, mi chiedevo se una di queste sere ti va di vederci e andare a bere
qualcosa insieme: è da tanto che non ci
vediamo.» -
buttò lì Nur.
Silenzio. Espressione allibita.
«Sì,
è qui... sta bene.
Sì.» - le
lanciò un'occhiata assassina.
Nur le passò il palmare.
«Vuole
salutarti.» - disse
gelida.
Lou prese il cellulare con un sospiro cercando di non
ridere: Julian la metteva sempre in situazioni imbarazzanti.
«Diabolik!
Ciao... sto bene, grazie... -
guardò Nur, che aveva incrociato le braccia al petto e la
guardava storto. Le strizzò l'occhio, tentando di farla
sorridere.- Anche tu “ci” manchi
molto...»–
disse calcando sul plurale.
Perchè Julian non la smetteva di fare la
corte a
donne già impegnate?
Oltretutto era stata Nur a chiamarlo e lui voleva
parlare
con lei... uomini! Mai che facessero la cosa giusta al momento
giusto.... a parte Ville, ovviamente.
Lui faceva tutto nel modo giusto: era sempre in
completa
armonia con il momento.
Ma lui era unico.
Ecco: si era distratta mentre un fantastico uomo
spagnolo le
faceva la corte al cellulare della sua amica, che era stata snobbata
senza tanti complimenti; questo era un chiaro segno di quanto fosse
ormai persa per il suo finnico.
«Julian,
è stata Nur a
chiamarti... -
gli ricordò con tono di rimprovero tagliando il fiume di
chiacchiere dello spagnolo – ma certo, ci vediamo presto. Ti
passo lei.»
Si scusò con un'alzata di spalle con la sua
amica, passandole di nuovo il palmare con un sorriso.
«Sì.
Eccomi. - la voce di Nur era
più fredda di un iceberg: poteva far concorrenza al suo
principe oscuro. Quasi. - Sì, ti avevo chiamato per
invitarti, mi avrebbe fatto piacere rivederti ma ho la netta
impressione che preferiresti inviti da “qualcun
altro”.»
“Oh, merda!”.
Nur continuava ad avere la faccia assassina.
«Ok, per me
stasera va bene. Ma se hai di
meglio
da fare rimandiamo... NO! LOU è IMPEGNATA CON
VILLE.» - le
orecchie della sua amica divennero rosso fuoco
dal nervosismo.
“Julian ci è o ci
fa?!”.
Tonto di uno spagnolo. Se continuava con quella
storia, la
sua amica lo avrebbe demolito.
«Perfetto...
allora ti aspetto qui.
– Nur
ritrovò il suo charme a fatica – Ok, a dopo
Julian.»
Guardò il palmare sbigottita.
«Questo
è tutto scemo! Ma come
osa?! Io
lo invito fuori e lui chiede di te!»
L'indignazione
era ai
massimi livelli... e non le poteva dar torto.
Se Ville avesse chiesto di qualcun altro mentre
parlava con
lei, sarebbe andata subito su tutte le furie. E poi in paranoia.
«Dai,
scherzava... - minimizzò
Lou,
tentando di riportare il buonumore sul viso della sua amica –
non te la prendere: sappiamo che è un
tontolone...»
«No, no
è tutto scemo e ancora
cotto di
te! Ma stasera gliela faccio passare io la voglia di
snobbarmi!» - si alzò dal divano dirigendosi a
passo di marcia nella sua stanza.
“Signor Ramos, sei nei
guai...”.
******
Angolo
Dell'Autrice (parolooone):
Alloraaaaaaa, salve a tutti! Chiedo venia per il
ritardo con
cui mi rifaccio viva, ma non me ne sono stata con le mani in mano eh!
Innanzitutto, voglio ringraziare tutte quelle anime che
nonostante non abbia aggiornato più con
regolarità, hanno continuato a leggere questa storia e mi
hanno dimostrato affetto e stima.
Dopo mesi di stallo, in cui la Musa non solo mi ha
snobbata
ma mi ha anche sputato in faccia, finalmente ho rivisto la "Luce" (ogni
riferimento a fatti e persone non è casuale: mi riferisco
proprio a Lui!) ;
nell'ultimo periodo ho ritrovato la calma e la
serenità che da tempo non avevo e questo mi ha ispirata e ha
fatto sì che la Musa fosse perplessa e in un momento di
distrazione, sua, l'ho riacciuffata...
(non fate caso ai miei deliri: ho dormito poco. Con la
mia
Beta Deilantha abbiamo
fatto le sei di mattina per discutere sugli accenti di "stà,
perché e sì"... perché
giustamente, io e lei le nostre migliori genialate, le si fa a
quelll'ora...xD);
ho ricevuto tante recensioni nell'ultimo mese e questo,
insieme al resto, mi ha dato la forza e lo stimolo necessari per
riprendere in mano questa storia cui, non dubitatene, tengo tantissimo
e voglio portar avanti, fino alla fine!
tengo a dire un grazie gigantesco a quelle splendide
donnine
che con la loro presenza costante, mi hanno sempre tenuto su il morale,
costringendomi quasi a pubblicare e scrivere:
apinacuriosaEchelon, arwen85, Lady Angel2002,
IlaOnMars6277(che nonostante non sia HIMmica ha avuto un
attacco di Valite durante la lettura della storia xD),Ila_76,
Echelena;
una menzione speciale va alla mia Crabs Valentina aka
_TheDarkLadyV_, la cui
recensione mi ha scosso,emozionato e lusingato, facendomi uscire dal
torpore letterario.
Inoltre ho scoperto una bravissima autrice in lei,
delicata,
profonda e mai scontata: andate a leggere le sue storie (Cicci_Crabs_Pr
in azione) Grazie Gemellina mia! <3
Così come le mie due carissime Love:
Soniettavioletstarlet,
poisongirl76: la prima, pur se indietro nella
storia, mi sostiene e mi riempie di complimenti e carinerie; la
seconda... beh è la mia Love e come tale dice tutto...
un grazie anche a chi ha commentato assiduamente ogni
capitolo, come kip_89 che
ha letto tutto a tempo di record e lasciato sempre un suo parere:
grazie ancora!
Baci e abbracci anche alla mia compianta Beta robpattzlovers,
di cui ho perso le tracce ma leggenda metropolitana racconta che sia
ancora viva e in salute... :P
Tornaaaa, sta' casa aspetta a te, Pulci!
Non voglio lasciare fuori nessuno, perdonatemi se mi
sfugge,
(l'età sapete...) quindi vado a ritroso nelle recensioni
dell'ultimo capitolo pubblicato: katvil,
Christine_L, mikygone, in venere veritas, infinity86dark2, Raphus
Cucullatus, GiusyValo; grazie infinite anche
voi!
Poi ringrazio quei discoli che non commentano ma mi
chiedono
su fb quando pubblico e mi riferisco a voi, sì sì
voi: AngeloHimRusso (mahuahbchvgvavabc
ihahsbf hree!! o abab?), e Valentina, che
a breve pubblicherà anche lei una storia originale, della
quale ho l'onore di leggere le anteprime! ;*
Come
avete potuto notare, mi sono anche dilettata a dare ai miei bimbi i
volti (li potete vedere cliccando qui: Characters.
Tiè: viva l'abbondanza!
Passiamo al capitolo: ho pensato di spezzarlo
perchè era lunghissimo.
So che vi ho lasciato a metà ma quello che
succede
subito dopo non potevo combinarlo in maniera diversa e 30 pagine per un
capitolo, sono tante! :D
In effetti, questo è un capitolo di transito
vero
e proprio: non succede nulla di che, tranne le perpetue pippe mentali
di Lou e qualche aneddoto divertente sul rapporto Nur/Katty!
Quindi tutto sto papiro è per rassicurarvi
che il
14 Cap. c'è già, perfino il titolo (roba
che io decido prima di mandare invio in EPF, di solito)
mi manca solo un piccolo particolare che amo chiamare "Lo
smantellamento del Valo".
Arrivateci da soli!xD
(Perchè, come dice la mia Beta, il Valo va smantellato di
tanto in tanto e visto che la Lou è male intenzionata, lo
attende una bella nottata... :P).
E
mentre sto scrivendo questo testamento, ascolto "L' essenziale", una canzone che
mi gira in testa da giorni (oltre a quelle HIMmiche che non mi lasciano
mai, of course...): e sto pensando che si adatta benissimo al prossimo
capitolo, ma anche a questo... Lou prende coscienza sempre
più di quello che sente per Ville... beh basta, che se no vi
racconto tutto il capitolo 14!! xD
Cià
cià cià, vi voglio bene a tutti!
*Pollyanna mode-on*. Sci sono
piena
d'ammoooore. Me felice.
:) *H_T*
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Capitolo 15 *** Capitolo quattordici: “I'm mine” ***
testo.
Capitolo
quattordici
"I'm Mine"
Seguì
lentamente l'hostess inferocita sedendosi sul bordo del letto mentre
questa tirava fuori dall'armadio metà degli abiti,
buttandoli
furiosa accanto a Lou, sfiorandole la testa.
«Quindi
stasera uscite? - chiese Lou schiarendosi prima la voce – E a
che
ora?»
«Passa
a prendermi alle undici – ringhiò a denti stretti
– e se solo osa
guardare un'altra donna, non vedrà l'alba!»
Lou
scoppiò a ridere per tornare subito seria quando Nur la
incenerì
con gli occhi, girandosi come un' arpia.
«Ehm...
non pensi di esagerare? Sono sicura che stava scherzando, Nur.
Julian
è una persona schietta e semplice, un burlone
allegro: se
avesse voluto offenderti non ti avrebbe invitato.»
«Veramente,
sono stata IO ad invitare lui! - precisò lei alzando
all'altezza
degli occhi un microabito rosso di pizzo – Questo va
bene.»
Lou
osservò titubante la scelta ma preferì rimanere
in silenzio onde
evitare inutili spargimenti di sangue: scherzare in quel momento con
Nur e il suo ego ferito non era per niente raccomandabile.
«Che
ne pensi? - le agitò sotto il naso la pezza che lei chiamava
abito – Può andare bene?»
Lou
ponderò con calma le parole contando fino a dieci prima di
risponderle con un tono di voce basso e dolce.
«Perché non metti
quella maglia blu scuro e i jeans che hai comprato l'ultima volta? -
provò sfoderando un sorriso a trentadue denti – mi
piace
come ti sta quel
colore: il blu mette in risalto i tuoi colori e poi i jeans ti fanno
un sedere da paura.»
«No.
- fu la risposta secca – Mi ci vuole un abito sconvolgente,
che
metta tutta la mercanzia in mostra. Voglio che non appena mi vede gli
rotoli fuori la lingua e la trascini per terra tutto il
tempo.»
«Nur,
non hai bisogno di scoprirti per sconvolgere un uomo.»
Come
far capire alla sua amica che era bellissima anche con una semplice
t-shirt?
Improvvisamente
pensò che Nur fosse più insicura di se stessa di
quanto volesse far
intendere.
Perché
aveva sempre timore di non mostrarsi se non era impeccabile e
bellissima?
La
sua sicurezza stava nel rendere insicuri gli uomini?
Apparendo
super sexy forse voleva intimidirli e apparire inaccessibile.
«E
invece sì. Loro non guardano quello che ho dentro, sta'
sicura: a
loro non interessa neanche che io parli, basta che sia perfetta e che
possano mettermi in mostra, vantandosi con gli amici.»
-
disse con
tono amaro, gettandole uno sguardo duro.
«Ma
non è vero! Tu non sei una bambolina! Che ti prende? Che
sono questi
discorsi?»
Lou
era allibita. Che
storia era mai quella? Da dove usciva fuori che lei non era che una
cosa da mettere in mostra? E
i discorsi che le aveva fatto solo poche ore prima sul non essere
l'oggetto di nessuno?
Valeva
solo per gli altri?
«Nur,
ma che diavolo dici?»
«Lascia
stare... - la sua amica prese un secondo abito ma appariva meno
combattiva ora, come svuotata – Non so cosa
mettermi!»
«Ma
se hai un'intera boutique: prova quella camicia di seta bianca
trasparente. È sexy e casta allo stesso tempo, ci metti un
bel
reggiseno prezioso dei tuoi sotto e sarai perfetta!»
«Non
mi convince... con cosa la abbino poi? - osservava sconfitta il suo
enorme armadio che straripava di abiti di ogni tipo, colore e stile
–
Non sono come te che sto bene con la roba semplice e tutti si
innamorano lo stesso...»
«...»
Questo
era troppo! La Dea dell'Amore e del Sesso che aveva crisi di
autostima non si era mai vista!
Si
chiese cosa potesse aver scatenato l'insicurezza incrollabile e
inossidabile di Nur.
«Nur,
ascoltami... guardami. – la girò verso di
sé, prendendola per le
braccia sottili e scuotendola – Qualsiasi cosa tu metta,
QUALSIASI,
ti sta d'incanto! Ma smettila di combinarti come se dovessi
partecipare sempre ad un Red Carpet! Non ti serve quella roba da
pornodiva stasera! È una serata tra amici che vanno a bere
qualcosa!
Vuoi
stare comoda e divertirti vero? Allora quei jeans nuovi e la camicia
bianca, con le tue scarpe preferite andranno più che bene...
e se i
tuoi propositi iniziali di questa serata andranno a buon fine, penso
che qualsiasi cosa tu scelga te lo terrai addosso ben poco
tempo!»
- le strizzò l'occhio ridacchiando.
«Va
bene... - rispose l'altra poco convinta – Non so neanche
perché ti
do retta.»
«Perché
sono tua amica e sai che ho ragione! Avanti! - le diede una spinta
verso il bagno – Ora fatti una bella doccia rinvigorente e
poi
pensiamo a tutto il resto, ok?»
Nur
si diresse silenziosa in bagno, mentre Lou rimetteva in ordine tutti
gli abiti che la sua irruenta coinquilina con crisi di autostima,
aveva buttato alla rinfusa; lisciò le innumerevoli stoffe
colorate e
setose.
Nur
aveva davvero un'infinità di abiti tutti colorati e vistosi
e
costosi, che le stavano sempre a pennello... tirò fuori un
abito blu
notte con il corpetto a cuore, senza maniche o bretelle.
Non
lo aveva mai visto indosso alla sua amica: il bustino tempestato di
minuscoli cristalli trasparenti e irregolari lo facevano somigliare
ad un cielo stellato.
Stretto
in vita, cadeva morbido e liscio fino a metà coscia:
decisamente
troppo corto per lei!
La
stoffa era sottile e leggera, vaporosa.
«Che
bello!»
Si
chiese come sarebbe stata lei con un vestito del
genere addosso e immaginò la faccia del suo
finnico.
«Che
stupida! Non fa per me questa roba!»
- si riscosse rimettendo
a
posto l'abito non prima di avergli dato un'altra occhiata.
«Mettilo.
- Nur rientrò proprio mentre lei faceva gli occhi dolci al
vestitino
– provalo: vedi come ti sta: a me va corto, ma a te che sei
più
bassina di me potrebbe andare meglio.»
«Ma
no, non è roba per me...»
- tentò di
dire Lou, prima che Nur le
rimettesse l'abito tra le braccia, staccandolo dalla sua gruccia.
«Non
iniziare: io l'ho messo solo una volta, non mi piace come mi sta.
Avanti, provalo!»
- le disse sorridendo.
«Ok...
- Lou tolse velocemente la maglietta e i jeans neri, rimanendo con le
Converse e i calzettini a strisce colorate e fece scivolare sul corpo
l'abito – Aiutami a chiuderlo dietro.»
Nur
le spostò la lunga chioma chiara buttandole i ricci su una
spalla,
tirando su la zip e girandola verso lo specchio che occupava tutta
un'anta dell'armadio.
«Wow...
come sei bella Lou! È
perfetto per te!»
- Nur la guardava
estasiata.
Fissò la propria
immagine riflessa e quello che vedeva le
piacque e
questo la stupiva: ecco la prova di come un semplice abito
potesse
farti sembrare un'altra persona.
Il
corpetto le si adattava perfettamente al busto sottile, spingendole
all'insù il seno e facendolo sembrare più pieno
di
quanto fosse in
realtà; la pelle chiaracosì come i capelli
risaltavano contro il
blu scuro, quasi nero, e i cristalli illuminavano il tutto, dandole
un'aria da sogno... le scivolava leggero lungo i fianchi per finire a
qualche centimetro sopra il ginocchio, gonfiandosi ad ogni movimento.
«È
trasparente...»
-
disse Lou, ad occhi sgranati. Guardando in
controluce riusciva benissimo ad intravedere i contorni del corpo. Le
stava bene.
Era
bella.
Si
vedeva bella e desiderò che Ville la potesse vedere con quel
vestito
bellissimo addosso.
«Beh,
solo se ti metti controluce... potresti sempre metterci una
sottoveste così eviti di far vedere le tue grazie, suor
Lucia! -
rise Nur ritrovando il buonumore- ti sta bene, davvero: puoi
tenerlo... sta molto meglio a te che a me.»
«Non
posso... è troppo bello e non saprei quando metterlo, tra
l'altro.»
Lou accarezzava la stoffa sui fianchi
girandosi a
guardarsi in tutte le direzioni e sorridendo.
«Fesserie:
per esempio stasera sarebbe adatto. Tu non esci e ti fai trovare con
quel vestito addosso, così quando arriva il secco ci rimette
le
penne... - ridacchiò guardandola attraverso lo specchio
– Andiamo!
Si vede che muori dalla voglia di metterlo e vedere la faccia di
Ville quando ti vedrà.»
«Davvero
posso tenerlo? - Lou ricambiò lo sguardo della sua amica,
chiedendole conferma – È
così fuori dal mio
solito... non sembro
neanche io.»
«È
già tuo. E proprio perché è
così diverso dal tuo stile ti dico
che sembra fatto apposta per te: dovresti osare ogni tanto sai? - la
squadrò da capo a piedi con occhio critico – hai
delle belle
gambe, sottili ma non troppo, un bel seno “non
invadente”, un bel
culetto e la schiena elegante... puoi permetterti questo ed altro.
Non capisco perché ti imbacucchi a volte.»
«Che
bella coppia che siamo io e te: tu ti vesti da pornodiva, io da
suora... dovremmo trovare una via di mezzo che accontenti
entrambe!»
- rise Lou.
«Affare
fatto: io mi vestirò meno vistosamente d'ora in poi, se tu
ti
valorizzerai di più, di tanto in tanto.»
«Ok,
'Cavalla Golosa', ora però ti vesti:
voglio vedere come stai con
quello che ti ho scelto io!»
Con
una punta di invidia benevola guardò la sua Nur rimanere
nuda, dopo
aver fatto scivolare a terra l'accappatoio: la sua pelle era
perfetta, ambrata e luminosa, merito di tutte quelle creme costose di
cui si spalmava?
Tonica
e scattante, la pancia piatta merito sicuramente di tutte le ore in
palestra con i suoi personal trainer fighi.
Una
volta indossato un completino intimo super sexy e sicuramente molto
costoso, indossati i jeans e la splendida camicia Nur
si girò per farsi ammirare.
«Che
ti dicevo che eri bellissima uguale?»
- disse soddisfatta
Lou.
La
sua amica, in camicia bianca trasparente e reggiseno impreziosito di
pizzi e strass, era sexy e semplice allo stesso modo; i jeans blu
scuro rendevano il tutto meno serio.
«Lascia
i capelli sciolti e morbidi, Nur... ecco sì, sei
perfetta!»
«Mi
sento banale.»
- tentò di dire Nur, guardandosi
allo specchio
perplessa.
«Shhht!
Stai benissimo così, fidati... ora basta un po' di colore
sulle
labbra e sei a posto!»
Mentre
Nur passava un rossetto rosso sulle labbra piene le chiese se avrebbe
messo il vestito blu.
«Non
so... - Lou gettò ancora uno sguardo allo specchio
– non ha molto
senso se rimango qui a casa.»
«Ha
senso se il tuo secco te lo toglierà alla
velocità della luce? -
rise l'altra – Dai fagli questa sorpresa... gioca un po' a
sedurlo, vedi come reagisce: sarete da soli in casa, potete darvi
alla pazza gioia... Non che di solito non lo fate, anche se ci sono
io!»
«Ma
che dici? Non è vero...»
- arrossì Lou.
Davvero
erano così
sfacciati lei e Ville?
«Gli
verrà solo da ridere se tento
di
sedurlo, fidati... non ne sono capace.»
«Cazzate.
Lui è già andato, sorella... per far credere ad
un uomo che sei una
femme fatale, devi per prima crederci tu. Se tu ti vedi
irresistibile, anche chi ti sta intorno lo crederà...
fidati: è una
tecnica sperimentata.»
«Dici?»
Mica
ne era convinta...
«Fidati.
Sei sicura che sto bene così?»
Era
bella la sua Nur, senza orpelli e pizzi e scollature e gambe di
fuori... sembrava ancora più giovane di prima.
«Sei
bellissima.»
«Ok,
mi fido... e tu perché non fai un bel bagno caldo, ti
rilassi, fai
uno scrub totale e dopo esserti messa la mia crema corpo afrodisiaca,
ti infili di nuovo in quell'abito? Avanti... vedrai che me ne sarai
riconoscente dopo. E anche il secco.»
- le strizzò
l'occhio appena
truccato.
Lou
guardò l'ora: erano solo le otto e trenta e Nur era
già pronta.
«Più
tardi forse... non so a che ora arriva e ho le mail da leggere, Katty
non ha ancora la sua cenetta.»
E
aveva completamente dimenticato l'sms di Andrea. Non disse nulla per
evitare di far preoccupare la sua amica; anche Nur lo aveva
dimenticato.
Non
sarebbe più uscita con Julian se fosse stato il contrario.
Lou
si diede della stupida: era sola per la maggior parte della settimana
a casa.
Non
poteva rifugiarsi dietro le gonne di Nur per affrontare un'ipotetica
incursione di Andrea.
Era
ora che se la sbrigasse da sola.
«Darò
da mangiare io alla belva... tu vai a rilassarti, davvero vai! Alle
mail puoi pensarci mentre aspetti il tuo principe.»
«Ok
vado, capo!»
- sorrise Lou.
Aveva
proprio bisogno di rilassarsi con un bel bagno caldo e profumato.
Quando
si immerse esalò un lungo sospiro lussurioso: niente di
più bello
per coccolarla... beh, quasi niente, si corresse pensando al suo
principe dagli occhi verdi e le lunghe ed eleganti mani.
Ripensò
ad una delle ultime volte che si era concessa un bagno... Ville era
lì con lei.
Ormai
non vedeva più quella vasca nello stesso modo di prima, non
dopo il
passaggio del finnico.
Le
coccole e i baci che si erano scambiati...
La dolcezza, la tenerezza
nel cullarlo mentre l'acqua cullava loro... tutti i momenti passati
con Ville erano stati unici.
“Non
posso vivere più senza di te...”.
La
consapevolezza dei suoi sentimenti per lui arrivò
all'improvviso,
schiacciandola.
Voleva
lui. Sempre.
Le
mancava un pezzo di se stessa quando lui era lontano.
Il
loro mondo era in quella casa: Lou non era mai andata a casa sua,
nella famosa Torre gotica... non erano mai usciti insieme, neanche
una passeggiata.
E
non ci aveva mai pensato, fino a quel momento.
“Cosa
importa?”.
La
vocina nella sua testa la rimproverò. Non era il momento di
lasciarsi prendere da inutili dilemmi.
Entrambi
erano schivi e preferivano vivere le cose in privato.
E
poi, si frequentavano solo da due mesi...
Due
mesi!
Le
sembrava molto di più... le sembrava di conoscerlo da un
vita.
Guardò
Katty accoccolata sulla sedia gialla, che le faceva la guardia
silenziosamente.
«Piccolina,
sei con noi già da due mesi, lo sai?»
Katty
era cresciuta un po', ma rimaneva pur sempre una gattina piccolina.
Gli
occhi verdi così simili a quelli di Ville sembravano due
gemme
sullo sfondo del pelo lucido e nerissimo.
«Maoaou...»
«Eh
già... sei felice qui con noi?»
Parlava
con un gatto? Bene.
«Maouu.»
E
il gatto in questione le rispondeva? Di bene in meglio.
Ridacchiò.
Ville sarebbe morto di risate se l'avesse vista conversare con
Katty... ma a pensarci bene anche lui le parlava, mentre lei gli
faceva le fusa più rumorose che avesse mai sentito.
L'amore
di Katty per il suo Ville... mai vista una roba del genere.
Con
lui era più come un cagnolino più che un felino.
Che
le aveva fatto in quei dieci giorni in cui era stata sola con lui
nella Torre?
Erano
tutte cadute sotto il sortilegio di due occhi verdi... beh, per lei
valeva il doppio.
Quelli
di Katty e quelli di Ville. La sua famiglia.
Forse
l'unica famiglia che avrebbe mai avuto, si disse.
Si
perse a sognare... un ipotetico futuro con loro tre e magari un altro
gatto, un compagno per la loro amica, nella Torre... accanto al
camino a farsi le coccole, lei acciambellata a terra, in adorazione
mentre Ville suonava la chitarra e fuori la neve che copriva tutto e
loro, chiusi nel loro mondo perfetto...
“Smettila
immediatamente, Lou!”.
La
vocina acida la riscosse dai sogni ad occhi aperti, schiaffeggiandola
con vigore.
“Non
pensare mai, MAI al futuro se non a quello a breve
termine.” -
pensò Lou, dando ragione alla vocina.
Aveva
creduto che dopo Andrea non avrebbe più amato, che nessuno
avrebbe
più amato lei e invece era arrivato Ville... e aveva capito
cosa
significasse essere donna.
Ma
da questo a pensare o sperare di avere un posto nella vita futura di
Ville era un salto senza elastico nel vuoto.
E
lei non voleva spiaccicarsi.
Di
nuovo.
Avrebbe
vissuto quello che il futuro le avrebbe riservato, senza pensare al
domani... ogni attimo con lui, ogni istante che il destino volesse
concederle, lo avrebbe tenuto stretto e vissuto con ogni parte di se
stessa.
“Ville,
io ti amo.”.
Ecco,
era semplice... tre parole, che cosa ci vuole a dirle? Poteva
farcela.
Giocherellò
distrattamente, afferrando con una contorsione degna di un'atleta il
flacone dello shampoo con entrambi i piedi.
La
sua paura di esprimere sentimenti condizionava tutto.
Anche
se si trattava di Ville e lui meritava ogni sua parola d'amore, ogni
suo pensiero, la sua ritrosia era sempre in agguato.
Maledizione
ad Andrea.
Un
trambusto e la voce di Nur alterata la riscosse dai suoi pensieri.
Katty
si mise immediatamente all'erta soffiando in direzione della porta
che si aprì subito dopo con un tonfo sbattendo contro la
parete.
“Potrò
mai fare un bagno in santa pace senza che questo diventi un porto di
mare?!”.
«Che
entrata trionfale.»
La
voce di Lou fredda e l'occhiata indifferente colsero impreparato il
visitatore.
«Ciao
Andrea.»
Sette
mesi? Sì, erano passati sette mesi da quando lo aveva visto
l'ultima
volta.
Guardò
dritto in faccia il suo ex ragazzo.
Era
bellissimo come sempre: inutile negarlo.
I
capelli appena un po' più corti di mesi prima, un velo di
barba
scura perfettamente curata; una nuvola del suo profumo preferito e
che lei conosceva bene, la investì in pieno viso.
Camicia
bianca che aderiva perfetta al corpo muscoloso, jeans chiari, giacca
di pelle marrone, scarpe all'ultima moda... impeccabile come
sempre.
«Ciao,
piccola mia...»
La
voce bassa e gli occhi che erano subito
tornati
quelli di sempre dopo un attimo di smarrimento: sicura, ironica e
sensuale.
Ora
tutto nel suo modo di fare le sembrava studiato e poco spontaneo, dal
modo di camminare e muoversi alle inflessione della voce, lo
sguardo... tutto studiato per braccare la preda di turno.
In
confronto a Ville era un dilettante, pensò divertita.
Il
magnetismo, la sensualità oscura e misteriosa che in Ville
era
innata, Andrea se la poteva solo sognare... le sembrò
ridicolo e
scontato, come un libro già letto e sopravvalutato.
«Non
sono piccola e di certo non sono tua. Ti spiace uscire dal mio
bagno?»
Nur
era arrivata di corsa dietro di lui sbraitando parolacce
all'indirizzo di Andrea che divertito e prepotente, non l'aveva
degnata di uno sguardo e senza tanti complimenti l'aveva scostata per
entrare in bagno.
«Conosco
ogni centimetro del tuo corpo, puoi benissimo fare come se non ci
fossi.»
Quella
frase, con lo stesso senso di quella detta da Ville qualche giorno
prima aveva tutto un altro sapore. Storse la bocca disgustata.
«Esci
da questo maledetto bagno, stronzo! Anzi esci da questa casa o ti
butto fuori a calci!»
- urlò Nur con il viso e gli
occhi in
fiamme.
«Perché
non esci TU di qui e ci lasci soli invece? - Andrea infastidito dalla
voce di Nur, girò appena il viso senza scomporsi –
voglio rimanere
solo con Lou.»
Nur
ringhiò, facendo concorrenza a Katty che aveva il pelo
rizzato per
essere stata disturbata e forse perché il sesto senso
felino, le
diceva che era un ospite pericoloso.
«Nur...
tesoro, vai pure – la voce calma di Lou stupì
entrambi. La sua
amica la fissò interdetta, confusa e tremante –
stà tranquilla.
Me la cavo io.»
Si
riadagiò contro il bordo della vasca, fingendo un relax che
in
realtà non provava affatto.
Andrea
era immensamente divertito: era certa che stava gongolando per aver
ottenuto l'attenzione di tutti.
Nur
girò impetuosamente sui tacchi imprecando coloritamente.
Andrea
continuava a sorridere con un sorriso da predatore.
Fino
a qualche settimana prima, quel sorriso le avrebbe fatto un effetto
diverso.
Si
avvicinò alla vasca, con un passo da indossatore.
Infastidita
oltre ogni limite, Lou gli intimò di non avvicinarsi oltre.
Katty
soffiava come un mantice.
«E
questa da dove sbuca fuori? - le stava parlando in italiano –
Da
quando hai un gatto in casa? Per di più nero... piccola mia,
raccogli sempre tutti i randagi del vicinato...»
«Andrea,
che vuoi? - chiese stancamente rispondendogli anche lei in italiano
– Non capisco perché ti presenti ancora qui, dopo
due anni che
non
stiamo più insieme; non sei il benvenuto. E smettila di
chiamarmi
piccola tua! Cazzo!»
«Wow...
come sei diventata aggressiva, Lulù...»
Odiava
quando la chiamava piccola, ma non tanto quando la chiamava
Lulù!
Le
sembrava di essere tornata bambina, quando tutte le sue amichette la
chiamavano così prendendola in giro perché
piangeva con facilità
ai dispetti degli altri bambini!
O
peggio ancora: sua madre la chiamava così quando voleva
metterla a
fare qualche lavoretto casalingo che lei detestava!
Non
poteva uscire dalla vasca. Di certo Andrea non aspettava altro.
Piuttosto
che farsi vedere nuda da lui, preferiva congelare come una trota
dentro la vasca.
«Che
vuoi? Ho da fare e Nur non ti vuole qui quindi dimmi che vuoi e
vattene, per favore.»
«Uhm,
che voglio... che voglio... - mormorava guardandola accigliato,
battendosi l'indice sulle labbra con un'espressione interrogativa
– Non ci arrivi?»
«No.
E non mi interessa neanche saperlo. - lo guardava coprendosi il seno
con la schiuma – Come sta Sophie?»
Alludere
alla donna che si era messa tra loro le facilitò le cose: la
bile
salì e la soffocò.
«Voglio
te.»
Lo
disse come se fosse la cosa più normale del mondo: senza
peso, senza
pensare a cosa lei potesse sentire per lui, senza pensare all'impatto
che avevano le sue parole.
Ancora
una volta dava per scontato che lei stesse in attesa ad aspettare lui
per l'eternità?
Illuso.
Le
venne una voglia matta di buttargli in faccia che era parte del
passato ormai.
Che
amava Ville.
Che
Ville la amava e la desiderava così com'era.
Che
era felice e che per nulla al mondo avrebbe rinunciato a quello che
aveva in quel periodo.
Strinse
gli occhi, guardandolo freddamente.
«E
cosa ti fa pensare che la cosa mi interessi?»
“Brava
Lou, continua così!”
Andrea
era impacciato o lo stava immaginando?
Di
sicuro non si aspettava un atteggiamento aggressivo e indifferente da
parte sua.
«È
così? Non ti interessa più? Non provi
più niente per me?»
-
cercava di continuare a sorridere rilassato, ma ora la sua baldanza
le appariva meno impetuosa.
«E
cosa ti aspetti, scusa? Come ti viene in mente di presentarti qui a
cadenza semestrale, come un cane che continua a pisciare sull'aiuola
e segnare il tuo territorio dopo tutte le vaccate che mi hai
fatto?»
Si
agitò, facendo trasbordare l'acqua che schizzò
sulle sue preziose
scarpe nuove.
Andrea
si passò una mano nervosamente tra i capelli nerissimi e
corti.
«Io...
Lou, mi spiace. So di essere stato uno stronzo, un bastardo e di aver
fatto cazzate su cazzate con te... ti prego, però. Dammi la
possibilità. Di parlarti e spiegarti meglio quello che
voglio
dire.»
«Andrea,
ascolta: che tu abbia preso coscienza di essere un coglione non
può
che farmi piacere. Credimi: esultiamo tutti per la tua scoperta... il
fatto è, che qualsiasi cosa tu possa dire, non
cambierà nulla.
Io
sto bene. Sto benissimo ora.
Mi
hai ferito, mi hai usata come ti pareva senza... - si fermò
di punto
in bianco – guarda... di parlare non mi va. Specie se sei nel
mio
bagno e cercavo di godermi un momento il pace. Se Nur non ha chiamato
la polizia è solo perché non le do il permesso.
Non
mi importa più. La storia è finita. Non serve che
tu ora sia qui, a
chiedere scusa.
È finita e ora dobbiamo
andare avanti, entrambi.»
“Peccato
che tu l'abbia fatto molto prima...” -
pensò acida, evitando di dirlo per non iniziare una
discussione
sterile che non li avrebbe portati da nessuna parte.
«C'è
un altro, vero? - la rabbia fino a quel momento trattenuta apparve
sul viso di Andrea – Altrimenti perché mi
cacceresti via?»
«Non
ti riguarda. Scusa, ma che ti frega? E comunque sia, questo non
c'entra nulla: sei stato tu a farla finire, ricordatelo. Sei tu che
te ne sei andato di casa, sei tu che avevi un'altra storia mentre
ancora stavi con me. Non io. Io sono sempre stata leale, fin troppo,
con te.»
«Lo
sapevo che ti sbattevi un altro!»
- alzò la voce
avvicinandosi
minaccioso. Aveva bevuto. Ora riusciva a sentirlo chiaramente.
Perfetto!
«Lou?!
Tutto bene?! - Nur bussò alla porta che Andrea aveva chiuso
non
appena la sua amica era uscita – Chiamo aiuto?»
«Fatti
i cazzi tuoi, tu! - urlò Andrea tornando a guardare Lou con
occhi
torvi – Esci di lì!»
Ordinò
a Lou nervoso.
Katty
gli sibilò contro. Andrea fece per prenderla per la
collottola e
buttarla fuori.
«Toccala
e ti assicuro che è l'ultima volta che usi le
mani.»
- lo avvisò.
«Nur,
va tutto bene.»
Alzò
appena la voce per farsi
sentire dalla sua
amica.
Non
serviva a nulla urlare o cercare di spaventarla. Non le faceva
più
nessun effetto.
La
guardava per la prima volta come un uomo guarda una donna: era
stupito.
«E
sei pregato di non alzare la voce con la mia amica. Sei a casa mia,
ricordatelo.
«Voglio
solo parlare con te.»
Bene,
la baldanza stava lentamente andando verso l'autocommiserazione...
Lou sbuffò.
«Passami
quell'asciugamano e poi esci. Parleremo fuori di qui.»
Le
tese l'asciugamano avvicinandosi, lei lo prese, guardandolo con un
sopracciglio alzato, cercando di dare al suo viso un'espressione
fredda e distaccata come faceva Ville, per metterlo al suo posto e in
attesa che andasse via.
Ville.
Tentennò
solo un istante.
Tutto
quello che faceva era per lui. Per difendere quello che c'era tra
loro.
Per
potergli dire “ti
amo” quella sera stessa, quando
sarebbe entrato
in casa sua; per poterglielo dire senza più paure.
Per
potergli dare ogni cosa, come meritava.
Per
poterlo amare come lui le chiedeva, come in cuor suo sapeva che lui
volesse essere amato. Senza mai imporglielo.
Il
suo Ville.
Andrea
non accennava ad uscire. La fissava teso a braccia conserte, con le
gambe leggermente aperte e ben piantate a terra.
Allora
Lou fece qualcosa che pensava non avrebbe mai avuto il coraggio di
fare: si alzò uscendo dall'acqua ancora calda, lasciandogli
la
fuggevole visione del suo corpo.
Come
aveva detto? Che lo conosceva bene?
Perfetto,
allora che se lo ricordasse perché era l'ultima volta che lo
vedeva
e con esso anche la sua faccia!
Lo
sentì trattenere il fiato.
Da
dove usciva fuori tutta quella sicurezza, ora? Lo vedeva quasi il
cervello del suo ex, arrovellarsi su quella domanda.
Non
si aspettava però che lui la prendesse improvvisamente tra
le
braccia muscolose, stringendola e sollevandola contro di sé.
«Sei
bellissima, Lou...»
- la guardava negli occhi e la voce carezzevole,
come aveva fatto innumerevoli volte, le mani le accarezzarono
languide la schiena.
Un
tempo lei ci cascava sempre... sempre.
Finivano
a letto insieme, lui la illudeva ancora una volta... e poi la
lasciava di nuovo, senza una parola, sparendo nella notte...
lasciandola con l'anima lacerata e piena di vergogna verso se stessa.
Chinò
la testa per baciarla e una ginocchiata all'inguine gli fece uscire
l'aria dai polmoni in un rantolo.
«Non
provarci, non toccarmi o mi metto ad urlare!»
Con
le mani ancora a tenersi le parti doloranti la guardò con un
ghigno
ironico.
«Adesso
ti scopo qui sul pavimento!»
- la minacciò.
«Andrea,
vattene.»-
si strinse intorno al corpo ancora bagnato
l'asciugamano, guardandolo dritto negli occhi senza nessuna paura.
O
almeno voleva che così apparisse agli occhi del suo ex.
Per
niente al mondo gli avrebbe mostrato paura. Proprio no.
«Sei
una...»
-
sibilò Andrea con un lamento, tornando a
fatica in piedi.
«Quello
che vuoi, ma ora vattene.»
«Se
pensi di liberarti di me, ti sbagli. Sei mia. Ricordatelo.»
Aprì
la porta con uno strattone, spaventando Nur che era appostata appena
dietro e imprecando pesantemente in italiano, con poche falcate
raggiunse la porta di casa, quasi scardinandola via e la richiuse
sbattendola forte dietro di sé.
Nur
si precipitò dentro vedendola sbiancare.
«Stai
bene, tesoro? Non mi sverrai, vero? Cazzo, se l'hai messo a
posto!»
- le strinse le mani scrutandola bene.
«Come
diavolo... perché l'hai fatto entrare?!»
-
sbottò Lou,
sedendosi sul bordo della vasca, con le mani, le gambe e la voce che
tremavano.
«Ha
le chiavi quel bastardo!Me lo sono ritrovato davanti
all'improvviso! Ho cercato di prendergliele di mano ma mi stava
facendo cadere a terra! Era brillo, quello stronzo! Si sentiva la
puzza d'alcool da mezzo metro!»-
Nur era ancora agitata.
«Ho
ancora la schiuma addosso... ha le chiavi?! Le chiavi di casa?! Oh,
merda!»
«Domani
è domenica, non possiamo far cambiare la serratura...- Nur
la guardò
con sospetto - non sapevi che aveva ancora le chiavi?»
«Sì,
sapevo che le avesse ancora ma non immaginavo che fosse così
fuori
di testa da usarle per entrarci in casa!»
«Ho
chiamato Julian mentre quella merda era qui con te: sta arrivando.
Troveremo una soluzione.»
«Non
dovevi farlo preoccupare, Nur... se n'è andato... non penso
torni
per stanotte!»
«Io
di quello non mi fido! Meglio rimanere qui, fino a che non arriva
Valo... se c'era lui succedeva un casino stasera... non è
tipo che
se ne sta buono in un angolo.»
«Non
dirlo neanche...»
Lou sbiancò di nuovo al solo
pensiero di un
confronto tra i due.
Era
proprio quello che voleva evitare.
Quello
che sperava era che Andrea se ne facesse una ragione e sparisse dalla
sua vita una volta per sempre.
Se
n'era resa conto non appena lo aveva visto trovandoselo di fronte
dopo tanto tempo.
E
non aveva provato assolutamente niente.
Lo
aveva guardato dritto negli occhi e nessun batticuore, nessun
intoppo... lo aveva guardato e lo aveva visto come un estraneo.
Finalmente
si era liberata di lui. Finalmente era tornata se stessa.
«Mi
lavo via questa schiuma, mi sento appiccicosa...» - si
alzò, per
infilarsi sotto la doccia, lasciando che l'acqua lavasse via la
schiuma attaccata al corpo e con essa la presenza di Andrea in quella
casa.
Voleva
farsi bella per Ville.
Voleva
passare la notte a fare l'amore con lui, a baciarlo e guardarlo
dormire fino al mattino.
Voleva
affogare nei suoi occhi e lasciarsi trasportare nel mondo magico che
lui creava intorno a loro non appena la toccava.
Voleva
respirare a pieni polmoni il suo odore, passargli le mani tra i
capelli mossi e castani.
Voleva
seguire le linee dei suoi innumerevoli tatuaggi con le dita.
Voleva
sentirlo dentro di lei... e trattenerlo lì per sempre.
******
Angolo
dll'autrice:
Oooooooooooooookkkkkkkk...
sono pronta a tutti gli insulti che avete pronti per Andrea, fin
dall'inizio della storia!
Avanti: sfogatevi! xD E'
tutto vostro!! La mia Beta Deilantha
lo
odia fin dal profondo: "L'ho
detto che schifo Andrea? >:(";
ero indecisa sul suo
ingresso a dirla tutta.
Non sapevo se riscriverlo
o tenerlo così come era nato, cioè con l'ingresso
in scena tempestoso e melodrammatico, (un pò da telenovela
brasiliana anni '80 per capirci!) oppure renderlo meno irruento e
più sobrio...XD
Poi ho pensato che
probabilmente sarebbe stato nelle corde un'apparizione simile e che
tutti un pò aspettavate il botto... quindi, alla fine, l'ho
pubblicato così com'è nato... telenovela
brasilera sia! :D
Capitolo lunghissimo che
mi viene difficile spezzare in maniera diversa... abbiate pazienza.
Per il confronto
all'ultimo sangue tra Valo e Andrea (so che qualcuno ci spera! xD),
dovrete attendere ancora un pò... e non è detto
che ci sia, alla fine! U,u
Voglio dire un grazie
enorme a tutte le gentili donzelle che mi seguono e mi lasciano sempre
un commento: grazie infinite perchè non immaginate quanto
tutto questo mi faccia piacere e mi dia un pò di
gratificazione!
Siete tutte HIMportanti,
sallatelo!
Grazie a voi quindi, che
avete commentato e lasciato un segno del vostro prezioso passaggio,
nell'ultimo capitolo:
apinacuriosaEchelon,
arwen85, Lady Angel2002, Enigmasenzarisposta, katvil, FloHermanniValo (detta Speedy xD),
IlaOnMars6277,
TheDarkLadyV, AngeloHimRusso (maschietto!!! aah u ua
ufhugfba bv gfvg!!! <3),Villina92.
Quindi, nel frattempo vi
lascio ai vostri insulti e vi saluto, con sadica
soddisfazione...
Per chi se la fosse persa
e vorrebbe dar un occhio, ho scritto anche una Missing Moment dove
questa volta a parlare sono i pensieri e i sentimenti di
Ville!
A presto, vostra *H_T*!
PS: Song ispiratrice per
questo capitolo e i pensieri di Lou su
Ville: "Heaven"
- Depeche Mode
|
|
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Capitolo 16 *** Capitolo quindici: "Fade into you" ***
testo.
testo.
Capitolo
quindici
"Fade into you"
Rimase
per molto tempo sotto il getto caldo, nonostante fosse più
che
pulita.
Le
tremavano le mani e aveva mal di testa: come accadeva sempre quando
Andrea era nei paraggi.
Sapeva
benissimo che non si sarebbe arreso facilmente: tanto più
che era
stato rifiutato e ferito nell'orgoglio di uomo, quale pensava di
essere.
Mandandolo
via non aveva fatto altro che stimolare ancora di più la sua
voglia
di rivalsa.
Avrebbe
dovuto fingere di essere ancora innamorata e persa di lui; per
contrapposizione sarebbe sparito per chissà quanti altri
mesi,
lasciandola in pace... era una stupida!
Lo
conosceva così bene: come poteva aver fatto un errore del
genere
lasciando che la rabbia parlasse e agisse per lei?
Voci
concitate provenivano dal salotto, segno che Julian aveva fatto la
sua comparsa... con un sospiro rassegnato chiuse l'acqua e
uscì,
rabbrividendo all'aria fredda del bagno non riscaldato.
“Meglio
vestirmi, non voglio far scoppiare un putiferio
presentandomi in
accappatoio.”.
Si
vestì stancamente, guardando poi il suo riflesso allo
specchio.
Non andava bene.
Il
viso raggiante di poche ore prima era sparito, così come la
luce
vibrante negli occhi... e Andrea non era che apparso per soli pochi
minuti.
Raccolse
i capelli che ormai le superavano la vita, legandoli sopra la testa:
li teneva sciolti il meno possibile da quando Katty aveva scoperto
che vi si poteva arrampicare sopra usandole a mo' di liane.
Le
aveva staccato ciocche e ciocche con una soddisfazione a dir poco
inquietante... la sua micia oscura. Un sorriso le spuntò sul
viso,
simultaneo e leggero, pensando alla sua adorata felina...
ringraziandola mentalmente ogni giorno per essersi smarrita proprio
nel suo giardino.
Tanti
piccoli segni dal destino.
Uscì
dal bagno e subito Julian le fu vicino agguantandola e stringendola
in un abbraccio che la stritolò, quasi sollevandola da terra.
«Eva!
Che è successo? Dimmi come stai? Ti ha fatto del
male?»
- la voce
preoccupata era esageratamente fuori luogo: sempre melodrammatico il
suo pirata.
Alzò
il viso per guardarlo e sorridergli cercando di rassicurarlo e al
contempo fargli prendere le distanze.
Le
stava decisamente troppo vicino e in quel momento lei non voleva
essere toccata.
I
capelli di Julian erano un po' cresciuti dall'ultima volta che si
erano visti e ora gli si arricciavano alle punte, la barbetta incolta
dava un' aria meno sbarazzina al suo viso già bello e
sembrava più
uomo.
«Sto
bene Julian, però mollami: mi fai male!»
-
rise lei.
La
mise giù senza lasciarle però le braccia.
Buttò
uno sguardo alla sua amica, temendo di vederla contrariata per aver
ancora una volta invaso il suo territorio rubandole la scena... ma
Nur era ancora agitata e la sua espressione tradiva solo
preoccupazione.
La
guardava attentamente, scrutandole il viso cercando tracce di pianto
o di chissà cos'altro.
Sorrise
ad entrambi, nella maniera più serena che riuscì
a simulare.
«Sto
bene, smettetela di trattarmi come se fossi di cristallo!»
La
voce purtroppo tradì il suo stato di agitazione interiore.
«Ho
visto come ha conciato la porta: – continuò Julian
ignorando il
rimprovero di Lou – ha rotto la serratura, non si chiude
più
bene.»
Anche
quello ora!
Si
diressero tutti e tre verso l'uscita guardando con aria sconsolata
l'opera di Andrea: la maniglia già malandata dall'usura e
dal tempo
inclemente, pendeva senza più essere fissata alle viti che
le
tenevano su.
«Quel
maledetto! Meriterebbe di essere denunciato! - sbraitò Nur,
che
batteva nervosamente il piede a terra – Che grandissimo pezzo
di
merda!»
Lou
le prese la mano stringendogliela, tentando di calmarla: era
più
agitata di quanto pensasse... Le mani della sua amica tremavano
ancora, al contrario di lei che pian piano si stava calmando e
pensava fervidamente ad una soluzione per poter porre rimedio al
danno, ad una scusa da raccontare a Ville nel caso si fosse accorto
che c'era qualcosa che non andava e un piano per potersi liberare di
entrambi i suoi angeli custodi, di modo da poter stare da sola con il
suo principe.
Julian
inginocchiato davanti alla porta trafficava con la maniglia pendente,
borbottando tra sé in spagnolo.
«Va
cambiata, non posso fare niente per la maniglia, mi spiace... - disse
sconsolato girandosi a guardale - Forse... forse però posso
fare
qualcosa almeno per la serratura; se hai un po' di colla e farina,
possiamo chiudere la fessura dove va messa la chiave, sigillarla in
modo che... se il bastardo vuole entrare di nuovo, non ci
riuscirà.»
Lou
scrollò le spalle e guardò Nur in attesa della
sua risposta.
«Per
me va bene, purché quel coglione non provi di nuovo ad
entrare in
casa nostra! Non ci tengo proprio a ritrovarmelo ancora una volta
davanti! Stavolta non risponderei di me!” - rispose questa
sempre
più agitata e tremante.
«Vado
a prendere quello che ti serve, Julian...»-
tagliò
corto Lou,
girando sui tacchi correndo quasi in cucina.
Insofferente.
Ecco come si sentiva.
Voleva
restare sola, chiudersi in camera e rilassarsi con la sua gatta
accoccolata contro, la luce soffusa e un morbido cuscino sotto la
testa... le stava scoppiando un'emicrania con i fiocchi!
Prese
una tazza di farina e dal suo mobiletto in camera prelevò la
colla,
portandola velocemente a Julian che parlottava sottovoce con Nur.
Che
stavano tramando quei due alle sue spalle?
«Ecco,
Julian.»
- gli tese ciò che aveva nelle mani e
sbirciò Nur che a
braccia conserte e un cipiglio minaccioso osservava lo spagnolo che
allegramente si metteva al lavoro mescolando la farina con la colla,
creando una pappetta appiccicaticcia che spalmò come meglio
poteva,
usando solo le dita, nella fessura della toppa.
«Ci
vorrà un po' perchè si asciughi e diventi dura...
- annunciò
alzandosi sorridendo – quindi penso che resteremo qui fino a
che
non saremo sicuri che sia tutto ok!»
- gettò uno
sguardo in
tralice verso Nur, a chiedere conferma.
«Perfetto!
- concluse Nur soddisfatta – Aspetteremo qui!»
È
una congiura?!
“Voglio
stare sola... possibile che nessuno ci arrivi?”.
«Ma
non è necessario che voi rimaniate qui –
iniziò Lou con voce
calma – uscite come avevate programmato, vi prego: Ville
arriverà
fra non molto... e non c'è pericolo che Andrea torni
d...»
«Rimarremo
qui!»-
sbottò Nur in un tono che non ammetteva
repliche,
freddandola con un'occhiataccia.
«Già!
- le fece eco Julian, con un sorriso soddisfatto – Ho fame:
ordiniamo qualcosa?»
«Non
ho fame... - mormorò Lou tornando in salotto – Voi
ordinate
pure.»
«Tu
mangi.»
- decretò Nur, seguendola decisa.
Stava
per rimbrottare la sua amica, quando Julian si intromise leggero
nell'alterco che stava per nascere.
«Ragazze
so che dovete mantenere la linea, anche se siete già
stupende
così... - le abbagliò con un sorriso da pirata
– Ma io ho una
fame da lupi e devo nutrirmi, quindi – afferrò il
suo cellulare
tirandolo fuori dalla tasca dei jeans, scorse rapidamente la rubrica
con un
dito affusolato e scuro – Io ordino cibo.»
«Io
mi stendo un po'... mi è venuto mal di testa.»
Lou
non aspettò la risposta della sua combattiva acidissima
amica e
velocemente si rifugiò nella sua stanza, seguita da Katty
che fino a
quel momento si era tenuta nascosta sotto il divano.
Povera
tesorina! Chissà come si era spaventata.
Si
chiuse la porta alle spalle e senza neanche accendere la luce si tolse
tutto di dosso e si infilò dentro la sua magliettona larga,
sformata
e che lei adorava perchè la faceva sentire al sicuro e si
stese sul
letto.
La testa le pulsava dolorosamente e le faceva male il collo a
causa dei muscoli troppo contratti dalla tensione.
Katty
si sistemò sotto il suo braccio ripiegato dandole leccatine
affettuose di tanto in tanto.
Lou
la strinse a sé, affondando il viso nel setoso manto nero,
confortata dal suo calore e il rumore lieve delle fusa.
Impedì
con tutta se stessa alle lacrime di trovare la via attraverso le
palpebre, tracimando.
Andrea
non meritava tanto disturbo.
Rabbrividendo
si tirò sul corpo il piumone e tornò a
raggomitolarsi.
Voleva
Ville. Solo Ville.
«Lasciala
stare... - sussurrò Julian alle spalle di Nur che fissava
con aria
contrariata la sua amica che si nascondeva in camera, chiudendosi la
porta dietro – È solo un po' scossa dall'accaduto,
anche se cerca
di rassicurarci che sta bene.»
«Lo
so perfettamente! Non sono mica stupida: ricordati che è mia
amica e
ci vivo insieme da tre anni!»
Julian
sorrise dolcemente sentendo il tono di voce alterato di Nur: era
quasi più spaventata e scossa di Lou.
Le
accarezzò le spalle, massaggiandole piano la braccia.
Nur
era tesa come una asse da stiro e rimase rigida tra le braccia dello
spagnolo.
«Va
tutto bene ora, rilassati...»
- la voce calma e serena di
Julian
insieme al suo abbraccio caldo la sciolsero improvvisamente.
Con
sua grande rabbia, Nur scoppiò a piangere.
Per
tutta risposta lui la girò verso di sé
continuando a tenerla
stretta, accarezzandole i lunghi capelli scuri e sussurrandole di
stare calma.
«Ho
avuto paura che le potesse far del male ed io ero chiusa fuori dalla
porta, senza che potessi far nulla...»-
singultò
Nur, tra un
singhiozzo e l'altro.
«Ma
non è successo nulla di tutto questo, quindi ora
calmati...»
-
rispose Julian alzandole il viso con un dito sorridendole
intenerito.
Nur
tirò su col naso seccamente, il trucco che colava dagli
occhi,
sbirciò lui che le sorrideva; non sapeva cosa pensare, se la
stesse
prendendo in giro o meno.
A
corto di parole sensate, tornò a nascondersi tra le sue
braccia.
Era
confortante essere toccate da qualcuno senza che questi provasse ad
andare oltre... da quanto tempo non veniva abbracciata e tenuta
stretta in quel modo dolce?
Nur
non lo ricordava... Lasciò che quel momento durasse ancora
un po'.
In
cuor suo desiderò che non finisse mai...
Il
sogno era sempre lo stesso.
Lei
che camminava in un lungo corridoio che si stendeva all'infinito
davanti a lei, con innumerevoli porte chiuse.
Sentiva
il suo bambino piangere.
Sapeva
che era lui così come era certa del proprio nome, sapeva
che il
pianto che sentiva era del suo bimbo mai nato... lo cercava disperata
aprendo tutte le porte.
Il
sogno che di solito si interrompeva con lei che si svegliava urlando,
questa volta continuò a torturarla.
Inconsciamente
una parte di lei sapeva che si trattava di un sogno e voleva
svegliarsi.
Una
figura alta e sottile era in penombra molto più avanti,
quasi alla
fine del corridoio, di cui ora riusciva a vedere la fine.
“Ville!”
-
urlò chiamandolo, ma dalla sua gola
non uscì alcun suono.
Cercò
di correre incontro a quella figura amata, ma anche i suoi piedi non
riuscivano a muoversi rimanendo incollati al pavimento.
Lacrime
di frustrazione le scorrevano sulle guance.
“Aspetta,
ti prego!” -
urlò ancora disperata,
vedendo la figura girarle le spalle e camminare in senso contrario al
suo e allontanarsi da lei.
Con
un ultimo sforzo riuscì a muoversi, correndo in direzione
di Ville
che diventava sempre più piccolo...
Sentiva
dentro di sé un bisogno assoluto e devastante di trovarsi
tra le sue
braccia, stretta al petto magro di lui, riempirsi le narici del
familiare, amato, inebriante odore della sua pelle...
“Dio!
Ti prego, lasciami andare da lui” -
singhiozzò ancora, arrancando faticosamente lungo il
corridoio
infinito, faticoso come una salita.
Andrea
apparve all'improvviso davanti a lei, piazzandosi al centro del
corridoio per impedirle di passare.
“No!
Vai via, per favore...”.
Ma
già le sue braccia muscolose la stringevano, impedendole di
muoversi.
“Sei
mia. Non puoi amare nessun altro che me. Sei mia!”
- la voce di lui era crudele quasi come la stretta che la soffocava.
Non
riusciva più a muoversi, a respirare; un senso di impotenza
e di
abbandono la stavano sopraffacendo.
La
sua voce ormai era solo un sussurro e Ville diventava sempre
più
piccolo, finché svanì nelle ombre.
Sprofondò
sempre di più nel buio più totale, lasciandola
sola.
Qualcuno
le sussurrava all'orecchio di calmarsi... Andrea!
Si
divincolò furiosamente dalle braccia che la stringevano,
ansimando;
ma tornarono a serrarsi intorno a lei.
Odiava
quella voce, la stretta e il calore di quel corpo che si stringeva al
suo.
«'Prinsessa'
è un sogno, svegliati... *pikku
kulta... minun rakas, Prinsessa...»
-
la voce era carezzevole e roca.
Piccoli baci piovevano sul lobo dell'orecchio.
Non
era Andrea e le braccia che la stringevano non erano le sue... Ville!
Era
di nuovo con lei... Ville.
«Su...
svegliati, mia 'Prinsessa'...»
-
la voce la accarezzava, la
cullava, la
coccolava.
Tornò
nel mondo reale, con il cuore che ancora batteva velocissimo.
Odiava
quel sogno, odiava come si sentiva persa, debole e inerme.
Le
braccia però erano ancora lì, intorno a lei e la
voce di Ville le
accarezzava i sensi, così come le sue labbra le sfioravano i
capelli
e la pelle sensibile intorno al suo orecchio.
Non
stava sognando: lui era davvero lì con lei.
Quando
era arrivato? Perchè nessuno l'aveva svegliata?
«Ville...
- mormorò con la voce incrinata – sei
qui...»
Si
rintanò ancora di più nel suo abbraccio, curvando
il corpo di modo
che quello di lui racchiudesse il suo, come due piccoli cucchiaini.
«Devo
sempre svegliarti a furia di coccole e baci?” - le
bisbigliò
all'orecchio con voce sensuale.
Il
solo movimento della sua bocca così vicino al lobo le diede
brividi
lungo la schiena, facendole arricciare le dita dei piedi e venire la
pelle d'oca.
Le
mani di lui avevano catturato le sue, intrecciando le dita e tenendola
imprigionata, con le stesse che di tanto in tanto le accarezzavano il
dorso in modo languido.
«Sì...
- si lagnò lei liberando le mani da quelle di Ville per
abbracciarlo, girandosi per trovarselo a pochi centimetri dal
viso -
ciao...»
La
bocca gli si piegò lenta in un sorriso e gli occhi... dio,
gli
occhi!
Anche
nel buio della stanza erano due calamite che la attiravano, tenendola
incatenata.
«Ciao...»
- le rispose soffiandole sul naso.
Passò
febbrile la mano libera sulla sua schiena perfettamente modellata,
mentre l'altra bloccata tra i loro due corpi si mosse appena, per
posarglisi sulla pancia piatta.
«Sei
vestita... - la rimproverò ridacchiando – piccola
peste... non
esaudisci mai i miei desideri...»
La
mano scendeva lenta fermandosi sul bordo dei jeans... gli
sollevò
la maglia per toccargli la pelle bollente.
Ville
aveva la pelle più calda, liscia e voluttuosa che avesse mai
toccato...
Risalì
lungo la schiena, sfiorando con la punta delle dita la pelle
sensibile.
«Non
sono vestita...»
- gli rispose a bassa voce sussurrando le
parole
sul mento ispido di barba in ricrescita.
«In
ogni caso, hai troppa roba addosso, per i miei gusti...»
-
borbottò
cercandole le labbra.
La
mano posata sulla pancia di Ville si mosse cercando uno spazio nei
pantaloni, spazio abbondante vista la sua magrezza, sondando
curiosa... disegnando ghirigori striminziti.
Lou
tirò indietro la testa negandogli le labbra e premendo allo
stesso
tempo i propri fianchi contro quelli di lui.
Lui
ridacchiò divertito dal gioco.
«Mi
stai provocando, 'Prinsessa'?
- borbottò, muovendole ancora di più i fianchi
contro - Perché in
tal caso, questo gioco - la mano che prima era posata innocuamente
sulla vita sottile di Lou si mosse veloce prendendole un gluteo
tondo nella mano enorme, facendola aderire completamente a lui
– ... è
bello se giocato... e goduto, da ambedue le parti...»
Bastava
il tono della sua voce, unito al suo sguardo a farla accendere,
facendole scorrere come lava incandescente il sangue nelle vene... se
la toccava poi perdeva del tutto la lucidità e l'unica cosa
che
voleva era perdersi in lui... con lui.
La
mano di Lou scese giù lenta sulla schiena graffiandogli
leggermente
la pelle delicata con le piccole unghie corte, fermandosi
più volte
per tornare su, facendolo spazientire, trattenere il respiro,
contorcere e infine si infilò lì dove sembrava
fosse di casa.
«Allora
il tuo è un vizio... - la voce gli si arrochiva di minuto in
minuto
– pessima idea, 'Prinsessa'...
non ho fatto altro che immaginarti nuda da quando sono uscito da
questo letto stamattina...
È
stata una
tortura crudele, sentire il tuo odore incollato alla mia
pelle e non poterti toccare... baciare...» - il braccio su
cui lei
aveva posato la testa la avvicinò al viso di Ville, che le
sfiorava
leggero il viso con le labbra morbide e lisce, gli occhi... il naso,
la linea della mandibola, il mento.
Lou
sentiva che le orecchie le sarebbero andate a fuoco da un momento
all'altro.
Altro
che scena di seduzione!
Con
lui era tutto vano: bastava che la sfiorasse ed era già come
cera
molle fra le sue mani, pronta a fare tutto quello che lui le avesse
chiesto.
Tratteneva
il fiato, persa nel sortilegio della sua voce meravigliosa,
sensuale.
Con
un ultimo barlume di lucidità tornò a negargli il
viso, esultando
quando lo sentì grugnire contrariato.
Si
allontanò dal suo pericoloso corpo, che seppur magro era
capace di
ispirarle un'eccitazione smisurata, sensualità oscura,
irresistibile.
«Dove
credi di andare?” - sibilò Ville cercando di
riprenderla tra le
sue braccia.
«Stai
fermo... - gli rispose sorridendogli – Non
muoverti...»
Gli
occhi gli mandarono bagliori verdi; divertito e curioso si
riadagiò
contro i cuscini con le braccia infilate dietro la testa, lo sguardo
fisso al viso accaldato di Lou.
Gli
salì a cavalcioni stando attenta a non toccarlo con nessuna
parte
del corpo.
«Mi
sei mancato... - gli sussurrò guardandolo negli occhi, il
bellissimo
viso illuminato dalla sola luce bianca della luna che filtrava
attraverso la finestra – ti ho pensato anch' io tutto il
giorno,
non ho smesso un secondo di volerti accanto a me... - toccò
con la
punta delle dita la pelle scoperta dell'addome, sorridendo sentendolo
sospirare – di sentire la tua pelle contro la
mia...»
– posò
entrambe le mani premendo percorrendo tutto il lungo busto di lui,
sfiorandogli i capezzoli.
Ville
sollevò i fianchi automaticamente gemendo piano.
« 'Prinsessa'...
- sospirò rauco indeciso se tenere gli occhi chiusi o
aperti – mi
stai torturando...»
«Mi
è mancato il tuo odore...»
- continuò
Lou ignorandolo chinandosi
a sfioragli la pelle con la punta del naso.
Baciò
l'ombellico seguendo i contorni del suo Heartagram con le labbra, le
mani che continuavano ad accarezzargli il petto e il collo; gli
sfiorò
le labbra con le dita che lui prontamente prese tra i denti,
mordicchiandole piano.
Seguendo
il suo esempio morse la carne sul fianco ricevendo un grugnito a
gratificarla.
«Ti
prego... - sussurrò alzandosi improvvisamente a sedere
prendendole
il viso tra le mani, baciandola impetuosamente, tirandosela addosso
–
Lou... posso... baciarti... per favore...?»
Sentire
la bocca di Ville sotto la propria, la lingua che accarezzava
languida la sua, fece andare a monte tutti i suoi piani di
Lou-Che-Gioca-a-Fare-la-Femme-Fatale.
«Lasciami
fare, Ville... - gli mormorò contro la bocca tra un assalto
e
l'altro – Per favore, lascia che io ti ami...»
Lui
lasciò a fatica che si allontanasse, fissandole rapace le
labbra.
«Va
bene... – gracchiò a voce strozzata –
Vuoi farmi lentamente
morire stanotte? Mia piccola, crudele, incantatrice...»
Tornando
in sé quel tanto che bastava per non buttarglisi addosso
senza
ritegno, Lou si sollevò sistemandosi di nuovo a cavalcioni
su di
lui.
Sorrise
al movimento impercettibile dei suoi fianchi che si muovevano sotto
di lei.
Era
adorabile e impaziente, il suo bellissimo e oscuro principe.
Gli
sfilò lentamente la maglia seguendo il risalire della
stoffa con le
labbra.
Si
fermò a baciare, mordicchiare, succhiare ogni centimetro del
suo
addome tatuato, esaltata dal potere che sentiva di avere su di lui,
gioendo della risposta di Ville ad ogni suo cambiamento, ad ogni
omaggio che faceva al suo corpo.
Quando
toccò il bordo dei jeans sbottonando il primo bottone lui
la aiutò
quasi strappandoli via dalla fretta di rimanere nudo,
togliendoglieli dalle mani e lanciandoli fuori dal letto.
«Come
mai sei “vestito”?»
-
ridacchiò Lou tirandogli l'elastico dei
boxer neri che aderivano perfettamente intorno ai suoi fianchi magri.
«Non
potevo andarmene in giro tutto il giorno a fare interviste con il
pisello ciondolante, 'Prinsessa'...
- le rispose afferrandole le mani per spingergliele sul sesso,
chiaramente e visibilmente eretto – data la mia prepotente
eccitazione che è durata tutto il giorno, non sarebbe stato
bello
da vedere...»
Lou
rise, allontanandogli le mani, sfiorandogli le cosce.
«Non
sono così sicura che sarebbe stato un brutto spettacolo,
anzi...»
«Toccami...»
- la implorò sfidandola con gli occhi.
Le
labbra schiuse e gonfie.
“Adesso
gli faccio male se non la smette di guardarmi così... e al
diavolo
le buone maniere!
E
anche i preliminari!”.
«Hai
fretta, Valo? - si sedette sulle cosce prendendosela comoda. Tolse
con gesti lenti e studiati la sua maglietta sbrindellata e vecchia,
lanciandogliela sulla faccia.
«Me
la paghi...»
- minacciò Ville stringendo gli occhi
verdi in due
fessure, senza staccare gli occhi dai seni nudi di Lou.
“Quasi quasi continuo ancora per un
po'...mi piace questo
gioco...”
Si
sciolse i capelli che le stavano facendo male tenuti troppo stretti
dentro l'elastico e li scosse facendoli piovere intorno a
sé,
talmente lunghi che finivano quasi sulle ginocchia di Ville.
«Mi
piacciono i tuoi capelli – sussurrava Ville – mi
piace sentirli
addosso... vorrei che fossi sempre vestita solo dei tuoi
capelli...»
Allungò
una mano prendendole una ciocca lisciandola per l'intera lunghezza.
Si
piegò di nuovo baciandogli ancora una volta il torace,
lentamente e
senza alcuna fretta... sentendolo trattenere il fiato, borbottare
quando lei si fermava.
Gli
fermò le mani che dai fianchi salivano su a cercarle il seno.
«Sta'
buono, Valo...»
Gliele
strinse, intrecciando le dita a quelle di lui... amava le sue mani.
Calde,
eleganti, enormi... il modo in cui le muoveva quando la toccava...
Rabbrividì.
Prese
a baciarle: dapprima sul dorso, poi ognuna delle lunghe dita, infine
il palmo...
La mano si chiuse sul suo viso, per poi scendere sulla
gola.
Premette
il pollice ai lati del collo sorridendo sentendo il battito
accellerato del cuore di Lou.
«**Pikku
noita...»
-
bisbigliò ad occhi chiusi.
Gli
sorrise estatica.
La
voce di Ville era già magica, erotica e sexy normalmente:
quando
parlava nella sua lingua lo diventava ancora di più, se
questo fosse
mai possibile.
La
mano si spostò dietro la nuca bloccandola,
infilò le dita tra i
capelli attorcigliandole intorno ai ricci, tirandola inesorabile,
senza via di scampo verso le sue labbra.
L'altro
braccio la strinse alla vita tenendola ferma.
«Presa...»
- alitò sulle labbra dischiuse di Lou.
Maledetto,
lui e la sua voce!
«Non
vale...»
- disse Lou baciandogli le labbra tese in un
sorriso da
satiro.
«Mi
hai provocato tu... non scherzare col fuoco, 'Prinsessa'...»
«Che
paura... che vuoi far...»
- iniziò a prenderlo in
giro prima di
ritrovarsi sulla schiena, con lui a cavalcioni sopra.
Lesto
come un giaguaro... altrettanto pericoloso, pensò con un
brivido di
eccitazione.
«Adesso
farai tutto quello che ti dico.»
- con gli occhi mandavano
lampi
divertiti le prese le mani posandosele sul petto.
«Non
ci penso neanche, Valo! Mi hai rovinato la scena di
seduzione...»
-
si lagnò Lou pizzicandogli il piccolo capezzolo maschile.
Ridacchiò
mordendosi le labbra.
«Non
hai bisogno di sedurmi, 'Prinsessa',
né di stupirmi con gli effetti speciali per portarmi a
letto... - le
si strofinò addosso lentamente - O farmi
eccitare...»
- con un
unico movimento fluido le passò la lingua calda
dall'ombellico fino
al collo, dove iniziò a mordicchiarla esattamente
lì, nel punto che
aveva scoperto. E che non mancava di stimolare senza pietà
ogni
volta che voleva piegarla al suo volere...
Quando
lui la baciava, o semplicemente la sfiorava lei iniziava a tremare
perdendo il controllo, lasciandosi andare.
«Sei
sleale...»
- mugolò Lou reclinando il collo
all'indietro
lasciando che lui facesse esattamente ciò che più
desiderava.
«Sì...
e scommetto che a te piace, piccola strega...»
“Ci
puoi giurare... ciao cervello. Ciao.”
Si
contorse impaziente sotto il corpo di Ville, agguantandogli il sedere
ancora costretto dentro i boxer.
«Fai
la brava, Zarda...»
- la prese in giro smettendo di baciarla
per
strofinarle le labbra sull'orecchio, torturandole il lobo,
succhiandolo voluttuosamente.
“Che
dolce vendetta...”
Stava
per andare a fuoco.
«Non
muoverti...»
Fermò
le braccia di Lou sopra la testa tenendogliele con una sola mano
mentre le baciava il collo, scendeva giù in mezzo ai seni.
La mano
libera le tirava giù l'elastico dello slip bianco con una
lentezza
snervante... Prima una gamba e poi l'altra, fermandosi a baciarle i
fianchi.
«Ville...
per favore...»
«Cosa?
- le chiese con un ghigno la voce roca e bassa, gli occhi socchiusi,
passandole le dita lungo le gambe – cosa vuoi,
'Prinsessa'?»
Lou
allungò una mano tentando di tirarlo versò di
sé.
Lo
desiderava da impazzire, sarebbe morta in quell'istante se lui non si
fosse deciso ad andare avanti.
«Volevi
giocare, mia piccola incantatrice... - le si stese addosso
catturandole le mani che lo toccavano, tenendogliele allargate sulle
lenzuola. - ora giochiamo, ma decido io come...»
“Tutto
ciò che vuoi...»
«Stai
ferma, 'Prinsessa'...»
- le bisbigliò prima che il mondo iniziasse a vorticarle
intorno.
Lento...
così lento...
Struggente...
dolcemente doloroso...
Arcobaleni
in fiamme, cadiamo insieme, camminiamo nel fuoco senza bruciarci...
Non
siamo più corpi, siamo dissolti, vorticanti anime in
fiamme...
Non
fermarti... non farlo...
Continua a toccarmi, continua a consumarmi,
continua finché non ti svanisco fra le dita, continua...
continua...
I
respiri ancora affannosi, la fronte di Ville sulla sua, tremanti e
senza più forze, il piacere che ancora scuoteva i loro
corpi.
Le
braccia e gambe di Lou lo stringevano con forza, tenendolo
schiacciato sopra.
Voleva
essere una cosa sola con lui... baciò la spalla ossuta che
gli aveva
morso poco prima, gli baciò i capelli sudati scostandoglieli
dal viso.
«'Prinsessa'...»
- il tono di voce tremante.
Ville
si mosse per liberarsi dal groviglio di braccia e gambe.
«No!
- lo strinse ancora di più – ti prego, non
toglierti... voglio
sentirti ancora... rimani dentro di me, Ville...»
«Non
voglio pesarti addosso...»-
le bisbigliò sul collo.
«Non
mi fai male... non muoverti ti prego... rimani... voglio tenerti
dentro di me...»
“Per
sempre”.
Ma
non glielo disse.
******
*Piccolo
tesoro, mia preziosa Prinsessa
**
Piccola strega
ADA:
Saaaaaaaaaaaaaaaaaalveeeeeee!!^-^
Sì,
sono
viva. e sì, sto benissimo!
Ultimamente
siamo state
(plurale Majestatis: segno di delirio di onnipotenza? Naaa...
è che la superficie da gestire è vasta...Ps:
Sì sto delirando. Di nuovo. )
Da
dove inizio? Beh, la
primavera è alle porte... sono arrivate le rondini perfino
nella mia fredda landa deserta!
Si
risvegliano i sensi
(non che i miei si fossero mai assopiti... xD).. ci sono i fioooori, le
farfaaaalle, la gente si denuda e scopre le
beltààà... e io non potevo non farmi
trascinare da questa frenesia generale nella smania da sindorme da
riproduzione, vi pare? Quindi, eccovi Ville, eccovi il miele, eccovi la
copulation! Evviva l'ammoooore!
Qualcuno
mi aveva
rimproverato di non vedere Ville da ben due capitoli e ora vi faccio
venire il diabete! Spero che siate pronte per i prossimi capitoli,
perchè la mia vena romantica è venuta fuori in
ogni sua sfaccettatura!
Quindi
portatevi barili
di acqua e anche un secchio... non si sa mai!xD
Mi
preme ringraziare
come sempre la mia preziosa Beta Deilantha,
senza
la cui vista acuta questa storia sarebbe piena di strafalcioni! xD
E
tutte quelle dolci
donzelle che hanno commentato il capitolo precedente: katvil
(Fava-Pisella
n°2), IlaOnMars6277,
arwen85,
apinacuriosaEchelon,
Villina92,
Lady
Angel 2002, _TheDarkLadyV_,
FloHermanniValo
(Fava-Pisella
n°1), Izmargad,
x_LucyW,
Inoltre
un enorme grazie
anche a Sara aka LaReginaAkasha,
che le sue recensioni me le fa in privato, alle mie due socie:
cla_mika
Claudia
e *Venus_Doom* Giulia, che hanno da poco inziato a leggerla, e
a Madda del
nostro
gruppo finferlesco "Tears for HIM": Grazie mie
finferlesse! <3
Grazie
infinite per
l'affetto costante!
Spero
che la Musa sia
sempre così generosa come in questo periodo felice! E che
questo capitolo vi sia piaciuto.. vaneggi dell'autrice a parte! XD
Il
titolo di questo
capitolo, è ovviamente stato ispirato da quella splendida
canzone che il nostro Ville ama tanto: "Fade
Into You"- Mazzy Star.
Sono
in fissa con
innumerevoli canzoni di questo duo, tanto che vanno in loop fisso sul
mio Spotify...( per la gioia dei miei seguaci!!) Conoscevo
questo gruppo solo per un'altra loro song, legata anch'essa ad un
periodo altrettanto bello della mia vita: ("Into Dust": cercatela da
voi sul tubo!). Fatto sta che trovo che questo testo, oltre che essere
stupendo si sposi benissimo con quello che Lou prova per Ville e che
piano piano (promesso, al prossimo vedrete...) lei sta accettando e
vivendo come merita...
Un
bacio a tutte!
*H_T*
|
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Capitolo 17 *** Capitolo sedici: "My Lord, my love..." (Take care of the ones you say you love...) ***
testo.
Capitolo
sedici
"My lord, my love..."
(Take care of the ones you say you love...)
Aprì
gli occhi di scatto.
Allungando
una mano accanto a sé sperò di trovare il corpo
caldo di Ville ma
il posto era vuoto e freddo.
Aveva
sognato tutto?
No.
Non
era possibile: quando si era buttata sul letto ore prima, in cerca di
silenzio e buio lasciando fuori i suoi amici che giocavano a fare le
guardie del corpo, aveva indosso solo la sua maglia preferita.
Invece
ora era nuda.
E
a meno che non avesse iniziato a svestirsi e girare per casa come una
sonnambula, voleva dire che Ville era stato davvero lì.
Si
mise a sedere ancora intontita dal brusco risveglio e nel buio della
stanza, lo vide.
Era
in piedi davanti alla sua porta- finestra, nudo.
Fissava
all'esterno.
Non
riusciva a vedere la sua espressione, ma sembrava meditabondo...
Sarebbe
rimasta a guardarlo per il resto della notte se fosse stato per lei.
La
luce che proveniva dall'esterno illuminava a stento il suo corpo
magro, sottile e scattante, liscio e senza muscoli...
Il
suo Elfo...
«Ehi...»
- sussurrò per non spezzare l'atmosfera.
Lui
girò appena il viso dalla sua parte, tornando subito a
guardare
fuori, come se non l'avesse udita.
Lou
sentì un brivido freddo correrle su per la schiena.
Era
cambiato qualcosa.
Lo
stomaco le si contrasse.
Si
impose di restare calma, senza iniziare a farsi ogni possibile idea
sbagliata come suo solito.
Si
alzò lentamente dal letto per avvicinarglisi.
«Non
hai freddo qui?»
Lo abbracciò da dietro quando lo
raggiunse,
posando il viso sulla sua schiena baciò più volte
la scapola,
passandogli le braccia intorno alla vita sottile.
Inalò
l'odore della sua pelle che sapeva anche un po' di lei.
Rimaneva
rigido tra le sue braccia, senza ricambiare il suo abbraccio o
rispondere alla sua domanda.
Una
paura fottuta.
Ecco.
Ora
aveva una paura fottuta.
Temette
di aver detto o fatto qualcosa senza volerlo, di averlo offeso e
magari non se n'era neanche resa conto.
Cercò
il motivo di quell'atteggiamento così diverso da poche ore
prima,
arrovellandosi.
«Ville?
- lo chiamò tentando di mantenere la voce calma e serena
– Va
tutto bene?»
Le
braccia di lui rimanevano lungo il corpo senza prendere le sue mani,
come avrebbe fatto normalmente o intrecciarle alle proprie.
Silenzio.
“Calma.
Resta calma e non farti prendere dal panico.”.
Le
sembrò che passasse un'infinità di tempo.
Ma
rimase in attesa posando la fronte sulla sua schiena liscia.
«Sei
ancora innamorata di lui?»
La
domanda fatta a bruciapelo diretta e secca come era suo solito, la
bloccò.
E
il tono era freddo e metallico, come se non gli importasse affatto
della risposta che lei gli avrebbe dato.
«Co-cosa?»
- balbettò come un'idiota.
«Hai
capito bene.»
Trattenne
il fiato.
“Ti
prego, non parlarmi così...”.
Inutile
girarci intorno.
Certo
che aveva capito: non era una stupida e soprattutto non lo era lui.
Si
chiese se i suoi amici gli avessero raccontato tutto quello che era
accaduto qualche ora prima.
Avevano
fatto l'amore? Se sì, allora non aveva mostrato nulla in
quel
momento... anzi, l'aveva svegliata nel modo più dolce del
mondo.
«No,
Ville. Non sono innamorata di lui.»
Posò la
fronte al centro
della sua schiena rigida sfregandola lentamente contro la sua pelle
liscia.
Silenzio.
«Ville...
- gli bisbigliò sulla pelle – Non è lui
che amo.»
“Ecco.
E 'fanculo alla dichiarazione romantica!”
Nessuna
reazione visibile.
Si
avvicinò maggiormente al suo corpo premendovi il proprio
aderendo
con la pancia ai suoi glutei, con il seno alla schiena... strofinandosi.
Niente.
“Che
uomo di ferro.”.
«Continui
a sognarlo. Continui a chiamare il suo nome mentre sogni.»
“Imbecille.Idiota.Cieco.Di.Un.Finnico.Testardo.”.
«Non
sono sogni, Ville... sono incubi.»
Le
mani di Lou salirono lungo il suo petto, accarezzandolo poi
stringendolo forte.
«Non
mi piace sentirti sospirare in sogno, piangere o qualsiasi altra
cosa tu faccia se lui è presente.» -
sbottò.
Le
venne da ridere per il sollievo.
Si
trattenne e continuò a vagare con le mani e le labbra sulla
sua
pelle.
«Uhm...
è solo per questo che te ne stai qui, imbronciato e con le
beltà al
vento?»
Giù
per le costole, contandole una ad una...
Ville
bloccò le sue mani appena sotto l'ombelico.
“Guastafeste”.
«Nur
era isterica e Zorro
non vede l'ora di salvarti dal losco individuo,
tu invece non sembri per niente preoccupata! Cazzo, 'Prinsessa',
non prenderla alla leggera!» -
sibilò,
prendendola bruscamente
per le braccia mettendola di fronte a lui per vederla meglio e non
farsi distrarre dalle sue mani, probabilmente.
«E
tu? - gli chiese Lou guardandolo fisso, osservando bene la sua
espressione alterata. Possibile che fosse così dannatamente
bello e
perfetto anche quando era arrabbiato? - Tu invece cosa
pensi?»
“Adesso
mi mena...”.
«Io
gli strappo il cuore a morsi se solo osa toccarti ancora.»
“W.O.W.”.
«Ville,
la state prendendo tutti troppo sul tragico: lo conosco e ricordati
che è stato il mio fidanzato per nove anni... a volte si fa
prendere
dalla rabbia, ma non mi farebbe mai del male.» -
liberò una mano
per accarezzargli il viso e per tranquillizzarlo.
Perché
non sopportava di averlo così vicino e non essere in
contatto con
lui...
E
perché moriva dalla voglia di sentire la sua pelle contro il
palmo
delle mani.
E
perché lo amava...
«Ne
sei sicura? Nur non è dello stesso parere.»
Gli
occhi verde giada mandavano lampi.
“Lou!
Smettila immediatamente di volergli saltare addosso! Sta cercando di
parlare di cose serie...”.
I
suoi ormoni ignoravano allegramente la sua coscienza e fissava
incantata il viso di Ville alla luce debole dei lampioni che filtrava
attraverso la finestra.
«Lou?
…» -
lui alzò un sopracciglio
richiamandola, perplesso dalla
sua faccia evidentemente inebetita.
«Eh?
Ah sì... - si
schiarì la voce e distolse a fatica lo sguardo dal
viso che la deconcentrava – Sì... ne sono
sicura... Certo...»
Si
chiedeva se nel frattempo avesse anche sbavato.
Senza
attirare la sua attenzione controllò che tutto fosse a
posto.
Sì,
non aveva sbavato.
Per
poco.
Lui
continuava a guardarla come un falco.
In
attesa.
«Smettila
di preoccuparti, Ville.»
“E
baciami.”
«Ti
vedo distratta, 'Prinsessa'.»
- disse serio ma gli
occhi avevano decisamente luccicato, divertiti.
“Ah,
maledetto gattone...”.
«Mi
sto congelando... e questa discussione non ha senso. Vieni a
letto.»
“Ecco.
Brava! Così, breve e concisa. Decisa.”.
Lui ridacchiò ma era certa
che avrebbe voluto scuoterla.
Sembrava
a metà tra l' irritato e divertito.
Sfruttò
l'ipotesi della seconda opzione e si avvicinò buttandogli
le
braccia intorno al collo.
Il
ghigno di Ville si allargò.
“Maledetto.”.
«È
la primavera che ti fa questo effetto, mia 'Prinsessa'?»
- la prese in giro, passandole le mani sui fianchi.
«Quale
primavera? Siamo sotto zero, voi e questo clima impossibile... -
schiacciò il seno sul petto scarno e tatuato – no
sei tu che mi
fai questo effetto, Valo... solo tu.»
Pollice
in su da parte dei suoi ormoni e cenno d'assenso di una coscienza
ormai alla deriva e senza vergogna.
«Sei
parecchio scorretta, 'Prinsessa'...
- le labbra ormai
erano vicine alla meta e lei attendeva con ansia che arrivassero
dritte al sodo – molto, molto scorretta a distrarmi con le
tue
grazie, per evitare discorsi scomodi...»
Gli
prese la testa tra le mani avvicinandolo a sé,
stringendogli i
capelli sulla nuca e tirandoli indietro dolcemente per baciargli il
mento.
«Cavolo
Valo, quanto parli...»
Gli
disse prima di prendere l'iniziativa e zittirlo.
Qualche
minuto dopo il chiacchierone con le labbra rosse dai baci alternati ai
morsetti e sveglio in ogni senso e con ogni parte del corpo, si
staccò col fiato corto.
Aprì
la bocca per dire qualcosa, ma Lou lo bloccò con un dito.
«E
ora portami a letto.»
******
Il
mattino dopo quando aprì nuovamente gli occhi, era ancora
una volta
sola nel letto.
“Valo
proprio non ci resisti, eh?...”
Voci
tranquille alternate a risatine provenivano dal salotto.
Sbadigliò
tanto da slocarsi la mascella: stava morendo di sonno.
Guardò
l'orologio sul display: le undici!
“Cacchio!”.
Si
trascinò fuori dal letto con un altro sbadiglio e posando un
piede a
terra inciampò nella maglietta di Ville.
Ah,
menomale era ancora in casa... a meno che non fosse fuggito via in
mutande, pensò acida.
Infilò
la biancheria e l'enorme maglia che aveva tolto durante il suo
patetico tentativo di sedurre il finnico.
Strinse
gli occhi ancora rimbambita dal risveglio e dalla luce forte e
bianca che la accecò non appena apparve in salotto.
Non
seppe dire se fosse improvvisamente saltata in buco temporale e si
ritrovava in una spiaggia di Malibù.
Fissò
i tre,
quattro compresa
la felina, che tranquilli e beati ridacchiavano allegri facendo
colazione. Mezzi nudi.
«Buongiorno, 'Prinsessa'...»
-
Ville le sorrise malizioso al di sopra
della tazza di caffè che stava bevendo.
IL
SUO CAFFE'.
Come
osavano bere il suo caffè? E che ci facevano tutti mezzi
nudi nella
sua cucina? E perché LUI non era a letto coperto fino alle
orecchie
invece di andarsene in giro per casa a mostrare quello che doveva
mostrare solo a lei?
“Dacci
un taglio.”.
Ville
per lo meno aveva addosso i suoi jeans scuri; agli altri due mancava
solo una palma e un paio di occhiali da sole per completare il
perfetto quadretto dei “tipi da spiaggia”.
Nur
aveva solo un top bianco corto e striminzito che più che
coprire
metteva in mostra tutta la mercanzia, indossato sopra degli short
altrettanto bianchi, corti e stretti.
Lo
spagnolo invece, dai riccioli scompigliati e selvatici, era a petto
nudo e con solo i boxer azzurro elettrico a coprire il suo fisico,
che lei finse non senza sforzo, di non aver notato.
«Ehi,
Eva ti abbiamo svegliato?» - le chiese
sorridendo Julian con
la
bocca piena, non senza prima averle guardato bene le gambe
generosamente scoperte.
«Ehm,
ciao..» -
borbottò imbarazzata Lou correndo
dietro il divano per
evitare lo sguardo impudente di Julian.
«Oh,
non fateci caso: lei è sempre di ottimo umore al mattino,
vero
cara?» - Nur
imburrava la sua fetta di pane tostato
ridacchiando.
“Sta'
zitta tu, spogliarellista sfacciata!”.
«Esci
da lì dietro, 'Prinsessa':
non ti mangiamo, promesso...
non ancora.»
Il
ghigno di Ville stava toccando le orecchie e la guardava con la testa
piegata di lato, sbirciando anche lui le sue gambe nude.
“Lo
strozzo.”.
Alzò
il mento e si avvicinò impettita all'isoletta in cucina,
fiondandosi
sul caffè che ancora fumante le solleticava le narici col
suo
familiare aroma.
Si
pentì di non aver messo i pantaloni della sua tuta; si
sentiva nuda
con la sola t-shirt a coprirle il sedere.
Il
finnico la teneva sotto stretto controllo con i suoi laser verdi non
smettendo di ghignare un secondo, sorseggiando voluttuosamente il suo
caffè.
“Maledetto.”.
I
ricordi della notte appena trascorsa le balzarono tutti insieme alla
memoria facendola avvampare.
Si
nascose dietro la tazza, cercando inutilmente di non fargli vedere
che era arrossita come un'adolescente.
Ville
allargò il sorriso da Stregatto come leggendole nel
pensiero.
Le
tese la mano chiedendo tacitamente di andargli vicino.
Lei
strinse gli occhi fulminandolo ma come una falena attratta dalla
fiamma non poté evitare di andargli incontro,
accontentandolo.
Sarebbe
stato lo stesso se le avesse chiesto di saltare nuda attraverso un
cerchio di fuoco: avrebbe storto il nasino e borbottato ma lo avrebbe
fatto.
La
tirò a sé tenendole stretta la mano, poi le
passò un braccio
intorno alla vita, posandole un bacio leggero sul naso ridacchiando
sotto i baffi.
Anche
solo averlo vicino le faceva cedere le ginocchia.
«Hai
dormito bene, 'Prinsessa'?»
- le chiese con voce
angelica.
«Benissimo,
grazie.» - rispose
piatta lei.
Gli
altri due che fingevano di essere impegnati con la loro colazione
mentre in realtà non si erano persi una virgola della
scenetta,
scoppiarono a ridere.
Lou
divenne rossa come un pomodoro.
«Certo,
come no...» - rise Nur
mordendosi le labbra piene.
Le
dita lunghe e magre di Ville le solleticavano il fianco e i suoi
occhi di certo non facilitavano le cose, mentre la sua coinquilina e
il suo aiutante pazzo se la ridevano di gusto.
«Oh,
finitela di ridere!» -
sbottò Lou col viso in
fiamme.
«I
muri sono così sottili...» -
sospirò
teatrale Nur.
«E
poi siamo contenti per te: abbiamo fatto il tifo per Valo per
tuuuuuttto il tempo!» -
rincarò la dose Julian.
Lou
boccheggiò.
«Siete...
siete... disgustosi! Tutti e due!»
«Ville?
Caro, potresti dire a suor Lucia che stanotte non ci sembrava
così
contrariata?»
«Dai
smettetela di prenderla in giro... lei tenta di resistermi ma
proprio non ce la fa...» -
continuò lo Stregatto,
dando man forte
ai due simpatici umoristi del mattino.
Ville
sollevò il viso per guardarla meglio abbagliandola con un
sorriso
letale.
«Vi
odio.»-
sentenziò lapidaria Lou sedendosi sulle
ginocchia di
Ville che era appollaiato su uno degli sgabelli alti.
Per
qualche istante dimenticò chi era e chi ci fosse nella
stanza con
lei, persa com'era nel verde meraviglioso dei suoi occhi.
Alla
luce del sole erano ancora più chiari e ora vi notava
pagliuzze
marrone chiaro e oro; allungati e leggermente in su con le lunghe
ciglia scure a fare da cornice...
Gli occhi di un gatto sornione che
la stavano amabilmente prendendo in giro e che fissavano le sue
labbra.
Bene,
almeno non era la sola ad avere pensieri sconci di primo mattino.
“Ciao
Valo... sei perfetto e io ti adoro.”.
Avrebbe
tanto desiderato baciarlo: si limitò invece a posargli un
bacio sui
capelli legati dietro la nuca col suo amato cipollotto scomposto.
«Oh
no, adesso ricominciano a tubare... Julian, magari è meglio
andare
via prima che inizino a fornicare sul tavolo...» - Nur rise
scuotendo la testa.
«Piantala!»
- disse Lou troncando la risposta pronta dello spagnolo, non
staccando gli occhi da quelli di Ville.
L'idea
non era malaccio, in effetti...
Sorrise
ai suoi pensieri ormai senza freno, cogliendo un guizzo negli occhi
di lui... bene... stessi pensieri.
«Non
sul tavolo, magari...» - disse Ville
ridacchiando rilassato.
Era
così bello vederlo lì nella sua cucina mal
ridotta, assolata come
di rado capita in Finlandia, con due delle persone a cui lei voleva
più bene.
Aveva
una leggerezza nuova nel petto che la faceva sentire viva, che le
acuiva
tutti i sensi.
Aveva
paura a dirlo, aveva paura perfino a pensarlo, ma era felice.
Nonostante
tutto.
Lei
era felice.
Lui
era lì, con lei.
La
teneva sulle gambe, una mano posata sul fianco a stringerla a
sé;
ogni tanto quella mano si spostava verso l'incavo dei reni e saliva a
sfiorarle la schiena, il braccio...
Tracciando
sentieri che lui conosceva bene e che aveva percorso più
volte con
le labbra, la notte prima.
Si
rese conto che se lui era lì con lei niente e nessuno aveva
importanza.
Niente
le faceva paura.
Sentiva
dentro di sé la forza di mille Lou.
Era
pronta a superare qualsiasi ostacolo le si ponesse davanti; che fosse
il suo ex imbecille o una stangona sexy e dalle gambe lunghe che
cantava con il suo principe oscuro entrando a piacimento nella sua
Torre, quando lei non ci aveva ancora mai messo piede... non le
importava di niente.
Assolutamente
niente.
Lei
aveva Ville.
Come
non lo aveva nessun altro.
Lei
aveva Ville e lui... aveva lei.
Completamente,
indissolubilmente, senza alcuna via di fuga.
Lui
aveva Lou... e Lou ne era felice.
*******
Domenica
mattina.
Ma
non una domenica mattina qualunque.
Gli
occupanti della casa se ne stavano stravaccati in diverse zone del
salotto, chi leggendo, chi limandosi le unghie, chi a piedi nudi
infilato dentro un paio di jeans scuri, con l'aria più
rilassata del
mondo elargiva coccole ad una felina in estasi.
Lou
osservava tutti con occhio critico mentre rimetteva ordine nel caos
lasciato da Nur in cucina.
Non
gliela davano per niente a bere... le
stavano piantonando casa per paura che Andrea potesse tornare.
«Non
avete impegni oggi?» - chiese Lou
asciugando le tazze che
avevano
usato per la colazione.
«Io
no – rispose lesto Julian piegando la testa all'indietro per
guardarla – sono liberissimo oggi: non ti diamo mica fastidio
vero?»
«No,
certo che no...»
“Se
magari la finite di fare le guardie del corpo...”
«Tu
Nur? Non hai nessun party, shopping, nulla di nulla?»
«No,
oggi voglio rimanere a rilassarmi a casa...» - le rispose
la
sua
amica continuando a limarsi le unghie con aria annoiata.
Guardò
Ville interrogando anche lui con lo sguardo.
Lui
ricambiò lo sguardo con gli occhi che ridevano.
«Ah,
io avevo intenzione di passare tutta la giornata a letto con
te.»
-
disse a voce bassa e roca.
Lou
vide mentalmente la sua mascella cadere a terra.
Bene!
Un vero e proprio piano a difesa del fortino di Lou!
Sbuffò
sonoramente sbirciando Ville che non la mollava con gli occhi
neanche per un secondo.
«Non
sei d'accordo 'Prinsessa'?»
Le
dita lunghe ed eleganti del finnico lisciavano lente il pelo lucido
di Katty ed entrambi la guardavano curiosi.
Due
paia di occhi felini.
Si
schiarì la voce rendendosi conto che tutti ora la guardavano
in
attesa.
“Oh,
andiamo! Tutto ciò è ridicolo!”.
«Certo
che sì!» -
commentò cercando
inutilmente di darsi un contegno.
Risatine.
Lou
aveva voglia di urlare e prendere tutti a calci e buttarli fuori da
casa sua.
Beh,
quasi tutti.
«Vado
a farmi una doccia.» - disse
evitando in tal modo la strage
che
stava prendendo forma nella sua testolina.
«Da
sola?»- chiesero in
coro Nur e Julian poi scoppiando a
ridere
guardandosi.
“Oh,
che bello... il festival dell'umorismo non accenna a
svaporare!”.
Non
li degnò di una risposta.
Ville
si alzò con mosse sinuose lasciando Katty contrariata sul
divano.
«Ovviamente
no...» -
sussurrò accentuando la
sensualità della voce con un
ghigno.
«Non
posso deludere la mia platea!»-
si giustificò
allargando le braccia fintamente sconsolato, trattenendo a stento
l’impulso di ridere in faccia a Lou che aveva chiazze rosse
su
collo e aveva le orecchie di un colore rubino.
«Siete
impossibili!» -
urlò Lou sbattendo la porta del
bagno chiudendo
fuori tutti.
Che
se la ridevano alle sue spalle.
«Dio,
dammi la pazienza...» -
sbottò prima di infilarsi
sotto l'acqua.
Pochi
istanti dopo ridacchiava anche lei.
*******
«Che
ne dite di andare a fare un giro? Non siete stanchi di stare qui al
chiuso?»
La
proposta di Julian arrivò qualche ora più tardi.
Il
bivacco nel salotto continuava.
Per
lo meno avevano deciso di coprirsi e chiudere lì il gioco
“Ken e
Jasmine al mare”.
Aveva
portato a Ville la sua maglietta verde scuro sventolandogliela sotto
il suo nasino perfetto, con un sopracciglio alzato come faceva lui.
Non
pensava di aver avuto successo ma bene o male lui si
rivestì
ridendo sommessamente.
«Non
ci penso nemmeno...» –
rispose Ville allungandosi
in tutta la
sua altezza sul divano, stiracchiandosi e sbadigliando come Katty.
Sortendo
effetti diversi.
Nur
era palesemente indecisa: rimanere a casa per più di 12 ore
consecutive la mandava fuori di testa e stava già dando i
primi
segni di insofferenza, alzandosi ogni dieci minuti, girando per casa
spostando oggetti a casaccio.
«No.
- disse poi scuotendo la testa – Ho detto che oggi stiamo qui
e lo
faremo!»
Lou
alzò gli occhi al cielo lanciando un'occhiata al suo
finnico che
con le braccia sotto la testa, se la rideva divertito sotto i baffi.
“Ridi,
ridi Valo... continua a lanciarmi occhiate di fuoco e vediamo se non
ti ribalto sul divano...”.
«È
inutile che rimanete qui a fare la ronda! Dateci un taglio e
sparite!» -
sbottò Lou incrociando le braccia sul
petto fissandoli
con lo sguardo duro.
Ville
ridacchiò divertito dalla sua acidità, Julian
abbassò la testa
ferito e Nur invece la fissò piantandosi davanti a lei a
braccia
conserte nella stessa posizione.
«Ehi
piccoletta, calmati.»
PICCOLETTA
A CHI?!
«Zorro,
fermale prima che vengano alle mani...» - disse Ville
trattenendo
a stento
una risata, rivolgendosi a Julian che aveva ancora l'espressione di
un cucciolo bastonato.
«Valo,
fai poco lo spiritoso!» - dissero in
coro Lou e Nur
girandosi
come jene verso di lui.
Scoppiò
a ridere con la sua risata a singhiozzi facendo ridere anche Julian.
«Valo,
ora ti accoppo!» -
urlò Lou in italiano prima di
lanciarsi su
Ville, planandogli addosso.
Ovviamente
lui non si fece cogliere impreparato: la afferrò al volo
prima che
lei si schiantasse contro i preziosi gioielli di famiglia.
«Oh
no, ora ricominciano... - mormorò Nur – Julian!
Usciamo a fare
quattro passi: mi sta venendo da vomitare!»
«Ecco,
bravi andate...» - rise Lou,
facendo “ciao
ciao” con la mano,
troppo concentrata a strofinarsi su Ville per girarsi verso Nur e
Julian.
I
due scossero la testa ridendo consapevoli che la loro amica li
avesse liquidati e anche senza nascondere il sollievo di vederli
andare via.
«Sì,
ma non cantate vittoria troppo presto: torniamo! Vedete di fare una
cosa veloce e sfogarvi, così magari stanotte
dormo!»-
urlò prima
di chiudersi la porta alle spalle, trascinandosi dietro uno spagnolo
perplesso.
«Finalmente
soli.» -
soffiò il finnico sul collo di Lou.
«Mi
sembrava che fossi stanco e annoiato... hai persino
sbadigliato!»
«Annoiato...
non mi annoio mai con te. - il tono era serio – Lou,
guardami.»
Non
facendoselo ripetere una seconda volta, Lou si scostò quel
tanto da
consentirgli di guardarla in viso.
Quando
la chiamava per nome e non 'Prinsessa'
non aveva voglia di
scherzare... ormai lo aveva imparato.
Bello...
bello da togliere il fiato con la sua espressione seria.
«Non
pensare mai, mai che con te io mi annoi o qualsiasi altra cosa ti
baleni in quella testolina adorabile ma dal funzionamento strambo...
Quando sono qui con te io mi sento a casa, sto bene, riesco a
rilassarmi e lasciare indietro tutto quello che non va nella mia
vita.
Quando
sono con te io dimentico chi sono.
E
non pensare che la mia vita sia così favolosa o che sia
pieno di
amici e di donne.
Non
serve che ti dica che molti mi avvicinano solo per il nome che porto
e non perché sono interessati a me.
Soprattutto
le donne.
Ma
spariscono alla velocità della luce quando capiscono che non
otterranno mai quello che vogliono o quello che si aspettavano da
me... sono scorbutico, antipatico ed esigente.
Con
me stesso e con chi mi sta intorno.
Non
sono facile, non sono per niente affabile.
Con
te...
Quando sono con te tu non mi chiedi nulla.
Tu
non ti aspetti nulla da me e questo... questo fa abbassare tutte le
mie difese.
Tu
vuoi solo avermi vicino, lo vedo nei tuoi occhi quando arrivo da
te... non ti importa chi io sia o cosa faccio, non pretendi niente se
non stare tra le mie braccia... - abbassò il tono di
voce
accarezzandole il profilo del viso con le dita – Vorrei che
tu
potessi sentire che effetto mi fai, vorrei che tu capissi... quanto
sei preziosa per me.»
Lou
sentiva il cuore battere così veloce che temette di
vederselo uscire
a momenti dal petto.
La
sbirciò da sotto le ciglia scure incatenandola con la
giada.
«Ville...
io invece vorrei che capissi l'effetto che tu fai a me... -
mormorò
con l'affanno baciandogli la punta della dita – È
vero... a me
basta stare con te, tra le tue braccia per essere felice. Non mi
aspetto niente... perché averti conosciuto, averti nella mia
vita mi
sembra già un regalo del destino... il solo fatto che tu mi
consideri interessante, carina, mi fa sentire come non dovrei
sentirmi, come ho paura di sentirmi.»
«Non
ti piace come ti faccio sentire? Hai paura di me? Hai paura che possa
farti del male? - le sfiorava il labbro superiore con il pollice
–
parlami 'Prinsessa'... conosco
il tuo corpo ma mi tieni
nascosta la parte che vorrei toccare più di ogni
altra.»
Lo
fissò negli occhi con una domanda muta stampata sul viso.
«Il
cuore, 'Prinsessa'...
è la parte di te
che tieni lontano. E lo
capisco, credimi. So bene come ci si sente quando qualcuno te lo
prende a calci...»
«Il
mio cuore...» -
sospirò Lou, scuotendo la testa.
Possibile
che non capisse che ormai era in mano sua?
«Pensi
che io ti tenga nascosto ciò che provo? Non lo hai ancora
capito? -
ora il cuore le si era fermato direttamente in gola e la strozzava
–
Ville, davvero non hai ancora capito che sono pazza di te?»
Il
sorriso di Ville le spezzò il respiro.
Dolce,
tenero, sensuale, carico di promesse... di parole non dette, di
emozioni travolgenti, di profonda intesa... condensate in un semplice
sguardo.
“Magnifico
uomo, magnifico cuore che mi ama, che mi accoglie, magnifica anima
che mi accarezza...”
Ville
spostò la mano dalle labbra alla nuca avvicinandole il viso
al
proprio, posandole delicatamente la fronte sulla sua.
«Aspetterò
che tu sia pronta. Non importa. Sento quello che senti tu, quando fai
l'amore con me riesco a sentirti... e questo mi basta. Nel
frattempo... “*Minä
jumaloin sinua , Prinsessa'...»
*Ti
adoro
******
Eccoci
di nuovo qui...
Comunicato per tutte le
"donzelle
- con passione - da - fabbro" che si erano preoccupate per la
maledetta porta e non di Lou e Valo che lo facevano anche appesi al
lampadario: mi preme aggiornarvi che la porta è
stata sostituita con successo, il Valo era stato precedentemente
avvisato dai due guardiani, Lou non gli ha dato modo di parlare
perchè gli è saltata addosso in preda a tempesta
ormonale.
Pensavo
fosse stato abbastanza
chiaro ma visto che vi siete tutte preoccupate del fattaccio... xD
Ma secondo voi al Valo sfugge davvero qualcosa?
Dai dai... vi metto la nota, eh!?
Spero di aver dato sufficiente prova di acidità, come si
conviene al mio personaggio!
Scherzi a parte, sono sempre più contenta di conoscere nuovi
fan grazie a questa storia.
Sono contenta che vi piaccia e che riusciate ad HIMmedesimarvi!
Come sempre un grazie alla mia Beta
Deilantha che
appoggia sempre ogni
mia follia: grazie mia mugliera! <3
E
grazie infinite a tutte quelle dolci
donzelle che hanno commentato il capitolo precedente:
katvil, IlaOnMars6277,
arwen85,
apinacuriosaEchelon,
Lady
Angel 2002, _TheDarkLadyV_,
FloHermanniValo, Izmargad,
x_LucyW,
FrancyValo
, LaReginaAkasha,
cla_mika, Emp_MJ.
Song
usata per il titolo del capitolo Anthony
and The Johnsons. che
adorrrrrrrrrrrrrrrrrrrrooo!!!
*scena isterica di un'ora fa con la Beta*
Io:"Non
ho un titolo!!!!
Dei:
"Doh!".
*segue
ricerca spasmodica di un titolo attinente al capitolo.
L'autrice
da fondo alle playlist di Spotify; la moglie ride.
Dopo
mezz'ora e un orecchio fumante (sì, uno solo) trova il
titolo, folgorata dal testo un pò triste, ma con una frase
che calza a pennello per il capitolo.
"That's
rrrrrright..." [ Cit.
a caso, indovinate di chi?]
Un
bacio a tutte!
*H_T*
|
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Capitolo 18 *** Capitolo diciassette : “Under a layer of glass” ***
testo.
Capitolo
diciassette
"Under a layer of glass"
Il
tempo passa troppo velocemente quando si è felici.
Giugno
si profilava all'orizzonte e Lou viveva uno stato di beatitudine
permanente.
Le
pareva di avere una paresi facciale, ogni volta che si ritrovava a
fissarsi in qualche riflesso: sorriso ebete, come lo chiamava lei,
occhi e pelle luminosi (“Merito del
sesso!”
- le diceva
Nur).
Lei
invece pensava che il merito fosse solo di Ville, a prescindere dal
sesso meraviglioso che potevano fare.
Era
tutto così perfetto che spesso guardandolo, aveva paura che
bastasse un solo respiro a farlo svanire.
E
invece lui era lì, proprio con lei.
A
volte ancora se ne stupiva. È strano come invece ci si
abitui presto
ai cambiamenti della vita.
Ancora
di più alla felicità.
La
sua routine quotidiana era cambiata radicalmente eppure era rimasta
la stessa.
L'unica
nota di colore, il centro focale di ogni sua giornata era quando
Ville buttava sul suo divano verde, la giacca e le onnipresenti
sciarpine e la prendeva tra le braccia.
Si
sentiva in perenne stato di attesa, di ansia, con mille dubbi su
quello che stavano vivendo e tutto questo svaniva non appena lo
guardava negli occhi.
Tutto
il resto del mondo svaniva quando lui appariva.
Tutto
il suo mondo erano due occhi verde giada.
*******
Lou
guardò con occhio critico il cielo che quella mattina di
sabato era
di un azzurro intenso.
«Uhm...
non mi fido... - disse a Katty che la guardava attenta accucciata
sul divano - Che dici, mi porto l'ombrello?»
«Maooo...»
«Sì,
forse hai ragione... non può mica piovere con un cielo del
genere…
o sì?»
Katty
la guardava con aria di sufficienza già annoiata dal suo
blaterare.
«Ok,
rischio.»
Lou
prese al volo la borsa e con un sorrisino soddisfatto si
attorcigliò
al collo la sciarpina viola che Ville aveva dimenticato qualche sera
prima.
Era
impregnata del suo odore e immancabilmente la sua mente
visualizzò
immagini ben precise.
E
molto, molto sexy.
"Ah
Valo, Valo...”.
Chiuse
dietro di sé la porta con la serratura nuova e fiammante a
prova di
ex isterici e ubriachi e si avviò lungo il vialetto diretta
come
sempre verso casa del Sig. Korhonen.
Non
era davanti all'ingresso come di consueto e lei aspettò per
qualche
minuto ancora, alzando il viso ai raggi del sole godendo del calore
piacevole.
«Eccomi
cara... - la voce del Sig. Korhonen la sorprese e lei si
girò ad
accoglierlo con un sorriso – Scusa se ti ho fatto
attendere.»
«Buongiorno!
- lo squadrò attentamente notando un pallore ed una
stanchezza
insolite in lui, che era sempre in formissima – Come sta
stamattina?»
«Sono
un po' stanco, cara... - le sorrise con gli occhi azzurrissimi
– Ora ti toccherà darmi il braccio; il mio
ginocchio malandato
stamattina non vuole saperne di svegliarsi!»
Gli
tese il braccio e senza attendere il permesso gli prese dalle mani il
carrellino rosso.
Lui
le sorrise riconoscente.
«Bella
sciarpa! - commentò con gli occhi maliziosi – Ti
sta bene quel
colore...»
«Ehm,
grazie...»
- Lou
arrossì.
«Si
sposa bene con i tuoi capelli.»
«Grazie...» - ripeté ancora,
imbarazzata.
Si
era sempre chiesta se ci fosse mai stata una signora Korhonen da
qualche parte; era curiosa di sapere qualcosa di più della
vita del
suo amico, ma entrambi erano piuttosto restii a parlare del loro
privato. Lou non faceva domande, lui era sempre schivo.
«Prego. È la
verità: i tuoi capelli
sono così belli da
meritare un
ritratto.»
«Sig.
Korhonen! È il complimento più
carino che mi abbiano fatto
da molto
tempo a questa parte!»
«Chissà,
magari un giorno di questi...» - disse pensieroso, a testa
bassa.
«Un
giorno di questi?» - lo incalzò lei,
curiosa.
«Forse
ti farò un ritratto...» - sorrise con le
mille rughette
intorno agli occhi che al contrario dimostravano 50 anni in meno.
Lou
lo guardò stupita.
«Lei
dipinge Sig. Korhonen?»
«Uhm...
sì...- rispose lui ridendo - “Imbratto
tele”...»
«Davvero?
Non lo sapevo! Perché non mi ha mai detto che dipingeva?
Posso
vedere qualche suo quadro? - chiese Lou senza prendere respiro
– Mi
piacerebbe molto!»
Lui
scoppiò a ridere.
«Vedremo...»-
commentò misterioso.
"Ma
come, “vedremo”?!”.
«Ok...-
mormorò Lou mordendosi il labbro temendo di esser stata
troppo
impertinente – Sarebbe bello...»
«Siamo
arrivati – tagliò corto lui con un sorriso calmo,
indicando con
la testa il loro supermarket di fiducia – Oggi c'è
molta gente;
odio la fila.»
«Oh!
- Lou seguì il suo sguardo notando effettivamente un
movimento
insolito – Ci saranno le offerte!»
«Lo
spero!» - commentò acido
il suo accompagnatore.
Facendosi
largo tra orde di ragazzine vestite in stile gotico e con indosso
maglie con il simbolo dell'Heartagram, Lou capì il motivo
della
ressa.
Alzò
gli occhi al cielo: Valo sempre causa di isterismi di massa.
“Come
le capisco!”- pensò ridendo sotto i
baffi.
Lasciò
il Sig. Korhonen alla sua spesa e si concentrò sulla propria.
Le
ragazzine intanto piantonavano l'ingresso creando non pochi disagi
alla clientela.
Speravano
forse di avvistare il “suo” finnico?
Le
venne da ridere.
Prese
il cellulare componendo il numero di Ville, non senza il solito
batticuore e senso di disagio.
Aveva
sempre il timore di disturbarlo.
Rispose
al terzo squillo.
«'Prinsessa',
tutto ok?» - le chiese con la sua voce
meravigliosa.
«Ciao...
non volevo disturbarti...»
Lui
sbuffò. Anche i suoi sospiri erano sexy.
«Ti
ho già detto che tu non mi disturbi mai.»
«Ok...
ehm... pensavi di fare la spesa oggi?» - gli chiese
soffocando una
risatina.
Vedeva
quasi la faccia perplessa di Ville.
«No...
perché questa domanda?»
«Ehm...
ecco... è bene che tu sappia che c'è un'orda di
ragazzine e non
solo – disse adocchiandone qualcuna che superava di tanto la
ventina – che sono assiepate davanti al nostro
supermarket...»
«E
quindi?» - chiese acido e infastidito.
«Penso
stiano aspettando te...»
Pessima
idea chiamarlo per dirgli una cosa tanto stupida.
«Come
fai a dirlo?»
«Perchè
sono
tutte vestite di nero e hanno maglie con l'Heartagram forse?»
«Merda!
È iniziata la stagione dei
pellegrinaggi.» -
commentò sempre
più acido.
Lo
capiva... non era raro vedere gente davanti il suo cancello in attesa
di vederlo uscire dalla sua amata Torre.
Era
capitato a volte che lui evitasse di uscire dalla loro casa e
tornare nella sua dimora, per evitare di affrontare i fan che non
mollavano la loro postazione.
«Mi
spiace...» - mormorò lei,
desiderando per lui una
vita più
rilassata, più “normale”.
Lui
tornò a sospirare e lei a trovare sexy anche i suoi
respiri.
«Mai
come in questi casi mi pesa essere ciò che sono e quello che
ho
deciso di fare... - mormorò Ville a bassa voce –
credo che dovrai
darmi asilo politico, mia 'Prinsessa'...
pensi di potermi
sopportare anche per questa notte?»
Come
se non sapesse già la risposta...
“Uhm...
vedremo... solo se mi ripagherai a dovere: dovrai essere molto
convincente però...»
Dall'altra
parte una risatina.
«Finora
non ti sei mai lamentata della “mia
moneta”...» - disse
allusivo la voce bassa e roca modulata ad arte. Oh, se ci sapeva
fare!
Poteva
fare quello che voleva di lei: bastava che le parlasse.
«Valo...
non gongolare. Posso resisterti, cosa credi?»
La
risata dall'altra parte del filo divenne scrosciante.
“Maledetto!”.
«'Prinsessa', -
sospirò – tu puoi anche resistermi, ma io no. E
non ci provo
neanche a resisterti.»
Ecco.
Gli bastavano due parole e lei era sciolta come in una pozza di
miele.
Con
la coda dell'occhio vide il Sig. Korhonen che le faceva segno di aver
concluso i suoi acquisti.
«Devo
andare, Valo... il mio cavaliere ha finito la sua spesa e mi attende
impaziente.»
«Allora
non bisogna far aspettare il tuo cavaliere... del resto è
l'unico
uomo di cui non sono geloso. - disse ridacchiando aggiungendo
subito dopo – Forse.»
“Ti
adoro.”.
«Non
hai niente da temere, Valo... da nessun essere umano.»
«A
dopo, 'Prinsessa'...»
Una
promessa di paradiso nella sua voce.
*****
Il
ritorno fu più lento ancora dal momento che il Sig.
Korhonen faceva
più fatica a camminare; questo consentì ad
entrambi di godersi la
giornata mite.
Lou
era preoccupata dal suo respiro affannoso e la smorfia di dolore che
accompagnava ogni passo.
Arrivati
alla porta si offrì di portare all'interno la spesa del suo
amico
che la guardò dubbioso indeciso sul da farsi.
Al
contrario di quanto avrebbe fatto di solito, Lou insistette e lui
acconsentì con una scrollata di spalle rassegnata.
Appena
varcata la soglia Lou riconobbe il familiare odore di colori ad olio
e trementina.
Si
guardò intorno piena di curiosità per la
novità di aver scoperto
che il suo vecchio vicino avesse in comune con lei: la passione per
la pittura.
Non
c'era però traccia di alcuna tela o altro che potesse far
pensare ad
un quadro o qualsiasi altra opera in corso; era curiosa come una
scimmia.
Lui
indicò con la mano la cucina dove avrebbe potuto sistemare
il
contenuto del carrellino rosso.
Seguì
le direttive dell'anziano notando l'ordine metodico e sistematico con
cui erano disposti gli alimenti, i barattoli e ogni altra cosa che le
capitava sott'occhio.
“Il
Sig. K. è più ordinato di noi!”
- pensò divertita Lou.
«Ha
una bella casa, Sig. Korhonen!» - disse Lou per spezzare il
silenzio, guardando i mobili antichi di sicuro originali e non
riproduzioni.
L'odore
corposo del legno curato con c'era d'api per anni impregnava l'aria.
Mobili
scuri, lampade ovunque, foto in bianco e nero e libri, tantissimi
libri come altrettanti quadri di diverse dimensioni alle pareti
riempivano l'ambiente dando un'aria vissuta e piena.
Il
Sig. Korhonen. tolse il cappellino basco a quadretti e la sua giacca,
piegandola con cura e posandola su una sedia dalle gambe ricurve.
«Ti
ringrazio mia cara... è vecchia quasi quanto me. Posso
offrirti
qualcosa? Scusa la mia sbadataggine e poca educazione, non sono
più
abituato a ricevere ospiti.» - si sedette stancamente su
una
poltrona a dondolo.
«Se
mi dice dove trovare il necessario ci penso io.» - rispose
Lou
con un sorriso.
Le
piaceva stare in compagnia del suo vicino di casa: era un'anima affine
di
un'altra epoca, con chissà quale passato avventuroso alle
spalle.
Non
aveva mai conosciuto i suoi nonni, morti troppo presto; per cui aveva
adottato il Sig. Korhonen.
Provava
uno slancio di tenerezza infinito per quell'anziano signore sempre
sorridente e gentile, dagli occhi limpidi e intelligenti.
E
ora che lo vedeva stanco e pallido era preoccupata: si chiese se
fosse davvero solo al mondo come sembrava.
Voleva
chiederglielo ma non voleva essere impicciona.
Rispettava
la privacy delle persone, aspettando che queste si aprissero con lei
secondo i loro tempi e modi.
Forse
era perché anche lei in fondo era una persona chiusa,
diffidente per
natura e molto discreta.
Preparò
un tè verde come le aveva suggerito il suo amico, ammirando
le tazze
di porcellana decorate con minuscoli fiorellini azzurri.
Sistemò
tutto, compreso un piatto con biscottini al burro su un vassoio di
pesante argento.
Probabilmente
il Sig. Korhonen era ricco, considerando ogni oggetto che la circondava.
Anche
se molto semplice le fu chiaro che quasi tutto in quella casa aveva
un certo valore.
Lou
prese una delle tazze porgendola al suo amico, che nel frattempo aveva
ripreso un
po' del suo colore e di verve.
Lei
intanto sbirciava intorno.
«Non
vedo i suoi quadri ma sento l'odore dei colori, Sig. Korhonen... dove
li tiene nascosti?» - scherzò lei
sorseggiando il
suo tè.
Le
sorrise al di sopra della tazza e si piegò a prendere un
biscotto,
che sbocconcellò con calma: non sembrava intenzionato a
risponderle.
In
quel momento le parve così somigliante al suo Ville... da
giovane
doveva essere stato un bellissimo uomo.
Lou
attese paziente.
«Non
dipingo più spesso... le mie mani tremano e il pennello
ormai non lo
gestisco bene... - rispose con un sospiro – ho una stanza
dove vado
quando mi sento abbastanza... bene da dipingere.»
Le
sembrò triste e abbattuto, stanco e perso in qualche angolo
della
memoria.
«Sono
certa che lei è bravissimo, Sig. Korhonen...» -
mormorò Lou tanto
per dire qualcosa.
Lui
rise divertito.
«Sì...
non sono male – ridacchiò bevendo il suo
tè – o per lo meno, lo
ero un tempo...»
«Mi
farà vedere qualche suo quadro prima o poi?» -
chiese Lou
impaziente, sperando che le dicesse che poteva farlo subito.
«Un
giorno forse, mia cara... un giorno...”.
Cercò
di dissimulare la sua delusione e gli sorrise.
«Ci
conto... è una promessa, Sig. Korhonen!»
Lui
per tutta risposta si alzò dalla sua poltrona e le disse di
aspettare, allontanandosi lentamente sparendo in una delle stanze che
davano sul corridoio.
Forse
era quella la famosa stanza dei quadri.
Lou
ne approfittò per guardarsi intorno con sfacciataggine.
Si
alzò per poter vedere meglio le innumerevoli foto appese
alle
pareti.
Sfiorò
con le dita le cornici d'argento che racchiudevano i pezzi di vita
del suo misterioso amico.
C'era
una donna dai lunghi capelli scuri e forse ricci, a giudicare da
qualche ciocca ribelle che sfuggiva dalla sua acconciatura raccolta,
che era presente in moltissime foto: una bellissima donna sottile e
slanciata, dal sorriso contagioso e gli occhi che dovevano essere
stati chiari, non sapeva dirlo dal momento che quasi tutte le foto
erano in bianco e nero.
Una
attirò particolarmente la sua attenzione: una coppia,
entrambi
vestiti di bianco.
In
un giardino, forse di notte, illuminato da mille luci e lanterne.
Lei
indossava un meraviglioso abito da sera, pieno di cristalli... dalle
spalline sottilissime; un vestito che accarezzava il suo corpo snello
come una seconda pelle.
Era
abbracciata ad un uomo dai capelli chiari e folti, dal sorriso
affascinante e denti bianchissimi.
La
cosa che la colpì maggiormente fu la posa insolita della
foto: non
erano rivolti verso l'obiettivo ma si guardavano negli occhi,
totalmente estranei a tutto ciò che era intorno a loro.
Lei
col viso alzato verso quello di lui, con sorriso dolce e sensuale
allo stesso tempo, una mano sottile ed elegante appoggiata al petto
dell'uomo, la testa reclinata all'indietro, come se fosse in attesa
di un bacio... il braccio di lui la teneva stretta a sé,
l'intero
corpo di lui era come piegato verso quello della donna, anche se la
sua posa era eretta.
C'era
una tale passione, una totale intimità in quella foto che
lei si
sentì quasi una spiona che sbirciava attraverso una porta.
Era
il Sig. Korhonen l'uomo della foto, ne era certa.
Il
sorriso era lo stesso anche se negli anni aveva perso il candore
della gioventù e il brio.
Chi
era quella donna bellissima che era con lui?
Continuò
ad ammirare le foto alle pareti, tornando di tanto in tanto a
guardare la foto della coppia.
«Oh,
merda! - esclamò in italiano - Non posso
crederci!»
Ad
occhi sgranati fissava la foto che ritraeva quello che ormai era
chiaro fosse il Sig. Korhonen, seduto in posa da dandy consumato
insieme ad
un altro uomo che lei conosceva bene, visto che era uno dei suoi
pittori preferiti, Marc Chagall!
Si
avvicinò ancora di più per vedere meglio, certa
che si stesse
sbagliando.
Probabilmente
erano in uno studio, davanti ad una spaziosa finestra: attorno a loro
c'era uno spazio vuoto, ma si intravedevano tele e cavalletti,
barattoli di colore, pennelli sparsi a terra, stracci sporchi...
No,
era proprio lui e a conferma c'era la scritta in basso a lato della
foto, vergata a mano in elegante corsivo : “Aappo
and Moishe –
Paris 1949”.
“Mio
Dio...” - si aggrappò al mobile.
Si
era appena ripresa dallo shock quando i suoi occhi si posarono su una
tela minuscola, non più di 20 x 15 cm, in una cornice dorata.
La
voce si spense del tutto.
Avrebbe
riconosciuto quelle pennellate anche da orba, con un occhio solo e
l'altro bendato.
Non
poteva essere vero!
Lì
davanti ai suoi occhi increduli e spalancati c'era un autentico
Chagall.
Non
aveva mai visto prima quell'opera, era assolutamente sconosciuta,
anche se ripeteva il tema degli amanti volanti. Stavolta il cielo era
violaceo e soltanto sulla sommità estrema del quadro
diventava di un
blu cobalto, tipico dell'artista.
Al
centro, sotto una luna verde c'erano gli sposi, o quelli che dovevano
essere tali: visibili erano solo i due volti dell'uomo e della donna,
i capelli lunghi e scuri di lei, le mani intrecciate: il resto era
una nuvola bianca e vaporosa, fluttuante, che lasciava dietro di
sé
un scia di miriadi di stelle.
Era
stupendo. Si sentiva addosso l'emozione di sempre, di ogni volta che
si trovava davanti ad un quadro.
Le
veniva da piangere per quello che il quadro, così piccolo e
modesto
le ispirava: un amore magico, perfetto.
Un
amore capace di farti volare.
«Bello,
non è vero?»
L'anziano le era accanto e lei persa com'era ad ammirare il quadro, non
se n'era resa conto.
«Sig.
Kohronen... ma... questo è... questo... ”- Lou
neanche
riusciva a
pronunciarlo.
Lui
rise dolcemente.
«Sì,
è uno Chagall. Ma mi piace pensare che sia prima di ogni
cosa, il
regalo di un mio caro amico, il suo modo per augurarmi una vita
felice con la donna che amavo. - disse guardando anche lui il quadro
– Che amo...»- si corresse con un sorriso
triste.
La
domanda sul chi fosse la donna le premeva sulla lingua.
«È
stupendo... non ho parole per descrivere quest'opera...»
«È
come dovrebbe essere il vero amore: totale liberazione dei sensi, un
volo nella fantasia, l'amore come unico sollievo dei mali della vita,
libertà, elevazione di spirito... l'amore come cura, come
balsamo
per l'anima, come fonte di gioia... quello che fa fare cose
impossibili, quello che va oltre, che lega due persone per sempre...
per l'eternità.»
Le
parole del Sig. Korhonen le perforarono le orecchie arrivando come
bombe al
centro del suo petto.
Era
esattamente quello che pensava lei, non solo davanti a quell'opera.
Ogni
volta che posava gli occhi su un quadro di Chagall lei si emozionava,
si commuoveva.
Faticando
a non piangere come una stupida deglutì più
volte prima di
riuscire ad emettere un suono.
«Chi
è la donna del quadro, Sig. Korhonen?»
«Quella
donna è la custode della mia anima...» - rispose
il suo amico
prendendo la foto che lei si era soffermata ad ammirare.
«Maili...»
- disse in un soffio lui con la voce spezzata.
«Dov'è
adesso?»
Il
Sig. Korhonen si girò a guardarla sereno.
«Mi
sta aspettando in quello stesso cielo dalla luna verde.»
******
Ancora
scombussolata dalla scoperta e dalle emozioni vissute in quella casa
che visitava per la prima volta, un amico che fino a quel mattino lei
non aveva mai immaginato potesse avere quel passato, quei segreti e
quell'amore assoluto per l'unica donna che lui aveva detto di aver
amato, Lou rientrò in casa.
Con
la sensazione di avere avuto per tre anni dall'altra parte del
marciapiede un mondo meraviglioso che il Sig. Korhonen nella sua
solitudine
si portava dentro.
Aveva
lasciato il suo vecchio amico quando si era resa conto che lui aveva
bisogno di riprendersi il suo spazio, di voler restare solo e tenere
quella foto di un tempo lontano tra le mani.
Quelle
mani che ora non gli permettevano più di dipingere come un
tempo.
Quelle
mani nodose che lei si chiedeva ardentemente cosa avessero creato nel
corso degli anni.
Quelle
mani che chissà quante volte avevano accarezzato i lunghi
capelli
scuri di Maili, il suo volto, il suo corpo con passione, amore e
devozione.
Quella
stessa devozione che ora lui condensava in una carezza ad un viso
cristallizzato nel tempo, racchiuso in una cornice, sotto uno strato
di vetro.
******
"Orbeneeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
ciaooooooooo!
So che vi ho fatto attendere e ho rischiato la vita con qualcuna di
voi, ma capitemi... c'ho da fà! XD
Mese HIMpegnativo per noi HIMmiche e quindi tra una cosa e l'altra non
ho avuto tempo di dedicarmi molto ai nostri beniamini EPFiani...
ma ci sono eh?
Tranquilli che la storia va avanti, anche se a rilento...
Grazie infinite a tutte per il vostro sostegno e affetto costante, sono
HIMmensamente felice di avervi conosciuto!
E ora... torno al mio lavoro!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo: vi avevo anticipato
che il Sig. K. avrebbe avuto maggior spazio nei prossimi capitoli e
così sarà... spero sia di vostro gradimento.
(Per chi mi minaccia che ci sia poco Valo: abbiate fede e non temete
che le vostre fantasie verranno sempre esaudite... lol); la storia sta
prendendo un'altra forma e quasi si scrive da sola... a presto!
Come
sempre un grazie alla mia Beta
Deilantha che
appoggia sempre ogni
mia follia: grazie mia mugliera! <3
E
grazie, mille volte grazie a tutte quelle dolci
donzelle che hanno commentato il capitolo precedente:
katvil,
arwen85,
apinacuriosaEchelon,
Lady
Angel 2002, _TheDarkLadyV_, Izmargad,
x_LucyW,
FrancyValo
, LaReginaAkasha,
cla_mika.
*H_T*
|
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Capitolo 19 *** Capitolo diciotto: “Luna verde e marmellata di ciliegie” ***
testo.
Capitolo
diciotto
"Luna verde e
marmellata di
ciliegie"
"Mi
sta aspettando in quello stesso cielo dalla luna verde.".
Le
parole del Sig. K. le erano rimaste impresse per la loro pacata forza
e rassegnazione, lasciandole addosso una profonda tristezza.
Avrebbe
voluto chiedere qualcosa in più, consolare il suo amico in
qualche
modo.
Lei
era morta? Come? Cos'era successo?
Tutte
quelle domande e un'infinita pena albergavano nella sua testa mentre
faceva le pulizie in casa.
Ridacchiò
nel vedere Katty particolarmente agitata quando passava
l'aspirapolvere dove lei era accoccolata e saltare continuamente sui
mobili allontanandosi dall'aggeggio infernale.
In
più stava iniziando un temporale con i fiocchi e la sua
felina, non
amava affatto i lampi e i tuoni: si rifugiava sempre tra le sue
braccia, evento rarissimo vista la sua allergia agli umani che non
fossero Ville.
Pensava
di continuo a quell'opera stupenda sforzandosi di vederla solo come
un regalo da parte di un amico, ma le riusciva difficile: per lei era
qualcosa d’inestimabile valore ancor più
perché non lo aveva mai
visto prima e pensava proprio che fosse sconosciuta ai galleristi di
tutto il mondo.
Il
Sig. K. la teneva nascosta e il suo lato professionale anelava a
prendere in mano quel quadro per poterlo studiare... mentre la parte
romantica di lei voleva conoscere la storia dietro quel regalo,
sapere chi era Maili e cosa le fosse successo.
Dopo
aver lustrato ogni superficie era ancora piena di adrenalina addosso:
non riusciva a stare ferma.
Il
ronzio del suo cellulare la distrasse dai pensieri.
Un
sms.
“RISPONDI
IMMEDIATAMENTE A QUELLE DANNATE MAIL, BRUTTA VACCA!”.
Scoppiò
a ridere.
Simone!
Aveva
ragione: erano settimane che non apriva il suo computer.
Tra
lavoro, Katty e Ville lei non pensava ad altro.
Con
una risatina accese il suo malandato computer: Simone doveva essere
furibondo.
Aveva
la bellezza di 59 mail, la maggior parte spam e una decina da parte
di Simone.
Aprì
l'ultima che risaliva alla sera prima, preparandosi mentalmente al
delirio del suo migliore amico.
“Adesso
mi hai rotto le palle, eh?!
Ma
insomma porca zozza che non sei altro, ho capito che ti trombi il
finnico in tutte le posizioni del Kamasutra e su ogni superficie
scopabile, ma ricordati anche di me, eh? Cazzo!
E
ricordati che fra due mesi devi essere qui alla mia sfilata o giuro
che vengo a prenderti per i capelli.
Porca!
:P
Sono
pieno di lavoro fino alla cima dei miei splendidi capelli biondi.
Non
ho neanche il tempo per una ceretta! Dio!
Non
parliamo poi di fare qualsiasi “attività
fisica”: appena le mie
terga marmoree e stupenderrime toccano il letto, l'unica cosa cui
penso è russare e cadere nell'oblio fino al mattino
successivo!
Sono
stanco!
Tutto
sta procedendo come stabilito, ma mi conosci: sono un
perfezionista...
(lo
so che stai storcendo quel nasino a patata e stai pensando
“No, sei
pesante!”. Baldracca, ti
vedo!)
Ho
delle novità anche io... ho conosciuto uno. u.u
Si
chiama Beppe.
Dico
io: non potevo conoscere un Alistair, un Edward, uno Charles?
No.
Beppe.
Fanculo.
Non si abbina al mio fascino.
A
parte gli scherzi... non so ancora cosa fare.
È
molto carino e serio.
Troppo
per me.
Ma
riesce stranamente a rilassarmi e darmi la tranquillità che
non
troverò mai...
Lo
conosco da un paio di settimane e già mi ha chiesto di
andare a
vivere insieme.
L'ansia!!!
Mi
ci vedi?
Io
che vivo come una normale coppietta.
Io
che fuggo nell'oscurità dopo incontri promiscui e non porto
mai
nessuno a casa mia, dividere lo spazio vitale con qualcun altro che
non sia tu o Mara.
Devo
pensarci... sono confuso.
Vieni
presto. Ti voglio bene.
Tuo
Will...”.
Lou
sbatté gli occhi incredula: la mail che era iniziata con
minacce ed
insulti si era rapidamente trasformata nella “Posta
del cuore di Will”, con
tanto di sviolinata finale.
L'amore
rende davvero tutti cretini?
Era
contenta per lui: il suo amico non si innamorava seriamente di
qualcuno dai tempi dell' Accademia.
Aveva
avuto una prima relazione disastrosa che lo aveva profondamente
ferito.
Dopodiché
era iniziata la fase promiscua che a quanto pare si era interrotta
solo con questo famigerato Beppe.
Se
il suo amico non faceva il solito stronzo e si lasciava andare,
magari lei avrebbe fatto in tempo a conoscere Beppe.
Rispose
subito, cercando le parole adatte.
“Will...
sono così contenta per te!
Scusa
se non ti ho risposto: sono talmente presa da tutto quello che sto
vivendo che non ho pensato al fatto che tu mi avessi scritto...
(Ti
rendo partecipe che ormai ogni superficie è stata usata e
testata:
grazie per il tuo interessamento! :P )
Oh,
Will... io sono felice, davvero...
Ville
mi rende felice e spero che valga lo stesso per lui.
E
sono immensamente contenta che tu abbia conosciuto quest'uomo che ti
fa da calmante... ne hai bisogno! :D
Non
vedo l'ora di rivederti, di conoscere questo Beppe ( non è
malaccio
il nome, dai... xD);
e
ovviamente sarò alla tua sfilata, sai che non me la perderei
per
nulla al mondo!!
Ti
giro il consiglio che mi hai dato tu qualche mese fa: lasciati amare,
viviti tutto quello che viene, senza pensare, senza negarti nulla...
l'amore non si rifiuta, tesoro.
Me
lo hai detto tu.
Quindi
ora fa' lo stesso anche tu: lasciati andare e non avere paura dei
legami...
Sarò
presto da voi...
Ti
amo tesoro!
Tua
Grace...”.
Voleva
che il suo Will potesse trovare l'amore che meritava una persona
speciale come lui.
Dietro
la superficialità ostentata di Simone c'era un mondo fatto
di
sentimenti ed emozioni profonde e pure: e lei lo sapeva meglio di
chiunque altro.
Doveva
solo permettere agli altri di avvicinarsi.
Un
po' come lei.
Scorse
le altre mail trovando quelle di Simone che decise di leggere in
seguito, poi una di Mara che aprì con felicità.
Era
così raro che la sua indaffarata amica trovasse il tempo di
scrivere.
“Ciao,
mia piccola patatina adorata al freddo!
Come
stai? Cosa mi racconti?
Ho
sentito quello scriteriato di Simone, sempre di sfuggita e delirante;
mi ha raccontato sommariamente il suo soggiorno lì da te, ma
è
stato sibillino sul fronte “amore”.
Vuota
il sacco... che mi sono persa?
Lui
ha tenuto la bocca cucita: strano a dirsi, eh?
Mi
ha suggerito di chiedere a te, facendo quel suo sorriso da satiro
bastardo di chi la sa lunga...
lo
detesto quando lancia anagrammi senza poi parlare!!! >.<
Che
mi nascondete?
C'è
qualcosa che DEVI dirmi? :)
Su,
avanti dillo a zia Maruccia tua...
Stamattina
sono stata dalla mia dottoressa che mi ha fatto l'ecografia.
Tesoro,
non sai che emozione vedere sullo schermo il cuore della mia
piccolina che batteva!!
Sì,
perché è una femmina!!!
Karl
è impazzito di gioia alla notizia: in casa sua sono tre
fratelli e
non vedono l'ora di viziare schifosamente la bimba!
Stiamo
litigando sul nome da dare alla piccola: dopo una lotta all'ultimo
sangue, siamo giunti ad una tregua e siamo indecisi tra Evangeline e
Karola.
Ovviamente
vincerò io e la chiameremo Evangeline... :D
Le
nausee mi stanno ammazzando e il caldo non mi aiuta: qui è
scoppiata
l'estate torrida in un colpo solo!
Ho
i piedi che sembrano due fagotti e sono perennemente stanca... ma
sono felice.
Non
vedo l'ora di rivederti, mi manchi un sacco... ti voglio bene,
patata.
Nel
frattempo che tu raccolga le idee e trovi una balla da rifilarmi per
la storia dell' “uomo misterioso” di cui non mi hai
parlato, ti
mando una cosina che ho qui tra le mani da stamattina...
tua,
Mara.”
Lou
sorrise contagiata dall'entusiasmo della sua amica che traspariva
anche dalla mail.
Aprì
l'allegato immagine che era nell'e-mail e il suo sorriso si
allargò: Mara
le aveva fatto una scansione dell' ecografia.
Un
piccolo fagiolino al centro di una massa che non sembrava ancora
avere forma precisa...
“Perché
batte il cuore?”
Soffocò
la punta d’amarezza e invidia.
Pensò
di stampare la foto inviatale da Mara; quando questa scivolò
fuori
dalla stampante la rigirò fra le mani a lungo, pensando al
suo
bambino e al fatto che non c'era neanche stato tempo di capire se
fosse maschio o femmina.
“Niente
rimpianti Lou...”
Infilò
la stampa nella cornice con tutte le foto più importanti,
dove prese
il posto di uno scatto di un tramonto di cui non ricordava
assolutamente nulla: quello meritava di stare sicuramente tra le cose
più care.
Sfiorò
con un dito il profilo del naso minuscolo fatto di pixel della bimba
di Mara.
“Ti
invidio amica mia, sorella, mia anima affine e sono così
felice per
te... ti auguro ogni felicità di questo mondo...”.
Tornò
al computer scorrendo velocemente il resto delle mail.
Quelle
di Simone avevano tutte più o meno il tono minaccioso delle
altre e
lei passò qualche minuto a leggere i deliri del suo amico,
ridacchiando.
Trovò
anche una mail di suo fratello minore, Livio: evento raro.
Lui
non si degnava mai di rispondere alle sue.
“Ciao
sgorbietto!
Che
combini di bello?
La
mamma ci ha costretti a mettere ordine nelle nostre stanze e guarda
un po' cosa ho trovato?
Poi
non lamentarti se ti chiamavano “rospetto”!!
In
allegato c'era una foto di almeno 25 anni prima che la ritraeva
all'età di quattro o cinque anni, con una salopette a quadri
di
indefinibile colore dal momento che la foto era seppiata e anche
vagamente sfocata.
Suo
padre le aveva scattato quella foto rincorrendola per tutto il
giardino.
Anche
da piccola lei odiava stare ferma e mettersi in posa come un
bambolina.
Preferiva
correre e giocare con i suoi amichetti.
Sua
madre insisteva nel vestirla di pizzi e fiocchi, facendole codine e
trecce, col risultato che lei tornava sistematicamente sporca e con i
vestiti strappati.
Così
suo padre le aveva comprato una serie di salopette colorate e
simpatiche che lei aveva accolto con gioia: in quel modo poteva
correre e saltare, arrampicarsi sugli alberi e giocare a palla senza
paura di rovinare niente!
Suo
padre era riuscita a tenerla ferma il tempo necessario di uno scatto.
La
piccola Lou in mezzo al cortile assolato aveva un pallone tra le mani
e due treccine sbilenche e sfatte, che lasciavano sfuggire i rossi
ricci ribelli da ogni parte.
Uno
sbaffo di marmellata di ciliegie, la sua preferita da sempre,
all'angolo della boccuccia che era piegata in una smorfietta verso
l'obiettivo; suo padre adorava farla arrabbiare.
Lou
rise nel vedersi così piccola e provò tenerezza
verso quella bimba
ancora ignara del futuro.
Quella
bimba che aveva come unico problema quello di giocare il più
possibile con i suoi amici...
Continuò
a leggere la mail di suo fratello:
Eri
proprio carina però... ti sei rovinata nel tempo! :P
Ne
ho trovate anche altre ma ora devo andare, te le mando la prossima
volta!
Ciao
sgorbio, ti voglio bene!
Liv.”.
Sempre
sintetico e di corsa sua fratello... le mancava la sua famiglia.
Era
davvero troppo tempo che non li vedeva e non aspettava altro che
poterli riabbracciare.
Stampò
anche la foto della piccola Lou e la infilò nella cornice
dello
specchio.
Ecco:
così non avrebbe mai dimenticato la bambina che era stata,
quella
bambina alla quale spesso dimenticava di dare ascolto...
Rispose
alla mail di Livio chiedendo notizie degli altri componenti della sua
strampalata famiglia.
Poi
passò a quella di Mara: da dove iniziare?
“Ciao,
mio amore!
Sono
così felice per te!
Immagino
già Karl fare il papà... sarà
gelosissimo della sua piccola
principessa, ma sono certa che sarà un padre eccezionale
come tu
sarai una madre unica e speciale!
Non
vedo l'ora di potervi vedere...
Sono
d'accordo con te: Evangeline è decisamente meglio!
E
sono sicura che riuscirai a piegare il gigante teutonico al tuo
volere, come sempre!
Mi
mancate...
Io
sto bene... pretenderò la testa di quella checca isterica su
un
piatto d'argento!
Volevo
raccontarti io tutto e speravo di farlo dal vivo, senza un pc tra di
noi... ma passerebbe troppo tempo.
Non
posso essere lì prima di due mesi...
Da
dove inizio?
È
difficile da raccontare...
Sono
innamorata e sono felice.
Non
lo cercavo, non me lo aspettavo, non lo volevo... ma è
arrivato.
Quando
pensavo che non sarei più stata in grado di amare qualcun
altro, che
non mi sarei mai fidata di un altro uomo, che non mi sarei
più fatta
avvicinare e toccare da nessuno... è arrivato lui.
Oh,
è così bello, Mara... è bellissimo e
dolcissimo...
È divertente,
sexy... mi fa ridere, mi rende serena... mi fa sentire
amata...
È speciale...
a volte ho paura di non meritarlo, di non essere
abbastanza per lui.
Ma
mi basta vedere come mi guarda per sentirmi meglio, per sentirmi a
posto col mondo intero...
L'ho
avuto per tre anni a portata di mano e non mi ero mai accorta di lui,
del prezioso tesoro che era così vicino...
A
volte le cose belle non riusciamo a vederle, neanche quando sono
sotto il nostro naso...
Ringrazio
ogni giorno la micetta che si è persa nel mio vialetto.
È grazie a
lei che ci siamo incontrati... tu che credi nel destino,
cosa vedi in questo avvenimento?
Vorrei
stare qui a parlarti per ore di lui e di come mi fa sentire... di
quello che provo ogni volta che lo vedo, di come mi tremano le gambe
ogni volta che lui mi sfiora, di come tocco il cielo ogni volta che
incrocio i suoi bellissimi occhi verdi... vivo costantemente
nell'ansia di vederlo apparire sulla mia porta.
Anche
ora, in questo momento che sto scrivendo a te che sei una parte della
mia vita, la mia amica più cara, al solo pensiero di lui mi
emoziono... mi batte il cuore...
Lo
amo... vorrei che tu lo vedessi, che ci vedessi insieme.
Vorrei
che tu lo conoscessi e vedessi che persona è...
Mi
fido solo del tuo giudizio.
Non
hai sbagliato una sola volta... avrei dovuto darti ascolto quando mi
consigliavi di lasciar perdere Andrea...
Mara...
ho soggezione anche a dire il suo nome... per cui ti mando una sua
foto.
E
poi aspetto che tu mi risponda.
Ti
voglio bene.
Sii
felice per me, come io lo sono per te...
Ti
voglio bene, vi voglio bene... a tutti e tre.
Lou”.
Allegò
una foto recente di Ville che aveva rubato quasi ad occhi chiusi da
internet per paura di leggere cose che non avrebbe gradito e
inviò
la mail.
Mara
sarebbe impazzita.
Conosceva
bene la sua amica dall'animo gotico: avrebbe iniziato ad elencare
aggettivi alquanto piccanti su Ville che rientrava pienamente nei
suoi canoni di bellezza.
Aveva
sempre preferito al contrario di lei, ragazzi meno appariscenti, poco
muscolosi e dall'aria intellettuale e romantica.
Ville
le sarebbe piaciuto. Ne era certa.
Avrebbe
voluto così tanto averla vicina in quel momento.
Mara
le aveva sempre dato forza e allo stesso tempo la spronava a non
tenersi dentro quello che provava: era un sostegno nei casi
disperati.
Sapeva
sempre trovare la parola giusta al momento giusto, nel suo modo dolce
e pacato di essere.
Una
presenza sicura e costante che l'aveva sostenuta per un terzo della
sua vita.
Mara
era con lei ogni volta che Andrea la faceva stare male, ripetendole
di lasciarlo, di liberarsi di lui... disapprovava senza
nasconderglielo e lo palesava anche a lui.
Quando
lui l'aveva lasciata, Mara le aveva detto che era la cosa migliore
che potesse capitarle.
Era
stata felice.
Lou
si era risentita della felicità della sua amica davanti alla
sua
tragedia, anche se sapeva che era soltanto per il suo bene che Mara
si comportava così.
Nonostante
fossero in due paesi diversi e lontane migliaia di chilometri, non
l'aveva mai fatta sentire abbandonata a se stessa.
Aveva
così bisogno di parlare con lei in quel momento.
La
sua sincerità su ogni cosa, dalla più piccola a
quella più
importante erano un tratto distintivo del suo carattere.
A
volte l'aveva spiazzata con il suo giudizio lapidario, ma mai una
volta questi si era rivelato avventato.
Dopo
la storia con Andrea aveva giurato a se stessa che da quel momento in
poi, avrebbe ascoltato sempre il parere di Mara.
Lasciò
acceso il pc, nella speranza che Mara le rispondesse subito,
rassicurandola come ogni volta, mentre decideva cosa mettere quella
sera; non che servisse a molto, pensò ridendo tra
sé e sé... non
aveva intenzione di rimanere vestita per molto dal momento in cui
Ville avrebbe varcato la soglia di casa.
Rimase
a guardare il suo armadio aperto con occhio critico, sbirciando il
vestito blu che le aveva regalato Nur.
«No!
- si disse – non è proprio il caso, Lucia! Che ti
sei messa in
testa? Di fare la modella? Valo non ha bisogno di questo... O
sì?»
Katty
la guardava curiosa dalla sua postazione al centro del letto.
«Che
ne dici? - si rivolse alla sua amica felina che continuava a
guardarla con aria vagamente contrita: la stava per caso compatendo?
- Beh...»
Non
era neanche sicura che Ville sarebbe andato da lei quella sera...
Nella
sua mente stava prendendo forma la prospettiva di una serata
romantica a lume di candela.
“Non
fare stupidaggini!”.
«Oh,
al diavolo! - sbottò infastidita – Adesso basta
con dubbi e
atteggiamenti da bambina!»
Avrebbe
organizzato una serata romantica per l'uomo che amava, si sarebbe
fatta carina e vestita per lui!
E
cosa c'era di meglio per il suo finnico, se non una pizza?
Questa
volta l'avrebbe preparata solo per lui...
“Dio,
come mi sento stupida...”.
Si
mise al lavoro: non sarebbe stata una cenetta chic ma sperava che lui
avrebbe gradito.
Mentre
la pasta lievitava cambiò le lenzuola del letto e dando uno
strappo
alle sue regole, rubò dalla camera di Nur le sue lenzuola
avorio di
seta.
Era
certa che non avrebbe avuto nulla da ridere.
Anche
perché era lei a lavarle, sempre.
Le
servivano delle candele profumate.
Rovistò
in casa, trovando ancora quelle che avevano usato per la cena con
Simone e Julian, quella prima volta, ormai mesi prima.
Le
disseminò per la stanza ma non aveva nessuna candela
profumata...
pazienza!
Ricordò
che Simone a Roma, spruzzava sempre il suo profumo personale sulla
lampadina accesa, così che il profumo evaporando, avrebbe
riempito
la stanza della stessa fragranza che portava addosso.
Lei
fece lo stesso con il suo e optò per spruzzarne qualche
goccia sulle
lenzuola; non voleva stordire il suo finnico con olezzi troppo forti.
Sistemò
come le aveva insegnato Simone un foulard sulla lampada, pregando
dentro di sé che non prendesse fuoco... pareva facesse
atmosfera.
Quando
le sembrò che la sua stanza avesse un'aria più
intima e
sofisticata, tornò ad occuparsi della pizza.
Era
diventata così veloce nel prepararla che ormai le veniva
naturale e
finì prima che se ne rendesse conto.
Pensò
di strafare preparando anche una mousse che avrebbe accompagnato con
la sua amata confettura di ciliege.
Ridacchiò
ricordando la scena hot cui la sera della prima cena insieme, Valo
l'aveva soggiogata.
Non
che avesse bisogno d’aiuto per farlo... gli bastava respirare.
Il
ricordo di Ville che leccava via la marmellata di ciliegie dalle sue
dita le faceva ancora un effetto devastante... sentì la
familiare
contrazione.
“Torna
in te, maledizione!”.
Era
la prima volta che cucinava per Ville, per loro due soli e non per
una cena con amici.
Questo
la faceva sentire vagamente a disagio.
Lo
vedeva come un tacito impegno, una cosa assurda dal momento che era
Ville in primis a darle modo di pensare che tra loro ci fosse un
legame... ma cucinare per l'uomo che ami.
Lou
cercò di non lasciarsi andare a giri pindarici e farsi
prendere
dall'ansia.
Era
solo una cena. Punto.
Dovevano
pur mangiare, no?
“Bugiarda.”.
Katty
curiosava annusando in giro.
«Scendi,
Katty! Non sta bene gironzolare dove sto lavorando! - spinse
delicatamente da parte la micetta, che miagolò offesa - Su
fa la
brava, piccola...”.
Ma
la pelosetta era decisa a darle fastidio infilandosi tra i piedi,
rischiando di farla cadere.
Quando
tutto fu pronto decise di farsi una doccia veloce per togliere ogni
traccia di odore dalla pelle: prese Katty e la portò con
sé al
bagno.
Avrebbe
evitato che la dispettosa facesse danni in sua assenza!
Non
voleva perdere tempo facendo un bagno, per cui si infilò
sotto il
getto della doccia lavando velocemente i capelli e sciacquando via
dal corpo la schiuma profumata del bagnoschiuma, quasi sicuramente
molto costoso, di Nur.
Qualche
minuto bastò a rinvigorirla e poco dopo si avvolse nel
morbido
accappatoio verde e usufruì ancora delle creme corpo che Nur
comprava e abbandonava quasi nuove, dimenticandosene.
Quella
che stava usando ora aveva un delicato profumo misto di muschio e
rosa, le piacque molto perché non era eccessivamente
profumata e
sperava non avrebbe infastidito Ville.
“Mi
piace l'odore della tua pelle... sai di miele e sole...”.
Rabbrividì
al ricordo della voce di Ville, quella prima volta.
In
camera era indecisa su cosa mettere.
Guardò
ancora una volta il vestito blu coperto di cristalli.
“Perché
no? Avanti Lucia, sputtanati del tutto: tanto ormai non puoi
più
barare...”.
Tirò
fuori con un gesto deciso il vestito e lo spianò con cura
sul letto,
mordendosi le labbra pensierosa.
Non
era certa di avere un paio di scarpe adatte al vestito e anche
volendo prenderne in prestito uno di Nur, non avrebbe risolto
granché: la sua coinquilina aveva i piedi di due numeri
più grandi
dei suoi...
Pensò
di rinunciare all'idea sciocca di vestirsi a festa.
Era
solo ridicola quando cercava di essere sexy e carina...
Si
figurò mentalmente la sua amica che scuoteva la testa,
incrociando
le braccia e guardarla con aria di rimprovero.
Perché
mai si faceva così tanti problemi?
Cosa
aveva da perdere mostrandosi carina agli occhi dell' uomo che amava?
Di
cosa aveva paura? Di dimostrare quanto ci tenesse a lui?
Di
quanto volesse che lui la trovasse bellissima e guardasse come se
volesse mangiarla?
Un
bip che proveniva dal pc acceso la riscosse dalle sue elucubrazioni
vestiarie e non; sperava fosse la risposta di Mara e in effetti era
proprio una mail della sua amica che lampeggiava con “CHE
COSAAAAAAAAA!??”
come oggetto
a caratteri cubitali.
Sorrise
e aprì la mail:
“CHE
SIGNIFICA QUELLA FOTO?!?! Dio santo, non mi stai prendendo per il
culo, vero?!
VILLE
VALO?! Oh signore, mi sento male!
Ho
le caldane!
Luly,
ti prego dimmi che non è uno scherzo… nelle mie
condizioni non
posso agitarmi in questo modo….
Dio,
che figo assurdo!!!
Cioè
ti frequenti con VILLE VALOOOOO?!
Cosa
aspettavi a dirmelo?!
Devo
calmarmi: sembro una fan esagitata e isterica…
Dove?
Come? Quando??
Voglio
sapere ogni cosa, ogni dettaglio e quando dico OGNI DETTAGLIO,
intendo TUTTO!
Ok,
ok… sono calma… (Col cacchio!! VILLE VALOOOOOOO!)
È
tutto a
posto…-
respiro-…
giuro che non riesco a crederci...
(Natale
mi guarda preoccupato).
Luly!
VILLE VALO!
(sì,
continuerò ad urlarlo per tutta la mail, sappilo!).
Ok,
torno in me.
Allora,
cerco di recuperare un pò di buonsenso e lascio da parte la
fangirl
che si agita isterica in me.
Per
quanto io possa essere esaltata dal fatto che ti frequenti con uno
degli uomini più fighi e sexy del mondo, è pur
sempre un uomo e sai
come la penso.
Quindi
inizio con il tirarti le orecchie.
Non
dimenticare la tua precedente relazione e non ripetere lo stesso
errore di vivere per lui, aspettando ansiosa come Penelope,
nonostante sia VILLE VALOOOO!!!.
Non
annullarti per lui, per quanto figo e bello e sexy e speciale possa
essere.
Non
sentirti mai, e dico MAI inadatta, non sufficiente, poco attraente o
qualsiasi altra cosa ti passi per la testa!
Non
dimenticare chi sei, i tuoi sogni, i tuoi desideri e te stessa!
Ci
sei già passata.
Non
è il caso che tu ripercorra ancora una volta lo stesso
percorso,
vero?
Amalo,
fatti amare ma rimani in contatto con Lucia.
Sempre
e comunque.
Devi
lasciarti andare ma non nel modo in cui sei abituata a farlo tu: o
rimani sulle tue e non permetti a nessuno di avvicinarsi, oppure
perdi completamente la testa e il controllo.
Ma...
a parte queste raccomandazioni, non sai quanto sia contenta di
saperti innamorata!
Non
sai quanto voglio che tu sia felice e soddisfatta di te stessa.
Vorrei
davvero poter essere lì con te adesso (e non sbaverei sul
tuo
ragazzo, giuro... beh, forse un pò... solo un pochino! XD).
VILLE
VALOOO! :D
Sul
serio, tesoro... smettila di essere la solita Lou, impaurita e
timorosa; ti conosco e so cosa stai pensando.
Quindi
smettila subito!
Goditi
questo momento senza mai dimenticarti tutto il resto del mondo... e
soprattutto Lou.
Ora
vado a preparare la cena a mio marito e a digerire la notizia.
Ammetto
di rosicare come una matta.
Tu.
La mia piccola Luly. Con VILLE VALO!
Perdindirindina!
Ti
adoro.... e non dimenticare: OGNI DETTAGLIO!
Tua
Mara.”
Ps:
VILLE VALOOOOOOOOOOO!”.
Lou
scoppiò a ridere.
Mara...
Sapeva
che avrebbe dato di matto alla notizia di Ville... rilesse ancora una
volta la mail e immaginò la sua amica che cercava di
rimanere lucida
e dispensare consigli come sua abitudine.
Mara
aveva ragione, come sempre del resto.
Tutti
le dicevano la stessa cosa.
Eppure
lei non aveva ancora imparato a contare su se stessa, a credere in
lei e nelle parole di chi le diceva di amarla... anche se Ville non
le aveva mai detto di amarla... insomma... non ancora.
“E
se non me lo dicesse mai?”.
"E
se glielo dicessi tu?" - le rispose la vocina, incrociando
le braccia in tono di sfida.
Lanciò
un cuscino virtuale alla sua vocina fastidiosa.
Sbuffò.
Si
stava comportando come una bambinetta e ciò era molto
snervante.
Ville
la rendeva nervosa e titubante peggio di ogni altro uomo al mondo.
Ville
la rendeva felice come nessuno.
Ville
le faceva battere il cuore.
Ville
le faceva paura...
E
di quella paura, di quell'ansia di vita, lei si ubriacava.
"Angolo dell'autrice:
Eccoci di nuovo
qui! Questo capitolo probabilmente a qualcuno risulterà
noioso, si lamenterà perchè non c'è
Valo, nessuna faniculla che si rotola con il sexy finnico su ogni
superficie, nessun ex rompiscatole che scardina porte, ecc ecc...
Ebbene
sì!
Essere capitolo
di passaggio: siamo giunti al bivio di questa storia.
Dal momento che
non mi piacciono le storie tarallucci e vino con "vissero sempre felici
e contenti..." come finale, centro e inizio della storia, va
movimentata.
E preferisco
anche dare spazio ad altre sfumature, altri personaggi e situazioni,
non solo alla storia d'amore in sè (che detto tra noi, a
volte tutto stò pucci pucci fa venire il diabete... u,u).
Ergo, per qualche
capitolo di discostiamo un pò dal Valo, la sua presenza
costante e le sue acrobazie amorose e spaziamo negli argomenti
e negli approfondimenti con altri pg.
So che mi
oadiate... :3
Ma non temete:
Valo e tutto il suo charme torneranno come sempre. Del resto
è sempre il co-protagonista!
Un grazie a tutte
quelle fanciulline preziose che leggono la storia pur non recensendo:
so che ci siete, vi vedo! xD
Ovviamente il
grazie più grande va alla mia Beta-moglie
Deilantha preziosa
spalla per ogni
mia pignoleria e fissazione! Grazie moglie, ti lovvolo.
E
grazie, mille volte grazie a tutte quelle dolci
donzelle che hanno commentato il capitolo precedente: katvil,
arwen85,
apinacuriosaEchelon,
Lady
Angel 2002, _TheDarkLadyV, Izmargad,x_LucyW,
Emp_MJ, LaReginaAkasha,
cla_mika.
E
poi grazie anche
a Daelorin per essersi pippata tutta
la storia in due sere!XD Grazie cara!
Menzione
speciale
per una fan inaspettata, che mi maledice ogni giorno per averla
trascinata nel vortice di questa storia: un'amica preziosa e costante,
una persona cui tengo molto e che c'è da 4 anni a questa
parte, grazie ad una saga ho avuto modo di conoscere persone speciali e
uniche e lei è sicuramente una di queste.
Per
cui grazie,
grazie mia Befs
Reny! Il tuo sostegno e apprezzamento in questo caso, sono
ancora più preziosi! <3
*H_T*
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Capitolo 20 *** Capitolo diciannove : “Starry night” ***
testo.
Capitolo
diciannove
"Starry Night"
Un lampo accecante
seguito da un tuono fragoroso, la fece sobbalzare.
Katty
scattò subito in allerta miagolando impaurita.
«Tranquilla
piccolina, è solo un temporale...»
Lou
la
prese in braccio accarezzandole la testolina e si diresse alla
porta-finestra: il cielo si era chiuso ed era completamente nero.
Il
vento
soffiava forte e la pioggia che cadeva copiosa sferzava quasi
orizzontalmente.
Dopo
avere
letto la mail delirante con consigli annessi di Mara, aveva spento il
pc ripromettendosi di risponderle quanto prima; temeva che un fulmine
potesse porre fine alla vita già in bilico del suo
Highlander.
Si
era
asciugata i capelli che ora le ricadevano gonfi e lucidi dietro la
schiena.
Alla
fine
aveva deciso di infilarsi dentro l'abito di Nur e con un sorriso che
avrebbe fatto commuovere d'orgoglio Simone e Nur per la malizia mal
celata, aveva infilato una culotte di pizzo bianca, senza reggiseno.
Per
due
motivi: non ne aveva uno a fascia da mettere sotto il vestito senza
maniche, e l'altro... beh, era una sensazione nuova ed eccitante
mettere alla prova la sua femminilità e le sue alquanto
discutibili arti seduttive.
Come
una
sciocca adolescente vedeva già gli occhi verdi di Ville
accendersi maliziosi mentre le sfilava via il vestito.
“Oh,
la miseria! Sei in piena tempesta ormonale, Lucia! Datti un fottuto
contegno!”.
Un altro
lampo seguito da un fragoroso tuono fece tremare i vetri della sua
porta-finestra e un miagolio nervoso di Katty fece subito eco.
«Vuoi
vedere che mi salta anche la corrente ora?»
Aveva
appena finito di dirlo ad alta voce che l'abat-jour accesa sul
comodino, quella che aveva così elegantemente vestita di un
foulard arancio, si spense.
«Perfetto!
Ora l'atmosfera deve esserci volente o meno...»
Accese
una
serie di candeline per evitare di rimanere al buio completo.
La
pioggia
le piaceva: spesso e volentieri si raggomitolava dentro una coperta e
leggeva, accompagnata dal suono della pioggia scrosciante.
La
cullava
quando faceva fatica a prendere sonno.
Le
rendeva
facile concentrarsi quando dipingeva.
E da
quando Ville era ospite del suo letto e del cuore, le piaceva fare
l'amore con quel sottofondo romantico.
I tuoni e
il battere furioso e poi di nuovo lento accompagnava i loro movimenti,
regolando i ritmi come in una musica, la più perfetta delle
sinfonie.
Buttò
uno sguardo alla casa del Sig. K. notando che era al buio quasi come
tutte le case del quartiere.
Pensò
di portargli come sempre un po' della sua adorata pizza e controllare
che stesse bene: quel mattino aveva notato una stanchezza sul viso che
non la convinceva per niente.
Mise
in un
contenitore ermetico la pizza per il Sig. K. indossò una
giacca impermeabile, infilò gli stivali da pioggia neri, che
sotto il vestito blu con cristalli non facevano una gran bella figura,
cercò una torcia nel caos che regnava nel mobile in
corridoio per evitare di spalmarsi sull'asfalto durante il breve
tragitto senza illuminazione fino a casa Korhonen e tiratosi il
cappuccio sopra i capelli raccolti uscì sotto la pioggia
scrosciante.
Percorse
i
pochi metri di corsa, saltando sopra le pozzanghere come una bimba
monella.
Suonò
al campanello sbirciando attraverso il vetro di una finestra.
Passò
appena qualche secondo e la porta si aprì per rivelarle il
suo amico con una candela in mano.
Subito
il
suo volto si tese in un sorriso vedendola incappucciata e grondande di
pioggia, davanti alla sua porta.
«Bambina
mia, cosa ti porta qui con questo tempaccio? Ti prenderai un
raffreddore...»
Lou
ridacchiò mostrandogli il contenitore.
«Non
potevo mancare anche stavolta!»
«Tu
mi stai viziando con queste continue bontà, ragazza mia!
Entra su, non restare lì!»
Lou
si
fiondò dentro al calduccio, togliendosi il cappuccio e
scuotendo i capelli.
Il
Sig. Korhonen
tenendo la candela tesa davanti a loro in modo da illuminare la strada,
la guidò verso la cucina.
Lou
posò il suo contenitore sul ripiano, spense la torcia
infilandola nella tasca dell'impermeabile che aveva aperto e si
girò sorridendo verso il suo amico.
«Ha
solo quella candela? Se le servono, io ne ho qualcuna in
più...»
Riusciva
a
vedere solo una parte del viso rugoso e malizioso del suo amico : lui
se
ne uscì con una risatina divertita.
«Ho
candelabri sparsi in tutta la casa... non mi serve molta luce per
quello che stavo facendo, figliola...»
«E
cosa faceva di bello?»
«Leggevo,
mia cara: con questo tempo mi rilasso sempre leggendo un
libro...»
«Sa,
anche a me piace leggere quando piove... mi piace anche uscire sotto la
pioggia... in realtà mi piace fare tutto accompagnata dal
suono della pioggia e dei temporali.» - disse tutto d'un
fiato.
Arrossì
involontariamente alla visione improvvisa e fugace di cosa le piacesse
fare, soprattutto con Ville, quando pioveva.
Il
viso
seminascosto del Sig. Korhonen Si piegò in una smorfia
maliziosa.
«Sì,
lo so.»
“In
che senso!?... Oh, cavolo vuoi vedere che vede dalla finestra quello
che facciamo io e il secco?!”.
Come
se le
avesse letto nel pensiero, aggiunse: «So che ti piace
leggere
quando piove, ti vedo quando ti siedi davanti alla
porta-finestra...»
«Ah!»
“Menomale...”.
Buttò
uno sguardo in direzione della foto in cornice che ritraeva il suo
amico con Maili ma era troppo buio; non riusciva a distinguere che le
ombre di ciò che li circondava.
«Hai
un appuntamento galante?»
La
sua voce tradiva una risata divertita.
«Ehm, no...»-
rispose in maniera vaga tornando ad arrossire.
«Sei
tutta agghindata.» - indicò
con un cenno della
testa il vestito che spuntava dall'impermeabile.
Perché
aveva la netta sensazione che lui invece. sapesse benissimo con chi si
vedeva e la stesse amabilmente prendendo in giro?
«Non
è un appuntamento galante... - rispose lei sorridendo. Tanto
valeva non fare la misteriosa. - È solo una cena...»
«Tra
amici?» - la interruppe
lui.
“Cacchio!
Spero di no...”.
«Non
proprio...» - disse in un
soffio.
«Oh
bene, allora se non siete “solo amici” direi che
quel vestito va più che bene.»
“Perché,
che ha questo vestito di poco amichevole?!”.
Ecco
che il
Sig. Korhonen le faceva tornare i dubbi che aveva così a
fatica
soppresso poche ore prima!
«Stai
benissimo... è solo che è molto bello e tu sei
più carina del solito con quel vestito, non vorrei che chi
ti vede si facesse un'idea strana.» - rispose ridendo
il suo
amico.
“EH?!”.
«Aspetta
qui: ho una cosa che puoi accompagnare con il vestito.»
E
prima che
lei potesse proferire parola si allontanò ciabattando verso
un punto ignoto della casa, lasciandola al buio più completo.
Con
un
sospirò tirò fuori la sua torcia, fortuna che
l'aveva portata!, e fece un po' di luce intorno a sé
sedendosi sulla poltrona più vicina.
Diresse
la
luce sulla cornice, ammirando ancora una volta la foto di Maili e il
Sig. Korhonen poi spostò il raggio sul quadro di Chagall,
tornando
a sospirare.
«Ecco
qui... - riapparve all'improvviso
facendola sobbalzare – questo... questo è chiuso
dentro una scatola da troppo tempo. Avrei dovuto regalarlo, o
donarlo... o venderlo... ma sai come siamo noi vecchi romantici:
difficilmente ci liberiamo da qualcosa a cui siamo, nel bene o nel
male,
legati...»
Le
porse
una scatola nera piatta di velluto, un po' consunta agli angoli.
Lei
prese
la scatola fra le mani, sorridendo silenziosa al suo amico e
aprì il coperchio.
«Oh!
È bellissimo Sig. Korhonen!»
All'interno
della scatola, adagiato su del raso bianco c'era un ciondolo di forma
ovale con una pietra blu sfaccettata anch'essa di forma ovale; tutto
intorno, su una montatura di quello che le sembrava argento, altre
pietre più piccole simili a cristalli a formare due file
concentriche.
Alla
sommità c'erano altre cinque pietre a goccia a formare una
specie
di corona e dalla parte opposta una singola pietra, sempre a goccia.
Il
tutto
era trattenuto da una semplice catena sottile di colore chiaro.
«Indossalo.»
Lou
lo
guardò chiedendosi se stesse parlando sul serio.
«Non
posso Sig. Korhonen! È troppo bello! Ho
paura di rovinarlo!»
«Sciocchezze!
Il posto di un gioiello simile è addosso ad una donna, non
dentro una scatola... e poi è un prestito – le
strizzò l’occhio complice – Lo metti
questa sera, per il tuo appuntamento. Starà benissimo con il
tuo vestito.»
“Certo! Peccato che io non abbia un paio di scarpe decenti da
indossare sotto
quest’abito...” –
pensò Lou
interdetta.
«Io...
Non so cosa dire...»
«Dì
solo che lo metterai. – le rispose semplicemente
l’altro sorridendo – Ragazza mia, te
l’hanno mai detto che ti fai troppi problemi?»
Lou
scoppiò a ridere.
«Un’infinità
di volte!»
«Ecco...
dovresti fartene di meno, sai? Quando avrai la mia età ti
pentirai di tutte le volte che hai perso tempo prezioso a pensare
invece che agire...»
“Posso
chiederle a chi apparteneva questo ciondolo, Sig. Korhonen?»
Un
lampo
improvviso illuminò la stanza quasi a giorno, facendoli
sbarrare gli occhi dalla sorpresa.
Proprio
come in un film horror, quando la protagonista faceva la domanda
fatidica o l’assassino stesse per essere svelato.
Qualche
secondo dopo, un rombo che fece tremare l’intera casa
coprì il rumore scrosciante della pioggia che stava venendo
giù a secchiate.
Lou
pensò a Katty e la immaginò tremante sotto il suo
letto.
«Apparteneva
a Maili, ovviamente. Non ho buttato quasi nulla di ciò che
le apparteneva.»
«Sig.
Korhonen... non so se posso indossarlo... è un oggetto a cui
lei è particolarmente legato...»-
iniziò a dire imbarazzata Lou.
Lui
la
interruppe alzando un dito in modo autoritario.
«Alt!
Avevamo già stabilito di farti meno problemi,
giusto?»
«Giusto...»
«Bene,
allora dal momento che siamo d’accordo, è inutile
parlarne. Mi fa piacere che sia tu ad indossarlo e sono certo che
anche Maili sarebbe dello stesso parere.»
«Va
bene. Grazie, Sig. Korhonen... è davvero carino da parte
sua.»
«È ben poca cosa
rispetto a quello che fai tu per me, mia cara. Vai e
goditi la cena con la persona che ha la fortuna di essere
così importante per te... siete giovani, -
sospirò malinconico il suo amico – godetevi ogni
attimo, il tempo che abbiamo a disposizione ci sembra sempre infinito e
invece non sappiamo mai quanto questo duri...»
Lou
non
seppe cosa rispondere per cui tornò a fissare il ciondolo,
pensierosa.
«Scusa
mia cara, non volevo intristirti... a volte parlo troppo. Perdona il
mio scarso tatto.»
«Ma
no, non si scusi... ha perfettamente ragione: la penso anche io come
lei... a volte dovrei smettere di pensare a cose che alla fine non
hanno nessuna importanza e godermi il momento...»
«Brava!
– sorrise soddisfatto – Grazie per la pizza e per
la tua gentilezza.»
Il
Sig. Korhonen
la stava gentilmente congedando?
«Ero
preoccupata per lei: questa mattina mi ha dato l’impressione
che fosse stanco...»
«Sono
solo vecchio, cara la mia bambina... mi basta rilassarmi sulla mia
poltrona per qualche ora con un bel libro, per tornare in
forma!»
«Va
bene... ma mi deve promettere che mi chiamerà se non si
sentisse bene; anche di notte, non importa, se ha bisogno di me mi
chiami... me lo promette?»
«Te
lo prometto – assicurò lui con un cenno deciso del
capo ridacchiando – ora però vai. Non vorrei
che il tuo principe azzurro arrivasse e tu sei qui, a perdere tempo con
un vecchio brontolone!»
Lou
ridacchiò di rimando.
Più
che azzurro il suo principe era nero... e lei non lo avrebbe voluto
diverso per nulla al mondo.
Si
alzò dalla poltrona, dopo aver chiuso la scatola e infilata
nella tasca interna dell'impermeabile e si diresse alla porta, seguita
dal suo amico.
«Buona
serata, divertitevi...» - le
raccomandò lui, sulla
soglia.
«Grazie...
grazie per il ciondolo: glielo riporterò
domattina!»
«Non
ho tutta questa fretta, cara! – rise lui – grazie a
te, per tutto. A domani!»
«A
domani!» –
rispose Lou, salutandolo con la mano
prima di correre lungo i 200 metri che separavano il vialetto del Sig.
Korhonen dal suo.
Giunta
davanti alla sua porta si girò per vedere che il suo
vecchio amicoera ancora sulla soglia con la candela in mano.
Le
fece un
cenno con la mano libera e rientrò in casa.
Lou
osservò la luce fioca della candela che si spostava da un
posto all'altro dietro i vetri delle finestre, fino ad arrivare e
fermarsi a quello che era il salotto.
Rientrò
dentro casa, rabbrividendo.
Tirò
fuori dalla tasca la scatola di velluto nero e la appoggiò
con cura sul ripiano del mobile, prima di togliersi stivali e
impermeabile.
Katty
trotterellò subito da lei, arrampicandosi sulle gambe in
cerca di coccole.
«Maaaoooo!»
«Sì,
hai ragione ti ho lasciata sola... scusami piccolina.»
La
prese in
braccio prima che la felina le sfregiasse le gambe a furia di unghiate
e la portò con sé in cucina, dove le
preparò la ciotola con i croccantini.
Controllò
il cellulare non trovando nessuna chiamata o messaggio.
Era
tutto
pronto: mancava solo il suo principe oscuro.
Pensò
di mandargli un sms.
Era
quasi
sul punto di premere il tasto invia quando si fermò,
rileggendolo e le sembrò un appello di una donna disperata e
insicura, nonché assillante.
E
l’ultima cosa che voleva era dare a Ville
l’impressione che gli stesse addosso.
Cancellò
il messaggio e si buttò sul divano, stando attenta a non
sgualcire il vestito.
La
luce
delle candele soffusa le stava facendo venire sonno, in più
il rumore della pioggia non l’aiutava affatto a rimanere
sveglia.
Katty
le
saltò sulla pancia cercando di affilarsi le unghie
sull'abito.
«Eh
no, piccola vandala!»
Prese
di
peso la micia e la posò accanto a lei, sentendola mugugnare.
Katty
la
fissava astiosa negli occhi.
«È
inutile che mi fai le occhiatacce! Sei una gattina dispettosa a
rovinare questo bel vestito solo per il gusto di farlo...»
Katty
strinse gli occhi minacciosa.
«Oh,
non mi spaventi sai? Prepotente!»
Lou la fissò a
sua volta con le sopracciglia aggrottate fino a che la gatta
voltò la testa indignata, iniziando a leccarsi le zampette
pulendosi il muso.
Le
allungò una carezza ridacchiando.
La
felina
era così simile al suo finnico: prepotente, imperiosa e
orgogliosa.
Non
era
facile trattare con qualcuno con quel caratterino.
Ma
pareva
se la stesse cavando abbastanza bene con entrambi, senza
difficoltà e senza alcuna fatica.... anzi.
Era
un
piacere stare in loro compagnia, pur essendo così
impegnativi.
Il
temporale stava scemando d'intensità e ora che i tuoni e i
lampi si stavano allontanando, restava ancora la pioggia scrosciante.
Katty
finita la toilette cercava di afferrarle una ciocca di capelli
tirandola verso di sé, così Lou li
ritirò in una crocchia che infilò sotto la testa.
Non
restando altro da fare che sonnecchiare annoiata, la micia con un
sospiro, sì era proprio un sospiro rassegnato quello che
uscì sibilando dalle piccole fauci, chiuse gli occhi
appoggiando il musetto sulle zampine.
Lou
pensò a sua volta di chiudere gli occhi soltanto
per qualche secondo.
Era
tutto
troppo rilassante: il divano soffice e che emanava un leggero tepore,
il ronfo di Katty accanto a lei e la pioggia al di là della
finestra... solo un attimo...
Ville
sarebbe arrivato tra qualche minuto...
******
Una
carezza sul viso lieve e piacevolmente calda, che si spostava da una
tempia all'altra, giù lungo la guancia e il mento e poi
girava sull'altro lato del viso, fino a chiudersi a coppa sulle gote...
Lou
aprì gli occhi battendo rapidamente le palpebre per mettere
a fuoco nel buio, la figura accucciata accanto a sé, ai lati
del divano.
“Ville...”
- sussurrò sorridendo e strusciandosi come avrebbe fatto
Katty contro la mano grande, elegante e calda.
“'Prinsessa'...”.
Ecco.
Una
semplice parola.
Un
nomignolo.
E
ogni cosa prendeva un colore diverso nella sua vita.
Ogni
cosa tornava a posto.
“Ti
stavo aspettando, amore...” - sussurrò Lou,
continuando a baciare e sfregarsi contro il palmo della sua mano.
“Lo
so... ora sono qui.”.
La
voce era come dolce come il miele: calda, languida, avvolgente.
Avrebbe
seguito quella voce anche in capo al mondo...
Ora
era in piedi, di fronte a lui.
E
lui la stava guardando alla luce soffusa della candele accese in tutto
il salotto.
Era
a piedi nudi.
Con
il vestito blu e il ciondolo che il Sig. K. le aveva prestato, al collo.
Ville
la guardava senza dire una parola, senza più toccarla,
facendo scivolare gli occhi verdi su di lei, con un sorriso che
diventava di secondo in secondo sempre più sensuale, un
sorriso che le stava facendo stringere le pareti dello stomaco.
“Se
avessi saputo che mi avresti accolto così mi sarei
precipitato subito a casa.”.
“Volevo
farti una sorpresa...” - avanzò di un passo verso
di lui, anelando a sentirlo più vicino.
“Starry
night...” - sussurrò a voce quasi impercettibile,
allungando una mano a sfiorarle il braccio nudo all'altezza del polso.
“Cosa?”
- chiese Lou rabbrividendo al contatto lieve delle dita sulla sua pelle.
“Starry,
starry night
Flaming
flowers that brightly blaze
swirling
clouds in violet haze
reflect
in Vincent's eyes of China blue"
Bisbigliò
Ville
inclinando la testa, tornando a guardarla negli occhi, prendendole la
mano per qualche breve istante.
“Somigli
ad un quadro di Van Gogh... - le lasciò la mano passando le
dita sulla stoffa impalpabile che si posava sui fianchi –
c'è il blu del cielo… - salì al
corpetto pieno di cristalli – e le stelle più
piccole e chiare..."
Le dita le sfiorarono una spalla, il collo e si
chiusero intorno ad una ciocca di capelli.
"E poi... poi ecco
l'esplosione di colori delle stelle più grandi... -
attorcigliò un dito intorno ad un ricciolo setoso
– Ed infine... la luna, bianca e perfetta, pura...”
- la mano tornò a chiudersi intorno al viso.
Ville
non staccava gli occhi da quelli di Lou.
Con
il pollice le accarezzava piano il labbro inferiore.
Probabilmente
sarebbe svenuta da un momento all'altro.
Oppure
sarebbe potuta scoppiata a piangere per l'emozione che la stava
sopraffacendo, tanto le batteva forte il cuore.
Emozione
che le chiudeva anche la gola. Come sempre.
Deglutì
rumorosamente, alla ricerca della voce perduta.
Come
faceva a dirle delle cose tanto dolci?
Come
faceva ad avere dei pensieri così su di lei?
Come?
Anche
lei non staccava gli occhi da quelli di Ville, occhi che brillavano
più del solito, che sembravano enormi e più
chiari che mai, sul viso pallido e dai tratti perfetti.
“Dì
qualcosa...”- il sussurro di Ville le rimbombò
nelle orecchie.
Lou
fece un breve respiro.
“Ti
amo...Ville. ”.
Lo
disse senza staccare gli occhi dai suoi.
Lo
disse con la consapevolezza che era la verità più
pura.
Lo
disse non solo con la voce.
Lo
disse con ogni parte del corpo, con ogni fibra di se stessa.
Le
sembrò che quelle due parole assumessero un significato
diverso, ora che le aveva dette alla persona giusta.
Pensò
che mai come prima erano vere.
“Dillo
ancora...” .
Ville
la tirò improvvisamente a sé, una mano dietro la
nuca.
La
mano era l'unica cosa con cui la stava toccando: erano vicini, sentiva
i suoi jeans sfiorarle le ginocchia, percepiva il calore che emanava il
corpo magro e l'energia contenuta.
Senza
scarpe era ancora più bassa: lui la sovrastava di venti
centimetri buoni e lei si sentiva piccola, femminile.
Reclinò
indietro la testa per poterlo vedere meglio.
Sembrava
che le pupille nere avessero occupato gran parte delle iridi verde
chiaro di Ville.
“Ti
amo.”.
Questa
volta lo disse senza prendere prima respiro.
Senza
esitazioni.
Come
una liberazione.
“
'Prinsessa'...”.
La
voce roca e bassa.
Anche
lui aveva sospirato prima di sussurrarle quella parola sulla fronte.
“Ti
amo...ti amo...” - ripeté Lou.
Ormai
che gli argini si erano rotti riusciva a stento a trattenere le
emozioni che arrivavano tutte insieme.
Si
aggrappò alla sua mano, alzandosi sulle punte dei piedi per
baciargli il naso.
Sentiva
ogni cosa che la circondava con i sensi in allerta.
Il
rumore della pioggia.
Katty
che ronfava sul divano.
Il
parquet freddo sotto le piante dei piedi.
Il
profumo smorzato del dopobarba di Ville.
Il
suo respiro sul viso.
Una
ciocca dei suoi capelli castani che le solleticava una guancia.
E
questo fu l'ultimo pensiero coerente prima che la prendesse in braccio,
sedendosi con lei sulle ginocchia.
Stringendosela
addosso come se temesse di vedersela sfuggire via da un momento
all'altro.
Lou
gli si rannicchiò contro, affondando il viso nell'incavo del
collo scoperto, ritrovando l'odore familiare della sua pellee
inalandolo a pieni polmoni.
Ville
rimaneva in silenzio limitandosi a stringerla a sé,
cullandola, baciandole i capelli.
Erano
i loro cuori che rullavano allo stesso ritmo?
******
Lou
aprì gli occhi di scatto.
Era
l'alba
e una luce rosata stava iniziando a illuminare la casa.
Aveva
smesso di piovere.
Katty
sbadigliava sul suo cuscino preferito.
Le
candele
erano tutte spente e ormai consumate.
La
mancanza
di Ville al suo fianco era tangibile.
Era
sola,
era sul divano e si rese conto di essere intirizzita.
Ville
non
era venuto da lei.
Era
stato
solo un sogno...
La
leggerezza che aveva provato in sogno dicendogli finalmente che lo
amava, svanì.
Ne
sentì di nuovo il peso, stavolta duplicato.
Si
alzò a sedere, allungando una mano a prendere il suo
cellulare.
Nessuna
chiamata. Nessun messaggio.
Ville
non
era andato.
Pensò
alla collana chiusa nella scatola.
Pensò
al vestito blu, che ora era spiegazzato dopo una notte passata a
dormirci sopra.
Pensò
alla sua cena andata persa.
Sentiva
una
spirale fredda allungare i tentacoli dentro di lei.
Una
parte
del suo inconscio la stava prendendo in giro per il modo in cui stava
reagendo alla cosa, dandole della sciocca.
“Andiamo!
Sapevi che forse non poteva essere con te... non è il caso
di farla tanto lunga e tragica!”.
L'altra
parte di lei, la voce che cercava in ogni modo di arginare, le faceva
sentire tutt'altro.
Con
il
passare dei minuti crebbe e s'ingigantì fino a soffocarla.
Si
portò una mano tremante alla gola.
Era
successo qualcosa.
Qualcosa
che avrebbe cambiato le cose.
Non
sapeva
dirlo con certezza, ma qualcosa era cambiato.
E
niente
sarebbe stato più come prima.
"Angolo dell'autrice:
Oh bellli! Non volevo
lasciarvi senza capitolo nella prossima settimana, a causa di impegni
finferleschi con le mie favette che mi terranno lontana e non potendo
assicurare la mia presenza al pc, ho anticipato di qualche giorno...
(ma so che più di tanto non vi spiace...xD).
Mi sto togliendo dalla
traettoria degli insulti che so arriveranno!
Eccomi, mi immolo: sono
tutta vostra!XD
So che aspettavate questa
famosa cena, tutte trepidanti e sognanti... dai, non sono stata tanto
cattiva...u.u
In qualche modo Lou e voi
l'avete vissuta lo stesso! *tenta di arrampicarsi sugli specchi* :)
E' che proprio non riesco
a mettere una cosa dolce senza lasciarvi con l'amaro... sono sadica...
*mauahuahuahauahuha*.
Comunque sia, spero non
mi facciate troppo male.
Alloraaaaaaaaaaaaaaaaa...
che ne pensate?!?
:D
Io vi dico solo che dopo
aver scritto questa scena, mi sono dovuta riprendere... commuoversi da
sola, per quello che si scrive è proprio da me...
Per straziarmi ancora
meglio ho ascoltato a ripetizione la song che da' il titolo al
capitolo, "Starry
Night", mentre scrivevo: qualcuna di voi sa quanto io ami Van
Gogh e in particolare questa mi ricorda una persona a me molto cara...
bando alle ciance e ai romanticismi!
Questo ovviamente
è il quadro citato nella song e da Ville (mi piace pensare
che sia anche uno dei suoi artisti preferiti u.u); pochi artisti mi
emozionano e commuovono quanto lui: per cui era doveroso una specie di
omaggio al mio quadro e artista del cuore.:)
Come sempre un grazie va
alla mia Beta Deilantha
che con i
suoi
commenti al
capitolo durante il betaggio, mi fa sempre scompisciare! :D
Grazie Moglie, senza di te
la lotta all'Html malefico non sarebbe la stessa! XD
Ovviamente non
potevano mancare il vestito e il ciondolo del Sig.
K.:
Mi ci sono voluti tre
modelli di vestiti di diversi colori per riuscire a
farlo come lo avevo immaginato e in ogni caso non è preciso
così come credevo, ma rende
l'idea. (se volete vederli, vi basta entrare nel gruppo facebook
dedicato alla storia).
Grazie anche a Izmargad che mi ha trovato
uno dei tre abiti! <3
Ovviamente non
potevano mancare il vestito e il ciondolo del Sig.
K.:
Mi ci sono voluti tre
modelli di vestiti di diversi colori per riuscire a
farlo come lo avevo immaginato e in ogni caso non è preciso
così come credevo, ma rende
l'idea.
Ringrazio tutte
le affezionate lettrici che hanno lasciato un segno del loro passaggio
nel capitolo precedente:
apinacuriosaEchelon,
katvil, _TheDarkLadyV_, cla_mika, arwen85, Daelorin, Lady Angel 2002,
LaReginaAkasha, Enigmasenzarisposta, IlaOnMars6277.
Un grazie alle nuove (e non) amiche che hanno iniziato a seguire questa
storia: lucillaby,
Gone
with the sin, renyoldcrazy, LilyValo, _Venus_Doom_ ,WatananbeAyumu.
Grazie
per le splendide cose che mi scrivete anche in privato! :*
Alla
prossima!
*H_T*
|
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Capitolo 21 *** Capitolo venti - “Look at me ... trust me.” ***
testo.
Capitolo
venti
"Look at me... trust me"
Aveva
un mal di testa feroce. Si massaggiò le tempie cercando di
trovare
sollievo.
Dopo
la notte sul divano, il risveglio all’alba dopo un sogno che
era a
dir poco meraviglioso e lo shock di scoprire che era stato, appunto
soltanto un sogno, non era riuscita più a prendere sonno.
Aveva
tolto il vestito blu e lo aveva rimesso sulla sua gruccia.
Aveva
conservato in freezer la cena che aveva preparato.
Aveva
rimesso a posto le lenzuola di seta di Nur e le candele,
ammucchiandole in una scatola di scarpe.
Il
tutto senza batter ciglio.
La
sensazione di qualcosa di strano, di un qualcosa che neanche lei
riusciva a capire da dove venisse fuori non l’aveva
abbandonata,
per cui si era rifugiata come al solito nella sua efficienza fredda e
metodica.
Aveva
fatto colazione con la mousse alla vaniglia e ciliegia, bevuto un
fortissimo caffè nero e si era guardata intorno.
Non
aveva nulla da fare: la casa era in perfetto ordine ed era domenica.
Aveva
voglia di urlare.
Ciabattò
in corridoio e si ricordò del ciondolo del Sig. K.
Aprì
la scatola di velluto consunto con un nodo alla gola.
“Lou...
smettila di fare le tragedie greche!”.
Sì,
poteva anche ripeterselo fino allo sfinimento: quando sembrava che
quella sensazione di un qualcosa di sbagliato stesse svanendo, quando
si era convinta da sola che era tutto ok, che erano solo sue
paranoie ecco che tornavano senza preavviso tutti i dubbi.
Fissò lo
sguardo all’interno della scatola.
Quanto le sarebbe
piaciuto
indossarla.
Per
Ville.
Ma
soprattutto per lei.
******
«Lou?
Sei con noi?»
La voce fredda di Matleena la
riscosse dai
pensieri.
La
sua draghessa la guardava con un sopracciglio alzato.
I
colleghi girarono come un sol uomo la testa nella sua direzione:
molti di loro aspettavano un passo falso da parte sua, un qualcosa
che la facesse uscire dalle grazie di Matleena.
Questa
appunto la richiamò immediatamente all’ordine,
senza però averle
lanciato uno sguardo interrogativo, prima di tornare a parlare.
Aveva
indetto una specie di riunione quel lunedì mattina, per
assegnare i
compiti delle successive esposizioni, mostre ed eventi della prossima
stagione estiva e autunnale.
Lou
tentava con tutta se stessa di prestare attenzione ma la sua mente
era altrove.
Finalmente
dopo un tempo che le parve interminabile, la draghessa li
congedò
tutti con un secco cenno della testa.
Stava
per filarsela nel suo angolino quando Mat la bloccò.
«Lou,
rimani. Devo parlarti.»
Ahia.
Ora le avrebbe dato una lavata di testa: se lo sentiva.
Certo
negli ultimi tempi era stata spesso distratta, con la testa fra le
nuvole più del solito... ma Mat non si era mai lamentata del
suo
operato.
Finora.
Attese
che tutti i colleghi spioni fossero lontani prima di parlare.
«Va
tutto bene?»- chiese Mat in fretta, diretta.
«C-certo
Matleena. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Scusa, ho dormito poco
e male in questo weekend...»
Si
stava giustificando come una demente.
«Sì,
l’ho notato. Sei stanca, si vede. Da quanto non ti concedi
una
vacanza? E per vacanza intendo un lungo periodo, non il sabato e la
domenica.»
Matleena
batteva la penna ritmicamente sul tavolo: di solito lei non perdeva
tempo a chiedere ai suoi dipendenti o collaboratori, notizie sulla
salute o altro.
Lou
sapeva di essere una privilegiata: Mat era sinceramente preoccupata
per lei.
«Non
ricordo: forse un anno o poco più...» – la voce le
uscì
strozzata.
Aveva
improvvisamente voglia di piangere.
«Beh,
allora è tempo che tu te ne prenda una. E non sto scherzando
– la
interruppe quando Lou cercò di protestare debolmente
– sei un
aiuto prezioso, ma mi servi nel pieno delle tue forze e
facoltà e se
continui così temo che diverrai un peso per
tutti.»
Come
sempre Mat era lapidaria e diretta.
Lei
sapeva che era per il suo bene se le parlava in maniera così
rude.
«Ho
prenotato il viaggio per gli inizi d’agosto: torno a casa per
un
mese... pensi possa bastarmi come vacanza?» –
chiese cercando
inutilmente di sembrare spiritosa.
«Bene:
allora manca poco. Non so cosa stai combinando, –
inarcò entrambe
le sopracciglia perfettamente curate e disegnate – ma sei di
umore
ballerino. Un giorno sembri camminare sopra le nuvole, quello
successivo ti trascini dietro il peso del mondo.»
Sostenne
lo sguardo di Mat senza batter ciglio.
Stava
migliorando nel nascondere i suoi sentimenti? Ne dubitava.
«Matleena...
conosci un certo Aappo Korhonen?»- chiese Lou chiudendo lei
per una
volta il discorso.
Mat
sbatté le palpebre rapidamente confusa dal cambio
improvviso da un
argomento all'altro.
«Certo
che sì: è stato famoso per un certo periodo,
aveva amici
importanti... Una volta, da ragazza, sono stata ad una sua mostra.
Perché mi fai questa domanda?»
«È
il mio vicino di casa.» – rispose Lou con un
mezzo
sorriso.
«Abiti
in una zona affollata di artisti a quanto pare.»-
ribatté Mat con
un mezzo sorriso.
«Sì...
così pare.» – si morse
l’interno della guancia e deglutì a
vuoto.
“Non
osare metterti a piangere ora, brutta stupida!”.
«Sai,
è sparito dall’ambiente molti anni fa... correva
voce che fosse a
causa di una delusione d’amore... o roba simile.»
“Roba
simile...”.- pensò Lou
con una stretta al cuore.
*******
«Maili
era la donna più bella e interessante con cui avessi mai
parlato
prima di allora. Era una di quelle donne piene di idee strambe,
schietta e che prendeva la vita come se fosse ogni giorno
l’ultimo.
Io
al contrario ero un tranquillo topo di biblioteca: l’unica
nota di
colore della mia vita erano i miei quadri.
Era
anche la donna più difficile con cui avessi lavorato prima.
Durante
il primo giorno di lavoro in cui lei doveva semplicemente starsene al
suo posto e farmi da modella, abbiamo discusso e litigato svariate
volte.
Lasciava
il suo posto sullo sgabello e veniva a controllare che le dessi le
giuste proporzioni... – il Sig. Korhonen ridacchiò
– mi deconcentrava
non poco come puoi immaginare, poiché stava posando per un
nudo. E
lei aveva un corpo splendido.
E
sapeva perfettamente che effetto mi facesse.
Ero
innamorato di lei già a metà mattinata, ma ero
orgoglioso e anche
stupido all’epoca... lei era fidanzata con una specie
d’attoruncolo
di teatro e si divertiva a civettare un po'
con
tutti.
Mi
era stata presentata da un’amica in comune e ci siamo
detestati
immediatamente, a pelle.
La
trovavo irritante, arrogante e troppo, troppo bella per i miei gusti.
La
verità è che sapevo che mi avrebbe portato solo
guai... – tornò
a ridacchiare – sapevo che la mia vita non sarebbe stata
più
tranquilla come lo era stata fino a quel momento. Io volevo solo
dedicarmi alla mia pittura, a viaggiare e conoscere le città
europee.
Quando
ero giovane, Helsinki non era quella che è ora: soltanto
negli ultimi anni ci siamo liberati dall’influenza sovietica.
Quindi
appena ho potuto permettermi di pagare il biglietto per il viaggio,
sono andato a Parigi, per studiare e affinarmi “sul
campo”.
Non
immaginavo certo di trovare in Francia una donna finlandese.
Era
l’ultima cosa che mi aspettavo.»
Lou
sorrise divertita al suo amico, che bevve un sorso del
tè alla
menta, fermandosi per un istante dal racconto.
Sedevano
nel salotto di casa Korhonen, la domenica pomeriggio.
Lou
aveva riportato al suo vicino di casa il ciondolo.
Lui
lo aveva ripreso senza dire nulla o chiedere come fosse andata la
cena della sera precedente.
Probabilmente
per un innato sesto senso evitò di farle domande,
limitandosi a
sbirciarla di tanto in tanto curioso.
Ville
non si era fatto vivo.
Aveva
preso in mano il cellulare innumerevoli volte per chiamarlo.
Cosa
diavolo gli era successo?
Possibile
che non avesse trovato il tempo di mandarle un messaggio, di
chiamarla?
Perché
poi si preoccupava tanto neanche lei lo capiva: era già
capitato che
lui sparisse per intere giornate e a volte, anche più di una.
Lo
sapeva.
Era
stata avvertita.
Per
Ville c’era sempre la sua musica al primo posto, e lei non
voleva
che fosse diverso da com’era.
Ma
poi Ville tornava sempre da lei... sempre.
«Era
una rompipalle senza eguali. Quando decideva una cosa non c'era
verso di farle cambiare idea... s'incaponiva come una bambina
capricciosa!
Ma
era fantastica il più delle volte... non mi sono mai
annoiato con
lei.»
Lou
era felice che il suo vecchio amico stesse raccontandole la sua
storia con Maili: la distraeva dal pensiero costante di Ville.
Stranamente
quel giorno non aveva voglia di stare in casa da sola.
Pioveva
ancora, fuori c'era una nebbia fitta tanto da poterla tagliare con un
coltello.
Di
solito le piaceva passeggiare con il cattivo tempo; poteva in quel
modo starsene con i suoi pensieri, ma era proprio quello che voleva
evitare quel giorno: che i pensieri prendessero il sopravvento.
«Dopo
quel primo giorno disastroso non l'ho più rivista per mesi.
Lei
era fatta così: entrava ed usciva dalla vita delle persone
quando e
come le pareva.
Io
non approvavo questo modo di fare: ero... sono –
precisò - uno
metodico, noioso forse.
Ricomparve
come se nulla fosse nel cuore della notte, bussando alla porta della
soffitta dove vivevo.
Non
avevo soldi, ovviamente come tutti gli artisti: mi arrangiavo come
potevo ma ero felice perché facevo esattamente quello che
avevo
sempre sognato.
La
mia accoglienza non fu affatto calorosa: sono pur sempre finlandese,
per di più ero stupidamente orgoglioso, come solo i giovani
sanno
esserlo – le lanciò uno sguardo sibillino
– ed ero assurdamente
arrabbiato con lei per essere sparita.
Come
se dovesse darmene conto! Non era neanche la mia donna... e forse era
questo che mi rendeva assolutamente rabbioso nei suoi confronti.
La
cacciai via rimandandola dal suo attoruncolo da strapazzo.
Non
volevo avere rogne a causa sua.
Lei
mi mandò a quel paese, entrò nella stanza senza
tante cerimonie
sbattendo la porta dietro di sé e mi baciò. - gli
occhi azzurri del
Sig. Korhonen lampeggiarono – non sono più
riuscito a
liberarmi di lei,
da quel giorno in poi.»
Lou
scoppiò a ridere. «Accidenti!
Una donna che sapeva quel che voleva, sicuramente...»
«Puoi
dirlo forte... - il vecchio rise con lei – ma al di
là di questo
suo modo di fare così diverso dal mio e da chiunque avessi
mai
conosciuto prima, era una donna dolcissima.
Sapeva
creare intorno a sé un'atmosfera piacevole: chiunque
entrasse in
questa bolla ne rimaneva coinvolto, sentendosi amato. Sapeva
accogliere le persone, accettarle così com'erano, nei loro
difetti
così come nei pregi. Era
unica. Gli anni con lei sono stati magici.»
Il
Sig. Korhonen tornò a sorseggiare il suo tè e lei
attese che continuasse
il racconto.
«Abbiamo
viaggiato tanto, visitato posti meravigliosi: dopo Parigi, abbiamo
vissuto per qualche tempo a Roma, sai? Si era messa in testa di fare
il bagno nella Fontana di Trevi come la Ekberg, ma nuda... se non
fosse stato per il mio buonsenso l'avrebbero arrestata in diverse
occasioni!
Era
piena di vita, completamente pazza...» - sospirò.
«Quanto
tempo siete stati insieme? Vi siete sposati?» - Lou si
trattenne
dal chiedere altro, mordendosi la lingua.
«Siamo
stati insieme quindici anni e nessuno dei due credeva nel matrimonio
“classico
e religioso”...
se scambiarsi un anello nel posto che più amavamo al mondo,
da soli,
può essere considerato come un impegno per la vita, allora
sì... lo
eravamo.»
Il suo amico la fissò
negli occhi
scandagliandola a
fondo.
«Tu
pensi che il vero legame fra due persone possa essere sancito solo
davanti ad un altare? Non pensi che amare qualcuno e legarsi a lui
sia qualcosa che vada al di là della fede in una religione?
Non
credi che non ci sia bisogno che qualcuno ti dichiari che appartieni
a quella persona per renderlo ufficiale? Quando scegli qualcuno, lo
fai con il cuore e con l'anima... da solo.
Da
solo con lei. Siete
solo voi due. Voi due e il resto del mondo è
fuori.»
******
«Maledizione!»
– strattonò la zip della borsa incastrata.
Aveva
fatto gli ultimi 500 metri fino a casa sua di corsa, perché
aveva
iniziato a piovere forte e ovviamente lei non aveva nessun ombrello
con sé.
Si
stava inzuppando.
Finalmente
riuscì a trovare le chiavi e aprì in fretta
precipitandosi in casa,
all’asciutto.
Katty
le venne subito in contro
miagolando
festosa,
strusciandosi contro le sue gambe.
«Ciao
bella... sei di buon’umore oggi? Beata te...»
Scalciò
le scarpe da ginnastica nel corridoio, togliendo i vestiti bagnati
con Katty che le trotterellava dietro.
S’infilò
la sua vecchia tuta sbrindellata ma calda e si occupò di
Katty
dandole i suoi croccantini al pesce.
Scaldò
un pezzo di pizza, che fissò truce prima di addentarla:
doveva
essere la cena per lei e il suo finnico scomparso.
Una
fitta le ricordò che doveva prendere qualcosa per far
passare quel
mal di testa che si portava dietro dal giorno prima.
Si
versò un bicchiere di latte freddo e ingoiò una
compressa, prese
Katty con sé e s’infilò a letto,
coprendosi anche la testa con il
copriletto.
Finse
per tutto il tempo che andava tutto bene e non stava pensando a
Ville.
******
«Maili
è morta in uno stupido incidente.
Stava
tornando a casa in bicicletta ed è stata sbalzata via,
tamponata da
una macchina.
Non
si è accorta di nulla. Non ha sofferto. Ma io
sì.» – il Sig.
Korhonen sospirò rigirandosi tra le mani nodose la foto
nella
cornice d’argento.
«Sai,
mia cara... era uscita per farmi una sorpresa: era il nostro
quindicesimo anniversario e stava preparando qualcosa di speciale. Non
ho mai
saputo cosa stesse combinando in gran segreto: lei era fatta
così.
Dopo di lei non ho avuto mai un’altra compagna.
Oh,
sì certo: non mi mancava la compagnia femminile. Ma tutto si
riduceva a bisogno fisico e basta. Il mio cuore è stato
sbalzato
via, insieme a quello di Maili.»
******
Un
bussare insistente alla porta la svegliò.
Aveva
sognato l’ultima parte del racconto del Sig. K.: solo che nel
suo
sogno Maili non era morta e lei e il suo amore, vivevano ancora
insieme nella casetta di fronte alla sua.
Bussarono
ancora, battendo con maggior forza.
Non
aveva nessuna intenzione di andare ad aprire, chiunque fosse.
Si
tirò decisa il piumone sulla testa.
Non
voleva vedere nessuno.
Forse.
Katty
miagolò dal corridoio richiamandola e lei seppe chi era al
di
là della porta.
Si
alzò con un sospiro, marciando a passo di carica verso
l’ingresso:
Valo le doveva delle spiegazioni.
Aprì
di scatto la porta trovandosi un paio di occhi verdi che la fissavano
allarmati, per passare poi ad un’espressione decisamente
truce.
«Hai
intenzione di farmi prendere un colpo? Perché diavolo non
rispondi
al cellulare? Ti ho chiamata un centinaio di volte: dov’eri?!
Per
non parlare del fatto che mi sono attaccato al citofono per un tempo
infinito! Ora tutti quanti nel quartiere sanno di noi.»
Lou
ricambiò lo sguardo truce, incrociando le braccia sul petto.
“Fermi
tutti! Ora LUI le stava facendo una piazzata perché LEI non
gli
aveva risposto al cellulare?!”
.
Ebbe
improvvisamente voglia di prenderlo a calci.
Se
solo non fosse stato così bello e sexy, mentre la bocca
morbida si
piegava in un sorriso ironico.
Se
solo non l'avesse amato da morire.
«Ho
come l’impressione che tu non abbia nessuna voglia di farmi
entrare.» – disse infilando le
mani nelle tasche
dei jeans.
Guardandolo,
le sembrò passata un’infinità di tempo
dall’ultima volta che si
erano visti.
Lou
rimase chiusa nel suo mutismo, non muovendo neanche un muscolo.
«Sì,
sei decisamente arrabbiata. Cos’ho fatto stavolta?»
“Non
provare a fare il furbo facendomi quella faccia, Valo! Non osare
ridacchiare!”.
Ville
abbassò gli occhi a terra, ma non per imbarazzo: stava
reprimendo
l’impulso di riderle in faccia.
Lou
sentì le orecchie fumare.
«'Prinsessa', non vuoi farmi entrare?» – le chiese tornando a
guardarla dritto
negli occhi, causandole un momentaneo black out alle sinapsi.
Si
spostò di lato rimanendo in silenzio; lui le
passò vicino
sfiorandola appena tornando a ridacchiare sotto i baffi.
Lo
avrebbe strozzato, decise.
Avrebbe
usato quella maledetta sciarpina nera che faceva risaltare ancora di
più gli occhi verde chiaro.
Katty
fece le feste al ‘figliol
prodigo’
e non si
curarono più di lei e del suo broncio.
Lou
sentiva le orecchie sempre più calde.
“Prego,
fai come se fossi a casa tua!” –
pensò acida Lou vedendolo mettersi comodo togliendo le
scarpe,
allineandole vicine e precise accanto al divano verde; lo vide
togliersi la sciarpina e la giacca di pelle leggera e metterle
ordinate sulla sedia.
L’occhio
destro di Lou tremò leggermente all’angolo.
Maledetto
traditore: faceva così ogni volta che le saliva la pressione
improvvisamente.
«La
nostra 'Prinsessa' è di cattivo umore?»
Ville tubava e parlava con
Katty come se lei
non fosse presente e la felina gli rispondeva con un “maooo”
diverso da quello che usava con lei.
“Bagascia
di una gatta!”.
Lou
rimase rigida sulla soglia del salotto, sentendosi
un’intrusa.
In
casa sua!
Ville
alzò gli occhi per un momento e la guardò a
lungo.
Lei
non muoveva un muscolo e avrebbe fatto un’ottima figura di
impassibilità e freddezza... se il suo maledetto occhio
destro non
avesse iniziato a battere furioso!
Lui alzò
l’elegante, affusolata, enorme mano bianca e
le fece cenno di
avvicinarsi.
“Manco
morta!”.
Lou
ignorò lui e la sua mano tentatrice e si diresse verso
l’isola
cucina: lo sentì sospirare e sussurrare qualcosa a Katty.
Aprì
il frigorifero in cerca di qualcosa che avrebbe raffreddato i suoi
bollenti spiriti, le orecchie fumanti e l’occhio magari
avrebbe
smesso di agitarsi.
Prese
il cartone del succo d’ananas e lo sbatté
violentemente sul
ripiano, mentre cercava un bicchiere pulito, lo trovava, sbatteva
anche quello (rischiando di mandarlo in pezzi) e vi versava il succo.
La
sua rabbia e la preoccupazione, nonché la delusione della
sera
prima, di tutti i preparativi andati a monte, il vestito, la cena, il
ciondolo, le candele... ora le sembravano futili.
Ora
che lui era lì, che si alzava felino dal divano per
raggiungerla
nello spazio ristretto tra il lavello e il frigo.
Le
si piazzò di fronte sovrastandola.
«Guardami.»
– le ordinò a bassa voce.
“Fottiti.”
- pensò
fissando il
bicchiere.
«Lou?
– ripeté inclinando la testa di lato, sbirciandola
– che
succede? Avanti so che sei arrabbiata, ma non ne so il motivo:
parliamone. Ti va?»
“Perché
deve essere così calmo, così dolce,
così... così Ville?”.
E
perché lei era sull’orlo del pianto dirotto?
Maledizione
a lui.
Ville
la abbracciò improvvisamente, con un sospiro.
«Ecco, ora va meglio....uhmmm, mi
sei mancata.»
Il
suo occhio destro avrebbe fatto un triplo salto mortale se avesse
potuto.
«Posa
quel bicchiere, 'Prinsessa'...
o hai deciso di romperlo sulla mia testa? E... pensi di parlarmi
prima o poi?
Le
mani calde le accarezzavano piano la schiena rigida.
E
lei rinsaldò la presa intorno al bicchiere, valutando per un
istante
l’idea di tirarglielo dietro sul serio.
«Sai,
ricordo una situazione simile, in questo stesso posto... con te
arrabbiata e una tazzina in mano... sono sotto il costante tiro
nemico, a quanto pare...» – ridacchiò
lui baciandole piano i
capelli.
«Piantala
di baciarmi!»
La voce le uscì un po'
più dura di quanto
avrebbe voluto, tanto che lui si bloccò per qualche secondo.
«Ok,
dimmi che cosa c’è che non va.»
– le alzò il mento con un dito, obbligandola a
guardarlo.
La scrutava serio ora, quasi
preoccupato.
E
lei si sentì ancora più stupida per essersela
presa per una cosa
che non era così importante.
Faceva
sempre lo stesso errore.
Stavolta però non
poteva dirgli che aveva pensato a cose assurde come era
già successo la volta precedente con Amy.
Lui
le aveva chiesto di fidarsi e lei lo aveva promesso.
Le
aveva detto che ci sarebbero stati giorni difficili, in cui non
avrebbe potuto essere con lei.
Lo
sapeva.
«Sono
stanca. Ho avuto una pessima giornata al lavoro.» –
mentì con
voce piatta, svincolandosi dal suo abbraccio.
«Ok,
lo capisco... posso fare qualcosa per farti stare meglio?»
“Maledizione!”.
Fece
spallucce girandogli le spalle, trafficando con il cartone del succo
d’ananas.
Sentì
le braccia magre di Ville abbracciarla da dietro, la fronte che
poggiava sui suoi capelli.
Sentì
il suo corpo premerle contro, caldo e rassicurante.
«Ti
fidi di me, Lou?» – sussurrò
piano
vicino al suo orecchio.
Lei
rimase senza fiato.
La
sua perspicacia la lasciava senza parole.
«Vorrei
provare a farlo... ho solo paura di non... di non riuscire ad essere
quello che tu vuoi, quello che ti aspetti da me.»
Gli
fu grata che continuasse a tenerla stretta a sé, senza
provare a
girarla per guardarla in viso.
«Cosa
pensi che mi aspetti da te?»
«Non
lo so... penso di non esserlo e basta. Qualunque cosa tu voglia, io
non lo sono.»
«Di
non esserlo e basta? Di cosa stiamo parlando?»
La
cullava, sì la cullava tra le braccia, mentre avrebbe voluto
scuoterla probabilmente.
«Di
non essere abbastanza per te.»
Ecco.
Si
maledisse per la propria linguaccia, per la propria debolezza, per la
sua stupidità e capacità di complicare anche le
cose più semplici.
«Lou...»
“Non
'Prinsessa'”.
«Lo
so, Ville... so quello che stai per dirmi.»
«Cosa
sto per dirti?»
«Che
mi sbaglio: che non sono io a sapere cosa tu voglia.»
«Hai
ragione: ti sbagli. E ancora di più sbagli a dire che non
sei
abbastanza per me. Sei anche troppo... Lou, tu mi dai qualcosa che
non speravo di avere più.
Ho
amato tante donne nella mia vita, sono stato a letto con molte
più
donne di quante avrei mai pensato di poter avere; con qualcuna di
loro ne è valsa la pena, con qualcun’altra no; poi
ci sono state
quelle per le quali ho scritto canzoni.
E
poi ci sei tu. Che non sei uguale a nessun’altra. Che non
potevo
immaginare.
Che
mi fai entrare nella tua normalità, che mi tratti come uno
qualunque, che mi fai tornare ragazzo e avere voglia di qualcosa che
non sapevo di volere.»
Lou
trattenne il respiro per un tempo indefinito.
“SE
muoio è per colpa tua.”.
Lui
strinse le braccia ancora di più attorno a lei, sfiorandole
l’orecchio con la punta del naso.
«E
cosa vuoi?» – impiegò
molto
più tempo del dovuto per articolare
quelle tre parole.
«Questo...
io e te... così, come ora... per tutto il tempo che mi
vorrai.»
******
Le
mani scorrevano lungo le braccia, fermandosi sulle spalle nude e
tornavano indietro lentamente fino ai polsi di Lou.
«Mi
avresti tirato il bicchiere?» – le chiese
ridacchiando.
Lou
era incuneata fra le gambe di Ville, che la stringevano alla vita e
lei lo guardava seria, con il viso appoggiato sulla pancia di lui.
«No.
Avevo
in mente di strozzarti con la sciarpina.»
«Ahia.
Preferisco una morte rapida e violenta che una lenta agonia.»
«Non
è quello che canti.»
«A
voi donne piace immaginarmi così...» –
sospirò teatrale
alzando gli occhi al cielo.
«Umpfh.»
Ridacchiò
nuovamente, prendendole i capelli in entrambe le mani.
«Amo
i tuoi capelli che danzano intorno a noi, amo sentirli sfiorarmi
quando sono dentro di te, creando una cortina magica, dorata tra
noi...»
«Già,
già Valo, ma non attacca: non mi freghi sempre con questi
versi
poetici, come fai con tutte le tue prede.»
«Vero.
Tu non hai bisogno di chiacchiere. Tu vuoi i fatti. Sei una donna
materialista...» – spinse provocatorio
il bacino
contro di lei.
«Fottiti,
Valo.»
«Siamo
diventati sboccati, eh?»
«Già:
sai, frequento cattive compagnie.»
«Vero
anche questo...»
La
guardò negli occhi continuando a giocare con i suoi capelli,
intrecciandoli alle mani.
«Sei
seria. Più del solito, intendo.»
«Non
sono mai stata l’anima della festa se è per
questo.»
«E
siamo anche acidi, vedo... la mia cura non ha
avuto esiti
positivi.»
«Forse
la
tua cura fa cilecca.»
«Cilecca,
eh?»
Lou
alzò un sopracciglio come faceva lui.
Ville
rise con la sua risata a singhiozzi.
La
sua “Lambretta”:
ricordava la prima volta che l’aveva sentita, la notte che
avevano
trovato Katty.
La
notte che era cambiata la sua vita.
«Che
cosa hai fatto di bello in mia assenza?»
Lou
strinse gli occhi soffocando la rabbia per la cena mancata e la
sorpresa.
«Sono
stata qui, poi ho fatto visita al Sig. Korhonen; non mi sembrava in
forma
il giorno precedente e volevo assicurarmi che stesse bene.»
«E
ora sta bene?»
«Sì,
sta bene.»
«Non
hai molta voglia di fare conversazione, eh?»
«Tu
parli troppo, Valo... te lo dico sempre.»
Lou
si alzò a sedere sul letto sfuggendo alla presa di Ville.
«Ehi,
dove vai?»
«In
cucina, ho sete.»
E
prima che potesse aggiungere altro, lei scivolò via lesta.
Aveva
stranamente bisogno di qualche minuto da sola.
La
presenza dell'uomo alterava sempre il suo modo di vedere e
approcciarsi alle cose.
Doveva
impegnarsi a non dar troppo peso alle parole, a godersi il momento e
non lasciarsi andare eccessivamente.
Mara
aveva ragione. Con lei o era tutto o niente.
Doveva
imparare a gestire le cose con maggior consapevolezza, senza negarsi
la gioia di avere Ville nella sua vita.
Bevve
un bicchiere d’acqua, sperando che facesse chiarezza anche
dentro
la sua testa e rinfrescasse i pensieri confusi, dopo le parole dolci
di Ville.
Prese
al volo la bottiglia portandola in camera, pensando che anche lui
potesse aver sete.
Ville
non era più sul letto disfatto, ma curiosava guardando la
cornice in
plexiglas che raccoglieva tutte le sue foto dei ricordi.
Una
bella visione anche per lei, dato che era con le sue beltà
al vento.
Si
girò sorridendole, nel sentirla tornare in camera.
«Raccontami
di queste foto.»
«Cosa
vuoi sapere? Sono solo foto di ricordi...»
«So
cosa sono, voglio che mi dici cosa significano per te. Avanti, non
fare la scontrosa... vieni qui.» – la
tirò via dal letto,
piazzandola davanti a sé e tenendola stretta.
«Questa
– indicò una foto di lei e Mara in bianco e nero
- Qui dove sei?
Con chi eri e cosa stavi facendo?»
«Lei
è Mara, la mia più cara amica. Siamo a Roma,
durante il primo anno
di Accademia; non ricordo cosa stessimo facendo di preciso... la foto
l’ha scattata Simone. È un ottimo fotografo se
decide di stare
dietro la macchina e non davanti...»
«Sei
molto carina con i capelli corti.»
«Erano
corti perché Simone, voleva giocare all’Allegro
Hair-Stylist Gay e
sbagliò la tinta, su di me. Ovviamente. I capelli
diventarono di un
colore giallognolo tendente la verde. Così fui costretta a
tagliarli.»
Le
strinse le braccia intorno alla vita, distraendola.
«E
qui? Chi sono loro?»
«I
miei genitori e mio fratello Livio, manca l'altro mio fratello in
questa... e questa è casa mia...»
Indicò la sua famiglia,
immortalata nel piccolissimo giardino dietro casa. La foto era piena
di sole e ridevano tutti. Suo fratello faceva come al solito il
buffone e aveva detto una delle sue baggianate. Lou non ricordava
cosa disse in quell’occasione.
«Tu
non ci sei.»
«Ero
io a scattare: è una foto di qualche anno fa... ora mio
fratello è
cresciuto, ma è ugualmente idiota...»
«Ti
somiglia in qualche modo. Ha i tuoi stessi occhi, ma tu somigli a tuo
padre.»
«Sì,
come da manuale le donne somigliano di più al
papà e i maschietti
alla mamma, di solito; tu a chi somigli?»
«A
mia madre, per i tratti del viso... per il resto, a mio
padre.»
Si
chiese come dovesse essere bella la madre di Ville se il figlio aveva
preso da lei.
Il
pollice di Ville disegnava ghirigori sulla pancia di Lou.
«Questo
è Simone e lui chi è?»
Ville
indicò una foto dell'ultima volta
che era stata in Italia.
«Karl,
il marito di Mara... affascinante, non trovi?»
«Ummmm,
se ti piacciono gli spilungoni biondi ti presento qualche mio
amico.»
«No,
preferisco i mori.»
«Buongustaia.»
«E
questa?» - indicò l'ecografia
di Mara con tono
interrogativo e
preoccupato.
«Tranquillo,
non è mia. Mara me l'ha mandata ieri.»
«Io
sono tranquillo, tu molto meno... - aprì la mano sulla
pancia – Non vuoi avere bambini?»
Lou
si gelò immobile e si staccò da lui bruscamente.
«Non
è la mia priorità, ora.» - disse seccamente
infilandosi la t- shirt.
«Com'eri
da bambina?» - Ville cambiò
rapidamente discorso,
buttandosi sul
letto.
«Piccola.»
“Acidissima.
Limone. Pompelmi a vagonate.”.
Ville
ridacchiava dal letto.
«Lou?
Sputi bile da ogni poro stasera... vieni qui.»
«Non
ci penso neanche. Sono stata a letto tutto il giorno, voglio
sgranchirmi le gambe.»
«Ci
sono molti modi per sgranchirsi le gambe...» -
sussurrò allusivo.
Lei
si girò con un sopracciglio alzato.
Ormai
aveva affinato la tecnica: le veniva benissimo.
«Di
nuovo? Non farà male alla tua età strafare?»
Niente
da fare. L'allieva non poteva superare il maestro.
Le
sopracciglia di Ville fecero quasi il giro mortale all'indietro.
Entrambe.
Contemporaneamente
e con eleganza.
«Male?
A me?!»
Condensò
tutto il suo sdegno in due parole e tre sillabe.
Aveva
dimenticato il : “Come
osi, tu... plebea!?”.
Lou
si appoggiò mollemente alla scrivania guardandolo con aria
sufficiente.
Le
veniva da ridere e sotto sotto anche a lui.
Prese
la foto che Livio le aveva inviato e la mostrò a Ville,
sedendosi
lontana quanto basta da lui.
Meglio
non sfidare troppo la sorte.
«Ecco,
ero così.»
Ville
la prese e le sorrise con gli occhi, sbirciandola al di sopra della
foto.
«Sei
uguale: stessa espressione incavolata, stessa smorfia, stessi
capelli... marmellata a parte, non sei cambiata molto...»
“Sarebbe
bello, Ville... ma non sono più quella bambina.”
«Posso
tenerla?»
Lou
annuì, lusingata che lui volesse la sua foto da bambina...
era
così... dolce. E intimo.
«E
comunque... - continuò avvicinandosi a lei inchiodandola
sul posto
con la giada – ti vedo bene con un bambino. Saresti un'ottima
madre.»
Lei
tornò ad irrigidirsi.
«E
come fai a dirlo?»
«Perché
vedo come sei premurosa con il Sig. Korhonen: sei premurosa con tutti
e lo saresti ancora di più con un bambino.»
Lou
mordeva nervosa l'interno della guancia, massacrandosi la carne.
«E
tu? Tu ti vedi come padre?» - si pentì
immediatamente di quella
domanda.
Non
voleva saperlo. Non voleva una risposta.
Qualunque
cosa avesse detto lui, non avrebbe cambiato la realtà dei
fatti.
Doveva
dirglielo? Cosa avrebbe cambiato? Nulla.
Ville
ponderò bene la risposta non staccando gli occhi da lei.
«Potrei
vedermi bene, sì. Penso che sia la conseguenza normale se
trovi la
persona giusta, no?»
«Giusto.»
«Uhmmm...»
«Che
mugugni?»
«Devo
assolutamente trovare un modo per farti tornare di buonumore.
Adesso.»
La
bloccò con le lunghe gambe magre sotto di sé.
«Valo...» -
iniziò a borbottare.
«Zarda,
te l'hanno mai detto che a volte parli troppo?»
*******
"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono salva! Dopo
aver rischiato di brutto per la fregatura dello scorso capitolo eccoci
qui con un altra dose di Pippe's Lou! ^^
Valo è tornato e come sempre la nostra amica non ha saputo
resistere al fascino del secco... u,u
Gli basta davvero poco per farla capitolare, ma è
innamorata: bisogna capirla, poraaaa stella!!
E nnnniente... spero che anche questo capitolo vi tenga compagnia per
un pò e vi piaccia... e spero anche che tutti i fantasmini (
e sono tanti) che leggono, prima o poi, lascino un loro commentino.
Tranquilli: non mordo! (forse) xD
Come sempre un grazie speciale alla mia Beta che si è persa
momentaneamente tra i trulli della Puglia:
Deilantha.
Spalla
e
roccia della mia vita insieme all'apinacuriosaEchelon.
<3
Ringrazio tutte
le affezionate lettrici che hanno lasciato un segno del loro passaggio
nel capitolo precedente:
katvil,
_TheDarkLadyV_, cla_mika, arwen85, Daelorin, Lady Angel 2002,
LaReginaAkasha, Enigmasenzarisposta, IlaOnMars6277,
Gone
with the sin, renyoldcrazy, LilyValo, _Venus_Doom_ , FrancyValo,
Izmargad, Emp_MJ.
Inolte
un grazie ad Ary
per la lettura a tempi di
record che sta facendo!
E un grazie anche ad Alessandra S., sorella dello "zoccolo duro"da
lunghissimo tempo che ha scoperto da poco Ville e gli HIM (per la
disperazione di Reny!XD).
:*
Alla
prossima!
*H_T*
|
|
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Capitolo 22 *** Capitolo ventuno : "So sweet that it's hurts..." ***
Capitolo
ventuno
"So sweet that it's hurts..."
Lou
guardava Katty dormire beata sulla pancia di Ville.
La
micia aveva atteso pazientemente che fosse il suo turno di coccole e
non appena Lou si era distratta allontanandosi dal letto per un
minuto e due, aveva preso possesso del suo finnico.
La
mano di lui era posata sul capino della micia che gli faceva le fusa
perfino mentre dormiva.
«Sono
allergico ai gatti. Agli animali in genere, a dire il vero...
sai?»
Ridacchiò
tirando su con il naso.
Ecco
spiegato perché aveva sempre gli occhi rossi e lacrimosi: e
lei che
pensava si commuovesse!
«Sei
strano Valo... rischi di soffocare eppure te la tieni
addosso...»
-
gli sorrise dolce.
«Non
è mica detto che solo perché qualcosa o qualcuno
non fa bene alla
salute, io ne debba fare a meno...»
- le lanciò
uno sguardo
obliquo.
«Ehi,
vorresti insinuare che io ti faccio male alla salute?»
«Diciamo
che non sei una facile...»
«Senti
chi parla! Sua Maestà Affabile!»
Ville
se la rideva sotto i baffi.
«Non
ho neanche detto che non mi piacciono le sfide... non sarei
qui.»
«Magari
sei qui perché non hai niente di meglio da fare e sei troppo
pigro
per cercarti una donna lontano da casa tua.»
L'espressione
di Ville cambiò immediatamente.
«Spero
per te che tu stia scherzando.»
- disse gelido e risentito.
Lou
non rispose evitando di guardarlo negli occhi.
Vedeva
troppe cose quando la sondava con quei laser verdi.
«È
successo qualcosa che non so? Non capisco perché hai
quest’atteggiamento... e la cosa mi rende nervoso. Pensavo
che
fossi stato abbastanza chiaro su quello che provo per te. Ma vedo che
continui a dubitare, a mettermi alla prova sfidando la mia
pazienza... cosa vuoi che faccia?» -
chiese con un tono di
voce
alterato.
A
Lou tremarono le pareti dello stomaco.
Probabilmente
stava esagerando con la sua acidità, ma come una macchina
lanciata
in folle con i freni rotti lei andò avanti da vera kamikaze.
«Perché,
pensi che sia impossibile che tu stia qui solo per il motivo che sono
quella a portata di mano?»
Ville
la guardava in silenzio, il corpo che fino a qualche minuto prima era
rilassato, ora era teso, le narici dilatate e le labbra strette a
formare una linea dura.
«Stai
parlando sul serio?»
“Fermati.
Sta' zitta, cretina di un’idiota!”.
«Saresti
così gentile da rispondere? O devo prendere questo silenzio
per
assenso?»
Katty
si svegliò sentendo il suo finnico agitarsi sotto di lei.
Miagolò
contrariata, guardando prima l'uno poi l'altra allarmata.
Strinse
gli occhi verdi così simili a quelli di Ville, fissandola
con aria
accusatoria.
“Oh,
anche lei ora!”.
La
gatta aveva già deciso di chi fosse la colpa dell'alterco
che
l'aveva svegliata dal suo placido sonnellino.
«È
quello che penserebbe la maggior parte delle persone.»
«Non
me ne frega un cazzo di quello che pensa la maggior parte delle
persone: lo sto chiedendo a te. È
con te che sto parlando.»
Era
sempre più arrabbiato.
Il
suo amico Simone avrebbe sicuramente detto: “Me
sa che ho fatto‘na cazzata...”.
E
iniziava a pensarlo anche lei.
Come
sempre quando era nel panico iniziava a dire e fare cose senza senso:
Ville però era tutt'altro che una persona che se la faceva
sfuggire
sotto il naso.
La
fissava arcigno come un istitutore in procinto di infliggere una
punizione esemplare all'alunna tonta.
Lou
represse l'istinto di scappare via a gambe levate.
Ville
sexy e dolce era una cosa: Ville arrabbiato... beh, era tutt'altra
storia.
Gli
occhi verdi caldi e ardenti si trasformavano in lame affilate,
gelide.
Vedeva
la fatica che faceva a contenere il fastidio.
«Lou?»
«Ville...
mi spiace. È
che... se guardo te, mi chiedo sempre per quale motivo
dovresti volere me.»
«Ti
è così difficile credere che invece è
proprio te, questa casa,
questo letto, Katty, la cucina con le sedie tutte spaiate e il bagno
con la doccia che perde che voglio?
Ti
vorrei in ogni caso. Sono egoista?
È difficile
capire che voglio TE? Sono io che mi chiedo perché
dovresti TU volere me.
Non
ci sono mai e quando sono con te, parliamo poco.
Ti
do soltanto i ritagli del mio tempo e meriteresti sicuramente molto
di più.
Non
posso darti quello che una normale coppia dovrebbe avere,
sarà
sempre più difficile stare al mio fianco e sarai sempre
bersaglio di
commenti e paragoni con quelle che ti hanno preceduta.
Vorrei
risparmiarti tutto questo ed essere un semplice uomo e basta.
Ma
non lo sono.
Questo
deve condizionare ogni nostro momento insieme?
Perché
se devo rinunciare a te, voglio avere un'ottima motivazione e al
momento non la vedo!
Dimmelo!
Dimmelo
ora!
Dimmi
se vuoi ancora stare... – si interruppe bruscamente - Dimmelo
se
vuoi continuare. - disse a bassa voce – E guardami, per
favore.»
«Se
ti guardo non sarò più in grado di mettere due
parole in fila,
perché non riesco a negarti niente quando mi
guardi.»
Seduta
sul letto con le braccia che stringevano le gambe e la fronte che
poggiava sulle ginocchia, Lou cercava le parole adatte ma prima che
potesse impedirselo ecco che la sua bocca era andata di nuovo per
conto suo.
Sentì
sospirare, il materasso muoversi e due braccia magre tirarla
giù,
togliendola dalla sua posizione fetale e piegarla come
sempre, al
suo volere.
Con
le labbra che si muovevano leggere sulla sua fronte lo
sentì
farfugliare:
«'Prinsessa'...
so che qualcosa in passato ti ha tolto quel po' di fiducia che voi
donne avete in noi... e avete ragione, la maggior parte delle
volte...
Non
posso prometterti niente.
Non
posso mentirti, non voglio mentirti.
Vorrei
che tu scegliessi di rimanere con me, perché da quel
bastardo
egoista che sono, amo stare con te, amo come mi sento quando sono con
te...
Ma
quest'ansia perenne che ti porti addosso... lo so come ti senti.
Ti
chiedo solo di darmi tempo, di darci tempo.
Ci
saranno periodi in cui non riuscirai a liberarti di me e
starò con
te ogni momento.
Io
non sono come gli altri uomini: sono molto peggio.
E
tu devi saperlo: sono un rompicoglioni senza eguali... ma voglio te.
E
so che tu vuoi me.
Pensi
di riuscire a sopportare il mio caratteraccio, le mie mancanze, come
io sopporterò le tue ansie, le tue paure e gli improvvisi
cambi
d'umore, che tu non ti sognerai ovviamente, di spiegarmi?»
Come
faceva a dirgli di no? La metteva su un piano così semplice.
E
lo era. Per una persona normale, per una donna normale che credeva in
se stessa.
Ma
lei non era come tutte le altre.
Ville
parlava di qualcosa che lei non riusciva ancora ad accettare, si
aspettava qualcosa, un futuro che lei non poteva dargli.
E
nel panico più assoluto, non sapeva come dirglielo.
******
Quella
volta in ospedale, la notte che aveva perso il suo bambino, Matleena
le aveva preso le mani fredde e sudate fra le sue e spiegato con una
dolcezza che non credeva di poter trovare nella sua draghessa, che il
feto non ce l'aveva fatta.
E
che non ce ne sarebbe mai stato uno.
L'intervento
subito non lasciava dubbi: lei non avrebbe mai portato a termine una
gravidanza.
Niente
bambini per lei.
Aveva
guardato Mat con espressione neutra, come se quello che le stava
dicendo con gli occhi lucidi non la riguardasse affatto.
Aveva
appreso la notizia senza battere ciglio, spaventando ancora di
più
la sua draghessa che probabilmente si aspettava scene isteriche o
quasi.
Non
aveva pronunciato una parola, n'è versato una lacrima.
Stava
succedendo a qualcun'altra. Non a lei.
Solo
quando era tornata a casa due giorni dopo, con Mat e Nur che le
stavano dietro come segugi, scrutandola come se temessero che potesse
farsi del male, aveva capito che per lei non ci sarebbe più
stato
in tutta la sua vita, qualcuno che le potesse appartenere
completamente.
Qualcuno
che avrebbe confidato in lei, che si sarebbe fidato, che lei poteva
amare senza paura di vederlo scappare via, che la ferisse o la
illudesse.
Qualcuno
completamente, totalmente suo.
Si
era guardata allo specchio scoprendo la pancia piatta.
Non
c'era neanche stato il tempo di vederla crescere, di sentirlo
muoversi dentro di lei.
Non
c'era stato tempo di capire se sarebbe stato un maschio o una
femmina...
Eppure
lei si era sentita legata a lui o lei, più che a qualunque
altro
essere umano.
Da
quella notte in poi, dal suo ritorno a casa, vuota dentro
più che
mai aveva iniziato a sognare quel bambino mai nato.
A
volte lo sognava come neonato, altre invece correvano insieme
rincorrendosi e rotolandosi sulla sabbia...
A
volte le sembrava addirittura di sentire il profumo della sua pelle e
la setosità dei suoi capelli contro la guancia.
In
quei primi mesi, dormiva più che poteva per poter cullare
tra le
braccia quella parte di lei che non avrebbe conosciuto mai.
******
Ville
aspettava come sempre una risposta che lei tardava a dargli.
Continuava
a baciarle pensieroso i capelli e la fronte sfiorandola con le
labbra.
Al
suo posto si sarebbe spazientita della sua eterna indecisione, dei
suoi innumerevoli cambi d'umore e dubbi.
Ma
Ville, dopo un primo momento in cui sembrava stesse per perdere le
staffe era tornato quello di prima.
«So
che trattare con me e capirmi non è facile, Ville.
A
volte la mia paura mi fa commettere sbagli di cui poi pago le
conseguenze... sono consapevole di alcuni tratti di me che sono
insopportabili... - sospirò, stringendoglisi addosso -
voglio
fidarmi di te.
Voglio
fidarmi di quello che sento.
Voglio
te.»
Le
braccia calde intorno a lei aumentarono la stretta.
Restarono
in silenzio per un po', limitandosi ad ascoltare l'una i respiri
dell'altro, Katty tornò ad incunearsi tra loro due
soddisfatta della
tregua e contenta di poter tornare a fare il suo amato sonnellino
vicino a Ville.
«Ville?»
«Ummhhh...?»
Lou
avvicinò il viso a quello di lui, sfiorandogli il collo con
la punta
del naso.
«Ti
amo.»
******
«Sono
a casa!»
- la voce squillante di Nur
annunciò il
suo arrivo, come se non fosse stato sufficiente il baccano che
faceva, imprecazioni varie per tirare dentro il trolley e il lancio
delle chiavi di casa sul mobile in corridoio.
Ville
aprì un occhio borbottando una sequela di coloriti insulti
in
finlandese.
Avevano
parlato per tutta la notte, alternando coccole a confessioni, ricordi
d'infanzia e aneddoti, momenti di passione ed erotismo alle stelle a
risate e giochi con Katty esaltata che correva e saltava sul letto,
infilandosi tra loro e sotto le lenzuola.
La
micetta si stiracchiò sbadigliando e si puntellò
con le zampette
sfoderando le unghie affilate contro il fianco nudo di Lou.
Il
sole entrava a tratti dalle persiane socchiuse, disegnando strisce di
ombra e luce nella stanza.
Lou
si sporse oltre la gatta che la sbirciava ad occhi socchiusi e
sfiorò
le labbra di Ville con le sue.
«Dormi,
io vado a sopprimerla e torno da te.»
«Umpfh...
ok...»
- bofonchiò con la voce ancora
più rauca e bassa del
solito.
Infilatosi
sul corpo nudo la prima cosa che le capitò a tiro,
uscì per dare il
benvenuto alla sua coinquilina rumorosa.
Nur
in cucina si stava versando un bicchiere di succo d'ananas e le
strizzò l'occhio quando la vide apparire scarmigliata e
mezza nuda.
«Ma
il secco una casa non ce l'ha?»
- chiese a mò di
benvenuto.
«Shhhttt..
lo hai svegliato.»
«Oh,
povera stella! Quanto mi spiace.»
Lou
fulminò con un'occhiata la sua amica senza che questa si
scomponesse
minimamente.
«Antipatica.
Ho bisogno di caffeina. Ora.»
- si accinse al suo rito
mattutino
sbirciando Nur che la sbirciava a sua volta.
«Beh?
Che c'è?»
- chiese acida.
«Niente.
Hai per caso un morso sulla coscia? Siamo passati al sesso
estremo?»
-
ridacchiò divertita Nur.
“Eh?
Davvero ho un morso? - Lou sbottò a ridere guardando a sua
volta il
segno semicircolare lasciato dai dentini di Ville – Non ho
idea di
quando mi abbia addentata...»
«Sempre
peggio: non gli passa mai la voglia?»
«Dio
non volesse!»
- rispose Lou alzando gli occhi al cielo.
«Ninfomane.»
«Rompipalle.»
Lou
guardava la sua amica ridacchiando: come sempre era abbagliata dalla
sua bellezza esotica e sensuale.
Nur
riusciva ad essere bella e perfetta anche dopo dieci ore passate su
un aereo a fare avanti e indietro per il corridoio.
Quella
mattina aveva i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta che
metteva in risalto i suoi lineamenti.
Aveva
indossato stranamente una felpa leggera bianca su un jeans chiaro e
solo un po' di mascara.
Ed
era stupenda.
Lou
non osava pensare in che stato fosse lei invece... morsi sulle cosce
a parte!
Continuavano
a studiarsi silenziose, felici di essersi ritrovate.
Confortate
l’una dalla presenza dell' altra.
«È
tutto ok? - chiese Nur sorridendole – Il secco ti tratta
male?»
«Sì,
è tutto ok... perché me lo chiedi?»
Nur
alzò le spalle.
«Chiedevo.»-
rispose vaga.
«Nur.
Sputa il rospo, tu non chiedi mai.»
«Niente,
sul serio...»
- le sorrise rassicurante la sua coinquilina.
Chissà
perché invece, quando Nur sorrideva così, a lei
venivano i brividi:
era a metà tra un sorriso da serial killer e un pazzo.
«Nur!»
«Ranocchia:
piantala! Era solo una domanda... e io ho bisogno di una doccia.- tolse
la felpa rimanendo in reggiseno di pizzo viola – Pensi di
poter
tenere il secco a letto ancora per qualche minuto? Non vorrei
ritrovarmelo improvvisamente tra i piedi.»
- le
strizzò l'occhio dirigendosi verso il bagno, lasciandola a
bere da sola il suo
caffè
ormai tiepido.
Lou
non si era bevuta la sua scusa con relativa fuga strategica: avrebbe
torchiato a dovere l’hostess svampita.
Lei
e il suo sesto senso da quattro soldi.
Avrebbe
dovuto infischiarsene e dar retta ai suoi amici, invece annusava
sempre come un segugio ogni sfumatura nella voce e negli occhi di chi
aveva davanti.
E
spesso questo non faceva che procurarle dei guai.
Katty
sbucò all’improvviso saltando sul ripiano del
mobile.
Miagolò
debolmente nella sua direzione in cerca di cibo.
Era
solo per quello che lasciava il fianco di Ville: niente
l’avrebbe
schiodava da lui altrimenti.
La
tenne d’occhio con aria altera, in attesa mentre lei apriva
una
scatoletta di cibo e gliela serviva sul piattino a forma di pesce che
aveva comprato qualche settimana prima.
«Ecco
a lei, principessina!»-
le disse Lou guardandola chinare la
testa
e iniziare il suo pasto.
L’eleganza
innata dei gatti in qualsiasi cosa facessero.
Come
Ville.
Tornò
in camera dopo aver dato una carezza a Katty che la ignorò
completamente.
Ville
dormiva alla grossa: il suo respiro di solito leggero e quasi
impercettibile, era pesante e cadenzato.
Si
avvicinò piano, in punta di piedi.
Le
labbra dischiuse e una mano sulla pancia, l’altro braccio
steso al
suo fianco, dalla parte dove fino a poco prima c’era lei.
I
capelli castani sparsi intorno alla sua testa, arruffati.
Un
segno di un suo bacio un pò troppo violento faceva capolino
dal suo
collo.
Era
bello. Perfetto. Etereo.
Con
la sua pelle chiara e liscia, senza peluria... I tatuaggi che
avrebbero dovuto contrastare con il suo aspetto così
delicato e
quasi androgino, lo rendevano ancora più sexy e
affascinante.
******
“Ti
amo.”.
Poche
ore prima, in modo del tutto spontaneo e improvviso, stupendo anche
se stessa gli aveva detto che lo amava.
Non
era stato come nel sogno.
Ville
non aveva recitato nessuna poesia o canzone.
Era
rimasto immobile per qualche istante, stupito anche lui.
Le
aveva invece alzato il viso e guardata negli occhi, fissandola a
lungo, e anche nella semioscurità della stanza, lei riusciva
a
vedere le pagliuzze oro nei suoi occhi verdi.
Le
aveva sorriso piegando la bocca in modo sensuale e l’aveva
baciata
a lungo, un bacio infinito e profondo.
La
bocca di Ville.
La
lingua che ora danzava lenta e morbida, e subito dopo combatteva
contro la sua, prepotente e dura, i denti che le mordicchiavano le
labbra e la lingua stessa facendole quasimale...
Le teneva la testa
imprigionata tra le mani grandi e bollenti impedendole di muoversi,
di sfuggirgli.
Come
se in quel bacio volesse mettere ogni cosa.
Come
se a parole non potesse o non volesse dirle quello che provava.
Le
mancava il respiro, le ronzavano le orecchie e non riusciva a
formulare un pensiero lucido.
Sentiva
solo la bocca di Ville.
Il
mondo intero era sparito.
C’era
solo lui e quel bacio che non finiva mai...
Quel
bacio che la annientava, che prendeva ogni briciola della sua
volontà, della sua forza.
Voleva
di più. Sentirlo di più.
Gli
aveva afferrato a sua volta il viso, tirandolo impetuosamente verso
il proprio.
Il
bacio era diventato quasi violento, nel desiderio di sentirsi di
più,
di essere una cosa sola, di scambiarsi reciprocamente quello che
l’altro aveva dentro, che le parole non sapevano e non
potevano
spiegare...
Quando
lui era entrato dentro di lei, gli si era aggrappata con tutte le sue
forze stringendogli i fianchi tra le gambe.
I
gemiti rauchi di Ville si perdevano nella sua bocca.
“Ti
dono ogni cosa... Ti dono me stessa...”- pensava lei,
muovendosi
all’unisono con lui.
“Ti
amo... Ti amo... Ti amo...”.
Non
ricordava quante volte glielo aveva sussurrato mentre lui si muoveva
dentro di lei, sopra di lei.
Non
riusciva a dirgli altro che lo amava e ripetere il suo nome
all’infinito.
******
Si
accoccolò a terra, ai lati del letto per guardarlo senza
disturbarlo
con la sua presenza, posando il mento sul materasso.
Quello
che provava per lui andava di ogni ragionevole pensiero, al di
là di
ogni cosa, di ogni controllo...
Ormai
non poteva più barare, nascondersi o pensare che per lui
fosse un
gioco.
Non
poteva darsi questa scusante, non dopo quello che Ville le aveva
detto e soprattutto quello che non le aveva detto la notte appena
trascorsa.
Non
aveva risposto al suo “ti amo” ma non ce
n’era stato bisogno.
Lei
riusciva a sentire ogni cosa, ogni emozione che lui provava: bastava
che la guardasse ed era come se tra loro ci fosse una connessione
profonda, che non aveva bisogno di voce, di parole.
Fare
l’amore con lui era un’esperienza che andava ben
oltre il
semplice contatto fisico: era qualcosa che la toccava nel profondo,
che la coinvolgeva anima, corpo e cuore.
Si
era spesso chiesta in quelle ore se era innamorata davvero per la
prima volta in vita sua.
Con
Andrea era stato tutto diverso e prima che Ville entrasse nella sua
vita, lei aveva pensato che non sarebbe mai riuscita ad amare
qualcun’altro allo stesso modo e con la stessa
intensità.
Si
era sbagliata.
Con
Andrea non aveva mai toccato quelle vette di piacere o emozioni.
Non
aveva mai pianto mentre faceva l’amore con lui; non era mai
stata
sopraffatta dalle sensazioni dell’altro, come invece le
succedeva
con Ville.
Non
aveva mai desiderato fondersi completamente con nessun’altro
come
con Ville.
Il
suo desiderio di sentirsi amata da Andrea, le aveva fatto credere che
nessun amore sarebbe mai stato grande quanto quello che provava in
quel periodo per il suo ex.
Ma
Andrea, al contrario di Ville non aveva mai condiviso con lei altro
che il suo corpo.
Non
lo aveva mai sentito vicino, suo...
Sorrise
vedendolo accigliarsi mentre dormiva.
Chissà
cosa stava sognando il suo bel principe.
Aveva
creduto che confessargli il suo amore sarebbe stato difficile, che
questo l’avrebbe fatta sentire vulnerabile e fragile nei suoi
confronti.
Aveva
temuto che lui potesse servirsene come aveva fatto Andrea, per
ferirla, farle fare ciò che lui voleva, quando voleva.
Ma
dimenticava che Ville non era Andrea.
Nessuno
era come lui.
Nessuno
la faceva star bene come Ville.
Non
aveva più paura.
Ville
si mosse appena e aprì gli occhi, spaesato per solo un
istante.
La
fissò serio e accennò il suo amato sorriso.
Lou
ricambiò il suo sguardo altrettanto seriamente.
«Ho
sognato che mi dicevi che mi amavi...» –
sussurrò lui con la sua
voce sexy, roca, che le metteva i brividi e le faceva stringere le
pareti dello stomaco.
«Non
era un sogno.»
Piegando
un braccio sotto la testa, Ville avvicinò il viso a quello
di Lou.
Era
faticoso cercare di mantenere la giusta concentrazione con la visione
delle labbra morbide e ancora gonfie dei baci della notte precedente.
Lou
era fiera di se stessa per essere padrona della sua libido.
Forse.
«E
io che ti ho detto al riguardo?» – le chiese a voce
bassa.
Con
un dito elegante le stava accarezzando il dorso della mano.
«Non
ricordo bene... ma se la memoria non mi inganna, non hai proferito
parola...»
Lou
sentiva il suo occhio destro iniziare ad emozionarsi.
“Non
ora, maledetto!”.
«Uhmm...
che spregevole distrazione da parte mia.»
«Eri
impegnato a fare altro: non pretendo mica che tu faccia due cose
contemporaneamente. Sono una donna materialista, ma
ragionevole.»
Bloccò
il dito vagante e lo portò alle labbra baciandone la punta.
Un
lampo divertito si afffacciò negli occhi verdi, affascinato
dalla
bocca di Lou che baciava e mordicchiava dolcemente il dito.
«Forse
possiamo riprendere il discorso.»
«Sei
abbastanza lucido ora?»
Lui
ridacchiò.
«Non
se continui a fare quello che stai facendo, 'Prinsessa'...»
«Perché,
cosa sto facendo?»
«Mi
distrai.»
«Da
cosa?»
«Da
quello che voglio dirti.»
L’occhio
destro sfarfallò debolmente e Lou inghiottì a
vuoto.
Allontanò
le labbra dalle mani di Ville e lo guardò in attesa.
«Beh...
alla luce dei fatti, posso affermare che quello che mi hai detto mi
ha lasciato senza parole, come avrai notato... Non pensavo che
avresti mai tirato fuori improvvisamente tutto in una sera. Ecco...
mi hai colto di sorpresa e...»
«Valo?
Vai al dunque e non tergiversare.»- lo interruppe lei e
sorrise vedendolo annaspare agitato.
Lui
sbottò, ridendo.
«Dio,
sei impossibile Zarda! Ok, ok... vado al dunque.»
Lou
ghignò divertita, ma l’occhio traditore batteva
ritmicamente ora.
Forte
quasi quanto il suo cuore.
Avvicinò
ancora di più il viso a quello di Lou, sfiorandole il naso
con le
labbra tentatrici, piantando dentro ai suoi i meravigliosi occhi di
giada.
«Ti
amo. Ti amo anch’io acida, scontrosa, complicata e difficile
donna.
Amo
ogni cosa di te, anche se sei diffidente e tenti di tirarmi dietro
ogni suppellettile della tua cucina quando hai la luna storta.
Ti
amo perchè sei fragile e forte allo stesso tempo, ti amo
perchè
nonostante tutti i tuoi sforzi non puoi fare a meno di essere te
stessa e amare completamente.
Ti
amo perchè hai un cuore puro come quello di una bambina.
Hai
detto di essere diversa dalla foto che mi hai regalato, ma non
è
così.
Sei
ancora quella bimba: curiosa del mondo, scontrosa, timida,
imbronciata e bisognosa di essere abbracciata e rassicurata.
Sei
fiduciosa nonostante ti abbiano ferita.
Ti
amo perchè mi hai preso con te nello stesso modo in cui hai
accolto
Katty...
Quella
notte hai raccolto due randagi tra la neve... e ci hai aperto le
porte del tuo cuore.
Sei
così dolce da far male...
Ti
amo, mia 'Prinsessa'...
Minäkin
rakastan sinua...»
******
"Angolo dell'autrice:
Aaaaalloraaa, arieccoci! Lo so, sono un tormento... oh, questo passa il
convento! Tenevelo!
Posto oggi perchè non posso nei prossimi giorni, (come dice
qualcuno di nostra conoscenza: "C'ho da fa, c'ho da spiccià,
devo pure andare dal parrucchiere..." ;> ).
E siccome questo capitolo ormai ha fatto la muffa sul pc, sono mesi che
è pronto, non potevo tenermelo ancora, vi pare?
Come chi ha letto la OS,
"Love me Tender" avrà
notato, in questo capitolo ci sono gli stessi momenti ma visti
dall'altra parte, ovviamente.
Mi piaceva sincronizzare le stesse scene in due cose differenti, ma
legate tra loro!
Questa ragazza ci ha fatto penare 20 capitoli prima di dirgli quelle
magiche paroline, eh?
Ormai abbiamo imparato a conoscere Lou e le sue paure, che sono quelle
di tutte noi, vero?
Finalmente!!!
Umh.. che altro aggiungere? Niente va. È sufficiente così!
Spero vi piaccia e ringrazio chi continua a commentare e seguire questa
storia, nonostante sia lunga come le ere geologiche!
Sempre mille grazie alla mia adorata Beta
Deilantha,
che
con questo capitolo mi ha scuoricinato l'intero betaggio!XD
Inoltre non posso non dire grazie anche alle mie amate, che hanno
commentato l' ultimo capitolo:
LilyValo, renyoldcrazy,
apinacuriosaEchelon,
_TheDarkLadyV_,
Lady
Angel 2002, katvil,
eleassar,
Izmargad,
__Ary___,
Gone
with the sin, cla_mika,
Emp_MJ,
arwen85,
Soniettavioletstarlet.
Grazie bellezze mie: presto ci vedremo! *^*
Ok, ora
basta, see you soon.
:*
Alla
prossima!, baci baci,
*H_T*
|
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Capitolo 23 *** Capitolo ventidue: "Take my hand" ***
Capitolo
ventidue
"Take my hand"
«Hai
più risentito Julian dopo... dopo?» –
chiese Lou.
«Dopo
cosa? Guarda che abbiamo solo fatto sesso, eh? Non ci siamo
dichiarati amore eterno.»
Era
pomeriggio inoltrato e passeggiavano distrattamente tra i banchi del
mercatino del porto.
Avevano
deciso di uscire: l’aria era tiepida e il sole stava
lentamente
facendo uscire i finlandesi dal lungo inverno.
Ovunque
c’era gente che passeggiava o andava in bicicletta, i bambini
che
giocavano rincorrendosi, coppie di anziani sedute su panchine a
godersi i raggi del sole accecante, adolescenti intenti a baciarsi
sui prati.
L’aria
salmastra riempiva le narici di Lou.
Viveva
ad Helsinki da tre anni e spesso dimenticava che fosse una
città
costiera.
«Boh...
mi era sembrato che ci fosse qualcosa di più che solo
sesso.»
«Oh,
andiamo Lou! Sei sempre la solita romanticona... ci siamo solo
divertiti un po'. A lui non interessa avere una storia con me e lo
stesso vale per me.»
«Ok...»
– rispose Lou, un po' risentita per il tono della sua amica.
Dopo
la notte magica passata con Ville infarcita di miele e coccole
l’impatto con la sua amica inacidita era stato drastico.
Ville
aveva ricevuto una telefonata e a malincuore era scappato via prima
di pranzo.
«Mi
spiace, 'Prinsessa'...
– le aveva detto sfiorandole lentamente il collo con le
labbra,
tenendola stretta a sé, le mani che accarezzavano lente la
schiena e
di tanto in tanto scendevano malandrine sul sedere, accompagnate dal
ghigno che lei tanto amava– non era
previsto che mi cercassero oggi. Volevo stare con te...»
Gli
aveva sorriso rassicurante.
«Ho
un’intera settimana di riposo, Valo... staremo insieme quando
potremo.»
«Grazie...
– aveva sussurrato baciandole i polsi facendola rabbrividire,
fissandola intensamente negli occhi – grazie per essere
così
paziente...»
«Sparisci
prima che ti riporti a letto e ti ci incateni!» –
aveva
borbottato lei.
Prima
che sparisse oltre la porta, la sua risata divertita, a scatti e
così
unica, la sua risata che lei aveva amato fin dalla prima volta in cui
l'aveva sentita, l’aveva accompagnata per gran parte della
giornata.
Nur
sembrava distratta, nervosa ed evitava di guardarla negli occhi.
Cercò
di intuire il motivo del suo atteggiamento, ma non le veniva in mente
nulla.
Era
deprimente non poter condividere con l’amica la sua
felicità, ma
questa non sembrava dell’umore adatto e ogni volta che lei
nominava
Ville lei storceva infastidita la bocca carnosa.
Aveva
creduto che avesse ormai superato da tempo l’antipatia
iniziale
verso il finnico, dopo averli trovati seduti allegramente a far
colazione solo qualche giorno prima... evidentemente era stata solo
una fase breve.
«Nur,
va tutto bene? – le chiese per l’ennesima volta
– ho fatto
qualcosa che ti ha dato fastidio?»
Questa
si girò di scatto nella sua direzione,
l’espressione stupita.
«Cosa?
No... ma che cosa vai a pensare? Perché dovrei essere
arrabbiata con
te?»- rispose acida.
«Non
saprei... sei strana.»
«Sto
bene. Sono stanca.» – tagliò
corto Nur.
«Va
bene... ma se ci fosse qualcosa me lo diresti vero?»
Nur
rimase in silenzio mordendosi le labbra, accigliata.
«Ma
certo.» – rispose laconica,
fissandola severa.
«Ok...
che facciamo ora? Torniamo a casa o restiamo a cena fuori? Ho una
fame da lupi!»
«Ma
sì, restiamo fuori... si sta bene e non ho voglia di
rinchiudermi di
nuovo fra quattro mura. Sempre se non sei già impegnata
con il tuo
“ragazzo”.» – aggiunse acida,
calcando la voce sull'ultima
parola.
Lou
si trattenne a stento dal risponderle a tono e contò fino a
dieci.
«No,
sono libera. Ville è impegnato stasera...»
«Sì,
certo. Immagino.» - borbottò a denti
stretti Nur.
Tornò
a contare, questa volta fino a trenta.
«Scegli
tu dove: per me è uguale.» – le disse
sorridendo Lou.
La
sua coinquilina borbottò il nome del loro ristorante
preferito e
lentamente s’incamminarono di nuovo verso il centro della
città.
Era
strabiliante come Helsinki si trasformasse nel giro di qualche
settimana: da grigia e triste, durante l’estate si riempiva
di
colori, fiori e sorrisi smaglianti.
Il
cellulare prese a vibrare e lei si precipitò a cercarlo nel
caos che
regnava all’interno della sua borsa.
Sperava
di sentire la voce calda di Ville. Le mancava già.
Era
solo un sms che lei aprì sperando che fosse di qualcuno a
lei
gradito.
“Ciao!
Come stai? Va tutto bene? Hai qualche novità? Io sto
lavorando a
ritmi serrati e sono stanco... beh, fammi uno squillo quando leggi
questo messaggio. XXX”.
L’sms
di Simone la lasciò interdetta: niente
“Grace” o “vacchetta”
come faceva di solito.
Ma
che avevano? Quel giorno erano tutti strani: tutti a chiederle se
stava bene!
Buttò
nuovamente all’interno della borsa il suo telefonino e
l’occhio
le cadde sui giornali in bella mostra che spuntavano, colorati e
patinati, dal banchetto dell’edicola davanti alla quale si
era
fermata casualmente.
Una
morsa dolorosa improvvisa allo stomaco le fece piegare le ginocchia.
Lì,
davanti a lei in bella mostra, su di una copertina di giornale, sotto
una scritta a caratteri cubitali rossi e bianchi che sembrava
lampeggiare fuori dalla carta stessa: “La
nuova ragazza di Ville Valo?”
c’era una foto del “suo” Ville,
sorridente e abbracciato ad una
donna dai capelli scuri.
La
riconobbe immediatamente.
Amy.
La
vocalist.
Quella
con cui Ville diceva di star lavorando ad una canzone.
Una
canzone che lui sosteneva di aver scritto pensando a lei, Lou.
Fece
un passo indietro scontrandosi con Nur.
«Ehi! Stai attenta, Ranocchietta...» – borbottò
Nur afferrandola per le
spalle.
Lou
continuava a tenere gli occhi piantati sul sorriso di Ville che
spuntava dalla copertina.
Nur
seguì fulminea il suo sguardo vitreo e sbottò in
una parolaccia
colorita.
«Ero
certa che avrebbe fatto qualche cazzata! Lo sapevo!» -
sbraitò
afferrando il giornale suscitando uno sguardo perplesso
dell'edicolante, intento a leggere un libro.
Sfogliò
rabbiosa il giornale fino a che trovò l'articolo incriminato.
«Non
voglio vederlo. Non voglio leggerlo. Rimettilo giù,
Nur...» -
disse Lou con un filo di voce.
«Guarda!
Guarda che cosa fa il tuo bel principe! - Nur le sventolava il
giornale sotto il naso, rossa in viso – È come
tutti gli
altri!
Quando mi hanno detto che erano uscite queste foto non ho voluto
crederci!»
Lou
la guardò in viso, stordita.
«Tu
lo sapevi? Era per questo motivo che ti comportavi in modo strano?
Sapevi di queste foto?»
«Certo
che lo sapevo! La mia collega è una gossippara del cazzo!
Figurati
se non sa tutto di tutti... giuro che appena il secco ha la faccia
tosta di comparire... lo strozzo con le mie mani!»
«Smettila
di urlare, Nur... e posa quel giornale: ci sta guardano
male.»
«Col
cavolo che lo mollo! Questo lo prendo e lo sbatto in faccia a quel
rachitico di un puttaniere!» - sbraitò sventolando
il giornale
come una bandiera per poi sbattere i soldi sul ripiano di vetro che
faceva da bancone all'edicola.
L'edicolante,
sempre più interdetto, non proferì parola
continuando ad osservarla
incuriosito come uno studioso antropologo che scopre una nuova forma
di vita.
Lou
sospirò, incerta se ridere o piangere per la situazione
leggermente
grottesca.
Vedere
Ville con un’altra donna era stato come ricevere un pugno in
pieno
stomaco, come sbattere con la faccia a terra senza protezione.
Il
colpo le aveva tolto il respiro per qualche istante di troppo.
Ma
dopo un primo momento di stordimento si era ripresa: Ville non le
aveva mai mentito, non c'era motivo di dubitare di lui.
Era
un cantante famoso ed era più che normale che fosse sotto i
riflettori, attirando l'attenzione dei tabloid scandalistici
finlandesi.
Come
le aveva detto soltanto la sera prima, sarebbe stata costretta a
subire diverse cose poco piacevoli a causa della sua
notorietà, ma
non per questo lui voleva rinunciare a lei.
Il
fatto che Ville pensasse a future e possibili difficoltà
aveva fatto
capire a Lou che non aveva nessuna intenzione di smettere di vederla,
che non era un passatempo per lui.
Le
era stato chiaro quando aveva reagito stizzito alle sue insinuazioni.
Lou
non aveva dubitato per un solo istante di quello che lui le aveva
detto.
Ville
poteva avere un carattere difficile a volte, il più delle
volte a
dire la verità... ma diceva sempre ciò che gli
passava per quella
sua brillante testolina... a costo di sfinirla con la sua
testardaggine e tenerla sveglia per tutta la notte cercando di
piegarla al suo modo di vedere le cose.
Lou
lo amava da matti anche per quello: perché non mollava mai
la presa,
perché fiaccava la sua resistenza a furia di parole forbite,
di
occhi verdi e languidi, di mani affusolate e tentatrici, di labbra
che sapevano piegarsi in un sorriso da satiro bastardo così
come in
quello più dolce che lei avesse mai visto.
Labbra
che sapevano baciarla con così tanta perizia e fantasia.
Perché
ascoltava attentamente con la fronte leggermente aggrottata tutto
quello che lei diceva, qualsiasi cosa fosse.
Da
quella più stupida alla più seria.
Le
aveva espresso il “ti amo” in mille modi la notte
prima... e al
mattino gli aveva dato voce.
Con
la più ansiosa e stramba delle dichiarazioni.
Di
una dolcezza che le aveva stretto il cuore.
E
lei iniziava a fidarsi sempre di più di quello che le
sussurrava il
suo cuore.
E
cosa ancora più importante, lei si fidava di lui.
Finora.
«Nur,
dacci un taglio: è solo una foto con la sua collega, non ci
sta mica
scopando.»
Lou la prese sottobraccio bruscamente,
trascinandola
lontano dall'edicolante studioso di strane specie umane.
«Non
osare giustificarlo! Sei sempre pronta a difenderlo! E se ti
sbagliassi? Se invece fosse come il tuo ex?»
«In
tal caso, e solo allora, ti darò ragione. Sei contenta? -
sbottò
Lou fermandosi al centro della strada piazzandosi davanti alla sua
amica – Io mi fido di lui. Voglio fidarmi, lo capisci?
Smettila di
puntargli il dito contro e condannarlo a priori! Non lo faccio io,
perché dovresti farlo tu?»
«Perché
io mi preoccupo per te, cretina! Sono io che ti ho raccolto con il
cucchiaino dopo che il tuo stronzo di ex ti ha mollata, ricordatelo!
Ti ho vista! E non voglio che succeda di nuovo, chiaro?»
«Lo
so e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto, ma ne sono uscita e
sono molto più forte di quanto io stessa credessi di poter
essere.
E
tutto questo l'ho capito solo grazie a Ville.
È solo grazie
al fatto che lui sia entrato nella mia vita che io ho
scoperto cose di me e sono cresciuta.
Io
lo amo, Nur.
Ma
non come amavo Andrea: è una cosa diversa.
Sono
consapevole fin dall'inizio che se con Ville dovesse andare male...
io ne uscirei dilaniata.
Lo
so.
Ma
preferisco averlo, anche se per poco... che non averlo
affatto.»
«Lui
è come tutti gli altri. Non è diverso anche se
tu credi che sia
speciale.»
«No,
ti sbagli Nur... nessuno al mondo è come Ville.»
L’altra
lasciò cadere le braccia lungo il corpo, improvvisamente
esausta.
Lou
prese dalle mani il giornale di Nur e lo gettò nel cestino
più
vicino.
Aveva
fatto una scelta.
Quella
di credere in lui, qualunque cosa succedesse.
Qualunque
cosa le dicessero.
Lei
avrebbe creduto in Ville.
Avrebbe
creduto in lui, in loro.
E
alle parole che si erano detti la notte precedente.
Era
qualcosa che andava anche contro la sua stessa natura, che richiedeva
da parte sua uno sforzo che molti non capivano.
Quell'impegno
con se stessa era molto più importante del “ti
amo” così a
lungo taciuto.
******
Per
tutta la durata del pranzo Nur tenne il broncio, di pessimo umore e
bellicosa.
«Nur...
so che t'importa di me. E sono felice di sapere che ci tieni
così
tanto da incazzarti... ma davvero, a me non importa di quelle foto.
Per
me non hanno significato: sono soltanto delle stupide foto e sappiamo
bene come vanno queste cose.
Lui
è famoso, corteggiato ecc... è normale che sia
seguito.
Ma...
vedi – Lou prese le mani rigide della sua amica –
lui ha detto
che mi ama. E io gli credo.
Ville
non mente mai. Che motivo avrebbe di perdere tempo con me quando
potrebbe avere qualsiasi modella, qualsiasi donna al mondo?»
Nur
le lasciò andare le mani bruscamente.
«Perché
tu non sei una perdita di tempo, ecco perché! Per lui sei
solo
un'altra donna da raggirare e ferire.»
Lou
scosse la testa.
«No,
Nur... ho imparato a conoscere Ville e penso di poter assicurare che
lo conosco meglio di te. E non solo per quello a cui stai pensando
tu. Non so come spiegartelo... è qualcosa... non so
spiegarlo a
parole, non bastano.
Non
ti è mai capitato di sentirti così vicina a
qualcuno da riuscire a
sentire le sue emozioni solo guardandolo negli occhi?
Quasi
come se potessi sentire anche i suoi pensieri? È quello che
sento
quando sono con Ville...»
«È
quello che senti tu, ma lui? Che mi dici di lui? Merita davvero tutta
questa devozione? È solo un uomo come tanti e forse
peggio degli
altri.»
«Smettila
Nur. Davvero. Non ho voglia di parlare ancora di questo. Se mi
sbaglio su Ville e tu avrai ragione, allora vorrà dire che
non
capisco niente delle persone e che non riesco ancora a distinguere
quando qualcuno mi mente o mi dice la verità, cosa vuoi che
ti
dica?»
«Che
starai attenta... e non permetterai a nessuno, neanche al tuo Ville
di ferirti. Promettimelo.»
«Non
ce n'è bisogno: lui non lo farà.»
Nur
la guardò con un’espressione scettica e
triste: «Lo spero,
tesoro... lo spero...»
*******
«DVD
o cinema?» - Nur la guardava ansiosa
grondante di goccioline
di
vapore.
«Pensavo
volessi uscire e fare baldoria!»
La
sauna della Spa di fiducia era quasi vuota e oltre loro due
c’era
solo un’altra ragazza giovanissima con le cuffie ben infilate
nelle
orecchie, che non sembrava far caso al cicaleccio della sua amica,
persa com'era nel suo mondo.
«Uhm...
ci sarebbe quel nuovo locale stratosferico di cui ho sentito parlare:
pare servano un'ottima birra e che sia frequentato da
modelli...» –
mormorò Nur sorridendo, già certa della risposta
negativa
dell’altra.
«Modelli?»
Lou
condensò il suo scetticismo in un’unica parola.
«Come
non detto... – ridacchiò Nur – Allora
sei sicura di voler
rimanere in casa?»
«No...
domani non lavoro e possiamo anche far tardi: ma niente discoteca e
modelli. Passeggiata tranquilla?»
«Noiosa.
Pensavo ti fosse bastata quella di oggi...»
«Non
proprio... mi piace l’aria che si respira in questo
periodo.»
«Sei
innamorata di questo paese quasi quanto di Ville.»
Lou
si ritrovò a fissare la sua amica, rendendosi conto per la
prima
volta di quanto fosse vero, di quanto si sentisse a casa in quel
posto.
Quasi
come fosse davvero casa sua.
«È
vero. Non chiedermi perché, non lo so neanche io ma
è così.»
L’altra
alzò le spalle rassegnata.
«Se
potessi scegliere adesso e avendo una sola scelta, dove vivresti,
qui o torneresti in Italia?»
«È
una domanda cui non so
rispondere. In Italia c’è
la mia famiglia,
i miei amici... le mie radici. Qui... esitò – qui
è dove immagino
il mio futuro.»
«Con
Ville?»
Sorrise.
Nur
non mollava l’osso.
«Sì,
anche. Se ci fosse anche Ville sarebbe meglio!»
«Cosa
faresti se con Ville dovesse finire?»
«Cazzo
se porti sfiga, Nur!»
«Era
solo una domanda!»
«Penso
che non farei niente... cosa ti aspetteresti che facessi,
scusa?»
«Non
so... - Nur si guardava distrattamente i piedi nudi – io lo
prenderei per la gola. Per esempio.»
«E
per quale motivo?»- chiese Lou sorridendole.
«Come
sarebbe a dire per quale motivo? Perché
sì!»
«Quindi
tu strozzeresti a prescindere chiunque, se una storia per qualsiasi
motivo dovesse finire?»
Nur
la fulminò con gli occhi.
«Tu
no? Vuoi dire che te ne staresti buona nell'angolo a soffrire, senza
dire niente? Subendola?»
Lou
ricambiò lo sguardo minaccioso, ma ironicamente.
«Beh,
sì... nel senso che se una storia finisce magari non c'era
modo di
portarla avanti. Magari era finito l'amore, oppure uno dei due non
ama più l'altro... possono esserci tanti motivi.»
«E
tu vorresti farmi credere che se Ville domani viene da te e ti dice
di non amarti più, la prenderesti così
tranquillamente?»
Lou
pensò con una stretta allo stomaco che mai nella sua vita
avrebbe
voluto sentire Ville dirle niente di simile.
«Ovvio
che non la prendo “tranquillamente”, Nur. Ma la
storia con Andrea
mi ha insegnato che è inutile implorare qualcuno di rimanere
con te,
se non vuole farlo. Non fai che aumentare la sua voglia di fuga.
E
credo di capirlo solo ora...
L'amore
è una scelta.
Ci
si sceglie ogni giorno e io vorrei farlo con Ville. Se lui vuole.
E
finora credo che lui lo voglia quanto me.
Quindi,
vedi di non portare sfiga.» -
ridacchiò ostentando una
tranquillità che non sentiva affatto.
Nur
socchiuse ancora di più gli occhi già grondanti
del vapore.
«Prima
o poi dovrai dirmi cosa ti ha fatto quel secco per farti cambiare
idea e modo di fare in così poco tempo...» -
borbottò a denti
stretti.
«Semplice.
Mi ha tenuta stretta a sé quando ero in preda ai deliri
della
febbre, non ha approfittato della mia svampitaggine cronica quando
sarebbe bastato che muovesse un dito per portarmi a letto.
Ha
una pazienza infinita.
Sono
perennemente dubbiosa e lunatica e lui non fa una piega, anzi smonta
sistematicamente il mio malumore e non so neanche come ci riesca.
È divertente, dolce, impossibilmente presuntuoso,
ironico, geniale,
sexy, e tante altre cose che non riesco ad esprimere a parole... ma
la cosa più importante di tutte, forse, è che mi
vuole nella sua
vita.
Non
importa come. Mi vuole.
E
questo a me basta.»
*******
“Vieni
fuori.”.
L'sms
lampeggiava imperioso sul display del suo cellulare.
Lou
si era appisolata davanti ad un film romantico mentre la sua
coinquilina dopo la lunga giornata passata a girovagare per la
città,
non paga, si era infilata in un abito sexy e tuffata di nuovo nella
mondanità con i suoi amici.
La
leggera vibrazione l'aveva svegliata.
Sembrava
quasi che il suo sistema nervoso l'avvertisse quando il suo finnico
avesse urgenza più del solito.
Che
diavolo si era inventato adesso?
Eccitata
e curiosa come una scimmia si precipitò ad aprire la porta.
Ma
non c'era nessuno.
Un'altra
vibrazione dal cellulare.
“Avanti 'Prinsessa'...
metti il tuo delizioso nasino fuori
dalla porta.”.
Corse
fino al cancello e spinse fuori la testa come una tartaruga dal
carapace.
«Buh!»
Appoggiato
al muro di mattoni rossi, una mano sul cellulare che già
stava infilando in una tasca dei suoi jeans stretti e nero stinto, come
se non sopportasse di averlo tra le mani più di quel tanto
che bastava alle sue esigenze e il sorriso da
malfattore, Ville la guardava divertito.
«E
se fossi già stata a letto e non avessi sentito il tuo
messaggio?»
«Penso
che avrei scavalcato come sempre il tuo cancello e mi sarei
arrampicato fino alla tua finestra.» ridacchiò.
«Addirittura?
Chi sei, l'Edward Scandinavo?» - rise divertita riempiendosi
gli
occhi della visione del viso perfetto di Ville che spuntava da sotto
il cappellino nero.
I
capelli castani si arricciavano sulle spalle, e al collo
aveva l'immancabile sciarpina.
Era
completamente vestito di nero e l'unica cosa colorata, vivida e
splendente, erano gli occhi.
Gli
occhi verdissimi e dal taglio felino all'insù si
spalancarono
indignati.
«Io
non ho i glitter però.»
«Possiamo
rimediare. Staresti benissimo.»
«Vieni
qui.» - le ordinò.
La
stava guardando serio ora.
Non
appena gli fu a portata di braccia la tirò impetuoso verso
di sé
infilandole una mano tra i capelli sulla nuca, intrecciando le dita
ai suoi ricci.
Lo
stomaco di Lou fece una giravolta.
Di
solito Ville era pacato, un vero lord... ma a volte prendeva il
sopravvento la parte di lui quasi selvaggia, scalpitante e carnale.
Questa
era una di quelle volte.
L'altra
mano le premeva forte alla base della schiena, tenendola schiacciata
bacino contro bacino.
Le
sfiorava il viso con il naso senza baciarla, finché non
iniziò a
mordicchiarle il mento.
«Cosa
diranno i tuoi vicini di casa se ti vedono amoreggiare con una donna
in strada?» - tentò di chiedere
lei tra un morso e
l'altro,
sopraffatta dal piacevole assalto sensuale.
«Probabilmente
sarebbero invidiosi.» - tagliò corto Ville
mordicchiandole il
collo.
«Stai
prendendo sul serio la storia di Edward, vedo...” -
scherzò
fiaccamente lei rabbrividendo.
Lo
sentì ridere contro il suo collo e per tutta risposta
aprì la bocca
iniziando a succhiarle la pelle.
«Non
mi fanno un succhiotto da circa quindici anni... - annaspò
Lou
stringendo
le mani sulle sue spalle magre ma larghe – Non credo vadano
più di
moda...»
“Stuprarlo
in mezzo alla strada attaccandolo al muro, sarebbe reato?”.
«Ville?...
ehm... potrebbe passare qualcuno... Sai, avrei un letto e un divano
liberi e molto comodi in casa...» - squittì
debolmente gli
occhi chiusi e la testa reclinata di lato.
Lui
staccò le labbra dal suo collo, facendo scivolare lentamente
la
lingua dalla base del collo fino al mento.
Lou
aprì gli occhi fissandolo, ne era certa, con espressione da
triglia
lessa.
Lui
alzò un paio di occhi fiammanti su di lei stringendosela
con forza
contro.
E
non aveva sicuramente lo sguardo da totano bollito.
«Hai
rovinato i miei piani, 'Prinsessa'...»
- sussurrò divertito, guardando rapito le sue labbra.
«Io?
- deglutì a vuoto – Che ho fatto?»
«Eh
sì... volevo proporti una passeggiata romantica al chiaro di
luna,
ma mi sei apparsa così sexy e...» -
lasciò in sospeso volutamente
la frase, stirando le labbra in un sorriso furbo.
“Lei
sexy?”
Probabilmente
con un paio di patate sulla testa come contorno il quadretto da
triglia sarebbe stato perfetto.
Lou
continuava a fissarlo incantata.
Lui
rise intenerito e affondò il viso nei suoi ricci, respirando
il suo
odore, abbracciandola stretta.
Si
staccò da lei prendendole la mano.
«Andiamo...
ho voglia di passeggiare.» - le disse piano.
“Ma
certo. Perché no? Ho solo fatto chilometri e chilometri
oggi!”
- pensò divertita Lou.
«Lascia
che almeno chiuda la porta...» - lasciò per un
istante la sua mano
per correre indietro e chiudere la porta.
Katty
sedeva composta sulla soglia guardando verso Ville con occhi
adoranti.
«Avanti
piccolina, torna dentro.»
La
spinse all'interno con un gesto della mano.
Ma
la felina non si decideva a spostarsi di un millimetro tenendo
d'occhio il finnico.
Lou
sospirò e la prese in braccio chiudendo la porta dietro di
sé.
«Abbiamo
un ospite...»
Katty
si divincolava dalle sue braccia miagolando all'indirizzo di Ville,
che ridacchiava divertito.
Saltò
agilmente sulle braccia di lui che rassegnato, la tenne stretta con
una mano.
«Pfhhh,
venduta.» - sbottò Lou.
«Non
litigate ragazze... io amo entrambe.» - sussurrò
lui con voce
sexy prendendole la mano con quella libera, intrecciando le dita
alle sue.
Passeggiare
mano nella mano. Con Ville Valo.
Ma
certo.
Una
cosa normale, no?
Di
tanto in tanto lui si girava a guardarla in tralice, rimanendo in
silenzio.
Lou
non sentiva il bisogno di conversare del resto.
Le
piaceva guardare dritta davanti a sé, lo sguardo fisso a
terra come
suo solito e sentire la stretta della mano grande e calda di Ville
nella sua.
Era
una sensazione nuova.
Aveva
percorso innumerevoli volte quella strada, in quei tre anni... sempre
da sola, immersa nei suoi pensieri.
E
ora non lo era più.
Serrò
le dita intorno a quelle di lui che si girò nuovamente a
guardarla.
L'espressione
stupita quasi quanto la sua.
Ma
sorrideva: con quel suo sorriso stupendo, a metà fra
l'ironico e il
tenero.
Solo
lui aveva quel sorriso...
Lou
alzò gli occhi al cielo.
«Forse
ci beccheremo un po' d'acqua.... credo stia per piovere.»
Ville
alzò gli occhi a sua volta scrutando il blu scuro del cielo
finlandese per poi riportarli su di lei.
Lo
sguardo intenso di lui le bloccò il respiro.
*«Perfetto.
Vedo tutto più chiaro attraverso la pioggia.»
«Stai
bene?» - tornò a chiederle.
“Come
non lo sono mai stata da tanto tempo a questa parte...”.
Lou
gli sorrise accarezzando il dorso della sua mano con il pollice.
«Sto
bene.»
“Finalmente.”.
*******
"Angolo
dell'autrice:
Uff... ehm.. salve. :)
Eccomi di nuovo qui, dopo quasi due mesi di assenza!
Abbiamo lasciato Lou come sempre immersa in mille dubbi e invece ora
sfodera una sicurezza nel suo rapporto con Ville, invidiabile.
Sicura d sè e di ciò che sente, difende a spada
tratta il suo uomo...che dite, farà bene a fidarsi del
nostro secco?
Merita il nostro Guglielmo tutta questa fiducia e amore incrollabile?
O alla nostra Lou aspetta di nuovo una delusione? Che cosa leggono tra
le righe le mie affezionate lettrici? :D
So che siete perspicaci come linci... aspetto vostre ipotesi! :D
Mi permetto una "piccola" divagazione dal solito angolo dell'autrice
ammorbante.
In questi due mesi non ho contato le crepe nel muro... diciamo che ho
tanta "carne" al fuoco e sto cercando di districarmi tra le mille cose
e cerco anche di scrivere la storia, nei tempi morti...
Due mesi intensissimi di emozioni vissute fino in fondo. :)
Sembra impossibile che soltanto un mese fa eravamo sotto il palco
dell'Alcatraz e finalmente sentivamo la nostra band del cuore.
Per me quel giorno è indescrivibile:
ho conosciuto e abbracciato persone che sentivo solo su facebook, gli
ho dato un corpo e un sorriso.
E vivere il concerto con tutti loro... una delle cose più
belle.
E poi... e poi c'è l'INCONTRO.
Quello con gli HIM, nel backstage... una parte del mio cuore
è ancora in quel corridoio. :)
Non penso di avere sufficienti parole per descrivere l'ondata emotiva
che tutti abbiamo provato, chi più chi meno.
Quando sono apparsi venendoci incontro con un sorriso e le mani tese,
sussurravamo tra noi, soltanto: "Eccoli... oddio, sono loro!".
Ritrovarsi la band che si ama davanti, vederli dal vivo e non
attraverso uno schermo è sconvolgente.
Normale, come ritrovare dei vecchi amici; strano, perchè
pensi di non vivere la realtà...
Per i primi due minuti non sono stata capace di spiccicare una parola
in italiano, figuriamoci formulare una frase di senso compiuto in
inglese!
Ma poi mi sono scossa da sola, con uno schiaffo mentale.
Mi sono detta: "Cavolo, smettila di fare la bella statuina e agisci!".
E allora ho iniziato ad andare ad abbracciare e salutare tutti i
componenti.
Stringendo mani e facendo foto con loro, mostrando i nostri regali e
"bisticciando" con Gas per la pizza italiana che lui non ama
particolarmente... xD
La tenerezza che mi faceva vedere Burton "nascondersi" dietro i suoi
amici, e Linde che sorrideva e guardava tutti zigzagando con gli
occhietti da furbetto...
Il "PRRRRREGOOOO" urlato da Migé ad ogni nostro grazie!XD
Stranamente l'unico a cui non ho avuto coraggio di stringere la mano
è stato proprio Ville.
Ma capitemi... vederlo lì davanti a me e pensare con una
parte del cervello funzionante: "Ok, lui è Ville Valo.
Quello che scrive tutti i testi e le musiche, colui che con la sua voce
ti accompagna da molto tempo...".
Davanti a lui ho provato una sorta di timore reverenziale.
Soltanto la sua presenza incute sentimenti contrastanti.
Se poi ti parla e ti guarda, hai chiuso.
Mentre gli mostravamo il poster alla mia amica Claudia tremavano le
mani tanto che ho temuto che non riuscisse a leggere ciò che
c'era scritto sopra...xD
E invece Ville se lo studiava con interesse e ridacchiava divertito e
poi il suo "Italian Quality.... eheheeheh -* risata Villica a
singhiozzi - neurone che si suicida- * verrrrrry
nice, oh yes...".
E infine, quando gli ho chiesto se potevo abbracciarlo anch'io, -
temendo una pizza in faccia, lo ammetto -, lui che con un sorriso
tenero e dolce si tuffa per primo, stritolandomi.
Ecco.
Penso che in quel momento, potendo, avrei potuto dirgli miliardi di
cose. Se solo avessi respirato.
Invece ho strascicato soltanto un "Grazie..." e lui, tanto per
ammazzarmi meglio: "Grazie a te!".
Vederli così sereni, sinceramente contenti e stupiti di
tutto quell'affetto, quegli abbracci e sorrisi... è una
delle cose che mi porterò sempre dentro.
E che me li fa amare, se possibile, ancora di più.
Cantare a squarciagola con loro, che ci sorridevano dal palco, unico.
Asciugare le lacrime delle altre, abbracciarle e "consolarle", vivendo
le stesse emozioni...
non posso che ringraziare questi 5 ragazzi per tutto.
Con difficoltà torniamo alla realtà, ma con
qualcosa in più dentro.
Tutto sto papiro era solo per condividere un pò di quello
che ho vissuto e che ora mi mette in difficoltà nel
cnotinuare a scrivere questa storia con lo stesso spirito di prima.
Ma non perchè ho perso l'entusiasmo; anzi!
E' difficile immaginare con la mente quello che alla fine ho visto e
anche se per tre secondi, ho toccato: non è più
un sogno lontano, ma una persona, in questo caso Ville, vera e reale.
Ma ce la sto mettendo tutta!
E perdonatemi se posterò con meno frequenza: fra poco
più di un mese volerò FINALMENTE ad Helsinki.
Aspetto questo viaggio da due anni, quasi.
Sarò anche io al Tavastia per l'Helldone che tanto
sognavo
di vedere... e respirerò quell'aria che finora immagino
soltanto.
Eeeeeeeeeeqqquindiii che altro dirvi? Niente: che ho già
scassato
abbastanza! XD
Grazie alla mia inaffondabile Beta che supporta ogni mio sclero e
dubbio:
Deilantha,
Grazie
come sempre a tutte le persone che mi seguono con affetto, le vecchie
amiche come la befana
Christine_L e
le nuove arrivate come Cyanidesun,
e le fantastiche donne che hanno commentato l'ultimo capitolo:
_TheDarkLadyV_, Soniettavioletstarlet,
Izmargad,__Ary___,Enigmasenzarisposta,
katvil,
apinacuriosaEchelon,
LilyValo,
cla_mika,
Lady
Angel 2002, eleassar.
*Citazione presa da "Mansfield
Park"
A
presto!
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Capitolo 24 *** Capitolo ventitre - "Child of the sun" ***
testo.
testo.
Capitolo
ventitre
"Child of the sun"
“Vedo
tutto più chiaro attraverso la pioggia...”.
L'acquazzone li
aveva colti impreparati mentre erano sulla via del
ritorno.
I vestiti di Lou
s’inzupparono velocemente attaccandosi al
corpo, facendola rabbrividire e tremare dal freddo.
Risero correndo
alla cieca, con l’acqua che li accecava e
trovarono riparo sotto il primo albero nelle vicinanze.
«Ecco
come morire fulminati!» - rise Lou, cercando
di staccare la camicetta bianca bagnata dal busto.
«Esagerata...
sono solo due gocce.» -
ribatté Ville e subito dopo un lampo squarciò il
cielo, seguito da un tuono.
«Valo?!
Potresti chiudere il becco, grazie? Porti
jella!» - urlò Lou schizzando via lontana dal
tronco, tornando sotto la pioggia scrosciante.
Katty
sgranò gli occhi e si nascose all'interno della giacca
di pelle di Ville, scomparendo del tutto.
“Ecco:
così impari, gatta
dispettosa!”.
«Zarda,
vieni qua o t’inzupperai.» -
ridacchiò Ville togliendosi il cappellino, passando una mano
tra i capelli bagnati che divennero ancora più ricci.
Non osava
immaginare in che stato fossero i suoi.
«Tu e
le tue idee geniali... sono già
inzuppata!» - borbottò lei, strizzandosi una
ciocca dei suoi lunghissimi capelli.
«Questo
ha i suoi lati positivi... - ammiccò il
finnico, lo sguardo verde puntato sul seno di Lou completamente
visibile attraverso la stoffa bianca e sottile – la mia
è stata un'ottima idea, invece!»
«Oh
piantala, Valo... - bofonchiò Lou arrossendo
come al solito, allontanando la camicia che continuava ad appiccicarsi
inesorabile alla sua pelle – sei sempre il
solito...»
Ville continuava
a ghignare malefico, la testa piegata di lato,
godendosi il suo imbarazzo.
«'Prinsessa',
- sospirò
Ville, rauco – non dovresti coprirti...
lasciati guardare...»
Lou
starnutì e lo fulminò con lo sguardo,
stringendosi le braccia intorno al corpo.
Lui
annullò con un passo la distanza che Lou aveva messo tra
lei, Ville e il tronco, e la prese tra le braccia.
Le ridacchiava
divertito fra i capelli umidi, tenendola stretta.
«Se
muoio fulminata, ti tormenterò per
l'eternità.» - borbottava Lou con la faccia
affondata nel suo collo.
Gli
passò le braccia intorno alla vita, infilandole
all'interno della giacca.
Katty, che aveva
trovato riparo proprio al suo interno,
iniziò a mordicchiarle le dita, dandole colpetti con la
zampina, vedendo invaso il suo spazio.
Quell'uomo era
una fornace vivente.
Sentì
subito più caldo non appena lui richiuse le
braccia intorno a lei.
«Averti
con me per l'eternità non sarebbe un
tormento…» - mormorò piano Ville,
strofinando le labbra sulla sua fronte.
Ecco che bastava
una semplice frase per farla sciogliere...
«Certo,
preferirei averti in carne e ossa
piuttosto che sotto forma di spirito…» –
continuò con un ghigno, scendendo verso il sedere con le
mani.
…e
un’altra a farla ridere sotto i
baffi…
Lou strinse
più forte le braccia sulla sua schiena.
«Aspetta
a dirlo...» - ribatté lei.
«Uhm...
cos'altro devo scoprire che già non so?
Allora, vediamo... che sei di pessimo umore il mattino appena sveglia,
che devo starti lontano quando sei arrabbiata e manovri tazze,
bicchieri e roba affilata, idem... per il resto direi che stare in tua
compagnia, anche quando hai la luna storta per me è un
piacere...»
“Così
non vale
però...”.
«Anche
tu non sei male...» - buttò
lì, ghignando tra sé e sé.
«Ah
beh, grazie! Mi fa piacere saperlo!»
«…il
più delle
volte…» – aggiunse, continuando il suo
gioco.
Le canticchiava
nell’orecchio, alternando i baci ai sospiri,
mentre le mordeva il lobo delicatamente.
“I
‘m in love with you
You
are
my heaven tonight
Trying
to find the heart you hide... ”
Ogni pelo del suo
corpo si rizzò al suono della sua voce
così vicina, profonda e calda… e quelle
parole…
Così
semplici eppure capaci di andare dritte al cuore.
Così
vere.
Un altro lampo
squarciò il cielo e lei gemette contro il
collo di Ville.
«Pensavo
ti piacessero la pioggia e i tuoni, ‘Prinsessa’.»
– mormorò lui, baciandole di nuovo
l’orecchio.
«Sì,
certo. Quando non sono sotto un albero. E
quindi potenzialmente a rischio di diventare un mucchietto di cenere. E
in casa: al sicuro!»
La voce
aumentò di qualche tono mentre parlava e rivelava
tutta la sua ansia.
«Ci
sono io qui… il fulmine non oserà
avvicinarsi a te, tranquilla…»
«Anche
perché sono già bell’
è che fulminata di mio. Grazie a te, Valo.»
«Nel
senso che sei follemente innamorata di me? Non pensavo
fosse stato un colpo di fulmine, per te…» - la
prese in giro lui, sfilandole la camicia dai jeans, le mani salirono a
chiudersi intorno alla schiena, riscaldandogliela immediatamente.
Finalmente sulla
sua pelle nuda.
«Non
vedevo l’ora di toccare la tua
pelle…» - sussurrò, ben consapevole
dell’effetto che le facevano la sua voce e le sue mani.
«Non
gongolare… - borbottò Lou tetra, e
il pensiero corse fulmineo alle foto con Amy – non essere
così condiscendente con me, Valo.”.
«Non lo
sono… è solo che…
spero sempre che tu mi dica che mi ami, ogni giorno. Mi piace quando mi
dici che mi ami, mi piace la tua voce quando lo dici, il tuo sguardo
quando lo fai.»
Lou
sollevò il viso e trovò i suoi occhi.
C’era
qualcosa al mondo di più bello degli occhi
di Ville in quel momento?
Occhi che ogni
volta le toglievano il fiato, la forza di
volontà.
Sotto quello
sguardo si sentiva sempre vulnerabile, esposta…
eppure…
Eppure non
dubitava minimamente di quello che vi leggeva.
Colse una
scintilla nuova, un breve, velocissimo istante
d’insicurezza, in quello sguardo verde giada.
Forse se
l’era solo immaginato, perché era
già scomparso…
Possibile che
Ville fosse insicuro a sua volta?
Di lei, del suo
modo di “non dimostrare” amore,
trincerata dietro le proprie paure?
Se
c’era una cosa di cui era sicura in quel momento era
l’amore per lui.
Ville continuava
a scrutarla serio.
«Lo sai
che ti amo.» – disse
fissandolo a sua volta negli occhi.
Lui
sollevò gli angoli della bocca perfettamente disegnata.
«Sì,
ma voglio sentirmelo dire…
dimostrare…» – le sfiorò le
labbra con le proprie, continuando a guardarla. E a toccarle la schiena
con le lunghe dita, provocandole brividi che non erano sicuramente
dovuti al freddo.
«Sei un
vanesio presuntuoso, Valo…»
Inutile cercare
di mantenere un minimo di controllo quando lui le
faceva le fusa in quel modo.
“Stramaledetto
gatto gigante”.
Ville
ridacchiò, mordicchiandole le labbra.
Chissà
perché in quel momento la paura di morire
folgorata sotto un albero in Finlandia, divenne l’ultimo dei
suoi pensieri.
«Ahi!»
Lui si
fermò di scatto, guardandola con apprensione.
«Che
c’è? Ti ho fatto male?»
«No,
questa stronza di gatta mi sta mordendo le braccia come
una tigre! Katty! Ahi! Smettila!»
La stronzetta in
questione trafficava diligentemente ben nascosta
all’interno della giacca di Ville. Non sopportando intrusione
tra lei e “il suo” finnico, le aveva iniziato a
mordicchiare e graffiare quando aveva abbracciato anche lei Ville, che
era il “Suo Ragazzo!”.
E non appena
Ville aveva iniziato a baciarla, Katty aveva intensificato
la sua attività.
Ville
scoppiò a ridere.
Oh… la
sua risata!
Non potevi che
sorridere di conseguenza, sentendola.
La
lasciò andare e lei improvvisamente sentì
freddo senza le sue braccia a tenerla stretta.
Ville si contorse
cercando di riacciuffare la micetta che si attaccava
caparbia alla sua t-shirt.
«Dovremmo
insegnare le buone maniere alla
signorina…» – disse Ville fissando la
“signorina” negli occhi.
Che lo guardava a
sua volta con adorante soddisfazione, finalmente
attirata l’attenzione su di sé.
“Che
bagascia!”.
Ville la
posò a terra, ammonendola con un dito lungo ed
elegante.
«Sta'
buona, micetta… ora ho da
fare…»
«Ville…
non penso sia il caso di
lasciarla… potrebbe scappare…»
– provò a dire Lou prima che lui la prendesse di
nuovo tra le braccia, tappandole la bocca con la sua.
“Non
mi stancherò mai di lui, di
essere
baciata così, in questo modo… di sentirmi fuori
dalla realtà…”.
«Non
scapperà via,
tranquilla… - le diceva lui tra un bacio e
l’altro, le mani calde sotto la camicia sottile –
non distrarti ‘Prinsessa’…
Baciami…»
E Lou non se lo
fece ripetere due volte.
Gli si strinse
contro, beandosi del tepore del corpo di Ville, le
braccia strette intorno al collo, sollevandosi sulle punte dei piedi
per baciargli le labbra, il mento, la punta del nasino perfetto, le
palpebre, la fronte… e poi tornò di nuovo
giù lungo la mascella, l’orecchio e il collo, dove
una vena pulsava sotto le sue labbra.
Lo
sentì sospirare soddisfatto.
Voleva sentire la
sua pelle contro la sua, aumentando il bisogno di
sentirlo suo.
Era sempre
così tra loro: il desiderio scoppiava improvviso
e furioso come il temporale sopra le loro teste.
Infilò
le mani sotto la sua maglietta, toccando finalmente
la sua pelle liscia e compatta.
Bollente.
Il suo finnico
dal sangue caldo.
Stavano
pomiciando come due adolescenti con gli ormoni in subbuglio,
senza pensare a nient’altro che a quel momento.
«Ti
rendi conto che qualcuno potrebbe vederci,
vero?» – chiese Lou senza smettere di baciargli il
collo.
Ville le rispose
con un grugnito infastidito.
«Sei
zelante e fastidiosa quanto una vecchietta acida,
Zarda.»
La fece ruotare
su se stessa spingendola con la schiena al tronco.
“Ti
prego… ti prego…
vediamo
di non farmi morire fulminata proprio ora…” - pensava
la parte razionale, fatalista e meno preda degli ormoni.
E quella ancora
responsabile gettò un occhiata verso il
basso per controllare che la loro Katty fosse ancora lì.
Ed eccola,
piccola macchia nera sul verde scuro dell’erba:
fedelmente accucciata ai piedi di Ville che guardava in su, con gli
enormi occhietti spalancati, speranzosa di essere notata da lui.
«E tu
sei uno sconsiderato, sfacciato
ammaliatore…»- le sue mani si posarono sulla
pancia piatta di Ville, salirono su lungo le costole.
Chiuse gli occhi
immaginandone il percorso con la mente: ogni singolo
tatuaggio, avvallamento, muscolo del suo busto magro… ma
così sexy.
I suoi pollici
sfiorarono i piccoli capezzoli maschili e lei lo
sentì trattenere il fiato.
Allargò
le dita della sua mano destra, premendola contro la
carne.
Riusciva a
sentirgli il battito del cuore, quasi…
Con
l’altra mano afferrò quella di Ville posata
sul seno e se la premette forte contro il suo cuore.
«Lo
senti?»
Gli
sussurrò
baciandolo piano, e aprendo gli occhi trovò ancora una
volta, quei chiari laghi di giada fissi su di lei.
Socchiusi,
sornioni e languidi.
«Lo
senti quanto ti amo?»
La mano di Ville
era così calda.
Quel calore,
insieme a quello che leggeva nei suoi occhi le penetrava
dalla pelle, attraverso i tessuti, le ossa e arrivava dritto al centro
del suo cuore, infiammandolo, marchiandolo per sempre.
Le loro mani,
l’una sul cuore dell’altro.
Ville
posò la fronte su quella di Lou.
“And
you ‘re my haven in life
And
you
‘re my haven in death,
‘Prinsessa’…”
Cantò
a voce così bassa che lei sentì
a stento le sue parole.
«Lo
sento… ti amo, Lou.»-
bisbigliò roco.
******
“Lasciati
assaggiare… voglio
tenerti
sulla punta della lingua ancora un po’…”.
Lou si
stiracchiò languidamente lasciandosi sfuggire un
sospiro estatico un po’ troppo “sentito”.
Katty smise di
fare la sua toilette per alzare uno sguardo di
sufficienza e fissarla, dal bordo del letto, dove ormai stazionava
perennemente.
Non riusciva a
dormire ma non voleva svegliare i suoi due
“felini”, così si alzò dal
letto sfatto dove Ville dormiva a braccia spalancate con
un’aria soddisfatta, e si diresse completamente nuda e
stranamente a suo agio, fuori dalla stanza.
Seguì
la scia di abiti che iniziava dal corridoio e che
avevano seminato lungo il percorso fino in camera da letto.
Li raccolse uno a
uno, dagli slip bianchi e trasparenti che Nur le
aveva regalato, al reggiseno coordinato che Ville le aveva slacciato
con una mano sola, da consumato sciupafemmine e buttato via non appena
erano entrati in casa, alla giacca di pelle nera e il cappellino che
aveva tolto ancora prima, mentre erano ancora per strada.
Probabilmente
aveva stampato in faccia un sorriso da ebete ma non
poté proprio impedirsi di annusare la t-shirt di Ville:
chiuse gli occhi aspirando a fondo quell’odore che conosceva
bene e che sentiva a tratti anche sulla sua pelle.
Stava per
appoggiare il malloppo degli abiti sul divano verde quando il
telefonino di Ville cadde dalla tasca dei suoi jeans sul pavimento in
legno, con un tonfo sordo.
Lo raccolse
temendo di averlo distrutto.
«Accidenti!»
– sbottò
preoccupata.
Premette un tasto
a caso solo per assicurarsi che non aveva fatto danni
e questo si illuminò.
Il display le
mostrò uno sfondo nero, semplicemente.
Sorrise. Il suo
finnico poco tecnologico…
Il suo occhio
però colse anche qualcos’altro.
Sullo sfondo nero
lampeggiavano anche diverse chiamate perse e un
messaggio.
“Non
pensarci neanche.”
– la vocina della sua coscienza, quella buona,
tuonò nella sua testa.
Lou continuava a
fissare quella letterina che col passare dei secondi
diventava sempre più minacciosa, ai suoi occhi.
“E
se fosse un sms della
spilungona?”.
Il solo pensiero
che quella specie di gazzella dagli occhi chiari e le
gambe chilometriche mandasse sms al ‘suo ragazzo’,
le fece salire il sangue alla testa.
Anche se la parte
razionale del suo cervello le stava dicendo che era
una cosa più che normale che lei gli scrivesse messaggi o lo
chiamasse, poiché erano colleghi di lavoro, la gelosia la
colpì in piena faccia all’improvviso.
Gelosia e
insicurezza non le facevano bene: niente andava bene quando
quei due sentimenti facevano capolino nei suoi rapporti.
Il suo dito
sospeso sul pulsante di avvio esitava.
“Ville
non se lo merita”.
Poteva esserci
scritto qualsiasi cosa in quel sms.
“Ville
non le mentiva”.
Sapere la
verità è sempre la cosa migliore, le
diceva sempre Nur.
“Hai
promesso di fidarti di lui”.
L’indice
si avvicinò sempre più al
display del cellulare.
“Non
fare cose di cui ti
pentirai…”
«Maaaaooo!»–
il miagolio di Katty la
fece sobbalzare.
La micia la
fissava con i suoi occhi verdi, così simili a
quelli di Ville…
Così
simili…
La guardava come
chi viene sorpreso a fare qualcosa che non dovrebbe
assolutamente fare.
Come se sapesse.
Saltò
sulla spalliera del divano verde continuando a tenerla
d’occhio.
«Che
fai, mi sorvegli?» – le disse Lou
con un borbottio infastidito.
Sembrava che
anche Katty facesse combutta con la sua coscienza.
Un miscuglio di
sentimenti contrastanti la stavano soffocando.
Voleva sapere ma
voleva fidarsi di Ville e non violare la sua privacy.
Voleva evitare di
sentirsi in colpa per quella mancanza di rispetto ma
allo stesso tempo l’insicurezza di non sapere cosa Amy gli
avesse scritto la stava mangiando viva.
Se solo non
avesse visto quelle foto.
Se solo lei non
fosse stata così banale e Amy
così perfetta…
Continuava a
tenere stretto il piccolo cellulare nero di Ville.
Che pesava sempre
di più fra le sue mani.
Sentiva i tonfi
del cuore rimbombarle nelle orecchie e il respiro
affrettarsi.
Premette il tasto
che le permise di aprire il messaggio.
Le lettere
lampeggiavano nere, nette sullo sfondo bianco.
Trattenne il
respiro per quello che sembrò
un’eternità.
“Ti
avevo avvisata…”
– disse la vocina della sua coscienza, rassegnata.
“Non
mi sento affatto meglio.
Nur
avevi torto.
A volte
sapere non è la cosa
migliore.”.
Si sedette
stancamente sul divano, fissandosi le mani in cui teneva
ancora il cellulare di Ville.
Senza guardare il
messaggio. Non serviva, del resto.
Ogni parola le si
era già impressa nella testa,
ingigantendosi a dismisura.
Come poteva aver
di nuovo commesso lo stesso sbaglio?
Anche con Andrea
era andata così. Lei non si era fidata e
aveva scoperto di Sophie.
Come ora per Amy.
“Ville…”.
Non ricordava
come o dove avesse sentito o forse letto una frase che
ora le balzò addosso come un animale feroce, pronto a
strapparle il cuore: “*Perché a volte la
verità non basta. A volte la gente merita di più.
A volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga
ricompensata.”
Se non faceva
caso al battere furioso del suo cuore, se non faceva caso
a quello che provava, riusciva a sentire il respiro regolare e
cadenzato di Ville che dormiva nella stanza accanto.
Ville che dormiva
nel suo letto. Ignaro. E fiducioso.
Rise di se
stessa. Era solo se stessa che doveva compatire, non lui!
Era lui che aveva
mentito, non lei.
Era lui che aveva
tradito la sua fiducia.
“Non
dovevo leggere. Non dovevo.”.
“Non
mi è bastato il
bacio
dell’altra sera. Ne voglio di più. Non faccio che
sognare te…”.
Katty le si
strusciò contro il braccio nudo, guardandola con
occhi tristi.
Lou le
accarezzò il musetto, sorridendo.
Ricacciò
indietro le lacrime che bruciavano da qualche parte
dietro i suoi occhi.
«Sì,
hai ragione… sono una
stupida.» – bisbigliò alla felina.
Katty le
posò una zampina sulla mano, come a volerla
consolare.
Rabbrividì
e si rese conto di essere nuda.
Si
sentì ancora più stupida; quel suo ostentare
una sicurezza in se stessa, quella nuova consapevolezza nella donna che
era sempre stata solo una bambina agli occhi di tutti… non
ingannava nessuno.
Si trovava
ridicola.
Come se Ville non
avesse sotto gli occhi tutti i giorni bellezze che
oscuravano di mille volte lei, la stupida e goffa ragazza italiana, per
non notare la differenza abissale.
Come aveva potuto
pensare di essere “speciale”?
Si
alzò di scatto e tornò in camera da letto per
indossare qualsiasi cosa la potesse coprire.
Si
bloccò sulla porta vedendo Ville.
Dormiva ancora.
Lou chiuse gli
occhi, deglutendo con forza.
Non riusciva a
volergliene, non riusciva ad odiarlo.
Si
avvicinò al letto, scivolando silenziosa al suo fianco,
trovando subito il calore che desiderava.
Anche nel sonno
lui sorrise girandosi verso di lei, allungando un
braccio a stringerla a sé, mormorando qualcosa con voce
bassa e roca.
Lou lo guardava
quasi senza battere gli occhi, non volendo perdere
neanche per un millesimo di secondo ciò che vedeva.
Voleva imprimere
nella mente ogni lineamento, ogni centimetro di pelle,
ogni rughetta, ogni avvallamento del suo corpo, ogni piega.
Posò
le labbra sulla sua spalla ossuta, leccò il
suo sapore, ispirò l’odore della sua pelle.
La mano
andò al petto, posandosi per qualche istante
all’altezza del cuore e lei chiuse gli occhi.
Se solo ci fosse
stato un modo per stringere quel cuore tra le
mani.
Toccarlo e
accarezzarlo…
Lentamente
scivolò verso il basso, fino a chiudersi sul
sesso di Ville.
Lui si mosse
appena sotto le sue dita, spingendo in su il bacino,
mormorando qualcosa che lei non capì.
Continuò
ad accarezzarlo fino a quando il corpo di Ville non
rispose ai suoi stimoli.
Lou lo fissava in
viso: Ville aprì la bocca,
sospirò di nuovo leccandosi le labbra, assumendo
un’espressione corrucciata e dannatamente sensuale che le
fece contorcere le pareti dello stomaco.
Il pensiero della
bocca di Ville su quella di Amy le era insopportabile.
Mugolò
di nuovo con un tono basso e gutturale,
«Prinsessa…»
-
ansimò senza aprire gli occhi.
Era sveglio o
dormiva ancora?
Chissà
se percepiva la disperazione, l’urgenza con
cui lo stava toccando; chissà se lei sarebbe stata in grado
di nasconderglielo.
Scivolò
su di lui, schiacciandoglisi addosso.
Voleva entrargli
nella pelle, fondersi del tutto con lui e scacciare
via il pensiero di Amy, delle sue foto, dei suoi sms… voleva
scacciarla via dalla mente di Ville.
«Lou…»
– bisbigliò
in un soffio caldo sulle sue labbra.
Il suo nome.
Non quello di
Amy, o chiunque altra prima di lei.
Il suo nome.
Sussurrato con
passione, desiderio, mentre le mani di Ville, possessive
e impazienti, le strinsero i fianchi con forza.
Si mosse sotto di
lei, la spinse contro di sé, cercandola.
Lou si
chinò sulla bocca di Ville, muovendo la lingua sulle
labbra dischiuse, succhiandogli il labbro inferiore.
Lui
aprì improvvisamente gli occhi, fissandola solo per un
istante, smarrito.
Il verde dei suoi
occhi l’abbagliò.
E quello che vi
lesse dentro le fece dimenticare tutto il resto.
«Questo
è meglio di qualsiasi sogno erotico mai
fatto prima…» – mormorò
prendendole la bocca in un bacio avido.
Lou non disse
nulla, continuava a fissarlo senza chiudere mai gli
occhi, imprimendo nella sua mente ogni emozione che passava sul viso di
Ville.
Dentro di
sé sapeva che quella era l’ultima volta
che faceva l’amore con lui.
Che lo baciava,
sentiva il suo sapore, che la riempiva di sé.
Lo
guardò fisso mentre si sollevava sui fianchi scendendo
poi lentamente su di lui, accogliendolo dentro di sé.
Vide lo sguardo
di lui appannarsi per la sorpresa.
Un rantolo
soffocato gli uscì dal petto.
«Se sto
dormendo non svegliarmi…»
– le disse muovendosi sotto di lei, dentro di lei.
“Se
sono sveglia lascia che io continui a
viverti…”.
*******
Lou
sollevò la testa dal suo album da disegno per osservare
la bimba che giocava e saltellava sulla spiaggia a pochi metri da lei.
Sorrise vedendo i
suoi capelli scuri e mossi svolazzarle intorno; le
gambette abbronzate spuntavano fuori da un vestitino corto, a fiori
bianchi e rossi.
Raccoglieva
diligentemente le conchiglie secondo una strana logica
tutta sua: teneva per sé solo quelle completamente bianche,
anche se erano sbeccate e rovinate.
Di tanto in tanto
tornava correndo entusiasta verso di lei e pretendeva
che mostrasse il medesimo entusiasmo nei confronti del suo bottino.
Lou la
accontentava elogiando la sua bravura e la bambina rideva
felice, gli occhi di un verde scurissimo che sprizzavano bagliori
dorati ogni volta che arricciava il naso.
Depositato il
tutto sul telo accanto a lei, tornava di corsa sulla
riva, piena di energie, strillando di gioia rincorrendo le onde.
Lou si
stiracchiò pigramente, allungò le gambe
nude al sole nascente.
Amavano arrivare
in spiaggia prima che il sole sorgesse.
“C’era
una volta una bambina che
era
innamorata del Sole.
Piangeva
ogni volta che l’astro dorato
tramontava,
timorosa che il giorno seguente questi non sarebbe tornato…
«Sono
io la bambina? Eh? Sono io!» –
strillava ogni volta la piccola Lilly, interrompendola nel suo
racconto, una delle tante favole e storie che inventava per la piccola.
«Certo
che sei tu, tesoro… mettiti giù
ora e non scoprirti.» – la rimbeccava Lou.
«Oooook…»
- sbottava la piccola, roteando gli occhi
nella speranza di farla ridere. Incrociava le braccine paffute sul
petto, tamburellando le dita, impaziente.
“Chissà
da chi avrà
preso…”- pensava Lou, con tenerezza.
“Il
Sole voleva bene alla bambina, e non
sopportava
di vederla piangere ogni volta che lui andava a riposare.
Così le regalò un carro splendente, con le ruote
fatte di mille raggi solari dorati. Il carro era magico: la bambina
poteva usarlo per raggiungerlo dall’altra parte del mondo e
assistere ogni volta che voleva alla sua nascita.”
«Mi
porterai un giorno dove il Sole non muore mai?
– le chiedeva sempre la piccola, sgranandole gli occhioni in
faccia. – Mi porterai "nella Fillandia”?
Voglio vedere
Babbo Natale e le sue Renne, e i Folletti! Ci andiamo,
eh? Voglio assaggiare la neve! Secondo me sa di gelato alla
vaniglia!»
Lou le sorrideva
riavviandole i capelli dietro le minuscole orecchie.
Lilly la guardava
speranzosa, sorridendole di rimando arricciando il
nasino.
Quella piccola
peste sapeva benissimo che non resisteva alle sue
smorfiette.
«Un
giorno ti porterò in
“Finlandia”… Dillo bene.»
«Finnnnnlandia!
– scandì la piccola
– Porteremo anche **Mr. Jingle?»
«Ovviamente
porteremo anche Mr. Jingle: non possiamo dormire
senza lui, vero?»
La piccola fece
segno di no energica, afferrando il peluche a forma di
topo viola, abbracciandolo stretto.
Mr. Jingle era un
regalo dello Zio Simone: la
piccola Lilly non se ne separava mai e non c’era verso di
farla dormire senza di lui.
Era apparso nella
culla di Lilly quando lei aveva solo poche settimane
e a dimostrazione di questo, era “provato”
dall’usura e sbiadito, consumato in alcuni punti.
Ma la piccola,
nonostante avesse ormai quasi 4 anni e si riteneva
grande per la maggior parte delle cose del quotidiano, non voleva
saperne di abbandonare il peluche viola.
«Verrà
anche il papà con noi?
– aggiungeva Lilly imperterrita – E Lo zio Simone e
anche lo Zio Pepe? E Calzetta?»
Lou scoppiava a
ridere.
«Tesoro,
servirebbe un carro enorme per portare tutti, non
credi?»
Lilly sbuffava al
quel punto.
«Ma che
dici? Andremo con l’ ‘aero’,
lo sai che non possiamo andare con il carro magico!»
– diceva con aria furba.
«Aereo,
non aero… e il carro? Lo lasciamo
qui?» – le chiedeva Lou, prendendola in giro.
«Aeeeeereo!
Nooooo… quello è solo per
me e te… quando nessuno ci vede!» –
rispondeva seria Lilly.
Reclinò
indietro la testa, godendosi i raggi del sole appena
nato che si facevano di minuto in minuto più caldi, ad occhi
chiusi.
Più
tardi sarebbe stato troppo caldo per loro due: il sole
di luglio era insopportabile in quei giorni.
Era
un’estate afosa quella: pareva quasi che tutta
l’Italia fosse stretta in una morsa infernale.
In quei momenti
le mancavano le estati miti e fresche finlandesi.
Soffocò
in fondo all’anima i ricordi della sua
vita ormai lontana, in Finlandia.
Le sembrava fosse
passata una vita… un tempo lunghissimo.
E invece erano
solo quattro anni.
Quattro anni, un
mese e diciassette giorni, per l’esattezza.
L’ultima
volta che aveva visto gli occhi di Ville.
******
"Angolo
dell'autrice:
Oh
perdindirindina! Sono passati altri due mesi e chiedo venia! Tolta la
polvere dalle scarpe dei nostri 5 fantastici, stupendi, emozionanti,
sognanti echipppiùnehapiùnemetta, giorni in
<3 Helsinki <3, superata l'iniziale nostalgia (Seee
credeteci...-.-'), si torna alla normalità. Forse. :)
Passiamo
alla storia. Lo so lo so: volete cavarmi gli occhi, farmi
flambè e ogni altro genere di tortura. *schiva i forconi*
Ma
ormai mi conoscete e sapete che sono una stron..... sadica e perfida!
:v InZomma la storia ha avuto un'HIMpennata HIMprovvisa:
emòòòbastaconstotiamoetilovvoeseituttalamiavitaperme!!!
Soffriamo!
One, two three: all together!
E
quindi niente... voi mi odiate ma io "vi lowwo"!
Aspetto
insulti e domande (e ritorsioni) qui, lì, ovunque vi aggrada!
Chiamate
ore pasti. Anzi no. Il mio lato Hobbit non lo regge. *fate finta che io
stia bene :>
E
come da rito, ringrazio la mia Beta Deilantha, che si è
sorbita il resoconto dei miei 5 giorni minuto per minuto senza battere
ciglio! E senza ammazzarmi.
Moglie: rinnoviamo i
nostri voti nuziali! <3
E poi un grazie
particolare - concedetemelo- alla mia compagna di viaggio preferita Gone with the sin: Ugo del mio cuor, nella
mia testa stiamo ancora passeggiando per Hel, davanti a "La
Famigghiaaaaa" e il Kamppi; ti si stanno ancora congelando le gengive e
io sto facendo ancora la cosa in cui ho scoperto di avere talento solo
lì. L'idraulica. :V
Sette mesi passano in
fretta! E andremo di nuovo a caccia di "Troll"! <3
Grazie alle mie
fedelissime: Lady Angel 2002, eleassar, katvil, Izmargad, LilyValo, __Ary___,arwen85, Soniettavioletstarlet, Daelorin, LaReginaAkasha.
Cosia,
cla_mika,
per te ho tanti cuoricini
e abbracci e spero che non mi ammazzerai di botte con questo cambio
repentino! *sorride come Gatto con gli Stivali*
E per ultima- menzione
speciale, sennò mi attacca i pipponi che non le dolo spazio
esclusivo e si offende - alla mia
supermegafavolosastupenderrimafighissima tesò, che mi ha
suggerito il nome del peluche per la piccola Lilly: apinacuriosaEchelon!!!!!!
Baci
baci!
*H_T*
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Capitolo 25 *** Capitolo ventiquattro: "You are my sister" ***
testo.
Capitolo
ventiquattro
"You are my sister"
testo.
Che fine
fanno tutte le parole d’amore?
Dove va a
finire tutto quell’amore, quella passione?
Le ho perse
nel vento, tra i flutti del
Mare del Nord…
svanito, sciolto tra i cristalli di neve candida.
Dove sono
io?
Dov’è il mio
cuore?
Una foglia
nel vento senza peso, senza corpo, morente…
Il mio cuore
sogna cose piccole.
Un divano
verde con i braccioli consunti, una finestra che lascia passare
spifferi di
aria gelida nelle notti d’inverno, le fusa dolci di un gatto,
fruscio di
lenzuola che sfregano contro il mio corpo nudo, dita lunghe e
affusolate tra i
miei riccioli, i suoi fianchi tra i miei,
gambe che
si incastrano trovando la più perfetta delle combinazioni,
il giusto posto
l’uno nell’altra, danza lenta che crea la nostra
personale melodia, bocca
dentro bocca, giada verde in cui affondare e perdersi, anima sconfinata
nella
quale trovare ristoro e pace… Ville.
Ville…
Ville.
Solo cinque
lettere.
Il
singhiozzo nacque e si spense, lieve,
confondendosi nel rumore delle onde, i suoi occhi oasi silenziose.
«Lù?
Lilly? Dove siete finite?» – una voce
maschile profonda richiamò immediatamente
l’attenzione della bambina che si era
distratta a disegnare ghirigori sulla risacca.
«Papy!»
– urlò Lilly buttando via il
bastoncino di legno, girandosi con un sorriso enorme, spiccando la
corsa che le
sue gambette corte le permettevano, verso l’uomo alto e dai
capelli chiari che
stava scendendo i 4 scalini che dalla casa portavano direttamente sulla
spiaggia.
«Non
correre così…» - provò a
dire Lou, ma la
bimba aveva già raggiunto l’uomo.
Lui
aprì le braccia sollevandola e
lanciandola in alto.
Lilly
lanciava urla stridule ridendo a
crepapelle.
L’uomo
se la mise a cavalcioni sulle spalle,
avviandosi verso Lou con un sorriso.
«Ehi…
buongiorno! – la salutò lui chinandosi
a darle velocemente un bacio sui capelli – Vi siete svegliate
presto anche
oggi? Grazie per la colazione…»
«Prego!-
Lou rispose al suo sorriso – Stai
andando via?»
«Uhm…
già. Tornerò prima, però: quindi non
fate le solite furbe e aspettatemi prima di mettervi a spignattare in
cucina
senza di me.» – disse lui, solleticando il pancino
della figlia, che se la
rideva di gusto.
«Papy,
ma tu non sei bravo in cucina, non ci
devi stare! Sei maschio! – ridacchiò Lilly
– Noi siamo femmine e ci dobbiamo
stare perché siamo più brave!»
L’uomo
scoppiò a ridere, scambiando con Lou
un’occhiata perplessa.
«Da
chi avrà preso queste idee?» – chiese
lui
strizzandole l’occhio.
«Lo
dice sempre zio Simone!» – sentenziò la
piccola.
«Lo
zio è un gran furbastro: lo dice
perché non gli piace cucinare quando viene qui da noi e non
vuole sporcarsi le
mani.»- puntualizzò Lou.
«Ma
lui è troppo sci…scic… -
balbettò Lilly
in difficoltà con una parola che lo zio Simone le ripeteva
in continuazione –
Papy, come si dice?»
«Chic,
tesoro. E non dare ascolto a zio:
anche i maschi cucinano e sono bravi a volte, lo sai?»
«Va
bene. Però lo zio Simone è chic?
Perché
lui dice che da grande sarò chic come lui, non come voi
due.»
Lou
scoppiò a ridere.
«Oh
beh, se lo dice zio Simone allora sarai
chic anche tu, tesoro.»
Lilly
rise felice.
«Papy,
ho raccolto tante conchiglie
bellissime! Le hanno portate per me le sirene, quelle come Ariel! Lo
sai, papy?
Papy, da grande posso essere una sirena chic?» –
chiese a raffica la piccola,
strattonando la folta chioma biondo chiaro del padre.
«Tesoro
da grande potrai essere tutto quello
che vorrai – le disse il padre afferrandola sotto le braccia,
facendola roteare
in aria, per poi posarla a terra – la settimana scorsa non
volevi essere un
pirata?»
«Sì,
ma le sirene stanno sempre in acqua e
hanno le conchiglie sulle “titte” e capelli lunghi
lunghi e la coda che brilla ed
io voglio essere una sirena.» – continuò
senza fiato la bimba, guardando in su.
«Chi
te l’ha insegnata quella parola?» –
chiese Lou, alzando gli occhi al cielo.
Lilly
ridacchiò e indicò il padre con un
ditino.
«Piccola
traditrice! – ridacchiò il padre con
lo stesso ghigno della piccola, strizzò l’occhio a
Lou che sbottò a ridere di
conseguenza – Dovremo insegnarle come si tengono i
segreti.»
«Io
lo so cos’è un segreto! –
borbottò Lilly
guardando di sottecchi Lou – Noi due ne abbiamo uno che tu
non sai!»
«Che
segreto mi tenete nascosto,
streghette?»
«Papy
è un segreto solo nostro, tu sei
maschio e questo è un segreto da femmine!»
Lui
scoppiò a ridere, scompigliando i
riccioli castani della figlia.
«Ok,
va bene ho capito! Dai un bacio al tuo
Papy, ora?» – chiese chinandosi
all’altezza della figlia che gli gettò subito le
braccine abbronzate al collo, schioccandogli un bacio sulle labbra.
«Papy
pungi!» – rise Lilly, facendo una delle
sue smorfiette.
«Quando
il tuo papy stasera torna a casa
diventerà liscio liscio, così non
pungerò più la mia piccola streghetta!»
«Sono
una sirena!» – puntualizzò la bimba
orgogliosa.
«Giusto!
La mia piccola sirenetta!»
Si
rivolse a Lou, guardandola intensamente, scrutandola a fondo con i
chiari occhi
azzurri.
«Sei
stanca?»
«Solo
un po’…»- rispose Lou, sorridendogli.
«Dovresti
riposarti e non svegliarti presto;
sei sempre l’ultima ad andare a letto la
sera…»
«Non
sei in ritardo? – lo interruppe lei
sorridendogli con affetto – Sto bene. Ci riposeremo nel
pomeriggio, vero
Sirenetta?»
“Nooooo,
mi annoio a riposare! Voglio tornare
in spiaggia e andare a comprare il gelato!» –
borbottò la piccola incrociando caparbia
le braccine al petto.
«Vedremo.» -
minacciò Lou guardando la bimba
in tralice.
«Non
dargliela vinta – le sussurrò lui,
passandole un braccio vigoroso intorno alle spalle, posandole un altro
bacio
sulla fronte – È una vera peste.»
«Lo
so bene.» – rispose Lou, accarezzandogli
il braccio velocemente.
«Ok,
io vado ragazze: fate le brave mentre
sono via, va bene?»
«Vaaaaaaa
beeeeeneeee!» - sbuffò Lilly
smaniando perché voleva tornare a raccogliere conchiglie
sulla riva.
«A
dopo!» - rise Lou, alzando una mano a
salutare l’uomo che si allontanava ridacchiando.
Lou
si girò con le mani piantate sui fianchi
e lo sguardo truce.
«Bene.
Piccola peste… che cosa vuoi fare
ora?»
Lilly
la abbagliò con un sorriso luminoso,
arricciò il nasino coperto di lentiggini e alzò a
coppa le manine piene di
conchiglie candide.
«Portiamo
queste alla mamma?»
******
Lilly
canticchiava tra sé e sé, sistemando le
conchiglie sull’erba folta.
Lou
guardò negli occhi di Mara, sospirando.
«Tua
figlia è una forza della natura… non sta
mai ferma un secondo, ha l’energia di dieci persone dentro.
Ieri ha imparato
una nuova parolaccia e ha tosato a zero i capelli della sua bambola,
per poi
piangere per due ore di fila perché voleva che tornassero di
nuovi lunghi…
Sta
imparando a scrivere le sue prime parole. È così
intelligente…
Mi
ricorda te, quando non riuscivi in una
cosa e t’impegnavi fino a che non diventavi bravissima,
migliore di tutti gli
altri.
Ha
la tua stessa forza di volontà…
È
sempre allegra e sorride sempre… sempre!
E
ha il tuo stesso sorriso.
È
brava
a disegnare, sai? Ha uno spiccato
senso per le proporzioni e i colori.
Lei
ama le cose colorate: in questo non
somiglia a nessuno di noi!
Simone
dice che ha talento e le riempie la
testa di sciocchezze…
Ha
un pessimo effetto su di lei!
Qualcuno
dovrebbe insegnare a quel ragazzo il
senso della modestia… - ridacchiò Lou, spostando
una ciocca di capelli dietro
l’orecchio – del resto, non che da ragazzo fosse
meglio.»
È
sempre
stato uno stronzetto pieno di sé. E
noi lo abbiamo sempre adorato, vero?» –
chiese Lou, abbassando gli occhi a terra.
Tornò
a fissare negli occhi neri di Mara,
sperando in una risposta.
«Mara…
stanotte… l’ho sognato. Era da tanto
che non sognavo di lui...» – sussurrò a
bassa voce e deglutì a vuoto passandosi
una mano tra i capelli tagliati corti sotto le orecchie, che le
ricadevano in
onde morbide e lucide.
«Sentivo
la sua voce, le sue mani sul mio… -
si bloccò improvvisamente, gettando un occhio a Lilly che
giocava impilando le
conchiglie una sull’altra, poco lontano da lei –
Sentivo la sua bocca su di me…»
– tornò a dire abbassando la voce a un bisbiglio.
«Era…
sembrava così vero: sentivo il suo
odore, la sua pelle calda… e diceva che gli manco, che non
ho mai smesso di
mancargli, che mi desidera ancora, che mi ama
ancora…» – la voce si spense.
Lou
chiuse gli occhi cercando di ricacciare
indietro quelle lacrime che teneva dentro da troppo tempo.
«I
suoi occhi… - disse Lou stringendo forte i
suoi – Mi mancano così tanto i suoi
occhi.» – ansimò portandosi una mano al
petto, sul cuore, premendovela forte nella speranza che si attenuasse
il dolore
sordo che si stava allargando, propagando come le onde create da un
sasso
lanciato nelle acque statiche di un lago.
Alzò
il viso aprendo lentamente gli occhi,
fissando lo sguardo sul
viso della sua amica,
sperando che avesse una parola per lei, un consiglio che la facesse
sentire
meno sola, meno in colpa… che la consolasse.
Mara
continuava a sorriderle serena, senza
cambiare la sua espressione.
Alzò
una mano per togliere un granello di
polvere sulla foto di Mara.
Che
la fissava sorridente e bellissima, per
sempre giovane e con gli occhi luminosi.
Sfiorò
con un dito il suo profilo,
incastonato sotto la placca ovale posta al centro della semplice lapide
di
pietra bianca.
«Mi
manchi così tanto… a volte penso che sia
tutto un incubo, che tu sia ancora qui con noi.
Non
è giusto…»
Ingoiò
il groppo in gola e prese un profondo respiro.
«Karl, sai...
lui ce la sta mettendo tutta. È
forte,
più forte di quello che credevi.
Per
la piccola Evangeline, perché lo ha
promesso a te…»
Si
asciugò una lacrima che era sfuggita
dall’angolo dell’occhio, prima che la piccola Lilly
potesse vederla.
Una
volta l’aveva sorpresa a piangere di
nascosto, in bagno: Lilly l’aveva guardata spaventata con gli
occhioni verde
scuro sgranati.
All’epoca
Lilly aveva due anni e mezzo e Mara
era mancata da sei mesi.
Si
era stretta a Mr. Jingle, con un dito in bocca.
Lo
faceva sempre quando era spaventata o
triste; lei e Karl tentavano in ogni modo di toglierle quella cattiva
abitudine,
ma non sempre l’avevano vinta su di lei.
Testarda
e caparbia fin da piccolissima.
Aveva
promesso a se stessa di non farsi cogliere
mai più triste dalla piccina.
Si
era ripromessa di creare intorno a lei una
bolla felice e serena, lo aveva promesso a Mara.
E
lei voleva mantenere a tutti i costi quella
promessa.
******
«Non
è la TUA FAMIGLIA!! NON È TUA
FIGLIA!»-
sbraitò Simone quella volta di un anno e mezzo prima.
«Non
urlare.» – rispose Lou laconica, mentre
ripiegava i panni appena stirati e si accingeva a rimetterli nei
cassetti.
«Dio
santo, smettila di fare la casalinga
disperata e fermati un cazzo di minuto!» – le
urlò esasperato il suo amico,
seguendola nella stanzetta di Evangeline.
«Ho
da fare, se hai qualcosa da dire – e a
quanto pare è così – fallo pure, ma ti
accontenterai di seguirmi nel mio essere
una casalinga disperata. Se non ti sta bene, la porta è
quella.» - gli indicò
l’uscita senza guardarlo, con voce secca e continuando le sue
faccende come se
non le importasse minimamente di quello che pensava lui.
Simone
sbottò in una colorita imprecazione
che non si addiceva per niente al suo essere chic e di classe.
«Cosa
diavolo credi di fare? Di sostituirti a
madre e moglie? Fatti una vita!
La tua la
stai buttando via per qualcosa di cui non dovresti preoccuparti! Karl
è
capacissimo di accudire a sua figlia quanto te, senza di te! Hai fatto
quello
che potevi, sei stata presente quando ce n’era bisogno ma ora
torna alla tua.»
«Questa
è la mia vita.»
«No,
questa non è la tua fottuta vita e tu non sei tenuta a stare
qui a fare la
sostituta!»
«Come
se io potessi sostituirmi a Mara. Sei
ridicolo. Perché non torni alle tue feste esclusive, ai tuoi
vestiti, alle tue
notti folli e a tutte quelle cose che ti rendono una persona migliore
di tutti
gli altri?»- sbottò crudelmente Lou con una
smorfia disgustata.
Simone
trattenne il respiro, colpito in
pieno.
«Stai
insinuando che io non sono una persona
sensibile e generosa quanto te? Stai insinuando che a me non importa di
Lilly o
di Karl, perché sono troppo preso dalla mia vita?»
«Lo
hai detto tu, non io.» - ribatté Lou
senza guardarlo, ripiegando con cura il pigiamino rosa con i
coniglietti di
Lilly prima di chiuderlo in un cassetto.
«Le
volevo bene anche io. Era anche amica
mia. Voglio bene a Karl come se fosse mio fratello e amo Lilly
più di quanto
potessi credere. Ma non ho nessuna intenzione a insinuarmi a forza
nelle loro
vite, pensando di fargli un
favore!» – la voce
di Simone tradiva risentimento.
«Io
ci sono sempre e comunque. Per qualsiasi
cosa e in qualunque momento. Non li abbandonerò mai e loro
lo sanno, Mara la
sapeva. L’unica che fa
finta di non saperlo sei tu,
che credi di fare la cosa giusta stando qui, vivendo qui come se
facessi parte
della loro famiglia, confondendo la piccola Lilly! Confondendo tutti!
Tua madre
pensa che stai insieme a Karl!»
«Loro
sono la mia famiglia! – urlò Lou
all’improvviso, rossa in viso – Sono anche la tua
famiglia! Te ne sei
dimenticato, forse? Era questo che Mara voleva! Che ci ha chiesto prima
di…
prima… - ansimò senza fiato – e glielo
abbiamo promesso! Entrambi! Se questo
per te è troppo faticoso e ti distoglie dai mille impegni,
torna a casa tua!
Torna a Roma e levati di mezzo! Non lascerò anche
loro!»
Si
rese conto troppo tardi di aver detto
troppo, più di quanto volesse.
Simone
aprì la bocca per controbattere, poi
sembrò ripensarci improvvisamente.
Attese
qualche istante, guardandola ansimare
e fulminarlo con gli occhi che lanciavano fiamme.
«Senti
Lou: è probabile che io e te siamo
agli opposti, ora più che mai. So che non vuoi parlare di
lui e di quello che
ti sei lasciata alle spalle. Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento,
del
resto. E sai come la penso. Hai fatto la tua scelta, una stupida,
egoistica
scelta secondo il mio modesto parere… ma ormai è
passato del tempo e speravo
che avessi superato… che non ci pensassi più. Ma
qui stiamo parlando di due
cose diverse.
Devi
lasciare che Karl e sua figlia abbiano
la loro vita; Mara non voleva che Karl facesse il vedovo inconsolabile.
Lei
sperava che lui trovasse qualcun altro con cui dividere la sua vita, e
che
questa persona crescesse Lilly come se fosse sua figlia. Tu con la tua
presenza
blocchi ogni processo di ripresa! Lo capisci questo?»
«Io
non blocco proprio nulla! Karl è libero
di trovarsi un’altra donna!»
«E
come può farlo se tu continui a girargli
per casa? Come fa a riprendere una vita normale da scapolo con figlia a
carico,
se tu gli fai trovare le camicie stirate, il pranzo pronto, perfino il
tavolo
della colazione preparato fin dalla sera prima! Andiamo!»
– sbottò acido.
Lou
si chiuse in un silenzio contrito.
Sapeva
che lui aveva ragione, ma non era
pronta a separarsi da Lilly.
Non
ancora.
Era
come se fosse figlia sua.
Era
lei che se n’era occupata fin dai primi
giorni, insieme a Karl: Mara era troppo debole per poterlo fare come
avrebbe
voluto.
Era
stata lei a restare sveglia la notte per
accudirla; lei a darle la prima pappina.
C’era
lei quando aveva gattonato per la prima
volta, o le era spuntato il primo dentino.
Era
a lei che aveva fatto il primo sorriso…
non era sua figlia, ma era come se lo fosse.
«A
meno
che tu non voglia sostituire Mara anche a letto.» –
continuò Simone, stringendo
gli occhi grigi.
«Non
essere disgustoso! Come fai solo a
pensarla una cosa del genere? Karl è un fratello per me,
come per te!»
«Ah
davvero? Beh, da quello che ho visto ieri
sera a cena, non credo che lui ti veda più come una
sorella!»
Lou
sbiancò in viso, boccheggiando.
«Di
cosa diavolo parli? – si era bloccata a
metà nel suo ordinare la biancheria – Tu vedi cose
losche anche dove non ce ne
sono!»
«Stammi
bene a sentire, bella: posso non
essere un bravo cuoco, o un perfetto padrone di casa o essere una
totale pippa
nel cambiare i pannolini, ma so riconoscere benissimo lo sguardo di un
uomo. E
ieri sera, vuoi il vino rosso, vuoi il fatto che per la prima volta ti
sei
fatta carina e dopo tanto tempo sei tornata a sorridere come una volta,
Karl ti
guardava come non ti ha mai guardato. Quindi se vuoi diventare la nuova
compagna di Karl e fare la mamma di Lilly a tutti gli effetti, hai la
mia
benedizione. Ma entrambi sappiamo bene che non farai entrare nessuno
nelle tue
mutande, tantomeno il buon Karl...e questo
perché… sei ancora innamorata,
Grace.
E che
malgrado tu ci metta tutto l’impegno di questo mondo, devo
dartene atto, non
riesci a ingannare me. Lo ami. Lo ami ancora. Forse più di
prima.»
«Smettila.»
«No.
Non la smetto. Sono stanco di
preoccuparmi per te. Sono stanco di raccontare a tua madre che stai
bene. Sono
stanco di vederti rifiutare uomini interessanti. Stanco di saperti qui,
in una
cazzo di casa sperduta in mezzo al nulla, lontana da tutti, ad espiare
colpe
che non hai!
Ok,
te ne sei andata. Ok, hai mollato.
Lui
è andato avanti, di merda, ma è andato
avanti anche senza di te.»
Sentire
Simone parlare di lui anche se
nessuno dei due aveva ancora pronunciato il suo nome, le faceva sempre
lo
stesso effetto: una morsa allo stomaco.
«Sono
andata avanti anch’io…»
«No!
Tu non hai affrontato te stessa, visto
che due minuti fa hai urlato che non avresti abbandonato
“Anche loro”. Come
hai fatto con Ville?»
Ecco.
Il suo nome.
Scagliato
attraverso la stanza come una
freccia.
Era
soltanto un nome.
Lo
era, dopottutto?
«Smettila…» – tornò
a ripetere Lou,
sussurrando.
«Sai
cosa mi ha detto Mara, la sera prima di
morire? – infierì lui senza pietà
– Mi ha raccomandato di farti rinsavire. Di
farti tornare a ragionare. Di prenderti di peso se fosse stato
necessario e con
un calcio in culo spedirti davanti a quella cazzo di Torre. Lei voleva
che tu
ritrovassi il tuo cuore, non che facessi la colf/babysitter a tempo
pieno per
la sua famiglia!»
Era
la stessa cosa che Mara aveva detto a
lei, qualche giorno prima di andarsene per sempre.
Solo
con parole più dolci.
«Luly…
vieni qua…»
Le aveva teso le mani
scheletriche, facendole segno di avvicinarsi.
Mara
aveva affrontato la malattia come una
leonessa: combattendo e tirando fuori una grinta che nessuno di loro si
sarebbe
mai aspettato.
Fino
all’ultimo aveva sperato e creduto di
poter guarire: la sua voglia di vedere crescere l’adorata
figlia le aveva dato
la forza di resistere al mostro che la stava mangiando viva.
Ma
gli ultimi giorni aveva preso coscienza
che era stata sconfitta e allora aveva iniziato a raccomandare tutti
loro di
prendersi cura di Lilly, di badare a Karl.
Era
evidente che aveva raccomandato ad altri
di prendersi cura anche di lei.
Lou
era corsa da lei, prendendole le mani
fredde, stringendogliele forte.
«Devi
farmi una promessa.» – disse sorridendo
con il viso stanco e di un pallore grigiastro.
«Dimmi,
tesoro… ti ascolto.»
«Devi
promettere che penserai sempre a te,
prima di ogni altra persona o cosa. Devi promettermi che non perderai
tempo a
chiederti il perché e il percome su tutto… non si
possono avere tutte le
risposte.
Devi
promettermi che aprirai di nuovo il tuo
cuore. Ti conosco troppo bene, meglio di quanto pensi.
Non
è troppo tardi, Luly… non lo è per te.
Quindi
non perdere altro tempo. Corri da lui.
Lo
ami così tanto… - le accarezzò il viso
con
mano tremante – non parli più di lui, ma
è presente in ogni tuo gesto, in ogni
cosa che fai... non ho avuto la fortuna di conoscerlo, eppure il mio
istinto mi
dice che anche lui ti ama allo stesso modo.
Quindi
sorellina mia, corri da lui. Sono
certa che ti sta
aspettando.»
Lou
lasciò che le lacrime traboccassero, ma
non voleva staccare le mani da quelle di Mara.
La
sorella che non aveva mai avuto.
Sua
sorella nell’anima e nel cuore.
«No,
Mara… il passato è passato. Le mie
scelte di due anni fa mi hanno portato a questo e non posso tornare
indietro.
Non posso. Non è giusto.»
«Tesoro,
cosa ti fa pensare che la vita sia
giusta? – disse Mara con un sorriso amaro, indicando se
stessa – Quindi
perdinci, riprendiamocelo! Prendiamoci quello che la vita non vuole
ridarci
indietro! Non tutto è perduto! Torna da lui, e se non ti
vorrà allora volterai
finalmente pagina.
Ma
tenta! Provaci, tesoro! Corri incontro al
tuo futuro e all’uomo che ami!
Sai…
- riprese dopo una brava pausa - quella
volta, in quel bar a Roma.
Quando
tu e Simone mi avete preso in casa con
voi… quella volta io non ho trovato solo un posto in cui
vivere e studiare.
Quel
giorno io ho trovato la mia famiglia.
La
sorella e il fratello che non ho mai
avuto.
Le
altre due metà che mi completavano e
mi
facevano sentire accettata e amata, come
mai prima di allora.
E
come sorella ti chiedo… ti prego... mia
figlia. Stalle accanto, dalle i consigli che le darei io.
Insegnale
che seguire i sogni è la cosa più
importante, che senza sogni siamo niente.
Insegnale
ad ascoltare sempre il cuore prima
che la testa.
Ed
è quello che devi fare anche tu,
sorellina… va da lui Luly, promettimelo. Vai a riprenderti
il tuo cuore.»
******
Lilly
arrivò vicino a lei, le si inginocchiò
accanto porgendole le conchiglie bianche.
«Ho
scelto quelle più belle, Luly! Mi aiuti a
fare il cuore?»- le chiese la piccola Evangeline con il
sorriso di Mara che
faceva capolino.
«Certo
tesoro… ti aiuto a fare il cuore.»
Lilly
la osservò attentamente disporre le
conchiglie fino a formare un cuore bianco sull’erba verde
acceso.
Se
avesse aggiunto qualche altra conchiglia
ai lati, il cuore si sarebbe trasformato in altro.
Un
simbolo che conosceva bene.
Che
le ricordava una vita lontana.
Legato
a una persona che era nascosta in un
angolo segreto della sua anima.
«Luly?»
«Sì,
tesoro?»
«Stasera
mi racconti la favola del Principe
che viveva nella Torre? È la mia favola
preferita.»
“Corri e vai
a riprenderti il tuo cuore, sorellina…”.
«Sì,
tesoro… stasera ti racconterò la favola
del principe che viveva nella sua Torre…»
"… e della
sua Principessa Perduta."
******
Angolo
dell'Autrice:
Sono
stata brava stavolta! ^-^
Non
vi ho fatto aspettare due mesi quindi: amatemi.
Questo
capitolo è
stato più duro da mettere su word di ogni altro scritto
finora: non mi piace affrontare la malattia o la morte con leggerezza,
forse perchè mi ci trovo di fronte un pò troppo
spesso.
Per
cui volevo avvisare che non
troverete ulteriori spiegazioni dettagliate sulla "questione" Mara; la
incontreremo di nuovo nei prossimi capitoli, ma in un viaggio a ritroso
di 4 anni, appena dopo il ritorno di Lou in Italia.
Insomma
andate di intuito o di fantasia, ma è una scelta che
ho fatto fin dall'inizio. ;)
So
che questi salti temporali possono confondere un pò, ma
come ben sapete, Sadica è il mio secondo nome...:).
In
ogni caso per qualunque dubbio, potete contattarmi anche in privato
se vi va! ^.^
Ora
arriva il momento "Maria De
Filippi" (xD
Rosita: apri la Busta!):
questo capitolo è anche una dedica.
Per
tutte quelle persone che hanno perso qualcuno senza avere la
possibilità di dir loro quanto le si amava e quanto erano
importanti per noi.
E
per le mie sister "storiche",
con me da 5 anni. Deilantha:
moglie, Beta Reader, nonchè corresponsabile di ogni
delirio-demenza notturne!
Eleassar,
divenuta la seconda Beta con mio grande orgoglio, per tutti i
consigli e il continuo sostegno.
Soniettavioletstarlet,
apinacuriosaEchelon, renyoldcrazy, arwen85, Lady
Angel 2002, E
befane sparse che si perdono per la
strada.
E
anche per quelle che ho conosciuto da poco, ma non meno care al mio
cuore, grazie a questa storia e agli HIM: _TheDarkLadyV_
Gone with the sin,
cla_mika, katvil, Izmargad, LilyValo, __Ary___,
LaReginaAkasha, FloHermanniValo. E tutte le altre del gruppo
che seguono la storia! :*
Ci
si conosce per caso su un social network e si passano
notti a parlare, condividere sogni e speranze, consolandosi, ridendo
fino alle lacrime e si pensa che sia solo un periodo, una
meteora.
Invece
sono presenze costanti e ferme, immutate come le stelle (*sviolina
come se non ci fosse un domani*xD)
Eeeenniente...
questo. Chi mi conosce bene sa. :)
Grazie
infinite anche a Cyanidesun
e Enigmasenzarisposta
per aver commentato il capitolo precedente! ^-^ Grazie ragazze!
A
presto, un bacio!
*H_T*
*Titolo
da: Antony And
The Johnsons - You Are My Sister
(Kat,
ora smettiamola di piangere però! xD)
testo.
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Capitolo 26 *** Capitolo venticinque - "Il Sentiero delle Fate" ***
Capitolo
venticinque
"Il Sentiero delle Fate"
Lucia.
Lou.
Il suo nome.
Era
Lou per le persone che aveva lasciato in
Finlandia.
Era
Grace per il suo migliore amico.
Lucia
per i suoi genitori e Sgorbietto per i suoi
fratelli, Livio e Leonardo.
Era
Luly per Mara e la piccola Evangeline.
Eva
per Julian.
Era
stata Lulù per le sue amichette d’infanzia.
“Mia
cara bambina” l’aveva sempre chiamata
il tenero sig. Korhonen, che non l’aveva mai chiamata per
nome.
“Prinsessa…”
Spesso
nella sua memoria riaffioravano i timbri
delle voci di ognuno di loro, la cadenza, la dolcezza e
l’affetto con cui
avevano pronunciato il suo nome.
Arrivavano
come lampi in un cielo sereno.
Erano
ricordi belli. Ricordi cari. Ricordi…
Quando
era sola si aggrappava a quei ricordi,
cullata da loro.
“Prinsessa…”
C’era
una sola voce che teneva chiusa in fondo alla
memoria, in fondo a quella enorme scatola di ricordi.
Una
voce che l’aveva tormentata durante i suoi
sogni.
Soltanto
per una persona lei era stata “Prinsessa
”.
E
quella voce, quelle labbra che avevano
pronunciato quel nomignolo con amore, con struggente tenerezza,
passione,
dolcezza… quella voce vibrava come un diapason dentro di lei.
Anche
ora.
Anche
in quel momento, dopo così tanto tempo.
“Prinsessa…”
*******
Quando
la loro passione si era placata e i
respiri tornati normali, Ville l’aveva guardata intensamente
e a lungo.
Apriva
la bocca, gonfia e arrossata dopo i
suoi baci e la richiudeva subito dopo.
Sembrava
che fosse a corto di parole.
Lei
lo guardava in silenzio, in attesa,
appoggiata sulla sua pancia piatta.
«A
cosa pensi?»
– la voce di Ville le
suonò
strana.
La
domanda sembrava non convincesse neanche
lui perché si morse le labbra, dubbioso.
Lou
scosse le spalle.
«A
nulla.»
«Lou…»
«Dico
sul serio.»
Com’era
diventata brava a mentire…
Lui
sollevò le sopracciglia.
«Mi
metti a disagio quando fai così… e non
è
da me sentirmi a disagio. Non con te.»
- parlò a
bassa voce, guardandola fisso
negli occhi.
«Non
è mia intenzione farlo… ti sto solo
guardando. Sei bello.»
Ville
storse la bocca sensuale in una
smorfia.
«Adesso
sei tu che sei condiscendente… e non
guardarmi così…»
– gemette
lui.
«Come
ti sto guardando?»
«Così…
come se… mi volessi di nuovo.»
«È
così.»
– sussurrò Lou.
“E
ti vorrò
sempre.”
«Ma
dubito che lui, – disse indicando in basso –
sarebbe
d’accordo ora.»
«‘Lui’
non ha l’autorità di prendere
decisioni.»
– ribatté Ville con tono
serio.
Nonostante
tutto Lou sbottò a ridere.
«Hai
una certa età, Valo… non esagerare.»
«Non
sfidarmi, bionda.»
«Non
chiamarmi bionda.»
«Come
vuoi che ti chiami?»
– sussurrò con la
sua voce sexy, ben modulata, profonda.
“Come ti
pare, basta che continui a parlare.”.
Lou
alzò di nuovo le spalle con noncuranza.
Era
bella quella schermaglia di battute.
Con
loro due che si fissavano negli occhi,
senza muovere un muscolo.
Bisbigliando.
Un
lampo squarciò il cielo, illuminando la
stanza.
Ville
alzò gli angoli della bocca,
lentamente.
«Ogni
volta che ci sarà un temporale penserò
a questa notte… a come hai fatto l’amore con me. A
come mi stai guardando
ora.»
Il
cuore di Lou mancò qualche battito, ma era
risoluta a mantenere un’espressione neutra e non fargli
capire che tutte le
sicurezze erano quasi svanite.
«Solo
a questa?»
«Ho
un ricordo preciso e vivido di ogni singola
volta che ho fatto l’amore con te.»
Non
si muoveva, non la toccava con le mani:
eppure lei si sentiva avvolta da lui.
Le
braccia rimanevano incrociate sotto la
testa, apparentemente rilassate.
Erano
i suoi occhi che la incendiavano. Riscaldandola.
Che
la riempivano.
E
quando la guardava così lei credeva
veramente che nessun’altra contasse per lui.
Che
lui fosse realmente innamorato di lei.
Di
lei, Lou.
Che
non era bella, non era alta, non aveva
gli occhi azzurri o lunghi capelli di seta neri.
Quando
lui la guardava così, in quel modo,
lei pensava che niente e nessuno si sarebbe intromesso in quella bolla
magica
dove esistevano soltanto loro due.
Lou
guardandolo si rese conto nuovamente di
quanto in così poco tempo lui fosse diventato il centro, il
perno sul quale
ruotava il suo cuore.
La
cosa come al solito la spaventava.
Sembrava
che lui ci fosse da sempre e invece
erano insieme solo da pochi mesi.
Quanto
tempo sarebbe durata la passione di
Ville per lei?
Guardandolo
ora sembrava che non ne avesse
mai abbastanza di lei, che la passione si arricchisse di giorno in
giorno di
mille altre sfumature, che la desiderasse inspiegabilmente sempre di
più…
Quanto
tempo ci sarebbe voluto prima che si
stancasse di lei, per tornare alle donne cui era abituato?
«Quella
ruga al centro della tua fronte non
mi piace.»
– mormorò di nuovo lui.
«Stavo
pensando al da farsi.»
«Riguardo
a cosa?»
Ville
sollevò un
sopracciglio.
Il
perfetto damerino con la puzza sotto il
naso.
«Mi
chiedevo… - mormorò Lou stiracchiandosi
pigra su di lui - se ora sei abbastanza riposato per riprendere il
discorso.
Vorrei che la tua lista dei ricordi delle volte in cui hai fatto
l’amore con me
si arricchisse.»
Lui
ghignò e un lampo verde giada la
tramortì.
«Non
hai idea di quanta memoria io riesca a
immagazzinare.»
Nascose
sotto quella smania di avere tutto
per sé l’uomo che amava, di possederlo anima e
corpo, il tarlo del sospetto.
Non
voleva fare come con Andrea e rischiare
di perdere Ville.
Per
lei sarebbe stato come togliere l’aria
dai suoi polmoni.
Avrebbe
agito diversamente.
Con
pacatezza, impedendo alla gelosia di
avere la meglio su di lei.
Cercò
di ricordarselo prima che le braccia
magre di Ville la tirassero su, facendola scivolare lentamente sopra di
lui e verso
la sua bocca.
I
capelli fluivano come seta sul corpo di
Ville.
«Ti
guardavo… - bisbigliava lui infilando le
mani tra i suoi capelli, facendovi scorrere le dita lunghe ed eleganti
– E
vedevo solo il bagliore dei tuoi capelli. Era come se ogni volta che tu
apparivi da quella finestra il sole spuntasse
improvvisamente… anche se era un
giorno di pioggia o c’era la nebbia o neve e ghiaccio
ovunque. Non sapevo il
tuo nome e non conoscevo neanche il tuo viso… eppure ogni
volta che guardavo
fuori, speravo di vederti.»
Lou
afferrò una delle sue mani e portandola
al viso si strofinò lentamente su di essa ad occhi chiusi.
«Tu
mi riscaldavi ancor prima di entrare
nella mia vita.»
******
«Lilly,
torniamo a casa ora.»
– Lou chiuse
gli occhi facendo un profondo respiro.
Il
risultato fu alquanto scadente: sembrava
più un singulto.
Si
alzò pulendosi le mani sui jeans chiari e
sdruciti che le stavano decisamente troppo larghi.
«Va
beneeeee! – Lilly la imitò nelle mosse,
pulendosi le manine sporche di erba sul vestitino estivo, poi
appoggiò la sua
guancia a quella di Mara nella foto – Ciao Mamy, io adesso
torno a casa con
Luly. Ma tu aspettami che io torno presto presto e ti porto altre
conchiglie.»
Lilly
le porse la manina, guardando in su e
strizzando gli occhioni verde scuro.
«Però
ora il gelato me lo compri?»
Lou
scoppiò a ridere suo malgrado.
«Sei
una peste. Adesso invece facciamo una
cosa: compriamo il gelato e poi lo mangiamo insieme al papà,
che ne dici?»
«Però
i gusti li scelgo io.»
«Cioccolato
e fragola?»
Lou storse la
bocca.
«Sì,
io sono chic!»-
asserì convinta, come se
essere chic fosse il passpartout per ogni situazione, saltellandole di
fianco mentre
si avviavano lungo il sentiero che dal piccolo cimitero
dov’era sepolta Mara
immetteva sulla strada che costeggiava il mare.
Avrebbe
scotennato Simone per tutte le
cavolate che le raccontava.
Respirò
a pieni polmoni l’aria densa di
profumo salmastro portato dalla brezza leggera che veniva dal mare, gli
alberi
imponenti che formavano quasi una cupola chiusa sopra la testa e
cespugli di
more selvatiche ovunque.
Lou
amava quel posto per la sua bellezza
selvaggia e semplice. Dopo la morte di Mara ci veniva spesso da sola,
in
qualunque ora del giorno e a volte anche di sera tardi, quando non
riusciva a
dormire. Sorrise al pensiero di lei che vagabondava tra le lapidi anche
di
notte.
I
cimiteri le avevano sempre messo paura e
ansia, un timore reverenziale e non ci andava mai, se poteva evitarlo.
Questo
prima che Mara morisse.
Dopo,
era l’unico posto in cui trovava il
coraggio di lasciarsi andare al dolore senza che qualcuno provasse a
consolarla
o le dicesse di calmarsi; era l’unico posto in cui
c’era il vero silenzio e la
vera pace. L’unico in cui sapeva che qualcosa di Mara ancora
aleggiava intorno
a lei.
Aveva
chiamato quel posto “Il sentiero
delle fate”.
Quando
stava per arrivare l’estate quel posto
di sera era illuminato soltanto dalle minuscole luci intermittenti
delle
lucciole. La prima volta che si era ritrovata circondata da quelle
creature
così brutte e anonime se le si vedeva da vicino ma che
nell’immaginario della
Lou bambina era piccole fate, angeli custodi dei bambini di tutto il
mondo, era
stata anche la prima volta che aveva pianto per Mara.
E
per Ville. E per la sua vita che aveva
preso una direzione completamente sbagliata.
Improvvisamente
davanti a quello spettacolo
magico e silenzioso, interrotto solo dal sonnolento frinire delle
cicale e il
respiro del mare, era crollata.
Piangendo
per ore, senza respiro.
«Luly?»
«Dimmi.»
«Ora
torni a vivere a casa nostra? Non te ne
vai un’altra volta, vero? Avevi detto che tornavi presto e
invece è passato
tanto tantissimo tempo.»
Lou
si fermò inginocchiandosi all’altezza
della bimba.
«Te
l’ho spiegato il perché non sono tornata
presto, vero? O te ne sei dimenticata?»
Lilly
scosse la testa facendo oscillare i
boccoli scuri.
«Me
lo ricordo, però mi annoio quando sto da
sola.»
«Ma
non sei da sola, c’è il papà con te. E
Mister Jingle e Calzetta…»
- le disse Lou
sorridendo.
«Sì
ma anche papy è triste quando tu non ci
sei e Mister Jingle non parla e neanche Calzetta! Io voglio parlare con
te! Sei
la mia amica preferita.»
«Tesoro…
- Lou la prese tra le braccia
affondando il viso nei capelli soffici e profumati di fragola, dandole
piccoli
baci sul collo come quando era piccolissima – Non era
Valentina la tua amica
preferita?»-
le chiese ridacchiando.
«No.
Abbiamo litigato. – borbottò scura in
viso - Ha detto che io non posso andare alla festa del suo compleanno
perché
non ho la mamma che mi accompagna. Lei però non ha il
papà, ma al mio
compleanno ci è venuta!»
Quanto
potevano essere crudeli i bambini
nella loro innocenza?
«Non
dovresti litigare con la tua migliore
amica, sai? È una cosa brutta…»
- il
pensiero corse subito a Nur, provocandole
il solito magone in gola.
Lilly
abbassò lo sguardo a terra muovendo
avanti e indietro il piede, a metà fra l’
arrabbiato e il pianto.
«Lo
so, ma io non ho la mamma.»
Lou
rimase senza fiato, non sapendo che dire.
«Tu
ce l’hai la mamma… solo che non la puoi
vedere come fanno tutti gli altri bambini.»
– disse
accarezzandole il nasino.
«Lo
so questo ma alla festa non posso andarci
lo stesso!»
– spiegò caparbia
incrociando le braccia sul petto come suo solito.
«Senti
e se alla festa ci porti tua zia Lou?
Pensi che vada bene lo stesso? Lo vuoi chiedere a Valentina, eh? Ti
va?»
Lilly
la guardò socchiudendo gli occhi
dubbiosa.
«Va
bene. Ci andiamo ora?»
«Certo!
Andiamo!»
«Andiamo!
Muovi le chiappe!»
– urlò Lilly
ridendo.
«Lilly!
Dove l’hai sentita questa?»
«Non
te lo dico!»
– scoppiò a ridere Lilly
tirandola per le dita e facendole un male cane.
Avrebbe
preso a calci Simone nelle sue chiappe
marmoree quanto prima.
******
«Lou!
Che bello rivederti! Quando sei
arrivata? Karl non mi ha detto nulla!»
– le sorrise
stupita Katia aprendole la
porta con le mani sporche di farina.
La
mamma di Valentina, della stessa età di
Lilly, e Martina che di anni ne aveva quattordici, abitava a poche
centinaia di
metri da Karl e Lilly, in una casa gialla a due piani.
Lou
abbracciò la donna di slancio, sinceramente
contenta di ritrovarla.
«Valeeee,
vieni qui subito: c’è Lilly!
Martinaaaaa, abbassa quella musica!»
–
urlò in direzione del giardino sul
retro, cercando di sovrastare la musica che proveniva da qualche angolo
della
casa.
«Hanno
bisticciato, lo sai? – le chiese Katia
sottovoce con aria dispiaciuta – Non so come le sia venuta
quell’idea, mi dispiace.
Ne ho parlato anche con Karl…»
-
arrossì improvvisamente Katia schiarendosi la
voce.
«Lo
so, Karl me lo diceva ieri sera… - spiegò
Lou sedendosi sullo sgabello che le stava indicando Katia –
Sono bambini dai…
non si rendono conto. Che stai cucinando? C’è un
profumino delizioso…»
«Torta
di rose, salata e dolce, muffin,
crostate… e una marea di altre cose che ho dimenticato
perfino di aver impastato!»
– disse ridendo Katia scostandosi con il braccio una ciocca
di capelli biondi
dal viso, indicando il caos che regnava in cucina.
Oltre
al piano cucina ingombro di dolci,
ovunque c’erano coroncine di carta, bacchette magiche
ricoperte di glitter,
gonnellini di tulle dai colori tenui.
Lou
le sorrise.
Katia
le era sempre piaciuta: era una mamma
single da qualche anno e cercava di cavarsela da sola senza chiedere
l’aiuto
dell’ex marito, che come nelle più classiche e
scontate delle storie si era
invaghito di una giovane donna tradendo sua moglie e mollandola su due
piedi
per andare a vivere con l’altra.
Aveva
sempre sospettato che avesse una cotta
segreta per Karl, così gentile e sempre disponibile ad
aiutare lei e le due
bambine per qualsiasi cosa avessero bisogno.
Quando
Simone quasi due anni prima, le aveva
fatto notare che Karl iniziava a comportarsi diversamente nei suoi
confronti,
lei si era allontanata.
Non
voleva assolutamente che la situazione
precipitasse e si complicasse ancora di più e con la morte
nel cuore, era
andata via.
Lasciare
Lilly era stata una delle cose più
dure da affrontare, ma per quanto odiasse ammetterlo, Simone aveva
ragione.
Non
era sua madre e Karl non era suo marito.
Quella
era la casa della sua migliore amica,
era la sua famiglia e lei era diventata di fatto una sostituta di Mara,
tranne
che per la parte “dovere coniugale”.
Era
l’unica famiglia che avrebbe mai avuto.
L’unica
figlia che avrebbe mai potuto avere.
Aveva
sperato che la sua assenza avrebbe
accelerato le cose tra Katia e il suo amico, ma entrambi erano timidi e
di
poche parole… un po’ come lei del resto.
Valentina
fece capolino dalla porta, tutta
imbronciata.
Lou
sorrise alla bimba bionda dagli occhi
castani come la mamma.
«Saluta
Lou, te la ricordi vero?»
«Sì
– borbottò questa, sbirciando Lilly che
si era nascosta dietro le gambe di Lou – Ciao!»
«Ciao
Valentina, come sei cresciuta… e che bei
capelli lunghi che hai…»
- disse Lou sorridendo
sotto i baffi nel vedere la
bimba illuminarsi per il complimento.
Katia
le strizzò l’occhio, ridacchiando.
«Perché
tu e Lilly non andate a giocare in
giardino? – chiese Katia mettendo nelle mani della
figlioletta due muffin,
spingendola senza tanti complimenti verso Lilly – e
dì a tua sorella di
abbassare la musica o le stacco la connessione internet!»
– urlò in direzione
del giardino, dove presumibilmente si trovava la figlia maggiore.
Lou
osservò le due bimbe che lentamente si
avvicinavano.
Valentina
porse il muffin a Lilly che lo
prese dopo qualche secondo.
«Vieni,
ti faccio vedere il nido con gli
uccellini piccini piccini!»–
disse Valentina
sorridendo alla sua amichetta
ritrovata.
Se
solo anche tra gli adulti le cose
potessero risolversi con un muffin e un nido con delle uova appena
schiuse.
Lilly
si girò verso Lou facendole
un occhiolino sbilenco, storcendo tutto il faccino nello sforzo.
«State
attente.»
– rimbeccò Katia, tornando ad
impastare con foga.
«È
stata
l’intera giornata di ieri a piangere – disse Katia
sorridendo – Se non foste
venute voi, l’avrei accompagnata io fra qualche
ora… MARTINAAAAA!»
Katia
sfoderò
un acuto degno di un soprano, facendola scoppiare a ridere.
«Giuro
che
prima o poi le butto via quei cd: non fa altro che ascoltare quella
musica del
diavolo tutto il santo giorno! Ma anche noi eravamo così
insopportabili alla
loro età?»
«Non
ne ho
idea, non mi sembra neanche di aver avuto l’età di
Martina a dire la verità.»
-
sospirò Lou, interrotta dall’ingresso di una
ragazza imbronciata in short di
jeans microscopici, maglietta nera tagliuzzata ovunque, innumerevoli
braccialetti colorati alle braccia e Converse rosse slacciate ai piedi.
Lou
sbattè
le palpebre non riconoscendo quasi la piccola Marty di qualche mese
prima.
Aveva
lasciato una ragazzina con i riccioli biondi e il viso pulito e ora si
ritrovava davanti una nuova Martina, con i capelli lisci e ciocche
colorate qui
e là, gli occhi truccati pesantemente di nero e
l’aria annoiata.
«Ciao
Lou.»
– borbottò questa, lanciando
un’occhiataccia alla madre.
«Signorinella,
è inutile che mi guardi storto: ti ho detto di abbassare il
volume e non
fiatare!»–
aggiunse quando la figlia
aprì la bocca per controbattere.
«Mamma
non è
la musica del diavolo, quanto sei antica!»
– disse
aprendo il frigorifero e prendendo
una lattina di Coca-Cola.
«Sarò
anche
antica ma se ti dico di abbassare il volume, tu ABBASSI il
volume.»
– disse
Katia sbattendo l’impasto sul tavolo con vigore.
Martina
si
girò verso di lei roteando gli occhi.
«Lou,
puoi
dire a mia madre che dovrebbe aggiornarsi un po’ sulla musica
e smetterla di
vedere tutti satanisti?»
Lou
aprì la
bocca per rispondere, ma Katia la interruppe.
«Lou,
dovresti vedere o meglio sentire che genere di musica ascolta questa
figlia
degenerata – sospirò Katia – non so
davvero da chi ha preso!»
«Di
certo non
da te.»
– sputò Martina sedendosi
scomposta sul secondo sgabello di fianco a
Lou.
Martina
prese a sorseggiare rumorosamente la sua bibita, osservandola con
curiosità.
«Tu
vivevi
in Finlandia, vero?»
– le chiese di punto in bianco
Martina.
La
domanda colse
Lou impreparata.
«Ehm
sì,
vivevo lì qualche anno fa…»
«Com’è?
Io
voglio andarci appena avrò diciotto anni.»
«Perché
lì
vive l’uomo dei suoi sogni…»
–
sospirò teatrale Katia.
Martina
fulminò la madre con gli occhi per poi tornare a guardare
Lou.
«Hai
mai
incontrato qualche personaggio famoso?» -
tornò a
chiederle la ragazzina.
Chissà
perché la piega che stava prendendo quel discorso le metteva
un po’ di ansia.
«Non
ci sono
molti personaggi famosi lì…»
-
spiegò Lou, asciugandosi le mani sudate sui
jeans.
«Beh,
ci
sono molti musicisti famosi.»
Ahia.
«Non
ne
conosco molti.»
«Tu
vivevi
ad Helsinki, vero?»
– insistette Marty,
attorcigliando una ciocca bionda e
fucsia sulle dita.
«Sì…
- Lou
guardò verso Katia, in cerca di una qualche forma di aiuto
ma questa era
impegnata a stendere la pasta frolla nella teglia – Vivevo ad
Helsinki…»
«Conosci
un
quartiere chiamato Munkkiniemi?»
Sapeva
già
dove voleva andare a parare Martina.
"Perché
tu, stupida ragazzina, tra
tanti gruppi dovevi essere proprio una loro fan?"
«Sì,
lo
conosco.»
«Marty,
lascia stare Lou.»
«Ci
sei mai stata?
Hai visto per caso una Torre?»
Lou
desiderò
che una crepa si aprisse sotto i suoi piedi e la inghiottisse.
O
che
inghiottisse Martina quantomeno, salvandola da
quell’interrogatorio.
«Sei
fan
degli HIM?»
– chiese Lou prima che riuscisse ad
impedirselo.
Martina
saltò sullo sgabello.
«Li
conosci?
Mamma, li conosce! Davvero li conosci?»–
chiese la
ragazzina abbandonando la
sua aria annoiata, illuminandosi.
«Sì,
ne ho
sentito parlare.»
“Chiudi quella cazzo di bocca ed
esci da questa casa. ORA!”
«Non
trovi
che Ville Valo sia l’uomo più bello,
più sexy, più tutto del mondo?!»
– disse
Katia facendo il verso a sua figlia, imitandone il tono isterico,
sbattendo le
ciglia e il viso sognante.
Martina
ignorò sua madre.
«Lo
hai mai
visto? Lo conosci, sai chi è? Ti prego dimmi di
sì, dimmi che esiste davvero e
che è così come lo si vede nei video e nelle
foto! È stupendo, è bravissimo,
ha degli occhi meravigliosi e la sua voce…»
– Martina continuava il suo monologo
con occhi sognanti e lucidi, esattamente come Katia che continuava a
prendere
in giro sua figlia, scuotendo poi la testa.
Lou
guardava
il pavimento maledicendo quella crepa che non appariva.
“Sai Marty, io lo conosco
l’uomo
dei tuoi sogni… in realtà lo conosco molto bene.
So che esatta sfumatura di colore
hanno i suoi occhi quando è appena sveglio e so che timbro
ha la sua voce.
So riconoscere quando
è
arrabbiato o sta ridendo sotto i baffi, prendendoti in giro
amabilmente, anche
se rimane con la stessa espressione seria e impassibile.
All’uomo dei tuoi
sogni piace
restare sveglio a comporre musica di notte perché si
concentra meglio al buio,
e se dorme lo fa a pancia in giù ma soltanto quando
è da solo… perché se
accanto a lui c’è la donna che ama niente gli
impedisce di tenerla stretta a sé
tutta la notte.
Ama essere toccato dietro la
nuca, ma solo quando lo decide lui.
E ogni volta che fa l’amore è
come se fosse la prima volta o l’ultima…
Ha le mani calde e forti… e la
sua pelle sa di buono… e di sapone…
E la sua risata… nessuno al mondo
ride come lui.
Ed è
prepotente… presuntuoso,
vanitoso e a volte pieno di spocchia, sa essere crudele e
dolce… ed è più bello
e meraviglioso di quanto le interviste o un video o una foto possano
far
trapelare.
È quello e molto
di più, è molto
altro… e io… io lo amo ancora.”.
«Mi dispiace
Martina, non l’ho mai visto.»
******
"Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! Eccomi di nuovo... stavo vedendo solo ora che proprio
l'8 marzo di due anni fa ho iniziato a postare eu EFP e mi sembra
stranissimo.
Da un lato sembra passato pochissimo tempo, mentre dall'altro in questi
due anni sono successe tante cose che sembrano molti di più!
Ma bando alle ciance. Ho poco da raccontare stavolta se non che la Musa
fa le sue brevi
apparizioni quando meno sarebbe opportuno, ma tant'è: la
cogliamo al volo per quanto sia possibile! ^.^
Ergo attendo le vostre impressioni e commenti, sapete che ci tengo!
Ringrazio come sempre le mie due Beta: Deilantha
e eleassar
. Grazie
infinite, donne che sopportate ogni mia pignoleria! :D
Poi
come sempre le mie affezionate lettrici che hanno commentato l'ultimo
capitolo:
__Ary___,
LaReginaAkasha, Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, LilyValo,
Enigmasenzarisposta, Lady Angel 2002, FloHermanniValo, cla_mika,
Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon.
E un grazie anche alle nuove
lettrici: Infernal_Offering, Soheila, Layla_Morrigan_Aspasia, The_Gamer_Girl
92, DrawingLady, ValonEnkeli.
PS: Grazie
anche a Katvil per avermi prestato il suo nome e quello della piccola
HIMster Marty! XD
E pure alla mia Crabs _TheDarkLadyV_ per aver
usato il suo senza chiederlo!! XD :V
Alla
prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
|
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisei - "La stessa Luna" ***
Capitolo
ventisei
"La stessa Luna"
«Ancora!» – Lilly
aprì un occhio prendendole di nuovo la
mano.
Piccola peste! Credeva che sarebbe crollata dopo una
giornata stancante passata a giocare nel giardino di Katia e invece
eccola lì, che
ancora resisteva chiedendole un’altra favola.
«Mettiti vicino a me, Luly!»
–
sbottò infastidita la
piccola.
«Non fare i capricci, Evangeline.»
Mormorò Lou usando il
nome per intero come quando non voleva scherzare e fare sul serio,
tornando poi
a stendersi accanto alla bimba che s’infilò sotto
il suo braccio.
«Non andare via.»
Lou rimase in silenzio e la strinse a sé
tornando
ad aprire
il libro di favole preferito di Lilly.
«Sono qui, non vado via.»
«Me lo devi promettere.»
«Piccola, lo sai che devo tornare a casa mia,
vero?
Sai che
ci sono lo zio Simone e lo zio Pepè che mi aspettano? E poi
devo andare a
lavorare, come fa il tuo papy.»
«Sì, ma perché non vai a
lavorare insieme al mio papy, così
tu stai qui con me e non con gli zii? Loro ci sanno stare senza di te,
noi
no.»
«Tesoro…»
«Perché non vuoi essere la mia
mamma? -
Lilly si girò a guardarla imbronciata con
le sopracciglia scure aggrottate – Non puoi essere quella
mamma che si vede e
non è in cielo e stare qui con me?»
«Ma io non sono la tua mamma, Lilly. Questo
te
l’ho già detto,
ricordi? – chiese Lou ingoiando il groppo enorme che le si
era formato in gola
– La tua mamma era la mia migliore amica, come per te
è Valentina. Ed io le ho
promesso di tenerti d’occhio perché la tua mamma
sapeva già che eri una piccola
peste. Ma io ci sono sempre e vengo spesso qui da te.»
«Sì, ma perché non
possiamo
venire noi da te, a casa tua,
allora?» – insistette la piccola infilandole i
capelli dietro l’orecchio
esattamente come faceva Lou quando le parlava.
«E lasceresti qui Calzetta e Valentina e il
carro? E
il mare
con le sirene?» – le sorrise sforzandosi di non
piangere.
Il piccolo cagnetto rossiccio dal pelo quasi
completamente
fulvo eccezion fatta per il musetto bianco e le zampette - particolare
che
aveva dato origine al suo nome poiché sembrava portasse
quattro piccole
calzette - alzò le orecchie sentendo il suo nome e prese a
scodinzolare dal
fondo del letto di Lilly dove dormiva di solito.
Karl lo aveva quasi investito con la sua auto una sera
di
tre anni prima tornando a casa dal lavoro e dopo averlo salvato, Mara
aveva
insistito perché rimanesse in casa con loro.
“Ai bambini fa bene
crescere con degli animali: imparano il rispetto tra esseri viventi. E
a
prendersi cura l’uno dell’altro”.
La sua splendida Mara. Così generosa con
tutti.
«Calzetta però potrebbe
venire…» – mormorò Lilly
sbadigliando.
«Ti prometto che staremo insieme
più
tempo quando torno la
prossima volta, ok?»
«Lo dici sempre ma poi invece non vieni
mai…» – Lilly tentava
di perorare la sua causa resistendo al sonno che stava sopraggiungendo,
chiudendo a riaprendo gli occhietti per puntarglieli addosso,
accusatori.
Lou sorrise intenerita dalla testardaggine della sua
piccola
peste.
Le accarezzò il centro della fronte con un
dito
sapendo
quanto le piacesse e che sarebbe crollata di lì a poco.
«Mi dovevi raccontare la favola del Principe
della
Torre…»
«Te la racconterò
domani…»
Rimase a cullarla per molto tempo, ascoltando il suo
respiro
di bambina.
Le baciava i capelli accarezzandole la testa piena di
riccioli ingarbugliati dalle fatiche dei giochi e dal gelato che aveva
mangiato
quella sera, spiaccicato un po’ ovunque per tutta la casa.
La piccola lampada azzurra continuava a girare
proiettando
forme di stelle e lune sul soffitto e le pareti.
Fin da quando era piccola Lilly, odiava le bambole: ne
aveva
paura e gli unici giocattoli con cui si divertiva erano i peluche e in
seguito
quando era cresciuta abbastanza da tenere in mano una matita, la sua
passione
erano diventati i colori e gli album da colorare.
Lou si guardò intorno, rendendosi conto che
la
stanza di
Lilly era pressoché rimasta immutata da quando lei non
viveva più con loro.
Andare via lontana da Lilly e dalla vita semplice di
quel
posto le era costato molto più di quanto avesse mai pensato.
Quasi quanto andare via da Helsinki. E da Ville.
Pensare a lui dopo tutto quel tempo… con la
stessa
forza e
la stessa passione immutata.
Non le faceva più così male
pensare a
lui.
Quasi.
Ville era sempre nei suoi pensieri, sullo sfondo della
sua
quotidianità, nella routine caotica di una grande
città come Roma; al margine
di ogni giornata quando lei si chiudeva la porta alle spalle e non
trovava che il
silenzio di un appartamento vuoto ad aspettarla.
Neanche un piccolo gatto nero altezzoso ed elegante a
farle
le fusa o rifiutare sdegnosamente le sue coccole, come faceva la sua
bellissima
Katty…
Credeva di averla superata, che il tempo avesse
cancellato
il ricordo di lui o perlomeno affievolito i suoi sentimenti.
E a volte ci credeva così tanto che riusciva
perfino a
ridere e guardare un altro uomo e trovarlo attraente.
E poi…
quando
pensava che il tempo stesse facendo il suo
decorso naturale, lui tornava nei suoi sogni.
******
“Apri
gli occhi,
‘Prinsessa’…
guardami…”.
Respirava a stento.
Sapeva che era un sogno, eppure apriva gli
occhi e lo
guardava.
E lui era lì, davanti a lei.
E sentiva l’odore della sua pelle.
Riusciva persino a individuare le piccole
macchie
giallo oro nei suoi
occhi verdi che la fissavano così freddamente.
“Non una parola. Neanche una parola
avevi
da dirmi?” – le chiedeva a voce
bassa inclinando la testa di lato, stringendo gli occhi.
La bocca si piegò in una smorfia
che
voleva essere ironica e invece
risultava piena di risentimento.
“Ville…”.
All’improvviso lui le era
così
vicino da sentire il suo respiro sul
viso.
“Io ti voglio ancora”.
Non lo diceva come aveva fatto tante volte in
passato: sussurrandolo con
la sua voce suadente, seducente.
Lo diceva come amara constatazione.
Come se gli costasse ammetterlo e lo stesse
buttando
fuori a fatica.
“E tu… pensi mai a me?
Mi
desideri ancora, come io voglio te?
Ti senti mai come se ti mancasse qualcosa e non
riesci a capire cosa
sia?
Ti svegli mai la notte con la sensazione che
accanto
a te dovresti
trovare il corpo caldo di qualcuno?
Ti svegli mai così tesa dal
desiderio di
perderti dentro quel qualcuno
e invece soffochi dentro te stessa quando prendi coscienza che sei sola
e che
il tuo desiderio non sarà mai alleviato?
Che non troverai mai, mai sollievo?
Dimmelo ‘Prinsessa’ ".
La mano di Ville si chiudeva intorno al suo
collo, il
pollice che
scorreva lento lungo la vena che pulsava furiosa svelando il battito
frenetico del
suo cuore.
Lei non riusciva a parlare.
Guardava fisso le sue labbra che si muovevano,
poi
gli occhi… le
ginocchia erano così deboli che temeva potessero cederle da
un momento
all’altro.
Intorno a loro c’era il vuoto.
Lei non vedeva altro che Ville in mezzo a
quella
nebbia che fluttuava
intorno a loro.
Poi lo scenario cambiava
e lei sentiva la
pioggia sul
suo viso e
altrettanto all’improvviso si rendeva conto di essere nuda.
Provava
a sollevare le mani a coprirsi il seno, ma
sembrava che non
avesse più il controllo sul suo corpo.Ora
Ville si spostava facendo un passo indietro
per
osservarla meglio, gli
occhi che scivolavano lungo il suo corpo nudo, soffermandosi sul seno,
sulla
pancia e ancora più giù... la mano restava ancora
chiusa delicatamente intorno
al suo collo, col pollice che continuava ad accarezzare lento su e
giù.
“Alla fine è solo questo che ho
avuto da te. Non mi hai mai dato
altro.” -
diceva con una punta crudele
nella voce.
“Non è vero.”
– sussurrò lei.
“Non è vero!– la
canzonò lui imitandone il tono, saettando con gli
occhi verdi fino ai suoi – Oh, sì che è
vero. Ti sei ben guardata dal darmi
altro.”.
Lei scuoteva la testa incapace di emettere
suono.
”Non
era
solo questo. Era molto di più… e non ho mai
dimenticato. Non ho mai smesso di
pensare a te, Ville. Ti sbagli.”.
Lui
la tirò
bruscamente verso di sé stringendo la mano sul collo
incurante se le facesse
male o meno, guardandola dall’alto in basso.
“Sei
così
brava a mentire. Brava quasi quanto me.”.
Facendo
uno
sforzo che sembrò quasi sovrumano, sollevò una
mano per posargliela sul braccio
che le stringeva il collo.
“Non
ti ho
mai mentito.”.
Ville
sorrise tirando la bocca in un ghigno così diverso da quello
che lei conosceva
bene.
“Eri
come
tutte le altre, né più né
meno.”.
Ville
non le
aveva mai parlato così.
Del
resto
non lo aveva mai visto così arrabbiato con lei,
così deluso e ferito.
Lei
fece
scorrere le dita lungo il suo braccio, lungo le vene che sporgevano,
sfiorando
i tatuaggi che ricoprivano la sua pelle.
“No
Ville…
le altre donne forse hanno combattuto per te.
Avranno
fatto follie per te, pur non amandoti come forse ti amavo io.
Io,
che non
potevo essere quella che tu volevi.
Non
ero una
donna completa e quello che sognavi con me non ci sarebbe mai stato.
Ed
io non
avevo abbastanza fiducia in me, in noi, in ciò che mi
dicevi, per rischiare
fino alla fine.
Io.
Che
sono
semplicemente stata troppo egoista per rinunciare a qualcosa che fin
dall’inizio sapevo non sarebbe mai stato mio.
Ho
scelto
tra te e Lilly.
Ho
scelto
lei nel momento stesso in cui l’ho presa tra le braccia la
prima volta e
guardavo la mia migliore amica spegnersi di giorno in giorno.
Ho
scelto di
restare e continuare a stringere quella bambina a me, l’unica
figlia che avrei
mai avuto.
Ho
scelto di
illudermi di poter avere qualcosa che non mi spettava.
Ho
scelto
lei perché non credevo abbastanza nel tuo amore.
Ho
sempre
pensato che tu avevi qualcosa cui aggrapparti, qualcosa che ti faceva
andare
avanti, nonostante tutto. Tu avresti avuto sempre la musica, il vero
amore
della tua vita… mentre io non avevo che te.
E
avevo
paura.
Non
sono
scappata via da te. Ho scelto. E ho sbagliato. E ho perso entrambi.
A
volte non
è proprio possibile rimanere, anche a costo di spezzarci il
cuore da soli.”
Era
consapevole che fosse solo un sogno.
E
nei sogni
lei riusciva sempre a dirgli tutto, a dirgli ciò che
sentiva, ciò che era solo
nel suo cuore, anche se lui la guardava con quello sguardo che la
trafiggeva.
Alla fine lei gli parlava e lui era pronto ad ascoltarla, anche se era
furioso
e deluso…
Ville
le
guardava la bocca.
E
lei
ricordava bene quello sguardo, come se non fossero passati quattro
anni, ma quattro
minuti dall’ultima volta che quella bocca si era posata sulla
sua.
Quello
sguardo che la marchiava come sua, senza possederla.
Che
la
sondava senza toccarla.
La
mano sul
collo allentò la stretta e scese pian piano sulla gola, in
mezzo ai seni, sullo
stomaco che si contrasse al contatto con le dita, il pollice
disegnò cerchi
intorno all’ombelico, il palmo della sua mano così
calda sulla sua pelle
fredda, la fece rabbrividire ancora di più.
Ville
spostò
gli occhi dalla bocca fissandoli nei suoi, incatenandola.
E
la mano
che si insinuava al contempo fra le cosce, le dita affondate dentro di
lei, la
facevano boccheggiare.
“Fa
l’amore
con me, ‘Prinsessa’.”.
“Ville…”.
“Ripetilo.
Dì il mio nome.”.
Ora
il viso
era vicinissimo al suo e lei poteva sentire il suo respiro sulle labbra.
Ma
non la
baciava ancora.
“Baciami!”
–
urlò dentro la sua testa.
“Ville.”
-
ansimò.
Lui
ghignò
vittorioso e la sua bocca scese lenta sulla gola, in mezzo ai seni,
ripetendo
il percorso della mano qualche istante prima.
La
lingua
giocherellò intorno all’ombelico, guizzando
lentamente.
Lei
gli
afferrò la testa infilando le dita tra i boccoli, tirandogli
i capelli con entrambe
le mani quando la bocca scese ulteriormente prendendo il posto delle
dita.
“Dì
il mio
nome…”.
“Ville…
Ville…”.
Lou
si svegliò di scatto ansimando.
Rimase
qualche istante con il fiato sospeso, il corpo
coperto di un leggero velo di sudore e il battito del cuore impazzito.
La
terribile sensazione della realtà che prendeva il
posto del sogno arrivò immediatamente, il languore cedette
il posto alla fredda
consapevolezza che era sola.
Tremava
ancora e chiuse le gambe gemendo impotente.
Si
portò le braccia sul viso, coprendolo.
L’eccitazione
fisica scemava lentamente lasciandole
l’ormai familiare compagnia di un desiderio non appagato.
Era
ancora notte fonda e lei aveva perso completamente
il sonno che invece desiderava così ardentemente.
Era
l’unico posto in cui vedeva Ville. E a volte anche
Mara.
*"Quando
sogno vedo solo te..."
Non
faceva che sognarlo di continuo in quei giorni.
Si
girò su un fianco cercando un po’ di fresco che
non
arrivò.
Nonostante
tutte le finestre fossero aperte, quella
stanza sembrava un forno.
Aprì
di nuovo gli occhi fissando il soffitto, notando
un ragnetto minuscolo che intesseva solerte la sua tela.
“Domani
ti ammazzerò,
ma stanotte sei salvo.”.
Si
alzò sbuffando e uscì dalla stanza, dirigendosi
silenziosamente in veranda.
La
casa era immersa nel silenzio.
Finalmente
un po’ di refrigerio!
L’aria
pungente che veniva dal mare davanti a lei le
sembrò un paradiso.
Guardò
la spuma chiara che si formava docile sulla
riva e le piccole onde nere.
Il
dolce rumore le infuse immediatamente calma, quando
si sedette sulla sdraio preferita di Mara.
Ricordava
con tristezza i pomeriggi passati su quella
veranda con Mara a chiacchierare per ore di lei, di Ville e della sua
vita in
Finlandia; le raccontava del sig. Korhonen e di Nur, di Katty e di
Julian… le
descriveva con minuziosi dettagli il posto in cui viveva.
La
strada che separava la casa dove viveva con la sua
Nur da quella dove invece c’erano il dolce sig. K. e poco
più in là, Ville… e
la sua splendida Torre.
Che
non aveva mai visto.
La
strada che la portava alla piccola spiaggetta con
il molo di legno, dove non era più andata dai primi tempi in
cui viveva a
Helsinki. Ci era tornata solo l’ultimo giorno.
Aveva
salutato in quel modo quella terra che aveva
imparato ad amare come se fosse la sua.
Le
aveva descritto il bosco appena dietro la torre; le
descriveva i colori che gli alberi e la terra assumevano di stagione in
stagione, dei piccoli scoiattoli che giravano liberi e indisturbati tra
le
case.
Le
raccontava di come fosse calmo e silenzioso quel
posto.
E
di quanto amasse l’intera città, con la sua
semplice
bellezza pulita.
Le
raccontava quanto le piacesse stare seduta davanti
alla “Dama Bianca”, come aveva ribattezzato la
Cattedrale che dominava la
piazza rettangolare di Senaatintori
e tutta
Helsinki,
uno dei simboli di quella città; dei simpatici venditori di
souvenir
del porto, dell’aria gelida del mare del Nord che ti faceva
lacrimare gli
occhi.
Sospirò
alzando gli occhi al cielo, dove una luna
spettacolare brillava in tutta la sua bellezza.
Quel
sogno con Ville la turbava, come ogni volta che
sognava di lui.
Evitava
di chiederselo, evitava di cedere alla
tentazione di sapere cosa stesse facendo.
Martina
quel pomeriggio le aveva detto con entusiasmo
incontenibile che il nuovo tour della band avrebbe toccato anche
l’Italia di lì
a qualche mese.
L’idea
di sapere Ville così vicino le aveva mozzato il
respiro, tanto che era sbiancata in viso, facendo preoccupare Katia.
Il
solo pensiero di saperlo raggiungibile in poche ore
la faceva sentire male.
Si
chiese se effettivamente Ville si ricordasse di lei
dopo quattro anni.
Dopotutto
non era stata che una meteora nella sua
vita. Non pretendeva che lui pensasse a lei.
“Chissà
se
davvero pensi mai a me, Ville… se hai dimenticato il colore
dei miei occhi, o
l’odore della mia pelle. Chissà se ricordi che
c’è stata una stupida ragazza
italiana che un tempo chiamavi
“Prinsessa”… Chissà se mi hai
perdonata per
essere sparita mettendoti davanti alla mia scelta.
Per
non
averti detto “Ti amo” tante volte quante invece
avrei voluto fare.
Per
non aver
avuto il coraggio di tornare da te quando ancora c’era la
possibilità di farlo…
Per
non
averti amato abbastanza da mettere da parte Lou per una volta,
l’unica volta
forse in cui ne valeva davvero la pena e darti il mio cuore, me
stessa…”.
Fissò
la luna con gli occhi appannati.
E
non era il vento gelido del mare finlandese stavolta
a riempirlo di lacrime.
Da
qualche parte Ville era sotto la stessa luna.
“Prego
per
te, Ville.
Prego
perché
tu sia felice ogni giorno.
Perché
tu
possa avere tutto ciò che vuoi, perché la tua
splendida anima possa riscaldare
tutti quelli che hanno la fortuna di essere parte della tua vita, come
hai
fatto con me.
Prego
per te
ogni giorno, da quattro anni, perché qualcuno si prenda cura
di te e della mia Katty.
Che
vi ami
quanto vi amo io.
Il
solo
fatto di sapere che tu sei parte di questo mondo, rende sopportabile
tutto.
Il
solo
fatto di averne fatto parte, anche se per poco, me lo farò
bastare per il resto
della mia vita.
I
will pray
for you, Ville…”.
I
sentimenti che provava, tutto ciò che si agitava in
fondo al suo cuore, erano come una miriade di sassolini.
Ogni
ondata li scompigliava, li rimescolava, li faceva
cozzare l’uno contro l’altro, provocando dolore.
Ma
rimanevano lì, nel fondo.
Pesando
sulla sua anima.
******
"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti!
Spero l'attesa non sia stata troppo lunga, ma come qualcuno ben sa la
Musa fa come sempre la bastarda, per cui passano settimane senza che
riesca a buttare giù una qualche frase, mentre poi ci sono
giorni che scrivo di getto dieci pagine di fila, come è
successo nelle ultime ore.
Mettiamoci che da un mese annaspo tra virus e influenze e avete un
quadro completo del mio stato mentale e fisico! :)
Comunque sia, eccoci di nuovo
qui, con le mille paranoie di Zarda e i suoi ricordi dolorosi su Ville.
Qualcuno sta fremendo per farla tornare tra le braccia rinsecchite del
Valo... diciamo che ci sono velate minacce di far finire le cose
bene... ma dovreste sapere che la sadica non vi darà
soddisfazione. U_U
Ringrazio come sempre le mie due Beta: Deilantha
e eleassar
. Vi amo donne, sapevatelo.
Poi
come sempre le mie affezionate lettrici che hanno commentato l'ultimo
capitolo:
LaReginaAkasha,
Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika,
Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, apinacuriosaEchelon.
Grazie e benvenute/o anche a DarkViolet92, cimetempestose, e
Aven90, nuovi lettori.
Ultimamente sono parecchio in fissa con gli Anathema, gruppo che ha
accompagnato gli HIM nell'ultimo tour e come sempre, le fisse io le
condivido sempre con altre paz.. ehm, amiche... so che più
di una apprezzerà la cosa; per questo capitolo e il prossimo
ho ascoltato a manetta Anathema
- Weather Systems e in particolar modo Untouchable,
Part 1 + *Part 2 - Anathema che amo alla follia e dalla quale
ho citato una frase e nel prossimo userò una parte della
song per il titolo. (spoiler) ;)
Penso che descrivano al meglio lo stato d'animo di Lou in questo
momento della sua vita.
Non aggiungo altro... aspetto con ansia i vostri pareri!
Alla
prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
|
|
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Capitolo 28 *** Capitolo ventisette: " I feel you, outside at the edge of my life" ***
Capitolo
ventisette
"
I feel you, outside at the edge of my life"
“Questa
tortura non finirà mai.”.
Come
diavolo le era venuto in mente di tornare in
quella casa? Con quella fan in continua estasi per gli HIM e
l’uomo che lei
tentava di scacciare, fallendo miseramente, dalla sua testa?
Lou
stava aiutando Katia per la festa del quarto
compleanno di Valentina, ed ora si ritrovava a pochi metri dal continuo
ciarlare di Martina e due sue amiche, fatte in serie evidentemente,
perché
tutte e tre vestivano praticamente allo stesso modo, sui concerti che
la band
finlandese avrebbe tenuto di lì a pochi mesi in diverse
città italiane.
«Ma
ti rendi conto?! Tre concerti! TRE! Oddio, spero
che mia madre mi mandi almeno ad uno, non posso perderlo,
morirò se non li
vedo!»
Blaterava Martina agitandosi davanti al
computer aperto sui video e
foto della band, con le due amiche, una ad ogni lato, che facevano da
eco al
suo delirio.
«Ma
è vero che Ville si sposa? – chiese
una delle due: non riusciva a distinguerle, nonostante Katia le avesse
ripetuto due volte i
nomi di ognuna – Ti prego, non ditemi che è vero!
Come può sposarsi con quella
racchia?»
Le
tre ragazze spaparanzate sul divano di Katia si
girarono simultaneamente quando il rumore che fece il bicchiere che le
volò via
dalle mani, si frantumò a terra in mille pezzi.
«Ops…
merda!»
–
sbottò Lou, fissando i cocci sparsi sul
pavimento.
Martina le sorrise distrattamente per poi tornare al
suo pc aperto.
Era
stato già uno shock entrare in quella stanza per
prendere altri bicchieri puliti e sentire la voce bassa, roca e
inconfondibile
di Ville sparata dalle casse del computer.
Il
suo stomaco si era contratto al sentirla di nuovo
dopo quattro anni.
Aveva
cercato di chiudere le orecchie, se fosse mai
possibile fare una cosa simile, ma non poteva.
Si
sentì come se qualcuno le avesse buttato del fuoco
liquido direttamente nella pancia.
Chiuse
gli occhi deglutendo rumorosamente quando sentì
la risata di Ville attraversare le casse del pc, arrivare dritta al
centro del
suo cuore e riscaldarlo immediatamente.
Lasciò
che quella voce che amava la toccasse come un
tempo.
La
sentì di nuovo, dolce e lieve sulla sua pelle come
quando lui le sussurrava poesie in finlandese.
Mille
immagini di Ville le inondarono la testa.
Immagini
e ricordi che fino a quale momento aveva
tenuto sotto controllo, nascoste in quell’angolo ai margini
della sua vita, di
ogni suo singolo giorno.
Era
così sconvolta da non capire nulla di quel che lui
stava dicendo nell’intervista.
Riaprì
gli occhi che corsero alle tre ragazze sul
divano che ad ogni parola, risatina o sorriso di Ville, emettevano
suoni fastidiosi,
in estasi totale.
“Calmati.
Respira. Raccogli i vetri ed esci da questa stanza. Esci da questa
casa. E
tornatene a Roma. Nel tuo appartamento minuscolo, dove ci saranno 50
gradi e
solo silenzio.”.
«Non
lo so, non ci credo che si sposa, lui non ha mai
detto nulla di questa che si spaccia per sua fidanzata! Hanno cantato
solo una
canzone insieme e questa scema crede di essere la donna di Ville! La
odio!” –
sputò fuori Martina in tono acido.
Stavano
parlando di Amy?
Chi
altri poteva aver cantato con Ville? Certo che era
Amy…
La donna che aveva accelerato il suo rientro in
Italia.
La
stessa che aveva minato le già deboli sicurezze in
se stessa.
******
«Prinsessa…
- le disse Ville sbadigliando – Parto fra qualche giorno. Non
lo sapevo fino a stamattina,
ma c’è questo Festival al quale vogliamo
partecipare… Sono solo tre giorni: non
starò via molto.»
“Ok.»
– rispose laconica Lou, stringendosi a lui.
«Ok? Che razza
di risposta è? – ridacchiò lui,
sbadigliando di nuovo – Sei felice che me ne vada
per un po’, così puoi respirare di
nuovo?»
Lou
borbottò una risposta incomprensibile contro il
collo liscio di Ville.
«Vuoi
che ti dica che preferisco legarti al mio letto
e non farti neanche prendere respiro?»
«Già…
sarebbe una risposta sensata, visto il tuo
appetito in quest’ultimo periodo.»
– le
sussurrò con tono volutamente sexy e
provocatorio.
«Non
mi pare tu ti sia lamentato del mio appetito fino
a qualche minuto fa.»
«E
infatti non mi sto lamentando… acida che non sei
altro. – le alzò il mento con un dito, baciandole
la punta del naso – La
smettiamo di borbottare?»
«Non
borbotto io…»
La
strinse avvicinandola ancora di più a sé,
intrecciando le gambe magre a quelle di Lou.
Lou
si arrovellava mordendosi la lingua dove le
premeva una sola e unica domanda:
«Verrà
anche Amy
con voi, in questo merdoso
festival?»
“Non
pensarci. Non pensare a lei. Lui ama te. Vuole te. Smettila.”.
«Sì
che borbotti… e ti amo anche per questo… -
mormorava
Ville, ormai sul dormiveglia – Non saresti la mia Prinsessa acida,
altrimenti…»
Lou
giocherellava con i suoi capelli che si
attorcigliavano in riccioli sul collo, quando era sudato.
Quel
'ti amo ' buttato in mezzo alla frase.
E
come sempre ogni volta che lui glielo diceva a lei
venivano le gambe deboli.
«Mi
ami perché sono acida?»
«Ti
amo perché sei Lou.»
*****
Ville
quella mattina era uscito da appena qualche
minuto e lei coccolava Katty, sorseggiando la seconda tazza di
caffè della giornata.
Tornò
a sbadigliare: non sarebbe riuscita a dormire in
ogni caso. Era del tutto inutile rimettersi a letto.
Le
mancava già.
“Patetica”.
La
notte appena trascorsa e le sensazioni ad essa legate,
le sentiva ancora sulla pelle.
Anche
le sensazioni negative che facevano capolino di
tanto in tanto in mezzo alla certezza dell’amore di Ville per
lei, ai suoi ti
amo, alle sue mani che le accarezzavano la schiena prima di
addormentarsi, agli
occhi che cercavano costantemente i suoi.
Ma
quelle le teneva a bada o almeno ci provava.
“Tre
giorni
passano in fretta, del resto
– cercava di autoconvincersi – metterò
a posto questa casa, uscirò a fare spesa, andrò a
salutare Mat,
preparerò un dolce per il Sig. K….
Passeranno.”.
Katty
le puntava malefica i ricci lunghi sferzandoli
con le unghiette.
Ogni
volta che Ville andava via, si sfogava in qualche
modo su di lei, come se fosse colpa sua il fatto che lui si
allontanasse da
quella casa.
Qualcuno
che bussava alla sua porta la salvò dal
secondo attacco della felina dispettosa.
Doveva
essere Valo: aveva sicuramente dimenticato
qualcosa e ora tornava per prenderla o, come spesso faceva apposta,
ritornava
indietro per baciarla ancora…
Corse
alla porta ridacchiando, incurante della sola t
shirt corta e bucherellata che aveva addosso: nella migliore delle
ipotesi
l’avrebbe tenuta addosso il tempo di richiudere la porta
dietro le spalle
ossute del Valo.
Spalancò
la porta ridendo:
«Valo,
hai finto ancora di
dimentic…»
Gli
occhi che la fissavano freddi e ironici non erano
verdi e sicuramente non c’era traccia di amore in essi.
Amy.
La
prima cosa che le passò in mente fu: “Che
cazzo vuole questa?”.
La
donna di fronte a lei la fissava a braccia conserte
studiandola e, evidentemente trovando carente ciò che
vedeva, con una smorfia
sul viso perfetto.
Nessuna
delle due parlava, studiando l’altra in
silenzio: quello di Lou imbarazzato anche dal fatto che si trovava
sulla porta
con solo una t-shirt a coprirla, mentre l’altra era vestita e
truccata in
maniera impeccabile.
«Posso
aiutarla?»
– chiese Lou a voce
bassa.
«Sai…
pensavo che avesse più buon gusto. Per un
momento ho pensato che fosse la mora che ho visto uscire qualche giorno
fa… e
invece…»
- ridacchiò malefica.
Non
era sicuramente una che girava intorno alla
questione.
Lou
rimaneva in silenzio, imbarazzata e con una
crescente rabbia.
Come
osava presentarsi alla sua porta, offendendola?
“Chi
cazzo
crede di essere questa?”.
«Vado
subito al punto: tu non sei che un passatempo.
Volevo avvisarti ed evitarti illusioni.»
– le disse
sorridendole fredda.
«E
ti sei presa il disturbo di venirmelo a dire di
persona? Per essere una che mostra tanta
sicurezza...»
L’altra la fissò a bocca aperta, colta alla
sprovvista
dalla sua risposta sferzante.
“Fottiti,
bagascia spilungona!”.
Immaginò
Simone guardarla orgoglioso con le lacrime
agli occhi.
«Ho
poco tempo da perdere con te: hai idea di quanti
anni ho passato a stargli dietro? A vederlo con altre donne ed essergli
comunque vicina ogni volta che lui aveva bisogno di me? Non rinuncio a
lui per…
te.»-
sputò con una smorfia disgustata della
bocca, indicandola.
«Beh,
allora non farlo. Non rinunciare a lui.»
Il suo tono fintamente distaccato doveva averla
irritata ancora di più: macchie rosse stavano facendo la
loro comparsa sul
collo bianco e perfetto di Amy.
Sicuramente
non si aspettava un’accoglienza simile: a
dire il vero era stupita anche lei di se stessa.
«Credo
che tu stia sottovalutando i desideri di
Ville. Se vuole te, allora me ne farò una ragione. E
dovresti fare
lo stesso anche tu.
Credo che al momento a lui piaccia questa casa. E chi la
abita.»
«Ti
stai illudendo. Fa così con tutte all’
inizio… ma
alla fine torna da me.»
«Allora
non devi far altro che aspettare.»
Da
dove venisse fuori quella spavalderia se lo stava
ancora chiedendo.
«Cosa
ci troverà mai in te? Sei… insulsa.»
– sputò
fuori Amy al culmine della rabbia.
Lou
alzò le spalle.
«Forse
ha il gusto dell’orrido.»
L’altra
la fulminò con i gelidi occhi azzurri:
doveva
essere snervante per lei non sortire l’effetto che desiderava.
«Beh,
fossi in te mi chiederei dov’è che
passa le
notti quando non è con te.»-
insinuò
con un ghigno.
«Scommetto
che stai per dirmelo.»
Amy
sibilò tra le labbra perfette e disegnate con
cura.
Aveva
abbandonato la posa altezzosa e ora stringeva i
pugni lungo i fianchi snelli e fasciati in un jeans bianco.
Lou
cercò di non badare al fatto che lei, in
confronto, sembrava una barbona.
“Una
barbona, sì… ma pur sempre una
barbona che ha appena
finito di fare l’amore con Ville.”.
Le
bastò questo pensiero per farla sorridere
dolcemente all’indirizzo di Amy.
«Sei
una stupida se pensi che Ville voglia davvero
te.»
«Senti…
ne hai ancora per molto? Ti ringrazio per
avermi avvisata, te ne sono davvero grata ma mi sto gelando le chiappe.
Se permetti,
vorrei correre sotto la doccia, anche se togliermi di dosso
l’odore della pelle
di Ville non mi piace ed è l’ultimo dei miei
desideri.»
Vide
con gli occhi della mente Nur, Simone e Mara
alzarsi in una standing ovation.
«Riderò
quando Ville ti mollerà e tornerà da me. Io ci
sono sempre per lui.»
«Ok…
- Lou si grattò il naso, con aria annoiata –
Allora siamo a posto? Io mi illudo, Ville mi lascia e tu ridi. Ok,
è chiaro.»
Ora le macchie rosse erano anche sul viso di
porcellana di Amy.
«Piccola
stronza. Te ne pentirai!»
–
tornò a sibilare,
paonazza in viso.
Poi,
dopo averle lanciato uno sguardo di disprezzo,
odio e rabbia, girò sui tacchi e percorse il vialetto a
passi veloci.
“E
fanculo
anche a te, spilungona!”.
Lou
richiuse piano la porta frenando l’impulso di
sbatterla teatralmente e poi si accasciò contro di essa,
scivolando lentamente
a terra.
Si
guardò le mani che tremavano.
Iniziò
a ridere istericamente a bassa voce, con Katty
che la guardava perplessa da lontano.
Aveva
affrontato Amy con un’impassibilità invidiabile,
sì… peccato che ora stava subendo i postumi
dell’agitazione e tremava di rabbia
mista a… non sapeva neanche lei cosa fosse.
Restava
il fatto che ora si sentiva a metà strada tra
un atleta che vinceva la sua corsa e il suo paio di scarpe distrutte.
Era
stata così brava che aveva convinto quasi anche se
stessa.
Quasi.
“Ti
amo
perché sei Lou”.
E
Lou per una volta in vita sua aveva vinto una
piccola personale battaglia.
*****
«Secondo
voi canterà la canzone che non ha mai
pubblicato?»
–
chiese una delle ragazzine.
«Quella
che si dice abbia scritto per la donna che
amava e nessuno ha mai visto, ‘Song
for a
ghost’ »?
– Martina si mangiava
le unghie con gli occhi sempre fissi allo
schermo – Non lo so…»
«Io
comunque non credo neanche all’esistenza di questa
donna… cioè, nessuno l’ha mai vista,
non ci sono foto di loro due insieme. Secondo me non esiste.»
– disse la terza ragazzina,
masticando rumorosamente un
chewing gum.
“Song
for a
ghost”…
La
sua canzone? Quella che Ville aveva scritto
pensando a lei…
Il
malessere aumentò e i bicchieri rischiarono di
nuovo di volare via dalle sue mani.
Perché
mai Katia non usava dei bicchieri di carta?
Quelle
tre ragazzine stavano facendo più danni di quanto
avrebbero mai potuto immaginare.
“Ville…”.
«Dai,
metti qualche altra canzone!»
– disse di nuovo
una delle due.
Lou
afferrò i bicchieri e volò fuori dalla stanza.
No,
sentirlo cantare, risentire di nuovo la sua voce
era troppo.
Troppo
per quel giorno.
Per
quel mese.
Per
quell’anno.
Per
l’intera vita.
******
«Stai
bene? – le chiese preoccupato Karl quella
sera
stessa, dopo aver messo con fatica a letto una Lilly particolarmente
agitata e
capricciosa – Mi sembri… non so…
lontana.»
Lou
prese il bicchiere di vino rosso che Karl le stava
porgendo.
«Sto
bene…»
–
mormorò poco convinta.
Karl
si sedette accanto a lei, allungando le gambe
infinitamente lunghe sulla balaustra di legno.
«Luly…
- sospirò lui, guardandola di
traverso mentre
sorseggiava il suo vino – ti conosco abbastanza bene per non
notare quando sei
serena e quando invece non lo sei.»
«È
solo che… niente Karl…
Martina e le sue amiche oggi
parlavano e sognavano, com’è giusto che facciano
le ragazzine di quella età,
sulla loro band preferita.»
«Gli
HIM. - disse Karl con un cenno della testa –
Lo
so. La sento parlare continuamente di quello, da mesi.»
«Avresti
dovuto dirmelo.»
«Lou,
non puoi evitare la gente solo per paura che ti
si nomini Ville.»
Lei
rimase in silenzio, sorseggiando distrattamente il
vino.
«Come
ti sei sentita? Cosa hai provato?»
«Erano
quattro anni che non sentivo la sua voce…
era
solo nei mie ricordi. E oggi, sentirlo di nuovo… mi ha fatto
male. Mi ha
ricordato che cosa mi sono lasciata alle spalle, mi ha ricordato ogni
scelta
sbagliata, ogni errore, ogni paura non affrontata. Mi ha ricordato la
ragazza
che ero, quella con i capelli lunghi ricci e del colore
dell’alba, come li
descriveva lui…»
– disse Lou con voce
pacata, toccandosi i capelli corti e tinti
di scuro che aveva ora.
Ricordava
ancora le urla di Simone quando, tornando a
casa una sera, qualche mese dopo il suo rientro in Italia,
l’aveva trovata con
ancora le forbici in mano e si era spaventato a morte.
In
quel periodo non era assolutamente in sé:
l’addio a
Ville, alla terra che aveva imparato ad amare come fosse sua, a tutta
la vita
che si era faticosamente costruita dopo Andrea, Nur… e
Katty… e la scoperta
della malattia che le avrebbe portato via la sua migliore
amica… era diventato
troppo anche per lei.
E un giorno in quella casa che divideva di nuovo con
Simone e Beppe, in una casa dove lei era la terza incomoda, si era
sentita
scoppiare, sgretolare.
Si
era guardata allo specchio che, implacabile, le
aveva rimandato l’immagine di una donna pallida, con profonde
occhiaie
giallastre, la bocca tirata e gli occhi spenti.
I
capelli le cadevano intorno al viso e lei immaginava
le mani di Ville scorrere tra i suoi ricci.
Ricordava
i sospiri di piacere quando i suoi capelli
gli scivolavano addosso e a quanto gli piacesse sentirli su di
sé, come vi
attorcigliava le dita tenendole ferma la testa mentre la baciava.
Aveva
preso un paio di forbici e tagliato via una
ciocca, mozzandola senza pietà proprio sotto
l’orecchio.
Si
era sentita subito meglio, ma era stata una
soddisfazione ingannevole, durata solo qualche secondo.
Così
aveva tagliato via un’altra ciocca e ancora e
ancora, finché aveva sentito la testa più leggera
e aveva guardato la massa
rosso oro ai suoi piedi.
Si
dice che quando una donna fa un taglio netto alle
sue chiome, significa che un cambiamento importante è stato
appena fatto nella
sua vita e che un capitolo nuovo si stia per aprire.
Aveva
capito che non bastava tagliare via dei capelli
per liberarsi del ricordo di Ville e delle sue mani sul suo corpo, dei
suoi
occhi che la scandagliavano a fondo, di come ogni cosa che lo
riguardasse la
facesse sentire viva e fremere di passione e amore, vibrante.
Aveva
capito che quell’uomo aveva scavato
profondamente un solco indelebile dentro di lei, che non sapeva come
colmare.
Aveva
capito che la luce che l’aveva toccata si
sarebbe spenta.
Quella
luce che l’aveva accecata e che Ville portava
sempre con sé.
******
«Lou…
se lui ti fa sentire così dopo quattro anni, non
l’hai ancora metabolizzata questa cosa. Andrai a
vederlo?»
«Sei
impazzito? No! Come ti viene in mente?»
– sbraitò
Lou agitata, versandosi sul vestito corto che le lasciava scoperte le
gambe qualche
goccia di vino.
«Perché,
che ci sarebbe di male? Lui non
può mica
vederti in mezzo alla folla… e tu potresti metterti alla
prova e capirci
qualcosa in più.»
«Dopo
quattro anni ho ben poco da capire, Karl… tranne
che ancora una volta ho toppato su tutta la linea.»
«Lou…
non farti sempre una colpa per le scelte del
passato: avere paura non è un qualcosa per cui devi sentirti
in colpa a vita!
Certo, lui avrebbe meritato di essere liquidato di persona e non con
una
telefonata, come hai fatto tu…»
«Karl.
Non rivangare, ti prego. So bene quanti e quali
sono i miei sbagli… ma anche lui ha contribuito con i suoi.
Io mi sono illusa
di poter avere qualcosa che non era nel mio diritto pretendere, che non
mi
spettava... E l’ho preferito a lui. Perché non
credevo in quello che diceva,
non credevo che uno come lui potesse amare davvero una come me. E lui
aveva
sempre la musica. Lui ha sempre la musica. Anche ora.»
«Ma
voleva anche te.»
«Già.
Così sembrava.»
«Lou…
- il tono di Karl divenne più dolce – Anche noi
uomini abbiamo l’orgoglio, sai? Da quanto ho potuto intuire
lui non ha un
caratterino facile, come te del resto: vi accendete troppo
facilmente…»
Lou lo interruppe bruscamente.
«Non
parlare al presente.»
«Ok,
ok… hai capito cosa intendo. Io se
fossi in te
andrei a vederlo.»
«Tu
non puoi capire, Karl…»
«Ti
sbagli Lou, io posso capirti meglio di chiunque
altro al mondo. So come ci si sente a perdere un pezzo della propria
anima, un
pezzo di cuore. So come ci si trascina ogni giorno, quando anche aprire
gli
occhi costa fatica e dolore, quando l’unica cosa in cui vuoi
rifugiarti è il
buio e l’oblio di un sonno, lo so bene… se io
avessi una sola, una sola flebile
possibilità di parlare di nuovo con la mia Mara, anche
rivederla per un solo
istante… non esisterei. Salterei perfino nel fuoco, farei
qualsiasi cosa per
poterla di nuovo guardare negli occhi, vederla sorridere. Tu hai questa
possibilità, Lou… non sprecarla.
L’autore preferito di Mara scrive: “*Alcune
persone le
si ricorda, altre le si sogna.".
Tu
fai in modo
che questo sogno non diventi solo un ricordo, Lou.»
******
L’ultima rampa di scale le sembrò infinita e
temette
seriamente di stramazzare al suolo con tutto ciò che si
portava dietro, ossia
due buste della spesa e bottiglie di acqua che diventavano sempre
più pesanti
di secondo in secondo.
Lou
si fermò a riprendere fiato.
Il
caldo asfissiante dell’estate romana la stava
uccidendo.
Il
perché si era fatta convincere da Simone a prendere
il bilocale proprio di fronte a quello che divideva con Beppe, le era
ancora
sconosciuto.
Odiava
ammettere che quel ragazzo aveva su di lei un
ascendente altrettanto pericoloso quanto sulla piccola Lilly.
Bene
o male, non gli si resisteva.
Peccato
che il suo fosse un bilocale sottotetto, che
durante l’estate diventava un forno, situato
all’ultimo piano di un palazzo
vecchio senza ascensore.
Sentì
una goccia di sudore scivolare fastidiosamente
dal centro della schiena fino al coccige.
Riprese
la salita sbuffando e rantolando, desiderosa
solo di infilarsi il più presto possibile sotto la doccia
gelata.
“Forza,
mancano solo dodici stramaledetti scalini!”
– si spronò da sola.
La prossima volta che Simone osava dirle che doveva
andare in palestra, lo avrebbe lanciato di sotto.
Alzò
gli occhi e rimase di sasso.
La
prima cosa che il suo campo visivo aveva captato
erano due piedi abbronzati in sandali di cuoio; poi due gambe muscolose
in
bermuda chiari e salendo, una t shirt bianca che non faceva altro che
mettere
ancor più
in risalto la splendida
abbronzatura del ragazzo di fronte a lei, seduto tranquillamente in
cima alle
scale.
Il
ragazzo le sorrise raggiante, sfoggiando dei denti
bianchissimi da far invidia ad una pubblicità di un
dentifricio.
I
capelli scuri e mossi si arricciavano selvaggi
intorno alla testa, schiariti qui e là dal sole.
«Era
ora! Ti aspetto da un’eternità!»
– rise
togliendosi gli occhiali scuri, sorridendo anche con gli occhi.
Lou
arrossì, ma avrebbe fatto ben poca differenza,
poiché
era già paonazza per lo sforzo.
Quanto
tempo era passato dall’ultima volta che si
erano visti? Non lo ricordava…
Lou
tendeva a rimuovere dalla memoria le situazioni
imbarazzanti.
«Che
ci fai tu qui?»
– chiese tra un rantolo e
l’altro.
Lui allargò il sorriso, e si alzò per scendere
gli
scalini, raggiungerla e toglierle di mano le buste e la confezione di
acqua.
Aveva
un profumo fresco, come di erba appena tagliata
quando le si avvicinò, sfiorandole le mani con le proprie.
Lei
avvampò di nuovo. Era passato tanto tempo, troppo
da quando un uomo non la toccava.
Escludendo
Simone, il fidanzato di lui, e Karl, non
aveva contatti fisici con nessuno, men che meno con uomini.
E
ricordare che erano state proprio quelle mani
abbronzate e forti, così diverse da quelle
dell’uomo dagli occhi di giada che
amava ancora a toccarla, la faceva sentire sempre a disagio, colpevole.
**“A volte
il passato non solo ti rincorre, ti perseguita”.
Di sbagli ne aveva commessi tanti, innumerevoli.
Uno
di quelli le stava di fronte.
E
le sorrideva come se lei fosse ancora la ragazza che
lui aveva conosciuto ad Helsinki.
Le
sorrideva come quella notte, l’unica, che avevano
passato insieme.
«Ero
di passaggio… mi mancavi. – disse lui, schietto e
sincero come sempre – E io non ti sono mancato
neanche un po’, mia piccola
Eva?»
Lou
alzò il mento guardandolo per la prima volta negli
occhi, leggendovi troppe cose.
Cose
che non voleva vedere.
Speranze
che non voleva più alimentare, sentimenti che
non poteva gestire.
Gli
sorrise di rimando, suo malgrado.
«Sei
sempre il solito, Diabolik…»
Julian
sfoggiò il suo famoso sorriso da pirata e le si
avvicinò di più, sfiorandole i capelli sudati con
le labbra.
«Come
sempre, al suo servizio…»
*Tratto
da “l’ombra del
vento” di Carlos
Ruiz Zafòn
**
Tratto dalla serie tv “Moonlight”.
"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Eh sì, lo so: è passato tanto
tempo, ma la vita mi chiama altrove, capitemi. (!?)
Non abbandono i nostri personaggi, però: ho ancora qualche
capitolo scritto subito dopo il ritorno dalla terra finnica, in
cassaforte. Ancora piena delle emozioni che ho vissuto lì,
la mia Musa
ha dato frutti e ora invece se ne va bellamente in giro a fare bisbocce.
Siamo coperti ancora per qualche mese, dopo non so che ne
sarà di me. :D
Bene, tornando a noi e agli eventi che troviamo in questo capitolo,
spero si sia capito quello che è solo accennato.
Lo so che ho lanciato un'altra bomba. *gongola*
Non so per quante il ritorno del bandolero sia gradito... un paio di
personcine però credo che faranno le capriole!
Insomma, questi quattro anni hanno cambiato il mondo della piccola Lou,
Regina delle Paranoie: e piano piano scopriremo il perchè e
il come tutto questo sia successo, dopo la sua "fuga".
Ricordatevi che tutto è il contrario di come sembra (oh,
quanto mi piace lanciare questi enigmi...) e che se mi aggrada
stravolgerò di nuovo tutto quanto... *ghigna*
Eeeegniente: ancora una volta devo ringraziare tutte voi che seguite
questi deliri, dalla commentatrice folle a quella timida che mi scrive
in privato.
Grazie ad ognuna di voi e per ogni singola parola, minuto prezioso che
dedicate a leggere questa storia e alla sua autrice fuori di testa. :)
Non siate timide o non pensate che qui si debbano fare recensioni
tecniche; date libero sfogo alle vostre sensazioni, e non sbagliate
mai. <3
Ringrazio come sempre le mie due
Beta: Deilantha
e eleassar e le leggiardi fanciulle che
hanno commentato l'ultimo
capitolo:
LaReginaAkasha,
Soniettavioletstarlet, Cyanidesun, Lady Angel 2002, cla_mika, FrancyValo,
Izmargad,
renyoldcrazy,
katvil, arwen85, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, Gone with
the sin, LilyValo e
tutte le altre disperse che leggono, lo so e apprezzano in silenzio o
perse nei loro impegni. ( Cettina, Madda, Crabs, Flo,
Vania,
Giusy, Sara
T. e Sara Gattola, Ana, Barbara, Silvia, Ary, Lorena,
ecc.. siete tante e scusate se ne dimentico qualcuna!) <3
Inoltre mi preme ringraziare Infernal_Offering,
perchè le rompo sempre le uova con
domande
sulla vita ad Helsinki, ecc ecc. (e lei mi riempie di foto e notizie
succulente: ti lovvo donna!); ("Drown
in This Love" è la prima storia HIMmica in
assoluto che lessi e ancora piango, sob...
ç___ç...) e "precursora" (si
può
dire precursora!?) dei titoli con testi tratti da song.
É stata la mia ispiratrice in molti casi, quando ero con
l'acqua alla gola. :)
Parlare con lei è come essere lì e amo le nostre
chiacchierate infinite. E siccome la lovvo, le perdono di leggere
random i capitoli, senza una logica! xD
Spero di rivederla presto su questo sito e invoco la sua Musa ogni
giorno
e se mai non si decidesse, sono disposta anche ad andarla a prendere a
calci in loco! (Ogni scusa è buona... xD).
Come anticipato nel capitolo precedente, per il titolo ho
usato parte di una strofa della song: Anathema
- Untouchable Part 2 ;
Bene... credo di aver rotto abbastanza, cià.
PS: Come molte autrici
che seguo mi è venuta voglia di aprire un gruppo
Gruppo Facebook dedicato alle discussioni
e tutto ciò che ci passa per la testa
sulle storie o le OS finora scritte,
dove potremo parlare
liberamente, confrontarci come se fossimo in una
piccola sala da thè, riservata... da brave signorine
composte. ;)
Siete le
benvenute.
Alla
prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
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Capitolo 29 *** Capitolo ventotto: " La cosa giusta" ***
Capitolo
ventotto
" La cosa giusta"
Lei si tirò indietro.
Non voleva dargli
l’impressione che apprezzasse ma neanche che non fosse felice
di rivederlo.
Perché lei era felice di
rivederlo.
Julian era una delle poche persone
capaci di farla sentire a suo agio, sempre e comunque.
Che non la trattava in maniera
diversa da prima, che la faceva ridere e non se la prendeva se lei non
richiamava mai dopo una sua telefonata, se non rispondeva mai alle
mail, se aveva momenti in cui non voleva vedere nessuno.
«Sono tutta sudata,
meglio non avvicinarsi troppo.»
E non badava ai suoi modi,
più bruschi che mai.
«Hai un ottimo profumo,
Eva.»
“La tua pelle
sa di sole… e miele…”.
La voce di Ville risuonò
nei suoi ricordi.
Nell’ultimo mese i sogni
su di lui si erano susseguiti sistematicamente, ogni notte.
All’inizio aveva
affrontato il momento di andare a dormire sempre con ansia, pur sapendo
che al risveglio ogni cosa svaniva.
Ora ci aveva fatto
l’abitudine e semplicemente, come ogni cosa che le succedeva,
la accettava.
Perché Julian non
cambiava mai, e arrivava sempre a sorpresa?
Sospirò, spostandolo
senza tante cerimonie, e passandogli oltre, si accinse ad aprire la
porta del suo miniappartamento.
L’aria bollente la
investì in pieno soffocandola, e si precipitò ad
aprire ogni finestra, anche se l’afa opprimente che proveniva
dall’esterno non migliorò affatto la situazione.
Si sventolò con le mani
cercando di farsi aria sul viso, ringraziando il cielo che avesse i
capelli corti; non osava immaginare come sarebbe stato se avesse avuto
ancora quella massa di ricci.
«Senti caldo?»
– Julian la guardava divertito.
«Perché, tu
no?» – chiese acida,
allontanandosi dalla finestra
e tornando vicina a lui prese a sistemare la spesa.
«Sono spagnolo,
‘chica’…»
– disse con voce suadente, calcando l’accento
iberico.
«Umpfh.»
«Non sei felice di
vedermi? – le afferrò le mani
all’improvviso, intrecciando le dita alle sue - Ti
da’ fastidio quando arrivo senza avvisare? Mi piace farti
sorprese… »
«Julian… -
resistette all’impulso di divincolarsi – lo sai che
odio le sorprese. E sai anche che sono felice di vederti.
Smettila.»
«Di fare cosa?»
«Di fare qualunque cosa
tu stia facendo alle mie mani.»
«Le sto solo
tenendo.»
Lei sollevò il
sopracciglio.
Le stava accarezzando il dorso e
l’interno dei polsi con lenti cerchi, in modo sensuale.
Non era possibile che ancora
sperasse che fra loro potesse ripetersi quello che per lei era stato
solo uno sbaglio.
Non dopo tutto quel tempo, diamine!
Era stata chiara in merito e
sembrava che lui si fosse rassegnato alla cosa; ma ogni volta che si
rivedevano, lui tornava alla carica, ogni volta.
E ogni volta lei doveva usare la
sua acidità corrosiva per rimetterlo al suo posto.
Vedeva come la guardava, come la
fissava e percepiva chiaramente il suo desiderio.
La cosa che la faceva infuriare era
che anche lei provava attrazione per Julian, per lo meno fisica.
Ma lui voleva di più,
non credeva che si sarebbe accontentato solo di portarsela a letto.
E lei non voleva commettere sempre
gli stessi sbagli.
Non che non avesse preso in
considerazione l’idea di farsi consolare da lui.
Ci aveva pensato e lui non aveva
mai nascosto che si sarebbe accontentato anche di quello, per lo meno
all’inizio.
Era diventata tutto quello che
aveva sempre odiato e giudicato negli altri.
Non aveva perdonato Andrea per le
sue debolezze.
Non aveva perdonato Ville per
essere stato con Amy.
E ora non perdonava se stessa per
aver ceduto anche lei alle proprie debolezze.
Quante volte Mara le aveva detto
che sbagliare è umano, che è normale, che aiutava
a far chiarezza dentro di sé…
Ma lei cosa aveva capito?
Aveva lasciato Ville
perché aveva paura e non era tornata da lui quando glielo
aveva chiesto.
Aveva usato la malattia di Mara
come scusa per non affrontare la vita che aveva lasciato in sospeso con
Ville.
Voleva illudersi di poter
soddisfare il suo istinto materno e invece sapeva bene quanto fosse
sbagliato.
Aveva usato Julian per lenire una
ferita che non sapeva come rimarginare.
Era peggiore di tutti gli altri.
Aveva deluso Nur, Mara e Simone.
E Ville…
Soprattutto aveva deluso se stessa.
E quella era la cosa che
più di tutte non riusciva a dimenticare e perdonare.
******
Erano ore che camminava sulla
spiaggia.
Non aveva nessuna voglia di
rientrare, nonostante il vento forte e freddo che le sferzava il viso.
Non aveva voglia di tornare in casa
ed essere di nuovo sola, anche se era una solitudine che aveva cercato,
scappando dalla casa dei suoi genitori, con sua madre che la seguiva
con gli occhi da quando era tornata da Helsinki, un mese prima.
La guardava attraverso gli occhiali
da vista in bilico sul naso, mentre faceva il suo uncinetto rilassante,
come lo chiamava lei.
Sbuffava e borbottava in
continuazione quando la vedeva smangiucchiare svogliatamente i
pranzetti che le preparava con tanto amore, quando rispondeva a
monosillabe alle loro domande, o quando si rinchiudeva in camera al
buio, parlando per ore con Ville al telefono, per poi fissare il
soffitto immobile.
Suo padre al contrario, non la
sorvegliava come un cane da punta: erano così simili loro
due.
Le faceva una carezza sui capelli
ogni volta che le passava vicino, non dicendole nulla, non chiedendole
nulla: semplicemente confortandola con la sua presenza e il silenzio.
Portandole le more che lei adorava,
appena colte e ancora calde di sole.
Ma un mese in quel modo, senza
poter essere se stessa, senza che potesse lasciarsi andare a qualsiasi
cosa lei sentisse in quel momento, disperazione, insicurezza, voglia di
prendere il primo volo e tornare fra le braccia di Ville… la
stavano facendo impazzire.
E Beppe, il buon Beppe, la sua
àncora di salvezza trovata nella persona più
insperata, le aveva offerto un nascondiglio; il giorno in cui lei era
sfuggita agli occhi di sua madre per mettersi sotto quelli altrettanto
vigili e implacabili, del suo migliore amico.
«É
il posto in cui mi rifugio quando litigo con Simone e non voglio farmi
trovare – le aveva detto con un sorriso, strizzando gli occhi
neri – impazzisce ogni volta: cerca di estorcermi in ogni
modo dove vado, ma non glielo dirò mai. Deve imparare che
non può sempre averla vinta e controllare la vita di tutti e
ottenere ciò che vuole puntando i piedi. Per cui confido che
manterrai il mio segreto!»
Le aveva dato le chiavi della sua
piccola casa che affacciava sulla costa opposta della penisola e
disegnato una cartina su come arrivarci.
«In ogni caso hai il
navigatore sul cellulare, no? Se ti perdi è facile ritrovare
la strada.»
Fosse stato possibile anche per il
suo cuore, ritrovare la strada di casa…
Così aveva riempito la
borsa ed era scappata di nuovo.
Per evitare che sua madre andasse
fuori di testa del tutto, le aveva detto dove andava e messo a tacere
ogni sua lamentela, promettendole di chiamarla almeno ogni sera e
facendosi promettere a sua volta di non rivelare a nessuno, specie a
Simone dov’era.
Suo padre invece le aveva sorriso
come sempre, abbracciandola senza aggiungere raccomandazioni che sapeva
fossero del tutto superflue.
A Lou venne da piangere e
desiderò tornare bambina, quando lui la faceva salire sui
propri piedi insegnandole a ballare.
La piccola Lou rideva, innamorata
pazza del proprio papà, stringendosi alle sue ginocchia.
E lei lo guardava e le sembrava
così alto, così forte, così
invincibile.
E mai più in tutta la
sua vita si era sentita così al sicuro, così
amata come in quei momenti.
Come se lui le avesse letto nella
mente, prese a dondolarsi piano, canticchiando una musica senza capo
né coda.
Aveva pianto per tutto il viaggio
durato tre ore, mettendo a disagio il suo vicino di posto che si era
nascosto dietro un quotidiano.
Stare da sola non era mai stato un
problema per lei.
Sapere che Ville era da solo, a
chilometri di distanza invece lo era.
Lo era da quando lei lo aveva
chiamato durante il Festival e a rispondere era stata una voce di
donna, impastata e assonnata.
Lo era da quando lui non aveva
richiamato subito.
Così lei aveva dato di
matto, come si suol dire. E aveva deciso di anticipare il suo rientro
in Italia, usufruendo finalmente di quei giorni di ferie obbligatorie
cui Matleena da mesi la spingeva.
Nur l’aveva guardata
perplessa non proferendo parola, ma si vedeva lontano un miglio che non
approvava la sua decisione.
Si era concessa un’ultima
passeggiata per ‘Munkka’,
arrivando fino alla spiaggetta e aveva guardato il sole sparire
lentamente nel mare, seduta sulla sua panchina di legno preferita.
E il mattino dopo era partita,
arrivando a casa e sorprendendo tutti.
Ville l’aveva richiamata
soltanto tre giorni dopo, furioso sotto la voce ben controllata, per
non averla trovata ad aspettarlo da brava bambina.
«Perché
diavolo sparisci sempre? Perché fai così? Ok, i
giorni sono stati un paio in più ma perché sei
andata via senza dirmelo? Era tutto già organizzato o come
sempre hai deciso all’improvviso, fregandotene di
me?»
Razionalmente Lou sapeva che lui
aveva ragione.
Il suo cuore, però, la
pensava diversamente, così come il suo orgoglio ferito.
«Ho pensato che avessi di
meglio da fare.»
Vile aveva sibilato con una
colorita imprecazione.
«Di meglio da fare? Ero
su quel maledetto palco e l’unica cosa cui pensavo era che
avrei voluto vederti tra la folla, guardarti negli occhi e sapere che
eri vicina a me, piuttosto che da sola a Helsinki! E cosa scopro? Che
tu sei addirittura in Italia! Sei impazzita per caso? Dammi una
stracazzo di spiegazione. ORA!»
Come osava avere quel tono con lei?
«Chiedilo alla tua
amica.»
Dio, che patetica!
“Quale amica?»
– aveva tuonato Ville attraverso la cornetta, forandole il
timpano.
Non c’era alcun dubbio
sulla potenza dei suoi polmoni.
E così lei aveva vuotato
il sacco, dicendo della donna che aveva risposto al suo cellulare.
«‘Perkele’,
Lou! Mi fai venire voglia di
prendere il primo volo e venirti a prendere a sberle per poi scoparti
senza pietà!» – continuò ad
urlarle nelle orecchie.
Stava perdendo le staffe e lei era
contenta di essergli lontana. La stava spaventando a morte, facendole
tremare le gambe, anche solo parlandole al telefono.
Senza contare che anche in quel
momento, sentirgli dire cosa voleva farle, si sentì fremere
e non per la paura.
Era senza speranza.
Lui non le avrebbe mai fatto del
male, su questo ci avrebbe giurato… ma la sua rabbia le
faceva in ogni caso paura.
E ancora di più la
spaventava il fatto che lei trovasse il tutto in qualche maniera
eccitante.
Doveva smetterla e subito, o
sarebbe ricaduta in un rapporto di dipendenza simile a quello con
Andrea e l’ultima cosa che lei voleva era odiare Ville.
Le aveva detto che aveva perso il
suo cellulare, che non riusciva più a trovarlo e che non
sapeva in che modo contattarla. Non ricordava mai i numeri a memoria,
non aveva un secondo cellulare e questo era il motivo per il quale lui
non l’aveva contattata.
«E ora il mio numero ce
l’hai?» – aveva chiesto lei
insinuante.
«Me l’ha dato
Nur.» – la sua risposta fu
secca e fredda.
“Che
stupida…”.
Si stava di nuovo comportando da
bambina, ma era più forte di lei.
«Quando torni?»
- le aveva chiesto seccamente.
«Non lo so.»
«Hai intenzione di
tornare?»
«Non lo so.»
«Ti amo.»
«Lo
so…»
******
«Come va il tuo
lavoro?» – la voce di Julian
sembrò
arrivare da lontanissimo, riportandola alla realtà.
«Bene, grazie.»
– rispose laconica.
«Quando esce il
libro?» – Julian aveva la
costanza di un martire.
Non batteva ciglio alle sue rispose
lapidarie che avrebbero fatto desistere anche il più
paziente degli uomini.
Simone a quell’ora
avrebbe iniziato a sferzarla con battute pungenti per poi sbraitare nel
suo modo tutt’altro che chic.
«A settembre, se le cose
non si intoppano.»
«Ti va di farmi vedere in
anteprima le tavole?»- le chiese con un sorriso
disarmante.
«Non ci penso
neanche.»
«Andiamo, Eva! Sei
spinosa come un riccio con il ciclo…»
Lou lo fulminò con lo
sguardo.
E Julian allargò il suo
sorriso ancora di più.
«Solo una…
piccina piccina… dai…»- le stava
facendo gli occhioni dolci.
«Ti prego, ora non
metterti a fare il broncio tremulo o ti prendo a sberle con
l’insalata!» – sbottò lei
ridendo.
«Mi piaci quando fai la
violenta.»
«Umpfh!»
Lou gli posò davanti un
bicchiere di succo d’arancia con numerosi cubetti di ghiaccio.
«Bevi e sta'
zitto…»
«Avanti Eva…
fammi vedere le tue nuove creature… chi
c’è ora oltre al topo Osiris, la micetta
Andromeda, il cane con i baffi, Dalì, la papera chic
Baguette e gli altri?»
Lou ridacchiò sotto i
baffi a sentirlo sciorinare i nomi a memoria dei suoi personaggi.
Se qualcuno, un anno e mezzo prima,
le avesse detto che i disegni che aveva fatto soltanto per divertire la
piccola Lilly sarebbero potuti diventare i protagonisti di un libro per
bambini, non ci avrebbe creduto.
E invece era stato tutto un
susseguirsi di strani eventi e coincidenze che l’avevano
portata a quel momento, in attesa di vedere su carta stampata le sue
piccole creature.
Era quello il motivo per il quale
si trovava a Roma ora, a vivere praticamente con Simone e Beppe che non
la perdevano di vista un minuto, in quella città, che anche
se bellissima, la stressava come niente al mondo.
Era quello e anche il voler cercare
a tutti i costi il suo posto nel mondo.
O forse cercare di dimenticare
l’unico posto in cui si era sentita veramente “a
casa”.
«C’è
il criceto Igor e il pappagallo Couscous… e forse, ma non
sono ancora sicura del suo ingresso a “Rocciafiorita”,
della mucca Primula; ma dipende da tanti fattori e non ho ancora idea
di come farli muovere all’interno della storia. Ormai loro
hanno il clan già ben affiatato e si comporterebbero male
all’ingresso di un’altra femminuccia: la micetta
smorfiosa farebbe come sempre la stronzetta… - si
bloccò a metà, sorridendo – Scusa,
è che divento noiosa quando parlo di “Rocciafiorita”
e non me ne rendo conto…»
Julian le strizzò
l’occhio, sorseggiando il succo.
«Mi piace sentirti
parlare dei tuoi progetti e del tuo lavoro, lo sai… sono
orgoglioso di te. Immagina la faccia della Draghessa se potesse vederti
oggi…»
«Immagino che non sarebbe
felice… o forse sì.»
«Sarebbe orgogliosa di
te, come tutti noi… -le disse Julian sorridendole raggiante
– hai creato un mondo per la piccola Lily e per tanti altri
bambini.»
«Non era quello che avevo
immaginato.»
Julian rimase in silenzio,
scrutandola.
«Ho sentito Nur qualche
settimana fa… - proruppe schiarendosi la gola –
non vive più a Helsinki, lo sapevi?»
«No. Non lo
sapevo… Dov’è che vive ora?»
“«È tornata a
vivere a Londra. Sta per avere un bambino…»
Lou alzò gli occhi a
fissarlo incredula.
«Oh… sono
contenta… per lei.»
Cercò con tutta se
stessa di reprimere la profonda amarezza e invidia che iniziavano a
farsi strada dentro di lei.
«Eva, quando la finirete
con il vostro silenzio? Ormai dovreste averla superata.»
«Ci ho provato a
riallacciare i rapporti con lei! Cosa credi che me ne sia allegramente
sbattuta?» – sbottò
furiosa e ferita.
«Lo so che ci hai
provato… e ancora non ho capito perché se la sia
legata al dito… non era…
insomma…» – balbettò
Julian
arrossendo.
«Non erano affari suoi,
già!»
Lou ripensò
all’ultima volta che aveva parlato con la sua amica e alle
parole che questa, piena di risentimento le aveva vomitato addosso.
Nur non aveva mai digerito il suo
tagliare la corda da Helsinki, lasciandola sola con un gatto altezzoso
e con l’affitto da pagare, ma soprattutto non aveva digerito
che lei non rispondesse alle sue mail, alle sue innumerevoli telefonate
e sms.
Per i primi tempi era stata
paziente e comprensiva, per quanto Nur potesse essere paziente e
comprensiva: quando però lei le aveva scritto di spedirle la
sua roba, era sbottata.
Insultandola per farla tornare in
sé, per farle cambiare idea, dicendole che era una codarda e
immatura.
Lei per tutta risposta le aveva
detto di farsi gli affari suoi e di spedirle come ultimo favore, le sue
cose.
«Col cazzo, principessina
dei mie stivali! Te le vieni a prendere tu, e muovi quel culo flaccido
e pallido che ti ritrovi!»– le aveva urlato
attraverso il cellulare, chiudendo bruscamente la conversazione.
Sapeva che Nur era ferita e delusa
dalla sua decisione, ma si era aspettata da lei meno ripicche stupide e
più solidarietà femminile. Alla fine Nur, qualche
settimana dopo, le aveva pazientemente spedito le sue cose senza
fiatare, continuando però a fare l’offesa.
Lou le era grata: l’idea
di tornare a mettere a posto le cose lasciate in sospeso a
Helsinki… non ce l’avrebbe mai fatta.
Odiava la parte codarda di lei.
Odiava la mancanza di palle, odiava
affrontare i suoi problemi, odiava affrontare le persone.
Non voleva rivedere Ville
perché sapeva che nel momento esatto in cui avesse
incrociato i suoi occhi, lei avrebbe cambiato idea.
Sapeva che sarebbe bastato che lui
la sfiorasse per farla capitolare di nuovo e volare tra le sue braccia.
Sapeva che qualsiasi cosa avesse
detto, qualsiasi scusa le avesse rifilato come giustificazione, lei se
la sarebbe bevuta.
Perché in fondo lei
voleva crederci.
Voleva credere al Ville innamorato
che pensava a lei durante i suoi concerti, invece che
all’uomo che faceva rispondere al suo cellulare altre
donne…
Era già stremata dalle
lunghe mail con Matleena: il suo capo non aveva preso bene le sue
dimissioni e lei riusciva a percepire la delusione della donna per la
quale provava una stima profonda.
Matleena aveva accettato con stile
e aggiunto che in qualsiasi momento sarebbe stata di nuovo ben accetta.
Non pensava che Valo avrebbe
reagito con altrettanta calma, nonostante il suo indiscusso stile
finnico pacato e distaccato.
Erano passati tre mesi dalla sua
“fuga” e Ville aveva smesso di scriverle o
telefonarle.
L’ultima cosa che le
aveva scritto, era un sms arrivato nel cuore della notte, qualche
settimana prima.
“Non ho la
lucidità per dire le cose in maniera diversa.
Non ho la
capacità di farti tornare indietro.
Non voglio forzarti a
fare qualcosa che non vuoi.
Non riesco a trovare le
parole adatte…
‘Prinsessa’…
Lou…”
Aveva fissato quelle frasi per ore.
Aggrappata al suo decrepito
telefonino come se stringesse le dita di Ville.
E avrebbe tanto voluto piangere.
Due giorni dopo era arrivato il
primo pacco dalla Finlandia.
Con un sospiro aveva iniziato a
tirare fuori vestiti invernali, sciarpe e maglioni, cappellini.
Si era fermata di botto.
Non sapeva dire se Nur lo avesse
fatto di proposito o meno; con tutta probabilità era uno dei
suoi tentativi infimi per dissuaderla fino alla fine.
O forse no, non poteva sapere.
Lou aveva fissato la sciarpina di
seta viola come qualcosa pronto a balzarle addosso da un momento
all’altro.
Poi lentamente l’aveva
sfiorata con un dito, ricordando esattamente il momento in cui ne era
venuta in possesso: come lui gliel’avesse attorcigliata al
collo sfiorandole la pelle con le dita, come sempre malizioso al
vederla trattenere il respiro, sorridendole con gli occhi…
******
“Con questa
sciarpa ti lego a me per
l’eternità…” –
aveva sussurrato teatrale.
“Piantala di
fare il buffone, Valo…”.
Lui aveva ridacchiato
sotto i baffi, trafficando con la sciarpina e i suoi capelli.
“Accidenti, con
te non posso più barare, Zarda…”.
“È che
non ti serve una sciarpa di seta per legarmi a te.”.
Gli occhi di Ville
avevano mandato un lampo di giada.
Aveva stretto le dita
intorno alla sciarpina tirandola gentilmente verso di lui.
“… e
sai che niente potrà recidere questo legame?”-
aveva aggiunto lei.
Lui non le aveva risposto.
Non con le parole.
******
Lou aveva preso quella sciarpina
impregnata di ricordi, portandosela al naso.
Non c’era più
traccia dell’odore di Ville su di essa.
Sentiva invece l’odore
della loro casa, dei sacchetti alla lavanda che usavano per profumare i
cassetti della biancheria.
Crollò di schianto sul
letto, sprofondando il viso nelle trame viola.
Stava facendo la cosa sbagliata? No.
“Sto sbagliando
tutto…”.
A partire dalla sua decisione di
lasciare Ville senza dargli una spiegazione valida se non quella che la
Finlandia non era la sua vera casa, che aveva bisogno di tempo, che la
sua vita non poteva che essere in Italia.
Tutte scuse che Ville
all’inizio aveva faticato ad accettare.
Lo sentiva la di là del
telefono, con migliaia di chilometri a dividerli, a scavare un abisso
di incomprensioni fra loro; rabbioso, triste, mentre cercava di
mantenere una calma che era certa non c’era dentro lui.
Settimana dopo settimana, ad
aspettare che lei prendesse una decisione, che tornasse “a
casa” come diceva lui; avevano parlato per ore al telefono
senza mai giungere a nulla, senza che lei gli dicesse che aveva paura
di lui, che aveva paura di non potersi fidare, di non essere quella
giusta, come le aveva fatto presente la gelida Amy.
Senza dirgli che la decisione era
stata già presa fin da quando l’aereo che la
riportava in Italia era decollato dall’aeroporto di Vantaa,
staccandosi dal suolo finlandese recidendo, in quelle che volevano
essere le sue intenzioni, ogni legame con essa e chi la abitava.
Nur, il sig. K. e Katty…
che aveva dolorosamente deciso di lasciare a Ville come un contentino
che invece non faceva altro che ricordargli quello che non avevano
più.
Nur che aveva accettato ancor meno
di Ville la sua decisione improvvisa di andarsene così su
due piedi, ma certa che fino alla fine, un giorno lei sarebbe tornata.
Che le aveva spedito con pazienza
tutto quello che aveva lasciato in quella casa.
“È
la cosa giusta.”.
E allora perché stava
crollando?
“Non
piangerò.”.
E non aveva pianto. Mai
più da allora.
"Angolo
dell'autrice
Eccomi di nuovo qui dopo mesi e lo so che mi odiate!
Ormai conoscete bene la mia pignoleria e sapete che ci ho messo
settimane per trovare i titoli degli ultimi due capitoli e a questo...
mi dovete tenere così come sono, vi tocca!
Si aggiungono tasselli sui quattro anni che separano la nostra Signora
delle Pippe dal Principe della Torre.
Quante di voi mi hanno minacciato seriamente e scritto deluse
perchè Lou si era concessa a Julian!
So che per chi è romantico fino al midollo, certe cose,
certi scivoloni non dovrebbero esserci: ma io sono realista e sono
convinta, per esperienza personale-non per sentito dire-che ci sono
cose che non riusciamo ad evitare.
Vuoi per crescita, vuoi per debolezza o come semplice e normale
percorso della vita. Non sempre una caduta di stile, un tradimento
significano mancanza d'amore.
Nel caso di Lou, che si sente sleale nei confronti di Ville - ormai
avrete capito che Ville invece non ha tradito Lou con Amy, come lei
credeva no? - è stato ancora più traumatico,
perchè lei per prima lo ha subito in precedenza. E non fa
che aumentare il fardello di rimorsi e dubbi che si porta dietro.
Diciamo anche che è difficile resistere al fascino del
Pirata Julian - per gli amici, Enzo! XD - ma un pirata non
può competere con un Principe, giusto?
E quindi niente: continuate ad odiarmi, perchè questo
capitolo non è che un doveroso passaggio atto a chiarire i
punti oscuri qui e là.
Devo ringraziare tutte quelle persone che continuano a seguirla dopo
più di due anni, quelle che si aggiungono strada facendo e
che se ne innamorano, scrivendomi cose bellissime.
Siete davvero carine e mi date continuamente sprint per continuarla!
Grazie alle mie due preziose Beta: ultimamente non le faccio lavorare
tanto, segno che sarò migliorata in due anni? ;)
Deilantha (che mi salva sempre nei
momenti critici e mi ha aiutato a trovare un nome per il libro di
favole, "Rocciafiorita" che Lou ha disegnato) e eleassar .
E alle mie "Prinsesse": Soniettavioletstarlet, Lilith_s,
angelica78vf, Cyanidesun, Lady Angel 2002,
cla_mika, Izmargad, renyoldcrazy, katvil, arwen85, DarkViolet92,
apinacuriosaEchelon,
LilyValo, che hanno commentato il capitolo precedente e
che lo fanno sempre con entusiasmo!
Grazie anche a Infernal_Offering, fonte
inesauribile di foto estemporanee di Helsinki, che non fanno altro che
farmi rosicare ma che quando sono depressa per il post vacanza finnica,
mi tirano su;
lulida, FediPan, Soheila, Bijouttina, ShinigamiLove, e
la nuova arrivata sleepingwithghosts!
Perdonatemi se dimentico qualcuna, siete davvero tante e vi ringrazio
tutte, una per una! <3
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
|
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Capitolo 30 *** Capitolo ventinove - "Quello che non abbiamo" ***
Capitolo
ventinove
" Quello che non abbiamo"
«Dov’è
che dorme il bandolero? – le chiese Simone
ridacchiando sotto i baffi – Gli aprirai le porte della tua
alcova… e non solo
quelle?»
«Dacci
un taglio o ti picchio seriamente! – sibilò Lou
fulminandolo con gli occhi – Sei disgustoso.»
«Oh,
quanto la fai lunga… prima o poi dovrai togliere le
ragnatele alla “Bella Addormentata”;
tanto vale farlo con chi già è passato da quella
porta, no?»
– rincarò lui
sbattendo le ciglia e sgranando gli occhioni.
«Dico
sul serio. Finiscila.»
«Ti
serve fare sesso: sei acida come un limone scaduto... Ops!
Ma tu lo sei sempre stata.»
«Simone.
Esci da questa stanza, per cortesia?»
Per
tutta risposta lui si sedette sul bordo della vasca da
bagno, accavallando le gambe e incrociandoci sopra le mani in maniera
composta,
con lentezza esagerata.
Lou
alzò gli occhi al cielo esasperata e tornò a
guardarsi
allo specchio tentando invano di sistemarsi i capelli, ora corti e
castano
scuro.
Simone
la guardava attentamente attraverso lo specchio,
stringendo gli occhi grigi.
«Che
c’è?»
– sbottò lei
dopo qualche minuto di silenzio
pesante.
Simone
che ciarlava e la rimbrottava era snervante, ma il
Simone silenzioso che la fissava era inquietante.
«Tu
abbassi la media di questo palazzo.»
Lou
si girò fissandolo, perplessa.
Il
più delle volte non capiva i discorsi complicati del suo
migliore amico e dove volesse andare a parare.
«Sai
che non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando,
vero?»
«Sto
dicendo che sei l’unica in questo palazzo che non fa
sesso regolarmente da… quanto? Due anni? Insomma,
è imbarazzante. E anche
deprimente.»
«Sono
tre anni e mezzo e me ne strafrego della tua media.»
«Tre
anni e mezzo?! Oh, porca merda! – Simone si portò
una
mano al cuore – È ancora più
grave!»
«Non
tutti abbiamo la tua soddisfacente vita sessuale e il
tuo appetito.»
«Sì,
certo. Quattro anni fa non eri di questo avviso.»-
disse
noncurante fissandosi le unghie.
«Quattro
anni fa ero diversa.»
«No,
quattro anni fa eri normale.»
«Senti,
la vuoi finire? - Lou
sbattè violentemente il mascara sul
ripiano facendo crollare la
pila di creme e tubetti ben allineati – Mi hai stancata. La
mia vita sessuale
non ti riguarda. Anzi:
la mia intera
vita non è affar tuo! Smettila di impicciarti e farmi le
ramanzine per ogni
cosa che faccio o non faccio!»
Simone
non batté ciglio e continuò a fissarsi
intensamente le
unghie perfette.
«La
tua vita mi interessa. Se non ci penso io a te, se non mi
preoccupo io di cosa ti rende più o meno felice, chi lo
fa?»
vIo
sto bene. Non devi preoccuparti per me.»-
rispose Lou
più
dolcemente.
«Ti
piace crederlo. Ti piace che noi ci crediamo. Entrambi
sappiamo bene che non è così… Grace,
fa qualcosa per favore. Qualsiasi cosa! Da
quanto tempo non facciamo una follia? Da quanto non la fai
tu?»
«L’ultima
volta che ho fatto una follia ho combinato solo
casini. No, grazie. Mi spiace essere una delusione per te, ma dovrai
rassegnarti…»
«Andare
a letto con uno che ti piace tu la chiami follia? Rilassarti
per un paio d’ore con i tuoi amici, è stata
follia? Lasciarti andare come un
normale essere umano la chiami follia? Dio, sei patetica! Non sei
morta, non
sei in lutto, non sei una monaca, eppure ti comporti come
tale!»
«Ho
litigato con Nur per questa mia follia.»
«Capirai!
La stronza piena di sé che ogni volta che un uomo
preferisce te a lei, si inalbera! Bell’amica e bella stronza!
Lo sapevano anche
i muri che il bandolero avrebbe camminato sui carboni ardenti pur di
averti.
Stavano
insieme? Non mi pare!
Julian
è sempre stato cotto di te e lei è una stupida
egoista
e immatura. Lui ti ha seguita qui, per la miseria! Lo sappiamo tutti
che era
una scusa la mostra che ci teneva tanto a vedere, andiamo!»
«Non
è così e lo sai. Non è per Julian o
perché sono stata a
letto con lui: è perché ho…
perché non ho combattuto per quello che volevo
davvero, per aver combinato un casino dopo
l’altro… Perché ho mollato la mia
vita lì.»
«Cazzate.
E ad ogni modo anche se non era contenta delle tue
scelte, così come non lo è stato nessuno di noi,
tranne il beneficiario, ossia
il bandolero tonto, non aveva motivi per troncare i rapporti con te.
Non
giustificarla, perché non è classificabile! E a
fare la martire ci pensi già da
sola e sei anche piuttosto brava, senza il bisogno che lei calcasse la
mano!»
Aveva
cercato spiegazioni sul comportamento di Nur in quegli
anni, dopo i vani tentativi di dialogo da parte sua, ma Simone aveva
ragione.
Niente
poteva spiegare il modo di fare di Nur.
E
come ogni cosa che non riusciva a gestire o capire, alla
fine lei si era arresa e aveva smesso di cercare di parlare con la sua
amica.
«Dov’era
la tua Nur quando tu eri disperata per Ville, per
Mara e quello che stava succedendo qui? Quello che succedeva a te?
Dov’era
quando avevi bisogno di una vera amica che non fosse con te solo per
fare
shopping e parlare di uomini? Ho sempre pensato che fosse una donna
estremamente egoista e presuntuosa, ma per il tuo bene me la facevo
piacere.
Alla fine si è dimostrata per quella che è
davvero, quindi smettila di avere
quella faccia piena di rimpianto: si è comportata di merda.
Punto.»
«Santo
cielo! Smettila di polemizzare su tutto oggi! Ma non
hai niente di meglio da fare?»
– esplose esasperata.
Simone
increspò le labbra e rimase in silenzio, con le
braccia incrociate sul petto.
«Allora…
farai sesso o no, con lo spagnolo?»
«’Fanculo.»
******
«Ricordi
la prima volta siamo venuti qui?»
«Certo
che lo ricordo, Julian…»
La
luce del tramonto infiammava il cielo di Roma.
Era
uno di quei rari momenti in cui amava quella città troppo
calda, troppo caotica e rumorosa per lei.
Era
il momento in cui sembrava che la città si fermasse per
tirare un sospiro prima di rituffarsi nel caos della notte, con le sue
luci
dorate e gialle e in continuo movimento.
Stavano
passeggiando uno accanto all’altra sul Ponte Fabricio e
Julian guardava con un sorriso verso l’isola Tiberina.
Certo
che lo ricordava bene.
Ricordava
che quella sera era più triste del solito, che ogni
minuto che passava lontana da Ville le mozzava il respiro.
Ricordava
gli sforzi di Simone e Beppe di tenerla occupata,
ricordava il senso d’impotenza verso la malattia di Mara.
Si
chiedeva cosa stesse sbagliando perché ogni cosa nel suo
mondo si fosse ribaltato e avesse preso una piega così
dolorosa.
Si
chiedeva perché il mondo intorno a lei e gli eventi
turbinassero
così velocemente da non riuscire a trovare un appiglio cui
tenersi per non
cadere giù.
Ricordava
che Julian era arrivato a Roma proprio nel bel
mezzo di tutto quel casino e che in qualche modo lei gli si era
aggrappata.
La
sua innata allegria, il suo modo di farla sentire
protetta, il solo fatto di esserci e non starle addosso con continue
domande
sulle scelte che aveva fatto, avevano fatto sì che fosse
l’unico con cui si
sentisse a suo agio e non giudicata.
Quella
famosa sera erano usciti tutti insieme, lei e Julian
con Beppe e Simone e altri amici della coppia: per la prima volta dopo
mesi lei
sentiva quel peso sul cuore meno opprimente e si era lasciata
trascinare
dall’entusiasmo contagioso di Julian e dei pazzi amici di
Simone.
Julian
le camminava di fianco, sorridendole in continuazione,
ogni scusa buona per tenerle la mano o passarle un braccio intorno alle
spalle.
E
per qualche ora anche lei era stata bene: sentire il calore
di un corpo maschile accanto a sé, il senso di protezione,
quella sorta di
complicità che si crea tra due persone che hanno condiviso
qualcosa di bello,
in un altro tempo e in un altro luogo e ritrovarlo lì, in un
paese diverso.
Lou
si sentiva più leggera e aveva dimenticato tutto
ciò che
si stava sgretolando dentro di lei.
Così
con il passare dei minuti non si era più sentita in
colpa nei confronti di Ville e il braccio di Julian intorno alle sue
spalle non
le era più sembrato fuori luogo.
E
ridere non le faceva più dolere i muscoli del viso come
quando si sforzava di mostrare agli altri che stava bene; quella sera
le era
venuto naturale, grazie anche ai numerosi shottini che Julian
continuava a
metterle sotto il naso.
Beppe,
che era diventato il suo angelo custode la teneva
d’occhio preoccupato, al contrario di Simone che gongolava
perché per una
volta, dopo mesi lei rideva e si divertiva.
Non
le aveva mai chiesto nulla di Ville, ma sembrava
intuire meglio di chiunque altro ciò che lei non diceva. E
lei dal canto suo,
percepiva una sintonia diversa da quella che aveva con chiunque altro.
In
un certo senso erano simili e complementari più di quanto
lo fosse con Simone.
La
osservava con la fronte aggrottata, spiando il suo viso e
gli shottini che continuava a buttare giù uno dopo
l’altro, ma si era guardato
bene dal fermarla o intervenire.
Anche
quando tutti insieme si erano stesi sui ciottoli ancora
caldi del sole appena tramontato sulla punta settentrionale
dell’Isola Tiberina
ad ascoltare musica dal vivo e godersi la vista del Tevere in fiamme e
lei si
era ritrovata con Julian seduto dietro di lei, incastrata tra le sue
lunghe
gambe mentre la stringeva a sé, con le mani intrecciate alle
sue e il viso
contro il suo collo, Beppe le aveva lanciato un lungo sguardo prima di
tornare a
prestare la sua attenzione a Simone che la esigeva per sé.
La
brezza, l’euforia da alcool e la voglia di sentirsi per un
istante di nuovo viva e desiderata avevano avuto la meglio sul senso di
colpa
per i baci che Julian le stava dando alla base del collo.
Lou
aveva chiuso gli occhi, alzando lo sguardo verso il
cielo: troppo coperto dalla foschia e nascoste dalle luci della
città non si
vedeva una stella.
“Ville è lontano anni
luce da me, non ci sono soltanto 2.879 chilometri tra noi,
c’è un abisso: non
ho mai fatto parte del suo mondo fino in fondo, non come
Amy…
E per quanto io
possa
sforzarmi di capire la sua vita, di stargli accanto, di condividere con
lui
qualcos’altro oltre ad una gatta viziata, non sarò
mai parte del suo mondo, non
lo capirò mai appieno e verrò sempre dopo la sua
musica…”.
Ville
che non sapeva di Mara, non sapeva che lei ogni giorno
stringeva a sé la piccola Lily, fingendo che fosse sua, non
sapeva che nonostante
lui le avesse spiegato cosa fosse successo, il messaggio di Amy e la
stessa che
rispondeva al cellulare di Ville come se fosse normale, lei aveva il
tarlo del
dubbio che cresceva di giorno in giorno.
Un
tarlo che scavava dentro e a fondo, lentamente ma
inesorabile.
Ville
non poteva starle accanto in quel momento: aveva la sua
vita, la sua band, la sua musica e lei non era parte di quel mondo. E
non era solo la presenza di Amy nella vita quotidiana di
Ville a riempirla di dubbi: era il fatto che lì a Roma,
lontana da tutto,
lontana da lui, avesse preso coscienza che non sarebbe mai stata brava
a stare
accanto a Ville, come forse lui si aspettava.
Che
l’illusione di un futuro con lui era svanito con il
passare dei giorni.
Lì
con la sua famiglia e i suoi amici, nella frenetica vita
quotidiana di persone comuni, il pensiero di Ville si faceva sempre
più flebile
e lui sempre più lontano.
Non
era fatta per dividere la persona amata con milioni di
altre donne.
Sapeva
di non poter reggere la pressione di essere sotto una
lente d’ingrandimento.
Lei
che schivava la vita mondana persino lì tra i suoi amici,
che famosi non erano, figuriamoci con Ville.
E
poi, quando si proiettava mentalmente nel mondo di Ville,
un mondo che la terrorizzava, fatto di fan pazze di lui, che lo
idolatravano
quasi come un dio sceso in terra e si vedeva al suo fianco…
sarebbe stato come
abbinare un paio di scarpe di tela sotto un elegante abito di seta.
Poteva
sembrare interessante e inusuale, ma non sarebbero mai
stati fatti l’uno per l’altra, sarebbero sempre
stati stonati visti insieme, da
occhi esterni.
Ed
era quello che pensava di loro due insieme: due mondi
diversi che al di fuori di una casa minuscola in un quartiere di
Helsinki, non
avevano niente da condividere.
Niente.
Ville
che si era sempre accompagnato a ragazze stupende,
famose e a loro agio in qualsiasi contesto.
Ragazze
come Nur.
Non
lei… che si sentiva a disagio anche su un autobus.
Che
cosa mai avrebbe potuto pretendere da lui?
Che
corresse a tenerla stretta mentre lei vedeva Mara
spegnersi di giorno in giorno?
Una
parte di lei lo aveva sperato: lo immaginava scendere i
tre scalini che portavano alla spiaggia e raggiungerla.
Oppure
di trovarselo davanti nei luoghi e momenti più
inaspettati, così come succedeva spesso quando era a
Helsinki. Si dava della
stupida da sola.
Ville
non era un uomo del genere: era stata poco, così poco,
tempo insieme a lui ma sapeva bene quali fossero i suoi limiti.
Era
uno che non correva dietro a nessuno.
Figuriamoci
a una banale ragazza neanche tanto speciale, qual
era lei.
O
pensava di vederlo giocare a fare da padre alla piccola
Lilly, come lei faceva finta di esserne la madre?
Da
quel poco che Ville aveva fatto intendere, non escludeva
un giorno di avere figli.
E
lei non avrebbe mai potuto dargliene.
Si
era illusa di poter dire addio a Ville facendosi consolare
da Julian, illudendosi di poter riprendere la sua vita dal punto in cui
si era
interrotta con lui.
Ci
aveva provato, ma il giorno dopo svegliandosi con un mal
di testa e una nausea post sbronza tremendi accanto a Julian ancora
addormentato, si era sentita per la prima volta nella sua vita sporca e
sleale.
Era
schizzata fuori dal letto sfatto e si era fiondata sotto
l’acqua cercando invano di lavare via i ricordi della notte
passata.
Ancora
intontita dalla sbornia, si era accasciata sul
pavimento scivoloso della doccia nascondendo la testa fra le ginocchia.
Non
erano soltanto i postumi dell’alcool a farle girare
vorticosamente la testa e quel groppo che andava su e giù
non era dovuto agli
innumerevoli bicchieri che aveva ingurgitato la sera precedente.
La
regola del chiodo schiaccia chiodo valeva solo per quelli
come Nur e Simone.
Non
per lei.
Lei
era brava a recitare la parte del chiodo schiacciato,
quello sì.
Le
veniva benissimo.
Ed
era proprio in quel modo che si sentiva: schiacciata,
contorta e intrappolata nel muro di illusioni che si era costruita da
sola.
L’acqua
batteva violentemente sulla sua schiena e sulla
testa, aumentando ancora di più il senso di nausea.
“Lavami
via ogni cosa…
via… via…”.
Per
quanto sarebbe potuta rimanere sotto il getto dell’acqua,
niente avrebbe lavato via i ricordi e ciò che aveva fatto in
un momento di
debolezza.
Avrebbe
dovuto pagarne il prezzo per il futuro a venire.
******
«Non
la dimenticherò mai…»
– la
voce di Julian tremò per un
solo istante prima che si schiarisse la gola.
«Già,
lo immagino.»
Lui
la fissò ghignando.
«E
non per quello cui stai pensando tu. Cioè anche per
quello. Ma perché per qualche ora ho finto, mi sono illuso
è meglio dire, che
tu fossi mia. Ho visto come sarebbe potuto essere se ci fossimo
conosciuti
prima… prima di Ville.»
Lou
si detestò con tutte le forze per aver trasalito al
sentire il suo nome.
Anche
Julian lo notò.
«Vedi?
Anche ora, dopo quattro anni tu annaspi solo se
qualcuno lo nomina.»
«Julian,
ti prego…»
«No,
devi farmi parlare adesso. Non l’ho mai fatto, non ti ho
mai chiesto nulla perché non volevo sapere,
perché egoisticamente l’unica cosa
a cui pensavo quando Nur mi ha detto che tra te e lui era finita e che
eri
tornata qui in Italia, era raggiungerti e provare a giocare le mie
carte.»
Sorrise
amaramente, abbassando gli occhi sulla punta dei
piedi.
«Era
troppo presto. Ho sbagliato, mi sono approfittato della
tua debolezza e ti chiedo scusa. Rimango pirata, mia Eva…
non sono un principe.
Non ho saputo essere corretto e ho provato a prendermi ciò
che desideravo.
Ho
peccato di presunzione sperando che tu smettessi di amare
Ville improvvisamente, innamorandoti di me.»
«Non
è stata colpa tua.»
«Cosa?»
– Julian alzò di nuovo gli occhi scuri,
piantandoglieli addosso.
Lou
vide che era sinceramente rammaricato.
«Non
ti sei approfittato di me. È stato il contrario, a dire
la verità. Sono stata io ad usare te, quella sera. Volevo
dimenticare tutto….
Dimenticare… lui. Ma non è servito.»
«Lo
so. Non sei quel tipo di donna, per quanto io lo abbia
desiderato. Ed è anche per questo che mi piaci
così tanto.»
A
quel punto fu Lou ad abbassare gli occhi, imbarazzata.
Non
che Julian le dicesse qualcosa di nuovo, del resto.
Glielo leggeva in faccia, eppure sentirglielo ribadire ancora una volta
la fece
sentire di nuovo sleale.
«Julian…»
-
iniziò a dire, quando lui la interruppe.
«Lo
so, lo so… non è il momento. –
sputò fuori ironicamente –
Sei poco egoista o forse lo sei troppo per dirmi che non
sarà mai il momento
giusto. Per dirmi
che non ci vuoi
neanche provare a stare con me. Non ci sarà mai occasione
migliore di questa,
di questo momento, ora e adesso, per noi due, Lou!»
Lou
continuava a scuotere la testa, tenendo gli occhi bassi.
«No
cosa? – le chiese Julian, prendendole la mano –
Guardami,
per favore…»
“Non
ora, non adesso.”.
«Non
è questo… - Lou alzò gli occhi a
guardarlo e quello che
vide non le piaceva. Non voleva essere lei la causa di quella delusione
mista a
speranza. – Non è… che non sia il
momento. Non sei tu…»
«Non sei tu, sono io!
– la prese in giro lui – Andiamo Eva, non rifilarmi
queste scuse, per carità.
Non da te, non le accetto. Sarei più soddisfatto se mi
dicessi che mi trovi
repellente.»
«Finiscila,
idiota… - Lou arrossì leggermente, guardandogli
le labbra – vicine, troppo vicine! – Sei tutto
fuorché repellente!»
“Accidenti
a lui! E
accidenti anche a me: è passato troppo tempo da quando un
uomo mi faceva
sentire in questo modo, stupida e con le gambe molli!”.
Più
che vederlo, sentì il sorriso da pirata di
Julian.
«Ma
non basta. Credo di essere giunta alla resa dei conti:
non sono brava nei rapporti a due.
Non
riesco a dire o fare la cosa giusta al momento giusto, le
scelte adatte, non riesco a gestire i miei sentimenti…
combino sempre dei gran
casini. Come con te.»
-
aggiunse d’un fiato.
«*Maldito
cabezota!»
–
sbottò Julian.
«Come?»
«Significa
che stai dicendo un sacco di cazzate, Eva… sei una
delle poche persone di mia conoscenza ad essere capace di grandi
sentimenti,
anche se non sempre li dimostri. –
sorrise di nuovo abbagliandola con il bianco dei denti perfetti,
stringendo la
presa sulle dita – E anche se combini casini o non fai le
scelte giuste, sei
adorabile.»
«Già.»
Cadde
un silenzio imbarazzato per Lou, mentre Julian sembrava
riflettere.
Intorno
a loro la notte romana portava con sé l’aria densa
d’umidità
senza dare refrigerio.
Julian
teneva ancora lo sguardo puntato sull’Isola Tiberina
di fronte a loro, in apparenza rilassato, una delle mani nella tasca,
mentre
l’altra stringeva ancora quella di Lou, dondolando sui piedi.
«Sai…
- riprese lui dopo un po’,
tornando a guardarla – Ho
sempre invidiato Ville non solo perché stava con te,
perché ti stringeva ogni
notte o perché si svegliava con te accanto il mattino
successivo… non solo per
questo, intendo.
L’ho
sempre invidiato per come tu lo guardavi.
Per
come cambiavi espressione ogni volta che lui era nella
stessa stanza con te, come lo seguivi con lo sguardo o arrossivi se lui
ti
guardava in un certo modo.
Per
la profonda complicità che aveva con te, come se ti
conoscesse da sempre o sapesse esattamente cosa ti passasse per la
testa…»
Lou premette forte la mano libera sulla superficie irregolare
del muretto del ponte sotto di loro, fino a farsi male con le punte
delle
pietre aguzze.
Nessuno,
a parte Simone, le aveva mai detto in che modo
vedevano lei e Ville insieme.
E
quella Lou di cui parlava Julian adesso non c’era
più.
Non
c’era più nessuno che la facesse sentire come
Ville.
Si
sentì all’improvviso come quel mattino dopo la
sbronza di
tre anni prima con Julian ancora nel mondo dei sogni accanto a lei.
La
nausea le chiuse la bocca dello stomaco e la testa iniziò
a pesarle, girando vorticosamente.
Non
voleva pensare a quello che aveva perso, non voleva che
qualcuno le ricordasse chi era, cosa aveva e lasciato scorrere via.
Il
fatto che Julian nonostante tutto la considerasse
“adorabile”
era la ciliegina sulla torta dell’ipocrisia.
Lei
non era adorabile. Affatto. Il malessere aumentò,
togliendole il respiro.
Come
se fosse ubriaca, ma non lo era.
Era
lucidissima e quei quattro anni le pesavano sull’anima
come un macigno.
Pensò
a Ville, come non ci pensava da tanto, tanto
tempo…
Come
i primi giorni, alla prima volta che l’aveva baciata, a
loro due abbracciati davanti a quella finestra, alle mani di Ville
sulla sua nuca.
Le
sembrò quasi di sentirle tra i capelli corti.
Non
sentiva più i rumori della città intorno a loro,
non
sentiva più la voce di Julian accanto a lei.
Una
nostalgia struggente per Ville, ma soprattutto per quella
donna che Julian ricordava così innamorata, la sopraffece.
“Quante volte nella
nostra vita possiamo amare con tutto il cuore?
Una? Due? Dieci?
Conta la
quantità o la
qualità?
Quanti anni
dovranno
passare perché io torni sobria di te, Ville?
Tu sei come
una sbronza che non vuole mai passare.”.
"Angolo
dell'autrice:
Perdonate i miei tempi di aggiornamento pari alle ere geologiche.
Sto cercando di portare avanti troppe cose insieme probabilmente, ma
come ho detto a molte di voi che mi hanno scritto in privato, non ho
intenzione di abbandonare questa storia, che è quasi giunta
alla fine.
Questo capitolo era pronto da tempo immemore ma com'è nel
mio stile l'ho modificato innumerevoli volte... :D
Sembra che più il tempo passi, più io diventi
pignola all'inverosimile!
Prendetemi così come viene, insomma...
Ringrazio come sempre le mie due beta reader Deilantha e eleassar e
tutte le ragazze che continuano a seguirmi, nonostante tutto!
Lilith_s,
angelica78vf, Cyanidesun,
Lady Angel
2002, cla_mika, Izmargad, katvil, arwen85,
DarkViolet92, apinacuriosaEchelon,
LilyValo, AlexisRose, AngiK, angelinaPoe, saraligiorio1993,
sleepingwithghost, youaremyheaventonight85
.
Vi
abbraccio tutte una per una.
Buon anno! :)
*Heaven in versione ermetica e stringata*
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
|
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Capitolo 31 *** Capitolo trenta: “Teardrops on the fire” ***
Capitolo
trenta
" Teadrops on the fire"
Simone entrò
baldanzoso in
casa preceduto da un leggero profumo muschiato, vestito di tutto punto
e senza
un capello fuori posto.
Erano solo le
sette del
mattino. Praticamente ancora notte fonda per Lou. Lo guardò
con gli occhi
appannati dal sonno, alzando quel tanto che bastava la testa dalla sua
tazza di
caffelatte rigorosamente tiepido, senza proferire parola.
«Oh,
non pensavo di trovarti
già viva e vigile!» – disse ironico e ad
alta voce.
Lou
bofonchiò qualcosa a denti
stretti, sentendo montare dentro un’irresistibile voglia di
uccidere
all’istante il suo amico. Simone piroettò per casa
canticchiando, avviandosi in
cucina e tornando qualche minuto dopo con una fumante tazzina di
caffè e
l’ultima fetta di ciambella allo yogurt.
Si sedette
rumorosamente di
fronte a lei continuando a fissarla strafottente.
«Il
tuo umore solare al
mattino è sempre stato un mistero per me: che avrai mai da
essere così felice?»
– le disse prendendola in giro, sbocconcellando la ciambella
con aria di sfida,
sbattendo gli occhioni in faccia alla sua amica che lo guardava a sua
volta, torva
e con aria omicida.
«Che
vuoi?» – sputò fuori, Lou.
«Passavo
di qui.»
Lou
meditò di ficcargli in
gola caffè, ciambella e tazzina in un colpo solo.
«E
soprattutto come hai avuto
le chiavi di casa? Le ho date a Beppe, non a te.»
Lui
alzò le spalle con aria
indifferente.
«Ciò
che è suo è anche mio.»
Lou
sibilò una parolaccia.
«Sboccata.
Da quando sei
diventata così maleducata?» – le chiese
amabile Simone, lisciandosi un
sopracciglio più curato del suo.
«Vediamo
un po’: da quando ti
conosco? Ecco, diciamo che sei una fonte inesauribile di istinti bassi
e
primordiali di violenza.»
Simone
ghignò malefico.
«Ho un
regalo per te, anche se
non lo meriti visto il modo in cui mi tratti!»
Si
alzò di scatto posando la
tazzina di caffè e facendone strabordare il contenuto sul
tavolo bianco
immacolato.
Lou
soffocò l’impulso di mettersi
ad urlare come una pazza.
Lo
sentì rovistare nella sua
borsa enorme.
Tornò
sempre danzando al
tavolo e le fece scorrere davanti un volantino color crema, quadrato e
vergato
elegantemente a mano.
«Che
roba è?» – chiese sospettosa.
«L’invito
alla mia sfilata.»
«Sarei
venuta lo stesso: da
quando fate gli inviti scritti a mano?»
Simone, infastidito, agitò in aria un dito
affusolato.
«Non
è un semplice invito: tu
fai parte dello spettacolo. Questo è per portare un amico o
un parente.»
«Come
prego?» Lou alzò un
sopracciglio, gelida.
«Ho
detto che puoi portare un
amico o un parente alla sfilata.»
«Quella
parte l’ho capita: mi
sfugge il ‘fai
parte dello spettacolo’.»
«Tu
indosserai il vestito di
punta: quello da sposa. Beh, insomma: per come vedo io una sposa,
s’intende.» –
spiegò Simone tornando a sedersi come se nulla fosse.
Lou rimase senza
fiato, ma non
avrebbe dato in escandescenze come Simone sicuramente si aspettava lei
facesse.
Non gli avrebbe dato soddisfazione, proprio no.
Tipico di lui
prendere
decisioni anche per gli altri.
Un vestito da
sposa! A lei! La voglia di ammazzarlo si faceva
sempre più pressante.
Contò
fino a dieci, bevendo
con calma il suo caffelatte in silenzio.
«E
quando sarebbe questa sfilata?»
– chiese poi con calma.
Simone la
guardò ad occhi
stretti, colto di sorpresa.
«Fra
un mese esatto.»
«Uhm…
avresti dovuto dirmelo
prima: ho già un impegno per quella settimana, mi
spiace.»
«Beh,
liberati dall’impegno.
Mi servi tu: nessuno può indossarlo a parte te.»
– disse incrociando le braccia
sul petto.
«Mi
spiace, non posso: devo
vedere Sara per le illustrazioni del libro, sai… non posso
assolutamente
mancare!»
Le era venuta
benissimo quella
balla.
«Io
non posso cambiare la
modella! – strepitò Simone - Devi essere
tu!»
«Non
insistere: non posso e il
mio lavoro ha la precedenza sul tuo. Puoi trovare una modella
facilmente, io
non posso mancare a questo impegno: ho le bollette da pagare, mi
spiace!» – stirò le labbra nel suo
sorriso più convincente.
Simone
tamburellò con le dita
sulle braccia incrociate, fissandola torvo.
«Ho
disegnato quel vestito per
te. Dove la trovo una modella così bassa, io? Per una volta
che ti chiedo un
favore, tu me lo neghi?»
«Una
volta?! – Lou ridacchiò
al di sopra del bordo della tazza, ignorando l’insulto sulla
sua altezza - Non
puoi chiedermi di sfilare, non posso esserci. Chiedimi qualsiasi altra
cosa, ma
non questa!»
Simone
inarcò un sopracciglio
e ghignò allargando il suo sorriso ogni secondo di
più.
«Qualsiasi
cosa?» – chiese con
un lampo folle negli occhi.
Lou prese tempo.
«Qualsiasi
cosa non sia contro
la legge.»
Lui
tornò ancora una volta a
rovistare nella sua borsa e tirò fuori due biglietti gialli,
rettangolari.
«Beh?»
– chiese Lou
disinteressata.
Lui glieli
spinse fin sotto il
naso.
«Hai
detto che avresti fatto
qualsiasi altra cosa. Beh, falla.»
Lou li
sbirciò con un’occhiata
veloce e subito dopo cercò di non sputare il latte che le
era andato di
traverso. Inghiottì rumorosamente.
Simone la
guardava con l’espressione
più innocente che potesse rifilarle.
Lei invece aveva
gli occhi
fuori dalle orbite.
Se gli sguardi
avessero potuto
uccidere…
«Scordatelo.»
«Hai
promesso.»
«Non
ho promesso un bel
niente! Sei impazzito: non c’è altra
spiegazione.»
«Sono
assolutamente serio. Non
sfilerai per me? Bene, allora mi accompagni ad un concerto.»
«Non a
questo concerto.»
«Perché
no? È un concerto come
un altro. Lo hai dimenticato, no? Ti è indifferente, giusto?
E poi scusa, pensi
che tra la folla lui noti proprio te?»
«La
mia risposta è no.»
Lou si
alzò, improvvisamente
sazia. Da quando Simone aveva scoperto che gli HIM avrebbero suonato in
Italia
le aveva dato il tormento per settimane.
Dopo aver
cercato di buttarla
fra le braccia di Julian per i pochi giorni in cui lo spagnolo era
rimasto in
Italia, fallendo miseramente e senza alcun risultato, era stata
un’escalation
di richieste e discussioni inutili e assurde.
Sciacquò
la tazza, la asciugò
con cura riponendola poi nello scaffale, allineando il manico nella
direzione
di tutte le altre. L’ordine maniacale che la circondava
avrebbe reso orgogliosa
qualsiasi madre. Quell’ordine però nascondeva ben
altro nel suo caso, lei che
era incasinata e trovava il suo disordine confortante.
Da qualche mese
a quella parte
invece, vigeva l’ordine e la pulizia asettica e assoluta,
segno inequivocabile che
in lei qualcosa non andava. Cercando di mettere ordine in
ciò che la
circondava, sperava di metterlo anche dentro di lei.
Le stava
riuscendo male, però.
«Non
verrò al concerto. E non
so neanche come hai potuto soltanto pensare che io possa prendere in
considerazione la cosa. Mi conosci bene, eppure mi deludi sempre come
se fossi
un estraneo.»
«Hai
paura? E di cosa? Che lui
ti veda tra migliaia di persone? O sei tu ad aver paura di trovartelo
in carne
ed ossa così vicino?»
Lou non rispose
e contò fino a
dieci.
Non capiva
perché tutti si
aspettassero che lei andasse a quel maledetto concerto.
Non capiva
perché tutti si
ostinassero a pensare a lei e Ville come un tempo.
Non capiva
perché fosse
difficile accettare, come aveva fatto lei del resto e sicuramente
Ville, che il
passato è passato e che la vita era andata in maniera
diversa per ognuno di
loro.
Non erano
rimasti in contatto,
non c’era stato nessun addio e non ci sarebbe stato
sicuramente nessun ritorno.
Mai.
Certo che aveva
paura.
Aveva paura
della propria
reazione nel vederlo.
Aveva paura per
la sua sanità
mentale così già messa a dura prova in quegli
anni.
Non escludeva
che si sarebbe
potuta comportare in maniera inappropriata, cercando di farsi notare da
lui.
E non avrebbe
sicuramente
reagito bene alla sua indifferenza.
Non era pronta.
Non lo sarebbe
mai stata.
Quello che i
suoi amici non
immaginavano era il fatto che lei non aveva smesso di pensare a Ville
neanche
per un istante da quando si era sparsa la notizia dei concerti.
Che non aveva
smesso di
immaginare mille modi per vederlo e passare inosservata allo stesso
tempo.
O di sognare di
poter
incrociare per un’ultima volta il suo sguardo.
Ma in mezzo a
tutti quei sogni
ad occhi aperti, la Lou concreta e con i piedi che faticosamente aveva
cercato
di mantenere ben piantati a terra, aveva la meglio.
La Lou di un
tempo avrebbe
seguito il suo cuore.
La Lou del
presente seguiva la
strada triste e piatta ma sicura dell’autocontrollo.
Afferrò
lo straccio umido e si
girò a guardare dritto negli occhi del suo amico di vecchia
data.
«Quello
che dici non ha alcun
senso. Quello che tenti di fare, non ha senso. Non ho voglia di venire
con te a
vedere Ville.» – sputò fuori il suo nome
senza esitazione.
«È
ridicolo anche solo
parlarne di questa cosa. Ridicolo che tu, proprio tu tra tanti, chiedi
a me di
venire ad un concerto di cui sono certa non ti importa un fico secco.
Non so
perché tu lo faccia e
ancor di più perché ti aspetti che io dica di
sì.
Non lo
farò. Non verrò al
concerto. Non parlarmi mai più di Ville se non sono io a
farlo per prima.
Non trattarmi
mai più come
stai facendo ora.
Smettila di
starmi addosso o
metterò in discussione tutto quello che abbiamo costruito in
quindici anni.»
Gli
passò davanti e con un movimento
secco e preciso pulì la macchia di caffè che
c’era sul tavolo bianco.
Si
sentì subito meglio, anche
se durò poco.
Simone era
chiuso in un
silenzio stupefatto.
Lo vide
arrossire.
«Okay…
cercavo solo… di…» -
balbettò a disagio.
Lentamente
riprese il
biglietto del concerto e lo infilò di nuovo nella borsa.
Lou non si fece
intenerire e
incrociò le braccia al petto.
«Cerca
di pensare ai fatti
tuoi d’ora in poi.»
«Come
vuoi. Non ti dirò più
nulla.»
«Perfetto.»
«Ora
devo andare al lavoro… ci
vediamo.»
«Buona
giornata.»
Il suo tono era
glaciale.
Lo
osservò a braccia conserte raccogliere
le sue cose e avviarsi mestamente alla porta, per poi girarsi con un
cipiglio
severo sul volto.
«Ci
sono molte persone che
stranamente continuano a volerti bene e a preoccuparsi per te: vedi di
non
perderle tutte per strada come hai fatto con Ville.»
Ecco che Simone
sfoderava
l’arma di indurre al senso di colpa: stavolta non avrebbe
funzionato.
Era troppo tesa,
incavolata
con lui per il suo modo subdolo di controllare la sua vita, non
rispettando mai
le sue scelte, i suoi desideri e gli spazi che lei metteva tra
sé e il resto
del mondo.
Aprì
la bocca per rispondergli
a tono ma lui, impettito e offeso, si era già richiuso la
porta alle spalle.
Che andasse al
diavolo!
Era stanca di
tutto e tutti e
la sua giornata era appena iniziata.
Iniziò
a strofinare ogni
superficie con foga quando lo squillo del cellulare la distolse dai
suoi
pensieri cupi.
Chi diavolo
chiamava a
quell’ora?
“Ti
prego, fa’ che non sia mia madre e i suoi rimproveri: oggi
non
reggerei!”
Sbirciò
il suo cellulare con
timore: l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento
erano le bacchettate
della sua inflessibile genitrice.
Era Karl.
Tirò un sospiro di
sollievo e rispose con il cuore leggero.
«Karl!
Come mai mi chiami a
quest’ora?»
«Luly!»
La vocina
squillante della
piccola Evangeline le perforò le orecchie.
«Peste!»
La giornata
stava decisamente
migliorando.
«Evangeline
Emma Winkler: non
dovresti essere all’asilo?»
«Ho la
febbre. E ho anche il
mal di gola. E mi fa male il nasino, Luly!»
Sorrise
divertita alla
scenetta della piccola che tossiva e piagnucolava al di là
della linea.
«Che
hai combinato? Ti sei di
nuovo tolta il pigiamino durante la notte?»
Lilly aveva
l’abitudine di
scoprirsi durante il sonno: ricordava quando era piccola e la trovavano
sistematicamente
fuori dal piumino e le gambette penzoloni al di fuori delle sbarre del
lettino.
«No.
Sono stata brava… aspetta
Papy, non ho finito. No, io parlo con lei! Cattivo!»
Ridacchiò
nel sentire un
trambusto, la voce bassa e solitamente calma e pacata di Karl che
cercava di
imbonire la pestifera bimba, la vocina di lei che urlava e
l’abbaiare eccitato
di Calzetta.
«Lou,
mi senti?»
«Che
diavolo combinate voi
due? Sono solo le… - sbirciò l’orologio
rosso appeso alla parete della piccola
cucina - sette e trenta del mattino.»
«Lo
so, e scusa se ti abbiamo
svegliata. È da ieri sera che vuole chiamarti: si
è svegliata alle sei
saltandomi sullo sterno, con il cellulare in mano, intimandomi di
chiamarti.»
«Voglio
parlare io con Luly!
Passamela!»
Karl
sibilò una sfilza di colorite
parolacce in tedesco.
«Non
dire parolacce, Papy! La
nonna Ilse mi ha detto come si dicono!»
Lou
scoppiò a ridere.
«Ti
rendi conto? Mia madre che
insegna parolacce a mia figlia.»
«Tranquillo,
ero già sveglia e
per fortuna non capisco molto il tedesco. Che succede?»
«Si
è beccata l’influenza
all’asilo: Valentina ha il morbillo, mi ha appena chiamata
Katia. E io devo
partire per due giorni. L’ho saputo solo ieri e non ti
chiederei di aiutarmi se
Katia non avesse i suoi problemi con le sue figlie: si era offerta di
tenere
Evangeline…»
«Mi
chiamo Lilly! Lillyyyyy!»
– urlò la piccola a poca distanza dal ricevitore.
Calzetta
confermò con un
ululato.
«Come
dicevo, – tuonò Karl
ormai a corto di pazienza – Evangeline ha solo
un’influenza per ora. Potrebbe
aver preso anche lei il morbillo e…»
«Karl,
Karl: fermati e
respira. Vengo io.»
«Sei
sicura? Non hai i tuoi
impegni, vero? Scusami… ma sei la mia ultima speranza. Non
posso mancare a
questa conferenza.»
«Stai
tranquillo ho detto: è
da tanto che voglio vedervi. Mi dai il tempo di mettere in borsa
qualcosa e
sono da voi, diciamo fra… un paio d’ore? Ce la fai
a non strozzare la
streghetta indemoniata?»
«Oh
dio, ti ringrazio! Come
faremmo senza di te?» – il sollievo nella voce di
Karl era palese.
«Ehi,
aspetta: ma hai avuto il
morbillo da piccola? Non vorrei che ti ammalassi anche tu!»
«Tranne
la peste bubbonica e
il colera, ho avuto ogni malattia possibile: sono immune da
tutto.»
“Quasi”.
«Voglio
venire anche io alla ‘confidenza’!»
– urlò Lilly.
«Ti
prego. Fai in fretta.» –
sussurrò disperato Karl, allo stremo delle forze.
Lou
tornò a ridere.
«Fate
i bravi finché non
arrivo, okay?»
*****
Lilly la guardava sospettosa
con le braccine paffute piantate sui fianchi.
«Non
mi fai la puntura come fa
sempre il Dottor Medina, vero?»
«No,
che non te la faccio: io
non sono un dottore, Lilly. Non vieni a darmi un bacino?»
– chiese Lou ancora
ferma sulla soglia della porta, posando la borsa preparata alla
bell’e meglio
in pochi minuti e grattando il musetto di Calzetta che si era fiondato
a farle
le feste.
«Papy,
posso darglielo o poi
si ammala anche lei?» – chiese la piccola al padre,
con un broncio in grado di
sciogliere anche i ghiacciai.
Karl
ricambiò lo sguardo
divertito di Lou che lo tranquillizzava con un cenno della testa.
«Puoi
dare un bacio a Lou, ma
non starnutirle in faccia come fai sempre con me: non è
carino.»
«Okay!»
– ridacchiò la bambina,
abbracciando le gambe di Lou, scansando con un gesto possessivo il
cagnolino.
Eccola
lì, l’unica persona al
mondo in grado di farla correre con un solo cenno.
L’unica
persona che sentiva
sua nonostante non avesse un solo cromosoma in comune con lei.
Nessuna
somiglianza fisica.
Nessun grado di
parentela.
Ma
più sua di chiunque altro.
L’unica
persona capace di
colmare il vuoto che aveva dentro.
Si
chinò per poterla
abbracciare e la bimba le strinse le braccine intorno al collo,
arrampicandosi
addosso, avvinghiata come una scimmietta.
Lou si rendeva
conto di quanto
le mancasse per il resto del tempo solo quando la stringeva a
sé.
«Che
cos’ha la mia peste? Ti
fa male anche il pancino?»
Lilly nascose il
volto nel
collo di Lou, frignando a comando.
«Sì…
e mi fa male il nasino. Papy
me lo soffia forte, non è bravo come te.»
Karl
ridacchiò, infilandosi la
giacca grigia che tirava fuori nelle occasioni formali.
«Il
tuo Papy ha le mani grandi
come tutti i papà, lo sai? È per quello che ti fa
male, ma non lo fa apposta.»
Lou
strizzò l’occhio all’uomo
che era pronto per uscire.
Si
tirò su, con la bimba
sempre aggrappata a lei.
«Stai
tranquillo. È tutto
sotto controllo.»
«Lo
so, non mi preoccupo per
lei ma per te.» rise lui.
«Io e
la peste ce la caveremo,
vero Lilly? Non saluti il tuo papà?»
«Sì,
ciao Papy.» – bofonchiò questa
non muovendosi di un millimetro, rimanendo con il volto affondato nel
collo di
Lou.
«Dammi
un bacio, streghetta!»
– le intimò il padre ridendo.
«No.
Sei cattivo, vattene!» –
strillò Lilly aumentando la stretta intorno al collo di Lou
e dimenandosi.
«Avanti
Evangeline: non fare i
capricci o Lou va via.»
«Non
te ne vai, vero? – la
piccola alzò il faccino, sgranandole gli occhioni verde
scuro lucidi di febbre
in faccia - Rimani qui con me, vero Luly?»
«Solo
se fai la brava bimba,
saluti il tuo papà e non mi farai arrabbiare.» -
ribatté Lou seria, rovinando
la severità con un bacio sul nasino arrossato della piccola.
«Va
bene.»
Lilly protese il
volto
aspettando il bacio del padre che non se lo face ripetere due volte.
Karl era pazzo
della figlia, anche
se probabilmente due giorni di riposo gli sarebbero stati di giovamento
e allo
stesso tempo ne avrebbe sofferto.
«Mi
mancherai, piccola… torno
presto, va bene?»
«Sì,
okay, ciao. Ora vai.» –
disse sbrigativa la bambina, tornando a posare la testa
nell’incavo del collo
di Lou.
Karl scosse la
testa
sconsolato.
«È
il prezzo che pago per non
portarla con me, temo.»
«Le
passerà…» – lo
rincuorò
Lou.
Lui le sorrise,
abbracciandola.
«Grazie
per esserci sempre.»
Ricambiò
il sorriso dell’uomo.
Quei due non sapevano quanto invece loro facessero bene a lei.
«Perderai
il treno se continui
a ciarlare e ringraziarmi. Va’. Ci sentiamo
stasera.»
«Agli
ordini. Allora vado. A
stasera e divertitevi…»
«Come
sempre.»
Lou richiuse la
porta,
salutando Karl attraverso il vetro. Lui si girò ancora un
volta, alzando una
mano prima di sparire dalla sua visuale. Recuperò la borsa
avviandosi in camera
da letto, quella che usava da sempre quando era ospite in quella casa.
Per tutto il
tempo Lilly
rimase aggrappata a lei, in silenzio.
«Piccola,
sei arrabbiata con
il tuo papà?»
«Sì.»
- borbottò.
«Sai
che a volte Papy deve
andare a lavorare lontano. Ma sai anche che torna, non devi fare
così o lui poi
è triste.»
La bambina
borbottò di nuovo
parole incomprensibili.
Lou
lanciò sul letto la borsa,
con la voglia di seguirla e mettersi a dormire.
Calzetta
saltò immediatamente
sul letto, annusando e zampettando sulla sua borsa.
Si sedette sul
bordo tenendo
stretta la bambina che rimaneva aggrappata a lei; le fece solletico
sotto le
braccine per indurla a mollare la presa.
Lilly
ridacchiò debolmente. Se
fosse stata bene avrebbe scalciato come una pazza e lanciato urla
stridule.
Allentò
però la presa sul suo
collo e si sistemò meglio sulle sue gambe per osservarla.
Gli occhioni
verdi della
piccola la valutarono velocemente.
Lou
ricambiò lo sguardo serio,
notando che i capelli le erano cresciuti un pochino e i boccoli castani
ormai
le arrivavano alla schiena. E che l’estate le aveva lasciato
sul nasino
impercettibili lentiggini. Aveva un graffio sulla fronte, sicuramente i
suoi
dispetti al gatto di casa non erano piaciuti e quello era il risultato.
«Che
hai fatto a Natale?» – le
chiese Lou sfiorando con un dito il graffio quasi guarito.
«Niente!
Volevo mettergli il
fiocco come il micio che sta sul libro di favole, ma lui non voleva e
allora
gli ho messo la molletta dei panni sulla coda!» –
rispose orgogliosa di sé.
«Lo
sai che non si fa!
Evangeline!» – la rimproverò, reprimendo
una risatina.
Quel povero
micio anziano ne
passava di tutti i colori con Lilly: peggio di quanto Simone avesse mai
fatto!
Si
guardò intorno alla ricerca
dell’enorme gatto rossiccio, ma non c’era traccia.
Probabilmente si teneva
lontano dalla sua padroncina sadica fino a quando non era ora della
pappa.
Allora lo si
vedeva arrancare
placido e miagolare con forza per richiamare l’attenzione.
La piccola fece
una
smorfietta.
«Voglio
un gatto femmina! Così
posso metterci i fiocchi e il profumo! Qui sono tutti maschi!»
Lou
pensò alla sua Katty:
dubitava che si sarebbe fatta infiocchettare da chicchessia…
Beh, forse
soltanto da una
persona.
“Perché
diamine devo sempre pensare a lui, a loro?” – pensò
infastidita.
«Hai
ragione: qui ci sono
troppi maschi.» – rise Lou, tornando a prestare
l’attenzione alla piccola.
«Forse
possiamo chiedere a
Papy di prendere un pappagallino femmina.»
«No!
Non mi piacciono i
pappagalli! Fanno sempre la cacca puzzolente! Valentina ne ha uno e la
sua mamma
vuole ucciderlo: dice sempre che lo mette nel forno con le patate! Ma
non si
può, vero Luly? Non può mica cucinare Nerone?
Vero?»
«Ma
certo che la mamma di Vale
non cucinerà il povero Nerone: è solo una cosa
che i grandi dicono ma poi non
fanno.»
«Allora
è come quando Papy
dice che andiamo a vivere dove abita Nonna Ilse?»
Lou si
paralizzò.
«Quando
l’ha detta questa
cosa, Papy?» – chiese giocherellando con i riccioli
della piccola.
«Lo
dice sempre: dice che fra
poco andiamo a vivere in… in… non mi ricordo dove
abita la nonna!»
«In
Germania. Non te lo stai
inventando, vero piccola peste?»
Lilly scosse
energicamente la
testa.
«No.
Anche la nonna quando mi
telefona mi dice che è felice che andiamo lì a
vivere. Ma io non ci voglio
andare!» – frignò la piccola,
pericolosamente vicina al pianto.
«Io
voglio rimanere qui, con
Valentina e voglio la mia casa! E poi tu non potrai venire sempre
perché è
lontano lontano! E anche zio Simone e zio Pepe non vengono e io non
voglio!»
Che storia era
quella? Karl
non aveva mai accennato alla cosa! Sperò che la piccola si
stesse inventando
tutto: non avrebbe sopportato una distanza simile tra lei e Lilly.
Ebbe
improvvisamente voglia di
mettersi a frignare come stava facendo la bimba.
«Non
lo so, piccola… il tuo Papy
non mi ha detto niente. Facciamo così: quando torna ci parlo
io, okay? E poi
non è così lontano lontano –
cercò di rassicurarla – c’è
sempre il nostro carro
magico. O l’aereo!»
Le
strizzò l’occhio ma Lilly
continuava a piangere.
«Ma la
nostra casa è questa,
non in quella “Gerbania”! Qui
c’è la
mamma… se vado via chi le porta i fiori e le conchiglie
bianche?»
Le
asciugò le lacrime che
strabordarono. Le si strinse il cuore nel vedere quel faccino adorato
così
triste.
Che cavolo
passava per la
testa bionda di Karl?
Lou
abbracciò la piccola
baciandole i capelli.
«Non
ci pensiamo ora, va bene?
Hai fame? Vuoi qualcosa di buono?»
Lilly
tirò su col nasino e
scosse la testa.
«No,
ho sonno ora. Mi canti la
ninna nanna?»
«Tesoro,
lo sai che non sono
brava a cantare. Che ne dici se ti leggo una favola?»
«Va
bene. – sbadigliò la
bimba, tornando a raggomitolarsi contro di lei – La mia
preferita.»
Ma certo. La sua
preferita.
Quella del “Principe
della Torre”.
Perché
mai le avesse inventato
quella favola non lo sapeva spiegare. Si era spesso chiesta se stesse
raccontandola alla piccola Evangeline o a se stessa.
Lilly voleva che
il Principe
trovasse la Principessa Perduta: quando lei provava a raccontare il
finale in
modo diverso, così come lo aveva raccontato la prima volta,
pretendeva che lo
cambiasse.
Anche Mara
avrebbe voluto lo
stesso finale.
Era un vero
peccato che la
Principessa Perduta della favola fosse una codarda e che si limitava a
guardare
il Principe quando lui dormiva. Che continuasse a trasformarsi in
fantasma di
notte, per poter vegliare sul sonno del suo Principe.
«Questo
finale fa schifo e non
mi piace. Devi dire che lui si sveglia, la vede e si baciano. Sono
queste le
favole belle, Luly!» - le diceva la bambina, incrociando
contrariata le
braccine sul petto.
Come darle
torto?
E allora lei
inventava per
Lilly un vestito fatto con il blu della notte, con mille stelle che
luccicavano
sopra e la Principessa Perduta, aiutata dal Vecchio Mago dei Sogni e
del suo
Pendaglio Incantato, poteva tornare ad essere visibile per il Principe
della
Torre. Lui si svegliava e la baciava, chiedendole di rimanere per
sempre con
lei.
Quel finale le
faceva schifo e
voleva mettersi a frignare anche lei, ora.
«E va
bene: ti piace così
tanto la favola del Principe della Torre? Ce ne sono di più
belle…» - le disse
Lou, portandola nella sua stanza.
«Sì,
mi piace perché la
Principessa Perduta somiglia a te nella foto che aveva la
mamma.” – bofonchiò
la bambina tra uno sbadiglio e l’altro.
«Quale
foto, tesoro?» – chiese
Lou rimboccandole le coperte dopo averle tolto le pantofole con le
orecchie di
coniglio.
«Quella
che sta nella macchina
“foffogafica” nel comodino di Mamy. Ci sei tu e zio
Simone e una signora che
non conosco. Solo che tu hai i capelli arancioni, come in quella che
sta sul
camino, non marroni come ora. E sono lunghi lunghi, come quelli delle
sirene. C’è
anche la Torre del Principe, quindi mi piace.»
Di che cavolo
parlava
Evangeline?
«Va
bene… allora sei pronta?
Posso iniziare?» – le accarezzò i
capelli.
«Sì,
mi dai la mano?» – chiese
la bambina afferrandole le dita, chiudendo gli occhi.
“Luly,
rimani qui mentre dormo?»
“Rimani
qui con me stanotte? Fino a che non mi addormento? Prometto di
non toccarti più il sedere...”
Anche lei lo
aveva chiesto una
volta, in preda a deliri febbrili.
E lui aveva
risposto di sì.
E con la voce
più bella che
lei avesse mai sentito, le aveva cantato una ninna nanna.
«Non
vado via, Lilly. Sono
qui.»
La piccola
sorrise e pochi
istanti dopo era già addormentata.
Lou
continuò ad accarezzarle i
capelli finché anche lei si rasserenò, ritrovando
quella calma di cui aveva bisogno.
In quella stanza c’era l’odore della bambina. I
suoi giochi, le sue foto
insieme al papà, a lei e Simone e Beppe, con Valentina.
Sul comodino
c’era la foto di
una Lilly minuscola tra le braccia di Mara raggiante di
felicità.
La piccola aveva
attaccato un
cuore di carta rossa su un angolo della cornice verde acido e
conchiglie
bianche sui tre lati rimanenti.
C’erano
le sue poche bambole,
i suoi pastelli, i suoi vestitini.
L’unica
cosa che cambiava
giorno dopo giorno era la piccola, che cresceva e acquisiva la propria
personalità e presto sarebbe diventata troppo grande per
tutte quelle cose
sulle quali ora contava su di lei.
E se era vero
che Karl aveva
deciso di trasferirsi, si sarebbe persa molto altro.
Continuò
a tenere strette le
dita di Lilly per un tempo infinito, accarezzandole di tanto in tanto i
capelli, finché la piccola si girò su un fianco,
staccando la manina dalla sua.
Solo allora Lou
si alzò
stiracchiando la schiena e uscì in punta di piedi dalla
piccola stanza.
Disfò
la sua borsa con le
poche cose che aveva portato con sé sistemandole nel piccolo
armadio della
stanza che Karl e Mara le avevano riservato tanto tempo prima,
lasciando
all’interno solo il portatile.
Lì
c’erano molti dei suoi
vestiti che pian piano Nur le aveva rispedito da Helsinki.
Non li aveva mai
portati con
sé a Roma: le piaceva sapere che erano in un posto che lei
sentiva di poter
chiamare “casa”. Rovistò tra i cassetti
sfiorando le sciarpe e i capelli di
lana che nella capitale non le servivano ed usava soltanto
lì.
I maglioni e i
jeans che ora
le stavano troppo larghi.
Sul fondo del
terzo cassetto,
sotto una pila di t-shirt, sapeva che c’era la sciarpina
viola di Ville.
L’unica
cosa tangibile del
loro legame.
Era
così stupido avere ricordi
legati ad oggetti. Avrebbe dovuto buttar via quella sciarpina o meglio
ancora,
avrebbe dovuto rimandarla al proprietario.
Invece
l’aveva conservata. E a
volte tenuta fra le mani facendosi mille domande che erano rimaste
senza
risposta, lasciando che i ricordi fluissero liberamente.
Richiuse decisa
il cassetto,
ignorando volutamente il terzo.
Tornò
a vagare per la casa che
Karl teneva in perfetto ordine, fermandosi a guardare le foto sparse
ovunque.
C’erano frammenti di vita in quelle istantanee: momenti
felici e alcuni che lo
erano stati meno.
Si
fermò davanti alla foto sul
camino che ritraeva lei, Mara con il pancione e Simone: erano sulla
spiaggia
proprio davanti casa e ridevano. Erano caduti l’uno sopra
l’altro, in un
groviglio di gambe e braccia e i capelli lunghi e rossi di Lou erano
per metà
sui volti dei suoi amici.
Adorava quella
foto e
ricordava perfettamente il giorno in cui era stata scattata.
Mara aveva
deciso che dovevano
stare in quella casa tutti insieme per l’intera estate e
preparare la stanza
della bambina. Aveva costretto Simone a lasciare la sua amata e caotica
Roma
per una casa sperduta nel nulla: era l’unica che riusciva a
piegare il suo
amico isterico a fare quello che non voleva.
E insieme
avevano dipinto
immagini fiabesche nella stanza che sarebbe stata di Evangeline,
tornando per
un po’ ad essere quei tre giovani ragazzi ventenni che erano
stati durante
l’Accademia di Belle Arti.
Si erano
divertiti un mondo in
quelle settimane, ritrovando il feeling che li aveva uniti.
Le foto erano
diminuite nei
mesi successivi alla scomparsa di Mara, per tornare pian piano con foto
della
piccola Lilly durante gli anni.
La prima volta
che si era
alzata in piedi o quella in cui le era spuntato il primo dentino.
Quella in cui
aveva imparato a
stare sul vasino o a lavarsi i dentini da sola.
Il primo giorno
di asilo e
tanti altri momenti. E lei era quasi sempre presente.
Continuò
il suo peregrinare in
casa, sentendosi calma per la prima volta dopo settimane.
Forse avrebbe
potuto fermarsi
qualche giorno in più anche dopo il ritorno di Karl: giusto
un po’, per non
tornare subito a Roma sotto le grinfie di Simone.
Si
ritrovò davanti alla porta
chiusa della camera da letto di Karl e Mara ed entrò senza
timore: il letto era
disfatto. Nonostante l’ordine che vigeva in quella casa, Karl
non aveva avuto
il tempo di rifarlo.
Senza farsi
alcun problema lei
iniziò a mettere a posto le cose che lui aveva lasciato in
giro.
Si sentiva a suo
agio lì e
sentiva di non violare alcuna privacy.
Spalancò
le finestre lasciando
che il sole inondasse la stanza insieme all’odore del mare.
Le venne
improvvisamente
voglia di canticchiare e di ballare per tutta la casa, nonostante
sapesse di
essere stonata come una campana e avere ben poca grazia nelle movenze.
Quel posto le
ritemprava il
cuore e la mente.
Non poteva dar
torto a Simone
quando le diceva che aveva la Sindrome della Colf nel DNA,
pensò ridacchiando:
tenere occupate le mani la aiutava sempre a pensare di meno.
Stava per uscire
quando si
ricordò di quello che poco prima le aveva detto Lilly e
titubò soltanto qualche
istante prima di aprire l’unico cassetto del comodino che una
volta era di
Mara.
Dentro
c’erano alcune forcine
e mollette per capelli; l’orologio da polso bianco che lei
portava sempre; un
libro con un segnalibro infilato nel mezzo, un pacco di fazzolettini,
caramelle
al limone.
Uno specchietto
da borsetta e
il contenitore delle lenti a contatto.
Sfiorò
ogni cosa con il solito
groppo in gola.
Quasi nascosta
in fondo, c’era
la sua macchina fotografica digitale, sopra una busta da lettere rosa.
Stupita si
chiese come mai ce
l’avesse Mara: credeva di averla lasciata a Helsinki o che
Nur avesse
dimenticato di rimandargliela.
Si
rigirò quell’aggeggio fra
le mani, pensando al tempo che era passato dall’ultima volta
che l’aveva vista.
Provò
ad accenderla ma non
succedeva nulla: le batterie dovevano essersi esaurite nel frattempo.
Karl doveva pur
avere delle
batterie nuove da qualche parte; uscì dalla stanza
dimenticandosi di chiudere
il cassetto del comodino.
Cercò
ovunque senza risultato,
indispettita: era curiosa di sapere che ci fosse in quella scheda.
Se non ricordava
male
l’avevano usata quando Simone era stato da lei a Helsinki,
tanto tempo prima.
Con un lampo di
genio pensò di
visionare le foto con il computer: il suo vecchio e fidato “Highlander” aveva tirato le
cuoia da un
pezzo ormai. Tornò in camera e tirò fuori dalla
sua borsa il portatile,
aspettando seduta sul letto che tutta la sessione iniziale facesse il
suo
corso. Le sembrò che ci impiegasse
un’eternità, più del solito. Quando
finalmente fu pronto, estrasse la scheda e la infilò
nell’apposita porta.
Aprì
le varie cartelle: da
pignola qual’era aveva nominato ognuna con nomi e date. Molte
foto erano
paesaggi di Helsinki di quasi 7 anni prima. C’era
un’intera cartella dedicata
alle mostre degli artisti che aveva curato per Matleena, al
‘Kiasma’; ritrovò
anche quella in cui ad esporre era Julian.
C’erano
autoscatti di loro due
intenti a fare i buffoni. Lou fissò la sua immagine,
riconoscendo a stento in
quella giovane donna ridente con gli occhi brillanti, la donna che era
ora. Non
che adesso non ridesse: solo che aveva perso quel brio.
Come aveva fatto
la piccola
Lilly a trovare quelle foto? E ad accendere la digitale? Era una
bambina
precoce, ma dubitava fortemente che arrivasse a tanto.
Persa in quei
quesiti
continuava a scorrere le cartelle.
Non ricordava di
averne fatte
così tante…
Aprì
la cartella “Varie”,
incuriosita.
C’erano
foto di lei e Nur
nella loro casa; al Kauppatori, il porto di Helsinki, un posto che lei
adorava.
Varie angolature
della
Cattedrale, la sua “Dama Bianca”.
Il dito con cui
premeva “invio”
tremava leggermente: quanto le mancava la sua Helsinki… era
uno dei pochi posti
al mondo nel quale si era sempre sentita a suo agio.
E poi diverse
foto con Simone
e Nur, davanti alla loro casa. Riusciva a vedere persino un pezzo della
porta
del caro Sig. Korhonen.
Ed eccola
lì sullo sfondo, la
Torre di Ville: quasi nascosta dalla testa di Simone e i capelli di Nur
e il
proprio viso. Un autoscatto che li aveva colti entrambi impreparati e
lei che
se la rideva, l’unica che guardava dritta
nell’obiettivo. Il cielo nella foto
era di un azzurro così abbagliante e vivido: se ne
stupì come se non l’avesse
mai visto prima.
Continuava a
studiare ogni
particolare, evitando di guardare quel punto in mezzo alle loro facce.
Ci sarebbe
tornata in un
secondo momento.
Non appena il
cuore avesse
ripreso a battere normalmente, si disse.
Cliccò
sulla freccia per la
foto successiva e c’era la piccola Katty.
Minuscola palla
di pelo nero
arruffato che dormiva sul cuscino davanti alla finestra.
Katty che
zampettava feroce il
piumino della pantofola di Nur.
Katty che
fissava l’obiettivo
con aria perplessa e altera allo stesso tempo.
La sua
micina…
Non si era mai
preoccupata più
di tanto della sua sorte: sapeva con sicurezza che lui se
n’era preso cura,
portandola con sé nella sua torre.
Ne era
più che certa. Ville
non l’avrebbe mai lasciata a Nur o chiunque altro.
Katty era in
moltissime foto;
gli occhi della felina erano così verdi… come
quelli di…
“Smettila
immediatamente, Lucia”
Odiava la sua
parte
melodrammatica: quando meno se lo aspettava prendeva il sopravvento su
di lei,
buttando all’aria mesi e anni di autocontrollo.
Cliccò
automaticamente sulle
foto dove a regnare sovrana era sempre Katty, finché
arrivò ad una foto che non
aveva scattato lei.
Se ne sarebbe
ricordata.
E non avrebbe
potuto in ogni
caso scattarla visto che in quell’istantanea lei dormiva.
E non era stato
neanche Ville.
Perché
anche lui era
addormentato, con una mano posata sulla piccola Katty accoccolata come
sempre
sulla sua pancia.
«Ecco.
Ora puoi darti al
melodramma.» - si disse senza fiato.
L’altra
mano di Ville era fra
i suoi capelli, la teneva posata sulla nuca e le lunghe dita forti
sbucavano
fra i suoi ricci rossi.
Il proprio viso
era visibile
del tutto, così beato e sereno anche nel sonno, affondato
nell’incavo tra il
collo e la spalla dell’uomo.
Mentre di Ville
c’era solo il
collo, lasciato scoperto dalla camicia nera, il mento coperto da un
velo di
barba e la bocca.
La bocca di
Ville.
Sentiva i tonfi
del battito
del proprio cuore nelle orecchie.
“Probabilmente
sto per avere un infarto.” – pensò
tetra.
Chiuse gli occhi
per un lungo
tempo, sperando che la foto fosse solo frutto della sua fervida
immaginazione e
che nel riaprirli sarebbe sparita.
Sentì
la bocca inaridirsi
completamente.
E il suo stupido
cuore non
rallentava.
Si
alzò di scatto senza guardare
lo schermo e si precipitò in cucina dove bevve direttamente
dal rubinetto fino
ad avere la nausea.
“È
solo una foto, stupida donna.”
Non riusciva a
pensare
lucidamente.
Era del tutto
impreparata a
quelle emozioni.
Da dove sbucava
fuori quella
foto?
Chi
l’aveva scattata? Nur?
Simone? Julian?
Il periodo
coincideva con
quello in cui i due ragazzi erano sempre presenti in casa loro.
“Arrovellarsi
su chi ha scattato la foto è un diversivo debole e lo sai
bene.”
Ville.
Tornò
in camera e sulla soglia
si fermò con gli occhi fissi allo schermo.
Quella foto
faceva più male di
quanto immaginasse.
Per il solo
fatto che
esistesse.
Perché
le metteva davanti agli
occhi che era stato reale, che Ville non era solo il proprietario della
sciarpa
viola chiusa nel terzo cassetto della sua camera.
Perché
quello che erano stati
l’uno per l’altro in quei pochi mesi vissuti
insieme, balzavano fuori dalla
foto.
“Sono
state soltanto poche settimane, smettila di pensarci.”
Settimane in cui
aveva
scoperto una nuova se stessa. Qualcuno che le era piaciuto essere.
Con passi lenti
si avvicinò
nuovamente al letto e al computer aperto su quella finestra del suo
passato.
Ora il battito
era tornato
quasi nella norma e col passare dei secondi la foto faceva meno male.
Erano belli
insieme.
Osservando
quella foto era
chiaro il sentimento di fiducia da parte sua nell’affidarsi,
completamente
vulnerabile, all’uomo della foto. E lui…
Lui, a modo suo,
le offriva
riparo.
Come se le
stesse dicendo in
silenzio: “Vieni
più vicino, non avere paura.
Smettila di pensare, Prinsessa… e chiudi gli occhi.”.
Ed era quello
che le aveva
sempre detto, in fondo.
Che aveva sempre
cercato di
dirle.
“Smettila
di blaterare e vieni qui da me…”
Blaterare e
arrovellarsi e
dare di matto era il suo forte e in quella situazione lei aveva dato il
peggio
di se stessa, mandando all’aria tutto.
L’unica
cosa per cui valeva la
pena rischiare.
«Luly…»
La vocina della
bambina la
riscosse dal suo sogno ad occhi aperti.
Lanciò
un ultimo sguardo alla
foto prima di precipitarsi nella stanza della piccola.
Evangeline era
seduta nel suo
lettino e si stropicciava gli occhi infastidita.
«Sei
già sveglia, peste?»
«Avevi
detto che rimanevi qui
vicino a me!» – la rimproverò subito.
«Hai
ragione: ero andata a
fare pipì!» – le rispose ridacchiando,
strappando anche a lei un ghigno.
«Ho
fame. Voglio la nutella.»
«Papy
te la fa mangiare ora?»
La prese in
braccio baciandole
la fronte: era calda.
La febbre era di
nuovo salita.
«Sì.»
Lou le fece una
smorfia.
«Sei
una piccola streghetta:
lo so bene che non è così!»
«Solo
quando sono malata!»
«Uhm…
- borbottò Lou,
dirigendosi in cucina – Allora forse possiamo fare una
piccola eccezione,
questa volta!»
«Voglio
essere malata sempre.»
- sospirò Lilly.
Lou
scoppiò a ridere.
«Beh,
per la cioccolata ne
vale sempre la pena!»
Fece sedere la
piccola sul
tavolo, lasciando che la aiutasse a prepararle il meritato spuntino.
«Mettiamone
tanta, però.»
Lou
cambiò idea e lasciò
perdere il pane: le passò il barattolo e intinse un dito
nella crema alla
nocciole per poi portarselo alla bocca.
Evangeline
sgranò gli occhi
eccitata.
«Senza
pane è molto meglio:
tocca a te ora, peste!»
La bambina non
se lo fece
ripetere una seconda volta e ridendo la imitò.
Un potente
miagolio richiamò
la loro attenzione: Natale le aveva scovate e le guardava speranzoso.
«I
gatti la mangiano la
cioccolata?» – chiese Lilly con la boccuccia
impastata.
«Non
credo ai gatti piaccia la
nutella, piccola.»
«Natale
mangia tutto. Ma poi
fa la cacca in giro.»
Scoppiò
a ridere e Lou la
seguì a ruota.
«Allora
è meglio di no: il mal
di pancia lo avremo già noi due.»
Karl avrebbe
tirato le
orecchie a entrambe se fosse stato presente e Simone invece, avrebbe
commentato
che ogni grammo del nettare divino le sarebbe finito irrimediabilmente
sul
sedere.
«Questo
è un segreto da
femmine, Lilly.» – le sussurrò Lou con
tono cospiratorio.
La bambina
annuì energica e
tornò ad affondare le piccole dita nel barattolo.
«Mi
piacciono i segreti da
femmine che ho con te.» – rispose sussurrando a sua
volta.
«Anche
a me, tesorino… anche a
me.»
*****
Davanti al
camino e un
bicchiere di vino rosso, Lou fissava le fiamme che si contorcevano in
mille
volute.
Lilly, dopo una
giornata di
pura anarchia le dormiva soddisfatta accanto, raggomitolata con il suo
pupazzo
viola decrepito.
La febbre non
diminuiva ma la
piccola sembrava non risentirne più di tanto.
Quando Karl
aveva telefonato
quella sera, la figlia lo aveva liquidato con un ciao frettoloso ed era
tornata
a guardare i cartoni animati.
«Come
sta? È ancora arrabbiata
con me? Ha la febbre? Ha fatto i capricci? Ti ha dato noia?»
– le aveva chiesto
apprensivo.
«È
stata più buona del solito,
non preoccuparti: stiamo bene e ho tutto sotto controllo… Tu
come stai?»
«Stanco.
Annoiato. Mi manca la
mia streghetta e vorrei essere lì con voi.»
«Non
fare i capricci, Papy!» –
lo aveva preso in giro lei.
Lou aveva sulla
punta della
lingua tante domande ma non era il caso di parlarne attraverso un
telefono.
«Sto
pestando silenziosamente
i piedi a terra!» - aveva riso lui.
«Ora
vai a dormire, Papy: ci
sentiamo domani.»
Karl aveva finto
di frignare e
le aveva augurato la buona notte.
Era stata una
giornata piena.
Il tuffo inaspettato nel passato aveva stravolto i suoi pensieri per
tutto il
giorno.
«Luly,
questa sei tu!»
Maledizione a
lei e alla sua
svampitaggine!
Aveva
dimenticato il portatile
aperto sulla foto e la bambina la guardava curiosa.
Le si era
avvicinata
giocherellando con i suoi boccoli arruffati.
«Sì,
sono io.»
«Che
bel micetto! Come si
chiama? E chi è questo signore che sta vicino a
te?»
Lou
tirò un profondo respiro.
«Il
micio è una femminuccia,
si chiama Katty ed era la mia gattina quando vivevo in
Finlandia.»
«Qui
hai i capelli lunghi
lunghi, Luly, e arancioni come nella
foto con Mamy e zio Simone!»
«Sì,
tesoro.»
«Sono
più belli.»
«Non
ti piacciono come li ho
adesso?»
Lilly si
girò a guardarla
attentamente e scosse la testa.
«No,
mi piacciono i capelli da
sirena. Sei più bella.»
«Ok,
allora me li farò
ricrescere, sei contenta?»
«Sì.
Luly, chi è questo
signore?»
Lou sorrise:
aveva
tergiversato sperando di distrarre la piccola ma non avrebbe smesso di
chiederglielo finché lei non avesse risposto.
«Questo
signore è il ‘Principe
della Torre’.» – disse senza pensarci.
La bambina
tornò a guardarla stupita
con la boccuccia aperta.
«Davvero?
E adesso dove sta?»
«È
rimasto in Finlandia, con
la mia micetta.»
“Ma cosa
diavolo sto dicendo? Perché le sto raccontando queste
cose?”
«E ti
stanno aspettando? Non
ti manca la tua micetta?»
Lou
tornò ad avere un tuffo al
cuore.
«Sì,
mi manca molto Katty…
anche se era dispettosa.»
«Come
me?»
«Sì,
un po’ come te!» – rise
Lou, baciandole il naso.
«Mi
piace la tua gattina. E
anche questo signore mi piace. Perché non gli dici di venire
qui da noi e di
portare la micetta, così fa amicizia con Natale e poi si
sposano e io poi ho
più gattini di Valentina?»
“Già…
perché non lo hai fatto, stupida?”
Come faceva a
spiegare a
quella bambina cose che non sapeva neanche spiegare a se stessa?
«Perché
la casa di Katty è in
Finlandia e qui non le piacerebbe. È una gattina viziata: le
piace stare nella
neve, sai?»
Lilly storse il
naso
contrariata.
«Possiamo
darle il gelato,
così non fa i capricci!»
Nella sua logica
di bambina, il
discorso non faceva una piega.
«Come
si chiama il signore?»
Lou
sospirò.
«Ville.»
La sua voce
accarezzò quel
nome con dita invisibili.
«Ville?
– lo ripeté
ridacchiando – Che nome buffo, però mi
piace.»
«Anche
a me piace.»
«Però
non si vede tutta la
faccia. Mi fai vedere una foto dove si vede, Luly?»
«Non
ne ho, tesoro.»
«Uhm…
- borbottò delusa la
bambina- Allora digli di mandartela perché la voglio vedere
io.»
«Va
bene.» – le disse in
fretta per accontentarla.
«È
il tuo fidanzato?»
«No,
Lilly non è il mio
fidanzato ma gli voglio bene anche se è passato tanto
tempo.»
«Non
fa niente: anche io
voglio bene alla mamma anche se è passato tantissimo
tempo.»
“Non
piangere. Non piangere. Non davanti a lei.”- si diceva
deglutendo a ritmi regolari.
«Hai
ragione, è così.»
Aveva poi
cercato di sviare
l’attenzione della bambina leggendole delle favole nuove, o
disegnandole nuovi
personaggi, fino a farle dimenticare quella foto.
Fino a poco
prima quando nel
dormiveglia Lilly le aveva chiesto: «Luly, ma se il signore
della foto è il
Principe della Torre, tu sei la Principessa Perduta?»
«Forse,
tesoro.»
«Okay…
domani io telefono e
gli dico che ti ho ritrovata, così mi fa vedere la
Torre…»
E si era
addormentata con un
sorriso e il progetto di far sì che la sua fiaba preferita
avesse il finale che
pretendeva.
Si
alzò sospirando di nuovo,
avvicinandosi alla foto che la ritraeva con Mara e Simone.
Avrebbe tanto
voluto che la
fiaba di Lilly fosse stata realtà.
Detestava
piangere: non lo
faceva mai e il risultato era quella enorme palla dolorosa che aveva al
centro
del petto.
“Concediti
un pianto e inizia a dimenticare sul serio.”- si disse
duramente.
Lasciò
che solo per questa
volta le lacrime scivolassero lente fino a caderle mollemente lungo il
viso,
sulle mani, sulla mensola del camino e nel calore delle fiamme fino ad
evaporare.
"Angolo
dell'autrice:
Eccoci
di nuovo. Sì, lo so... è passato del tempo.
È
che ormai lo sapete, quindi è inutile che mi ripeta!
Stavolta
vi lascio ben 16 pagine di PippeMentali: farete scorta per un
pò, anche se non aspetterete tanto per il prossimo.
Siamo
in dirittura di arrivo e manca poco davvero alla fine. Beh, non mi
resta che lasciarvi per i soliti ringraziamenti!
Voglio
ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:
m a y h
e m, Dadda_HIM, Soniettavioletstarlet, Lady Angel
2002, cla_mika, katvil, arwen85,
DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, AlexisRose,
angelinaPoe, saraligorio1993.
Abbraccio
forte a tutte!
*Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a Massive Attack - Teardrop *
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima!
Baci
baci,
*H_T*
testo.
|
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Capitolo 32 *** Capitolo trentuno: "Beyond Redemption" ***
Capitolo
trentuno
"Beyond Redemption"
«È
temporaneo Lou, si tratta
solo di nove mesi, un anno al massimo: avrei voluto parlartene prima ma
c’era
sempre qualcosa a farmi rimandare. E poi aspettavo che Evangeline
assimilasse
l’idea… Non vuole saperne di lasciare questa casa
e tutto quanto. E la capisco.
Questo posto è diventata ormai anche la mia casa.»
Karl
la guardò con aria
contrita.
«Tranquillo,
non devi darmi
spiegazioni: voglio dire, è giusto che tu segua la tua
carriera universitaria.
Pensavo solo che sarà strano e brutto non vedervi per
così tanto tempo. Non
sarà facile abituarsi all’idea di dover aspettare
un anno prima di rivedervi.»
Cercò
di rendere la situazione
meno pesante, sorridendogli rassicurante. Fino all’ultimo
aveva sperato che Lilly
si fosse inventata tutto: a quanto
pareva Karl aveva ricevuto un incarico che non solo sarebbe stato
remunerato il
triplo di quanto guadagnasse ora, ma anche il suo curriculum ne avrebbe
giovato.
«Puoi
raggiungerci appena
potrai, e anche io non appena avrò qualche giorno libero,
prendo la bambina e
corro qui.»
«Ovviamente,
verrò con
piacere. Come ti organizzerai con Lilly e
l’asilo?», chiese riluttante. L’idea
di allontanarsi dalla piccola le risultava di minuto in minuto sempre
più
intollerabile.
«Non
ne ho idea; lei parla
bene il tedesco quanto l’italiano, quindi la lingua non
sarà un problema. Mi
preoccupa di più l’ambiente, il sistema educativo
è molto diverso e temo che
mia figlia non si abituerà facilmente.
C’è mia madre ad aiutarmi, naturalmente,
e le mie cognate che hanno dei bambini piccoli e spero che questo possa
rendere
meno duro il distacco a Lilly, da tutto questo.»
«È
un bene allora che tu abbia
una famiglia numerosa: alla peste farà bene vivere con i
suoi cuginetti.»
«Sì…
io e Mara abbiamo sempre
desiderato qualcosa di simile. Avremmo voluto dare presto dei fratellini
a Evangeline ma…»
Lou
gli accarezzò la schiena
larga.
«Lo
so.»
Karl
tornò a lavare con cura
le stoviglie sporche mentre lei rimetteva a posto, asciugandole man
mano che
l’uomo gliele passava.
Il
rientro di Karl quel
pomeriggio non aveva avuto l’accoglienza che sperava: la
piccola era ancora
irritata con lui e lo aveva ignorato per gran parte del tempo.
«Come
ve la siete cavata voi
due?», chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Bene,
come sempre: è stata
stranamente buonissima e calma. La febbre non fa che salire e scendere
di
continuo, ma mai troppo alta.»
«Tu
stai bene? – la guardò
attentamente – Mi sembri stanca e hai gli occhi lucidi: non
avrai la febbre?»
«Sì,
ma non è nulla: è che ho
lasciato dormire Lilly con me. Lo so che non approvi, ma si svegliava
di
continuo la prima notte e non era il caso di fare avanti e dietro dalla
mia
camera alla sua.»
«Le
lasci fare sempre quello
che vuole. Come me, del resto.», rise Karl divertito.
«Non
posso farci nulla: sa
perfettamente come fregarmi.»
«Già:
Mara ne sarebbe stata
orgogliosa. Lei adorava le personalità forti e testarde. E
Lilly le somiglia
molto, per certi versi: ha la stessa caparbietà e quando
vuole qualcosa, niente
e nessuno può dissuaderla.»
«È
proprio vero, sono
identiche. Avrà preso qualcosa anche da te, che
dici?»
«Lo
spero proprio!», sbottò
lui.
«Karl,
devo dirti una cosa e
ti chiedo scusa fin da ora. Lilly parlava di una foto con Simone e una
signora
che non conosceva; diceva di averla vista nella macchina fotografica
nel
comodino della mamma… non le ho dato peso, ma sai che sono
curiosa. Non volevo
invadere il vostro spazio. Ma ho trovato effettivamente la macchinetta
e ho
scoperto che era la mia. E non so come ci sia finita lì: non
ricordo di averla
avuta con me quando sono tornata da Helsinki…»,
lasciò la frase in sospeso
vedendo Karl accigliarsi pensieroso.
«Non
ricordavo neanche io,
fino a qualche giorno fa. Ho beccato la bambina a rovistare nei
cassetti e mi
ha chiesto di vedere cosa c’era nella macchinetta. Avevo
dimenticato che fosse tua
e il resto lo sai. Sai che non apro mai quei cassetti… non
li ho svuotati ma
non voglio neanche guardarli continuamente, così ignoro. Non
devi scusarti:
questa è anche casa tua, ricordalo sempre.»
Lou
ingoiò il groppo in gola:
aveva pianto abbastanza per quel mese.
«Non
sai come mai ce l’avesse
Mara?»
«Se
non ricordo male l’aveva
ricevuta dalla tua coinquilina insieme ad una lettera. Mara e Simone
quando
videro alcune foto erano discordanti sul da farsi: lui avrebbe
preferito
eliminarle e strappare la lettera. Mara invece pensava che un giorno ti
avrebbe
ridato tutto. Non voleva cancellare la tua foto con Ville.
Sai,
la trovava così bella…
diceva sempre che non ti aveva mai vista così.
Diceva
che anche da quella
semplice foto capiva tante cose di voi due: la sua spavalderia e allo
stesso
tempo paura di quello che eri per lui; la tua arrendevolezza ma col
timore che
tutto finisse.
“Guarda
come lui la tocca: la sfiora e la stringe contemporaneamente. E
lei… Non le ho mai visto questa serenità sul viso
quando era con Andrea.
Dovrebbero essere insieme.”
Lo
diceva sempre e guardava
quella foto per ore.»
Perché
Mara non le aveva mai
detto nulla? Da Simone ormai si aspettava di tutto, ma Mara…
non le aveva mai
nascosto niente.
«Cosa
diceva la lettera di
Nur?», chiese con un filo di voce.
«Poco
e nulla in realtà. Era
ancora delusa e ferita, forse non pensava davvero quello che scriveva
ma era
chiaro che teneva a te. E voleva che tu tornassi a Helsinki, da lui.
Voleva che
qualcuno di noi ti convincesse a farlo. E ti ha mandato quella foto di
proposito: per ricordarti cosa avevi.»
«Sì,
lo immagino. Dov’è la
lettera?»
«Credo
nello stesso posto dove
hai trovato la macchina fotografica. Vuoi leggerla?»
Lou
ci pensò a lungo.
«No.
È una lettera che Nur ha
scritto a Mara e non ho voglia di tornare indietro di nuovo: mi sono
bastate le
foto. È ora che giri pagina.»
Karl
la guardò con un sorriso.
«Lou,
non ci credi neanche tu
quando dici queste cose: sai bene che non dimenticherai Ville tanto
facilmente.
E a mio parere non devi. È stato bello con lui, ti ha resa
felice anche se è
durato poco. Ricordalo, ma non rimpiangerlo. Vai avanti così
come stai facendo
ora e porta con te quei momenti.»
«Ci
provo.»
«Lo
so…»
«Vorrei
anche poterti dire che
troverai un altro e lo amerai allo stesso modo, ma sappiamo entrambi
che è una
bugia. Posso solo sperare e augurare a te di amare ancora, anche se non
come
hai fatto con lui.»
*****
«Lou! Lou! Lou!»
La
voce di Simone intervallata
a tre colpi di seguito la svegliò dal sonno.
«Va
via, *Sheldon dei poveri!
Non è aria!», rispose stizzita, starnutendo.
«Apri
daaaaai! Beppe mi ha
detto che stai male da giorni! Vuoi una zuppa calda, un panno bagnato
sulla
fronte, due coccole?»
«Ti
ho detto di andare via!
Non sto bene!»
«Sono
qui per questo! Apri
questa dannata porta o la butto giù!»
Lou
imprecò coloritamente, si
alzò dal divano e aprì la porta, furiosa.
«Oh
merda!»
«Mi
auguro vivamente che tu
abbia avuto il morbillo da piccolo, perché sto per
starnutirti in faccia.»
Simone
tentò di reprimere la
risata nel vedere il viso minuto della sua amica cosparso di bollicine
rosse.
«Stai
lontana da me, Pimpa! –
disse arretrando e ridendo allo stesso tempo – Hai un aspetto
terribile! E la
voce da travestito!»
«Tanto
meglio: così non verrò
alla tua sfilata.»
«Antipatica.
Ti ci trascinerò
per i capelli, stanne certa! – disse continuando ad arretrare
– Okay, ti mando
Beppe. Io mi sono ricordato di avere una cosa da fare.»
«Questa
cosa ha i suoi lati positivi,
– sibilò Lou – se ha
il potere di tenerti lontano!»
«Non
ti libererai così
facilmente di me, donna!», le urlò chiudendosi la
porta del suo appartamento
dietro.
Lou
sbattè la sua, tornando ad
imprecare.
Si
sentiva uno straccio.
Tre
giorni prima si era
svegliata e specchiandosi aveva notato macchie rosse su tutto il viso.
«Non
ci credo! Non può essere
vero!»
Aveva
chiamato sua madre in
preda al panico.
«Ma’,
non avevi detto che da
piccola io e Livio abbiamo preso il morbillo a scuola?»
«Come
al solito non ascolti
mai quando parlo: no, era la varicella. Perché me lo
chiedi?», aveva chiesto
la genitrice che non mancava mai di infilare un rimprovero anche nella
frase
più semplice.
«Niente.
Chiedevo.»
Sua
madre aveva indagato e
fatto domande fino a che lei, esasperata aveva risposto che forse la
piccola
Lilly l’aveva contagiata. Allora le aveva intimato di correre
dal dottore
immediatamente: aveva sentito di tragedie accadute a chi contrae il
virus in
età adulta. Lei aveva sbuffato: tipico di sua madre
annunciare cataclismi, lo
faceva anche per un semplice raffreddore. Ma una volta chiusa la
conversazione
aveva controllato su internet ed effettivamente era rischioso. Presa
dalla
fifa, era andata dal medico curante che l’aveva riempita di
antipiretici, sedativi
per la tosse e ogni altro medicinale possibile. Così da due
giorni arrancava
per casa, dolorante e debole e con la voglia di scorticarsi viva, tra
un
aerosol e il water.
Il
dottore l’aveva rassicurata
che sarebbe passata da sola, ma che doveva nella maniera più
assoluta stare a
riposo. La piccola invece Lilly aveva già superato la fase
acuta del morbillo
ed era tornata all’asilo.
«Ti
“fastidiano” le bollicine,
Luly? A me sì, mi sono grattata le crosticine, tu
però sei grande non devi
farlo!», aveva detto la piccola la sera prima al telefono.
«Sì,
mi danno fastidio. –
aveva ghignato lei tra un colpo di tosse e l’altro
– Come stai, peste? Ti senti
meglio ora?»
«Sì,
Valentina mi ha portato
un orsacchiotto di nome Teddy, Luly: dice che ci posso anche
dormire!»
La
bambina aveva continuato a
raccontarle le sue giornate, concludendo che le mancava e tornare
presto da
lei.
Tra
meno di due settimane Karl
e Lilly si sarebbero trasferiti e lei sperava di riuscire a star meglio
per
poterli salutare. Doveva trovare un modo per impegnarsi tanto da non
pensare
alla bambina così lontana da lei e impedirsi allo stesso
momento di uccidere
Simone nel sonno o buttarlo giù dalle scale.
Un
altro bussare alla porta,
questa volta discreto e pacato: doveva essere Beppe.
«Lou?
Sei presentabile? Posso
entrare?», chiese lui a voce bassa.
«Entra,
non hai le chiavi?», sbottò infastidita,
aprendogli.
Beppe
entrò infilando la testa
a metà, sorridendole.
Lei
si sentì subito più serena
e ricambiò il suo sorriso.
«Certo
che le ho – sussurrò,
sbirciando dietro di sé – Ma il pazzo furioso se
sa che me le hai ridate dopo
avergliele sequestrate, le pretenderebbe. Sarebbe capace di rubarmele
per
farsene fare una copia.»
Entrò,
richiudendo veloce la
porta e la sbirciò attento.
«Ti
ho portato qualcosa di
buono.»
Avrebbe
voluto abbracciarlo e
farsi coccolare: Beppe era l’unico in grado di calmarla
all’istante.
«Cosa
mi hai portato? La tua
crostata di mele? Ti adoro: sposami, ti prego! Lascia quel
rompiballe e scegli me.»
Lui
scoppiò a ridere
lisciandosi il pizzetto, imbarazzato.
«Sai
che lo farei subito se…
beh, se mai dovessi improvvisamente cambiare rotta, sarai la prima a
cui
penserò!»
Lou
sbuffò, seguendolo mentre
lui si dirigeva in cucina per tagliarle un pezzo di crostata; mise a
scaldare
del latte con miele e il tutto senza smettere di sorriderle placido e
chiacchierare.
«Come
sta Karl? Gli serve una
mano per impacchettare tutto?»
Beppe,
sempre pronto a
mettersi a disposizione di tutti. Nei mesi passati con Mara e Karl
nella loro
casa aveva imparato a volergli bene, ad affidarsi a lui ciecamente.
«Non
ne ha parlato: ho
dimenticato di chiederglielo in realtà…»
«Domani
lo chiamo: magari
possiamo andare tutti insieme e stare lì con loro per un
po’, che ne dici?»
«Ci
avevo già pensato, in
effetti: l’idea di Lilly lontana non mi va ancora
giù. Penso che dovrò farmene
una ragione prima o poi…»
«Si
tratta di pochi mesi, Lou.
E potrai sempre prendere un aereo e andare da loro, quando ti
mancheranno.»
«Lo
so.»
«E
allora piantala di pensare
in negativo, tesoro.», disse con dolcezza, tirando su gli
occhiali scesi sul
naso.
«Ora
pretendi un po’ troppo.», disse tetra.
«Eh,
effettivamente. C’è
qualcosa che non va? Oltre la partenza, intendo.»
«Ho
trovato la mia vecchia
macchinetta digitale e il suo contenuto: tu ne eri al
corrente?»
«Sì.
E non ero d’accordo nel
tenerti nascosta una cosa così: a mio parere non hanno fatto
che prolungare la
tua ripresa. Ma non mi andava di discutere con Simone in un momento
simile:
Mara era preoccupata per te e non volevo infierire. Anche Karl disse
che era
ingiusto tenertelo nascosto: disse che non eri una bambina sprovveduta
e che te
la saresti cavata. Era solo una foto, bellissima tra
l’altro…»
«Mi
hanno sempre trattata da
bimbetta dopo la faccenda di Andrea. E non lo sopporto. È
anche colpa mia: ho
la brutta abitudine di crollare improvvisamente dopo mesi in cui faccio
finta
di essere forte.»
«E
lo sei, forte. Ma sei umana,
come tutti noi. Anche tu hai bisogno di una spalla sulla quale
piangere, ma
loro due hanno esagerato. – le fece segno di precederlo sul
divano, mettendole
una tazza fumante tra le mani - Nell’intento di volerti
evitare una sofferenza
hanno sbagliato ugualmente. Ho sempre pensato che se tu avessi visto
quella
foto, saresti tornata da lui. Mi sbaglio?»
Lou
si sedette stanca come se
avesse scalato una montagna e lasciò che Beppe la coprisse
premuroso col plaid.
«Probabilmente
hai ragione: se
avessi visto quella foto prima sarei tornata di corsa da lui, con la
coda fra
le gambe, pregandolo di perdonarmi. Ed è per questo che loro
due hanno evitato:
mi conoscono troppo bene. Sapevano che mi sarei umiliata per lui. E
hanno
deciso che era meglio per me che Ville non esistesse
più.»
«Non
ne avevano il diritto.»
«No,
ma io ero decisa a
rimanere qui, e non sentivo ragioni. È stata colpa mia,
soltanto mia, per come
sono andate le cose: loro hanno cercato di proteggermi, anche se non
è servito,
lo hanno fatto in buona fede…»
Beppe
sospirò, rilassandosi
sul divano.
«Siamo
tutti così complicati.
Ci rendiamo la vita impossibile a volte anche quando non ce
n’è bisogno.»
«Il
tuo fidanzato in questo è
uno specialista.», borbottò lei lugubre, soffiando
sul latte bollente.
«Sai
che ti darà il tormento
per il concerto, vero?»
«Lo
ammazzerò prima. Così tu
sarai costretto a sposare me.»
«Tesoro,
sono completamente, e
senza via d’uscita, perso per lui.»
«Che
culo.»
Beppe
scoppiò a ridere
nuovamente, abbracciandola.
«Lo
sai meglio di me che è
così solo con chi ama davvero: dovresti preoccuparti se
iniziasse ad ignorarti.
È lì che capisci che non gli importa nulla di te.
Ti vuole bene, Lou.»
«Ripeto:
che culo. Mi sta bene
che tenga a me, ma mi sembra di avere mia madre nei momenti peggiori a
rimbrottarmi e controllarmi continuamente.»
Lou
si accoccolò sulla sua
spalla, soddisfatta di poter avere la sua razione quotidiana di
dolcezza. «Sono
andata via da casa dei miei dopo due mesi che ero in Italia! Pensa a
questo! E
vengo qui per trovarmi una suocera bisbetica sul pianerottolo. Non ho
la tua pazienza,
tesoro…»
«So
anche questo: è una
fortuna che ci sia io a fare da cuscinetto fra voi. Vi sareste
ammazzati tempo
fa, altrimenti.»
«L’offerta
di mollarlo e stare
con me è sempre valida.»
«Se
continui a proporti
inizierò a pensare che tu parli sul serio, Lou.»
Lou
rise sotto i baffi.
«Ci
guadagneremmo entrambi: io
sarei un’ottima colf, tu un ottimo cuoco. Il sesso possiamo
far finta che non
esista.»
«Bevi
il tuo latte e dormi:
stai iniziando a delirare.»
*****
«Questo
è l’ultimo pacco!», disse Beppe ansando.
«Quanta
roba: neanche il
discendente di Mariantonietta di Francia qui presente, –
disse Lou indicando
Simone – porterebbe con sé tanta roba!»
Karl
si schernì, ridacchiando.
«Lo
so: ma Evangeline ha
portato quasi tutto quello che aveva in camera: perfino la lampada con
le
stelle.»
«La
mia piccola principessa ha
preso tutto da me!», disse Simone orgoglioso prendendo in
braccio la piccola
peste che se la rideva.
«Non
c’è mica da vantarsene.»,
borbottò Lou di pessimo umore.
L’imminente
partenza di quella
che considerava la sua famiglia, la rendeva più astiosa del
solito.
E
fingere non era più il suo
forte. Erano tutti lì ormai da due giorni, per aiutare Karl
a sistemare le
ultime cose nel suo fuoristrada, la sera prima della partenza. E per
tutto il
tempo Lou aveva avuto l’umore altalenante tra crisi di
pianto, istinto omicida
verso Simone e iperattività da ansia.
Quel
pomeriggio mentre
preparava la pizza per la cena, Lilly si era avvicinata zampettando
eccitata
con le braccia nascoste dietro la schiena.
«Ho
una cosa per te, Lulina:
chiudi gli occhi!», le aveva detto saltellando sul posto.
«Okay,
non mi disegnare i
baffi però!»
«No,
io sono brava!»
Si
era inginocchiata e aveva
chiuso gli occhi.
Lilly
le infilò qualcosa al
collo, tirandole via mezzo scalpo.
«Ora
puoi aprirli!», aveva
strillato, continuando a saltellare.
Lou
aveva guardato il ciondolo
che la bambina le aveva messo: una piccola e perfetta conchiglia
bianca, lucida
e tonda pendeva da un nastro viola.
«Girala,
girala!»
Contagiata
dall’entusiasmo della
piccola era scoppiata a ridere, per bloccarsi immediatamente dopo. Sul
retro
madreperlaceo della conchiglia Lilly aveva disegnato un cuore
con due lettere “L”
all’interno.
«Mi
ha aiutato zio Simone a
farla! Guarda: ci sono i nostri nomi vicini vicini! Luly e Lilly! I
nostri nomi
si somigliano di più così, vero? Così
anche se siamo lontane, tu stringi la
collana e fai finta che io ti sto dando un bacino! Ne ho una uguale
anche io!», aveva tirato fuori dalla t-shirt un ciondolo
simile in tutto e per tutto al
suo.
«Tesoro…
- aveva bisbigliato con
gli occhi lucidi – È bellissima. Sei
stata proprio brava a disegnare il cuore…
grazie. Lo terrò sempre con me, va bene? Sai che sei la cosa
più importante
della mia vita? E che mi mancherai tanto?»
«Anche
tu mi manchirai,
- aveva
detto la bambina con
aria seria – ma torno presto, ha detto Papy. E se ti chiamo
perché mi manchi
tanto, verrai da me?»
«Ma
certo che verrò, tesoro.»
«Okay.
Ti voglio tanto bene,
Luly!»
«Anche
io, piccola.»
L’aveva
stretta forte, prima che
la bambina potesse vederla piangere come una stupida.
Detestava
il solo pensiero di
non poterla più vedere. Detestava che quella fosse
l’ultima giornata che
passassero tutti insieme prima di potersi rivedere.
Karl
le batté sulla spalla,
confortante.
«Vuoi
venire con noi?», ghignò.
«Potrei
prendere la tua
proposta seriamente: fosse solo per il fatto di allontanarmi per un
po’ dallo
stilista pazzo.»
«Guarda
che ti ho sentita.», sibilò gelido, Simone.
«Era
questo l’intento.»
«La
smettere di
punzecchiarvi voi
due ?
Evangeline, puoi dire allo zio Simone e Luly di non litigare in nostra
assenza?»
«Zio,
Luly: ha detto papy che
non dovete litigare.», disse compita la bambina, suscitando
l’ilarità
generale.
«Andiamo
dentro: ho una fame
cosmica. – disse Simone, dando una pacca sul sedere del suo
fidanzato – La colf
che ci ha preparato di buono?»
«La
pissaaaaa! –
urlò la piccola – Io l’ho aiutata a fare
tutto! Vero,
Luly?»
«Ma
certo, peste. Sei stata
bravissima.»
«Tesoro,
sarai un’ottima cuoca
da grande: non come zio Simone!», rincarò Beppe.
«Sì,
però zio è chic.»
Simone
fece un ghigno.
«La
bocca della verità ha
parlato.»
Lou
si accinse a tornare
all’interno della casa e la piccola chiese di scendere dalle
braccia di Simone
per affiancarla, dandole le mano.
«Forza,
muovete le chiappe,
maschi!», disse la bambina ridendo.
«Evangeline!»,
esclamarono in
coro Karl, Lou e Beppe.
Simone
seguì in fila indiana
la sua stramba famiglia, ridendo con gusto.
*****
«Lou,
è tutto perfetto. Sei
come sempre un amore. Anche se l’uscita del libro
è stata posticipata tu sei
stata l’unica tra tutte le illustratrici a consegnare in
anticipo tutte le
tavole! Ti adoro!»
Sara,
la ragazza che si stava
occupando dell’editing e della grafica del libro le parlava
al di là del
cellulare, mentre lei si affannava correndo e scansando persone per non
perdere
la metropolitana intasata dell’ora di punta.
«Sara,
sono felice! Ti sento
male, sto per salire in metro: se cado, ti richiamo io, ok?»
«Tranquilla,
volevo solo salutarti:
in ogni caso ti ho spedito una mail con tutti i dettagli. Appena puoi,
rispondimi. Ci sentiamo, devo andare: la “capa” mi
sta facendo segno di andare
da lei!»
«Okay,
a dopo Sara! E grazie!»
Lou
saltò al volo all’interno
del vagone un istante prima che le porte si chiudessero.
“Odio
questa città. Odio i mezzi pubblici. Odio la
gente!”, pensò
in uno slancio di insofferenza.
Un
ragazzo gentile le offrì il
suo posto e lei lo guardò esterrefatta: nessuno ormai aveva
più gesti di
gentilezza simili.
«Prego
signora, si sieda
pure!»
“SIGNORA?!”
Lou
avrebbe voluto prendere la
sua testa ben pettinata e sbatterla ripetutamente sul vetro.
Ringraziò con un
sorriso tirato il ragazzo che come unica colpa aveva quella di essere
gentile ed
educato con una strega acida e irritabile come lei.
Si
sedette chiudendo gli
occhi: non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Il
suo lavoro part-time presso
una piccola libreria non le rendeva di certo la vita meno amara; era
fortunata
ad aver trovato quel piccolo lavoro, seppure mal pagato.
Poteva
mugugnare e parlare
solo se necessario e a bassa voce, non doveva essere per forza tirata a
lucido
o essere alla moda. Come le diceva sempre Simone, era la perfetta
bibliotecaria
attempata e zitella: acida e scontrosa.
Ripensò
al suo lavoro a
Helsinki: le sembrava lontano anni luce.
Sospirò
a voce alta, attirando
l’attenzione della signora seduta accanto a lei.
Le
sorrise automaticamente e
questa la fulminò con gli occhi.
“Dammi
la pazienza.” – pensò Lou sempre
più irritata.
«Lù?
Sei proprio tu?»
Lei
seguì con gli occhi la
voce che la chiamava, con una sensazione di freddo improvviso
nonostante il
caldo soffocante all’interno della carrozza.
“No,
aspetta non darmi la pazienza: dammi un cappio e facciamola
finita!”.
Il
suo ex ragazzo Andrea,
seduto di fronte a lei la guardava con gli occhi quasi fuori dalle
orbite.
Due
milioni di abitanti e lei
beccava il suo ex, sulla stessa tratta di metropolitana, in mezzo a
mille altre
persone.
«Andrea…»
La
metro si fermò bruscamente
e gran parte delle persone si accalcarono per scendere, mettendosi fra
loro.
Continuava
a guardarla
costernato.
Si
chiese che avesse mai di
strano perché lui la guardasse in quel modo.
«Se
non avessi sospirato, non
ti avrei riconosciuta…», disse alzandosi
improvvisamente e sedendosi accanto
a lei, nel posto lasciato vuoto dalla signora simpatica quanto una
colica di
poco prima. Lou lo guardò più attentamente
notando che non aveva più l’aspetto
patinato e perfetto di quattro anni prima. I suoi capelli erano
più radi sulla
fronte e aveva rughette intorno agli occhi, e intravedeva anche qualche
filo
grigio qui e là. Non che questo lo rendesse meno attraente.
Tutt’altro.
«Cosa
ci fai qui a Roma?», chiese sorridendole.
«Ci
vivo.»
«E
da quando? Ti ho lasciata a
Helsinki…»
«Mi
stai seguendo per caso?», scherzò ironica.
«Sono
qui da qualche
settimana… mia madre non sta bene e sono venuto qui per
assisterla.»
«Mi
spiace…», biascicò, pentendosi
subito di essere stata brusca.
«Sei
diversa.», disse
guardandola attentamente.
«Anche
tu… stiamo
invecchiando, vero?»
«Intendevo
che sei diversa anche
da come parli, qualcosa nella tua voce… come
guardi.»
«Mi
hai vista due minuti fa e
già noti tutte queste cose?»
«Ti
conosco da quindici anni,
Lù… so come eri.»
«Sì,
una stupida.»
Lui
abbassò gli occhi, non
rispondendo nulla.
«Mi
dispiace.»
«Per
cosa?» - chiese buttando un occhio alla fermata:
mancavano ancora due per la sua.
«Per
tutto quanto… per averti
delusa, trattata male, per averti tradita.»
«È
un po’ tardi per quello,
non credi?»
«Sì,
lo è, ti chiedo scusa
anche per questo…»
«Andrea,
è passato tanto
tempo… ho rimosso quasi tutto del nostro passato.»
«Anche
il fatto che eravamo
innamorati?»
«Io
lo ero.»
Lui
la guardò amareggiato. Quel
nuovo Andrea la stava depistando: cos’era tutta quella
consapevolezza? Era
diventato improvvisamente grande?
«Lo
ero anche io. Ti amavo
tanto.»
«Non
me ne sono mai resa
conto.»
«Lulù,
ti prego…»
«Non
sopporto quando mi
chiamano così.»
«Lo
so, scusa…»
Andrea
che chiedeva scusa era
fantascienza.
«Questa
è la mia fermata… devo
scendere. È stato… interessante
rivederti…», disse alzandosi.
«Aspetta,
posso accompagnarti fino
a casa?», chiese alzandosi a sua volta.
«Okay…
come vuoi.»
Scesi
nel caos della
metropolitana, tra centinaia di persone che scorrevano fra loro come un
fiume
umano, lui continuava a guardarla tenendole il gomito per
evitarle di sbattere contro i passanti. Quel nuovo Andrea attento e
premuroso
le faceva paura. E le faceva paura quello che vedeva nei suoi occhi. Le
camminava
silenzioso al fianco, sbirciandola di tanto in tanto.
Si
schiarì la voce,
continuando a camminarle sempre più vicino e guardarla con
la coda dell'occhio.
«Perché
hai lasciato Helsinki?
Avevo l’impressione che avessi finalmente trovato il tuo
posto nel mondo, l’ultima
volta che ci siamo visti.»
«Sono
successe cose che mi
hanno riportata qui.», rispose seccamente tagliando corto.
«Lo
so, ho saputo di Mara… mi
dispiace tanto. So quanto le volevi bene…»
Lei
non rispose, limitandosi
ad annuire.
«Ora
che fai? Stai lavorando?
Sei… fidanzata? Sposata?»
Lui
sorrise ironica. Ecco che
il vecchio Andrea sbucava e faceva le sue indagini neanche tanto velate.
«Ho
alcuni progetti di illustrazioni
e roba simile, lavoro part time in una libreria e… no: non
sono fidanzata o sposata.
E tu?»
Tanto
valeva fingere di fare
un’amabile conversazione: era quasi arrivata e presto si
sarebbe concessa una
lunga doccia e poi un bel film.
«Sì,
sono… sposato. E
divorziato.»
“Ah,
ecco.”
«Sophie?»
«Sì,
lei. Abbiamo una bambina.
Che non mi fa vedere quanto vorrei.»
«Mi
dispiace.»
«Anche
a me… Ti va di vederci
qualche volta? Come amici, ovviamente! Ci sono tante cose che vorrei
dirti.»
Lei
sorrise, serena e sicura
di sé una volta tanto.
«Non
credo sia una buona idea:
quello che dovevo dirti, quello che abbiamo avuto è passato
e ognuno di noi ha
la sua vita, ora.»
«Lù,
non voglio riallacciare i
rapporti con te, fidati di me. So bene di non essere degno della tua
fiducia e che
la mia parola per te vale meno di niente. Ho capito i miei sbagli: non
avrei
mai dovuto lasciarti per Sophie. Per nessuna al mondo avrei dovuto
farlo. Ma
l’ho fatto e me ne pento. Ogni giorno da allora. Vorrei solo
avere la possibilità
di chiederti scusa.»
«Lo
hai fatto, lo stai facendo.
Credo sia abbastanza così. – disse Lou guardandolo
seria – Ma credo anche che
vedersi “come amici” non ha alcun senso. Non siamo
mai stati amici noi due.»
«Potremmo
esserlo, se vuoi.»
Gli
lanciò un’ironica occhiata
esaustiva e chiara.
«Già…
avrei dovuto
immaginarlo. Me lo merito, del resto. È la stessa faccia che
ha fatto Nur quando
sono tornato a cercarti.»
«E
quando è successo questo?»
«Qualche
mese dopo essere
stato da te: Sophie mi aveva appena detto di essere incinta e io mi ero
fatto
prendere dal panico. Avevo bisogno di vederti. Non ero pronto ad essere
genitore, ero spaventato…»
«…e
hai pensato bene di
correre dalla stupida Lou, sperando che ti offrisse una via
d’uscita dalle tue
responsabilità.», concluse lei al suo posto.
«Sì,
speravo questo. – ammise
lui – Ma speravo anche che tu mi rivolessi indietro, che mi
volessi come mi
volevi un tempo.»
«Perché?
Tu non mi volevi. Io
non ero abbastanza bella, figa, cool e chissà
cos’altro, per te.»
«Tu
eri sempre stato il mio
porto sicuro. Me ne sono reso conto soltanto quando hai smesso di
amarmi. Solo
quando ti ho sentita lontana mi sono reso conto di quanto mi mancassi e
di
quanto fossi importante per me. Ma non ho mai saputo
dimostrarlo.»
«Beh,
le chiamano occasioni
perdute proprio per questo: se sapessimo riconoscere il loro valore
reale al
momento giusto, non ci comporteremmo da perfetti idioti. È
normale.»
La
bocca di Andrea si piegò in
una smorfia.
«Nur
me ne ha dette di tutti i
colori e aveva ragione. Non mi ha picchiata solo perché quel
cantante da
strapazzo era lì e le ha impedito di saltarmi al collo.»
«Cosa?
– chiese Lou con la
bocca improvvisamente secca – Di cosa parli?»
«Quel
damerino freddo e
rachitico che abitava di fronte: l’ho sempre detestato.
Così altezzoso e pieno
di sé, con quel suo sguardo gelido.»
«Ville
non è freddo e pieno di
sé, e di certo non è gelido! Non sai nulla di
lui, quindi sta’ zitto!» –
sbottò
lei, indispettita.
Lui
la guardò, curioso.
«E tu invece lo
conoscevi?»
Lou
aprì la bocca per
freddarlo, ma la richiuse di scatto.
«Senti,
ora devo andare. Sono
stanca.»
«Eri
tu… - disse lui ignorando
che avesse parlato, come folgorato da un’improvvisa
rivelazione – Eri tu
allora, la sua ragazza. Non Nur. Certo che non era Nur: non
è il tipo di uomo
che potrebbe piacerle…»
«Non
so di cosa tu stia
parlando ma ti sbagli.»
«No
che non mi sbaglio. Eri
tu. Ora tutto torna: Nur preoccupata che mi inveisce contro, lui
afflitto sul
divano, la canzone…»
«Ma
che cosa stai blaterando?
– chiese infastidita – Non riesco a
seguirti!»
«L’ho
sentito cantare in una o
due occasioni: sai in quei concerti per pochi intimi. A Sophie
è sempre
piaciuta la musica metal, anche se ho sempre avuto il sospetto che a
piacerle
fossero di più i metallari e di musica non capisse niente.
L’ho sentito cantare
una canzone, sentivo Sophie e le sue amiche commentare che fosse per
una
ragazza italiana… Ma non avrei mai pensato a te.
È così? Eri tu? Era lui quello
che vedevi?»
“Sarebbe
stato meglio perderla la metro oggi.”
«Sì.»,
ammise a denti
stretti.
«Capisco…
e lo amavi?»
«Sì.»
«Se
lui ti chiedesse di
rivedervi, diresti di sì?»
«Ma
che domande fai, Andrea?»
«Rispondi:
accetteresti?»
«Sì.
Accetterei.»
Lui
annuì.
«Quindi
è così. C’era lui e
c’è ancora.»
Lou
lo fissò esasperata.
«Andrea!
Davvero non so dove
vuoi andare a parare… stiamo parlando di cose accadute anni
fa. Che non ho
voglia di rivangare. E non dovresti farlo neanche tu.»
«Hai
ragione, come sempre… -
sospirò rassegnato – Beh, per quanto possa valere
credo che se ancora provi
qualcosa per lui, dovresti dirglielo. Anche se a lui non importa
più di te. Fa
bene in ogni caso togliersi un peso dal cuore.»
Lou
continuava a guardarlo e
pensare che fosse impazzito e nello stesso tempo che stesse dicendo una
delle
cose più sensate mai uscite dalla sua bella bocca virile.
«Ed
è così che ti senti ora?
Ti senti più leggero ora che mi hai chiesto
scusa?», chiese sbrigativa e più
duramente di quanto volesse.
«Sì,
mi sento meglio.»
“Bene:
almeno uno dei due è felice oggi.”
«Sono
contenta per te. Ora
vado. È stato… mi ha fatto piacere rivederti.
Spero per te che le cose vadano
meglio d’ora in poi.»
Le
si avvicinò, abbracciandola
improvvisamente e stringendola a lungo.
Aveva
dimenticato com’era
stare tra le braccia dell’uomo che un tempo aveva amato
disperatamente, aveva
dimenticato l’odore della sua pelle e per un attimo fu come
tornare a casa, ma
fu incapace di ricambiarlo. Lasciò cadere le braccia lungo i
propri fianchi,
rimanendo immobile.
«Se
potessi tornare indietro…
- sussurrò lui – Se potessi rimediare a tutto e
tornare ad essere quelli che
eravamo una volta. Darei qualsiasi cosa ora, perché tu mi
guardassi ancora come
facevi prima…»
Lei
rimase senza parole, non
sapeva cosa dirgli, cosa rispondere ad un Andrea così
diverso da come lei lo
conosceva. Sarebbe stato più facile avere a che fare con il
ragazzo presuntuoso
e immaturo di un tempo, che imprecava e pretendeva che tutto fosse come
lui
voleva. Le sarebbe piaciuto rispondere in qualsiasi modo e non rimanere
in
silenzio. Ma rimanere muta fu esattamente quello che fece.
Andrea
si staccò da lei e la
guardò di nuovo.
«Stammi
bene, Lù!», sussurrò infine
non aspettando una risposta, voltandosi e camminando velocemente.
«Anche
tu, Andrea…»
Fissò
la sua schiena diventare
sempre più piccola e poi sparire all’incrocio.
Non
era cambiato nulla nel suo
mondo, eppure si sentì un po’diversa: come se
qualche tassello mancante si
fosse assestato. Forse Andrea aveva ragione: parlare e togliersi dal
cuore un
peso portato per anni aiuta a sentirsi meglio. Fino
all’ultimo aveva pensato di
dirgli del loro bambino mai nato. Aveva preferito non farlo. Non
avrebbe fatto
altro che fargli rimpiangere tutto ciò che aveva perso e per
quanto la gente
dicesse che la vendetta è un piatto che va servito freddo,
lei preferiva di
gran lunga dimenticare.
Sospirò
di nuovo con un senso
di amarezza per gli anni passati ad amare Andrea e che ora per lei non
avevano
alcun significato. Sarebbe stato così anche con Ville? Ci
sarebbe stato un
tempo in cui lo avrebbe solo ricordato con rimpianto senza sentire
più nulla
nel cuore pensando a lui? Una parte di lei voleva credere che per
quanto tempo
potesse passare, Ville sarebbe sempre stato presente e vivido nei suoi
ricordi
come nel cuore.
*****
Simone
saettava per la stanza
imprecando a destra e manca contro chiunque gli capitasse a tiro.
Beppe
scambiò un’occhiata
rassegnata con Lou che alzava di tanto in tanto lo sguardo dallo
schermo del computer per osservare il suo amico,
accigliata.
«Ti
dai una calmata? Andrà
tutto bene.», disse Lou piccata.
“Sta’
zitta, traditrice! Mi
hai mollata all’ultimo minuto e ho dovuto allungare di dieci
centimetri il
vestito da sposa che avevo creato per te! Me la paghi!»
Lou
sbuffò, logorata. La
sfilata di Simone che si sarebbe tenuta giorno successivo era pronta
nei minimi
dettagli, tutto era perfetto e lui continuava ad agitarsi e correre a
caso per
l’appartamento.
«Tesoro,
ti va un bagno
caldo?», provò a dire Beppe prima di essere
interrotto bruscamente.
«Per
cortesia, non ti ci
mettere anche tu, okay? Ho già abbastanza agitazione
addosso, ci mancate soltanto
voi con la vostra calma!»
«Oh
per la miseria, ora stai
esagerando! - sbottò Beppe esasperato,
alzandosi repentino – Lou, usciamo e andiamo a fare un giro.
Non ne posso più
di star qui a subire il suo ingiustificato malumore!»
«Ecco,
sparite. È meglio!», replicò
l’altro, velenoso.
Lou
seguì con piacere Beppe
afferrando al volo la tracolla.
Scesero
in silenzio i sette
piani di scale. Beppe era davvero arrabbiato questa volta. Lou
sospirò di
nuovo: egoisticamente ne era felice perché il suo amico,
preso com’era dalla
sua sfilata, aveva dimenticato il concerto degli HIM e smesso di
tormentarla.
«È
impossibile stargli vicino
quando è così…
così…», esclamò Beppe
camminando infuriato, non appena misero
piede all’esterno del palazzo.
«Così
Simone? Già, lo so.», disse Lou, faticando a
tenergli dietro.
«Non
lo sopporto quando è così
esagerato. Rende la vita invivibile a tutti!»
«Ora
calmati e rallenta: le
mie gambe non sono lunghe quanto le tue!»
«Oh,
scusa… - rispose
adeguando il passo a quello di Lou – Non so come comportarmi
con lui.»
Lou
alzò le spalle e infilò un
braccio sotto quello di Beppe.
«Mandalo
al diavolo e fuggi via
con me.»
«E
dove vuoi andare?», chiese
lui, stando al gioco.
«Ovunque
ci porterà il vento…
l’importante è che sia lontano dallo stilista
isterico.»
«O
il cuore…»
«Quello
è meglio non seguirlo. Porta solo guai.»
Lou
respirò a pieni polmoni.
L’aria autunnale le piaceva: amava l’odore della
pioggia sui ciottoli ancora
tiepidi.
«Sei
sempre sicura di non
volere andare al concerto? Puoi cambiare idea quando vuoi: i biglietti
ci sono.»
Lei
gli batté sulla mano.
«Sono
sicura. Non chiederlo
più…»
«Beh,
sai - disse allusivo – il vento potrebbe anche
portarti nello stesso posto del cuore.»
«Non
ci provare…»
«Ci
proverò sempre. – ribatté
lui – Vorrei vederti felice.»
«Ma
io lo sono: ho te, ho un
amico isterico che vorrei uccidere a mani nude un giorno sì
e l’altro pure, una
specie di lavoro che mi permette di mantenermi… Ho
Evangeline e Karl: cosa potrei
desiderare di più?»
Beppe
la guardò in tralice.
«Ti
manca l’unica cosa che
vuoi veramente.»
«Già,
ma è il prezzo che pago.
E no, – lo anticipò notando che lui
apriva la bocca per parlare e ribattere - non torno indietro. Quindi
non dire
più nulla.»
Lui
alzò entrambe le mani in
segno di resa e le passò un braccio intorno alle spalle.
Camminarono
per un po’ in
silenzio godendosi finalmente l’aria frizzante e il silenzio
della sera.
«Hai
sentito Karl? Come se la
passano?», chiese Beppe per cambiare discorso.
«Sì,
oggi… a dire la verità mi
è sembrato strano. Mi ha dato l’impressione di
essere molto preoccupato per la
piccola: non vuole andare all’asilo, non vuole giocare con
gli amichetti e i
cugini.»
«C’era
da aspettarselo: le
manca casa.»
«Già.
Sono in pena. Non so,
vorrei andare per qualche giorno e…»
«E
controllare che la bimba
stia bene. – le sorrise comprensivo - È
da te. Non ce la fai proprio a starle lontano.»
«Perché
tu sì? – gli rifilò un
pugno sul braccio – Sei solo più bravo a
nasconderlo.»
«Beccato.
È normale che le
manchi casa e che le manchiamo noi: lasciale il tempo per
abituarsi.»
«Umpfh.
Mi sento inutile qui.»
«Smettila.
Mi servi per
attutire i malumori del mio ragazzo che altrimenti sfogherebbe sempre
su di me.
Non puoi lasciarmi.»
Lou
rise, buttando indietro la
testa e lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Ah
beh, grazie eh!
Bell’amico!»
«Lo
so, faccio del mio meglio.»
Lo
squillo del cellulare
interruppe le loro risate.
«Deve
essere lui che mi ordina
di tornare a casa: – proruppe Beppe –
scommettiamo?»
Lou
ridacchiò sotto i baffi:
Simone sbraitava a inveiva e rompeva le scatole a tutti come
nessun’altro al
mondo, ma non sapeva vivere senza il suo Beppe.
«Sì?
Stiamo passeggiando. No,
per ora non abbiamo intenzione di tornare. – rispose Beppe
con voce imperturbabile
alla raffica di domande – Perché ci stiamo godendo
la nostra passeggiata. Come
vuoi, se preferisci andrò a dormire da Lou stanotte,
così non ti disturberò.
Perfetto. Buonanotte.», disse chiudendo la conversazione.
«Addirittura?
È così isterico
da cacciarti dal suo letto?»
«Beh,
se la facesse passare.
Una cosa è certa: io almeno dormirò sereno
stanotte!», disse aspro con un
ghigno.
«Mi
dai asilo politico?»
«Seratina
gelato e film
strappalacrime?», propose Lou.
«Andata.
E nel frattempo
cercherò di convincerti con la mia sottile arte della
persuasione ad andare al
concerto.»
Lou
tornò a ridere suo
malgrado.
«La
tua costanza mi lusinga,
ma perdi tempo.»
«Sarò
la tua goccia cinese,
donna: lenta ma inesorabile.», ridacchiò lui.
«Meglio
una goccia che il
bulldozer emotivo che è il tuo ragazzo.»
«Dai
torniamo a casa,
infiliamoci nei nostri pigiamini rosa e tuffiamoci sul divano a vedere
film
romantici e mangiare gelato fino a scoppiare!»
Lou
si strinse al suo braccio,
posando la testa contro la sua spalla.
«Lo
dico sempre che sei la mia
anima gemella!»
*****
Lou
schivava lesta, con un
cocktail in una mano e una birra per Beppe nell’altra, la
marea di gente che stazionava
nel locale minuscolo che avevano scelto per festeggiare il successo di
Simone
con pochi amici intimi.
Odiava
ogni singolo momento di
quel post-serata.
La
sfilata di Simone era stata
grandiosa: a due minuti dall’inizio si era completamente
rilassato e reso a
tutti le due ore successive, assistenti, modelle, parrucchieri e make
up artist,
una vera pacchia. Era stata una sfilata bellissima e lei era orgogliosa
del suo
amico. Tutto si poteva dire di lui, ma non che non avesse talento. Si
era
pentita di non aver accettato di indossare l’abito che Simone
aveva disegnato
per lei, quando lo aveva finalmente visto apparire.
Simone
aveva dato al tema
della sfilata quella del sogno e il vestito era così bello,
etereo e delicato,
quasi impalpabile, da dare sul serio l’idea che ci si
trovasse in un sogno. La
modella sembrava fluttuare sulla passerella: di certo indosso a lei non
avrebbe
sortito lo stesso effetto, ma lo aveva amato fin dalla prima occhiata
anche se
l’idea di indossare un abito da sposa seppur per finta, le
faceva venire
l’orticaria.
La
notte precedente, in preda
alla sua consueta insonnia, aveva maturato l’idea di andare
finalmente da
Evangeline e Karl. Inutile rimandare una decisione che aveva preso
nell’esatto
momento in cui guardava il fuoristrada allontanarsi dalla casa al mare.
Aveva
prenotato online il primo volo disponibile e preparato la valigia:
tanto valeva
sfruttare l’insonnia in modo produttivo.
Così
si era preparata una
tisana rilassante e vagato in rete senza una meta precisa. Non usava
spesso i
social network anche se era l’unico modo per rimanere in
contatto con i suoi conoscenti
in Finlandia e spulciando la home page capì anche il
perché: pullulava di video
e foto di Helsinki e lei sentiva ancora di più la nostalgia.
Tra i suoi
contatti non mancavano fan di ogni genere di band finlandese e gli HIM
non
erano da meno. C’erano diversi video e foto del primo dei tre
concerti che si
sarebbero tenuti in Italia.
Ci
aveva provato davvero a non
guardare e ignorare. Ce l’aveva messa tutta.
Ma
aveva aperto la foto e
fissato inebetita Ville.
Aveva
dimenticato quanto fosse
bello e quella foto non faceva che esaltarne ogni dettaglio.
I
capelli castani spuntavano
dal consueto beanie nero, arricciandosi in riccioli e onde fino a
sfiorare le
spalle. La sciarpetta immancabilmente nera, sopra la t-shirt
anch’essa nera.
E
il verde. Il verde vivido e
intenso dei suoi occhi.
Era
in pace come sempre quando
cantava, Ville.
Non
c’era traccia di
malinconia o altro in quegli occhi e lei ne era felice.
Aveva
guardato quella foto e
si era chiesta come aveva fatto ad andare via e vivere senza di lui per
tutto
quel tempo.
“Come
ho fatto a continuare la mia vita senza quegli occhi?”
Qualcuno
diceva che si può
morire per amore, ma lei l’aveva sempre ritenuta una grande
stronzata.
Si
può benissimo continuare a
vivere anche se ti mancherà per sempre un pezzo di anima.
“Perché
batte il cuore?”
Il
suo continuava a battere ma
sapeva anche perché non batteva più come prima.
Per
il momento aveva solo una
risposta a quella domanda, ed era negli occhi verdi di Ville fatti di
pixel ad
alta risoluzione, che nulla avevano però della loro bellezza
reale.
"Angolo
dell'autrice:
Sorpresaaaa! So che non ve lo aspettavate così presto, ma
dal momento che il capitolo è pronto da un bel pò
mi sembrava inutile rimandare! So che molte di voi hanno fatto i salti
di gioia nel ritrovare il defunto Andrea (la maiuscola ora se la merita
per avere ammesso di essere un emerito cazzone).
Allora? Che ne pensate? Sono riuscita a farvelo diventare un
pochino simpatico? Personalmente ho sempre amato i personaggi
controversi e con qualcosa di malvagio e non ammirevole: non so se
Andrea sono riuscita a dipingerlo a dovere, o è sembrato un
patetico sfigato, egoista.
Siamo alle battute finali e mi preme ringraziare prima di tutto mia
mugliera, Deilantha per
avermi fatto da Beta Reader fin da quando ho iniziato a postare su
questo sito, per avermi supportato e sopportato, per tutte le volte che
mi ha risollevato il morale e spronata. E in secondo luogo robpattzlovers
prima e eleassar per
essersi aggiunta successivamente: rinunciare a loro mi è
costato un pò: avevo paura di lanciarmi da sola, senza
supporto o consigli ma era un qualcosa che sentivo di dover fare per
poter camminare da sola d'ora in poi e acquistare quella sicurezza che
spesso ho cercato in loro.
Grazie infinite donne, per tutto quanto e voi lo sapete che penso,
quindi... tanto love a voi. <3
Voglio
ringraziare le gentili donzelle che hanno recensito l'ultimo capitolo:
Dadda_HIM,
eleassar
Lady Angel
2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon,
LilyValo, angelinaPoe, saraligorio1993, Izmargad.
*Molte di voi sapranno del mio amore viscerale, spassionato e
incondizionato per Sheldon Cooper di "The Big Bang
Theory" e non
potevo non citarlo almeno una volta in questa fic.
**Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a HIM -
Beyond Redemption (Love Metal).
E
niente...ci si rivedere per gli ultimi due, spero, capitoli!
Abbraccio
forte a tutte!
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima!
Baci
baci,
*H_T*
testo.
|
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Capitolo 33 *** Capitolo trentadue: "Northern Light, you call me home" ***
Capitolo
trentadue
"Northern
Light, you call me home"
«Guarda
Luly, ci sono i cerbiattoli!», disse
eccitata la bimba.
«Sono scoiattoli,
Evangeline.
Sono carini, vero?»
«Sì, come quello
dell’Era
Glaciale!»
«Vero, come
Scrat…», rispose
Lou, baciando i capelli della piccola.
Sei giorni prima al suo arrivo
a Colonia, aveva trovato una bambina diversa da quella che aveva
lasciato
l’Italia solo qualche settimana prima. Karl aveva ragione di
essere ansioso,
perché la bimba che conoscevano come vitale e combattiva era
diventata di colpo
timida e svogliata. Si era illuminata nel vedere
Lou e per un giorno intero non
era voluta scendere dalle sue braccia.
Karl aveva permesso alla
figlioletta di dormire con lei a patto che non diventasse
un’abitudine.
Aveva fatto bene a correre da
loro: il suo sesto senso le diceva sempre la cosa giusta.
Beh, quasi sempre.
La nonna della piccola al
contrario non era stata molto contenta del suo arrivo:
l’aveva squadrata con la
sua aria gelida e altezzosa, facendola sentire a disagio.
E lei dopo un primo
istante di
smarrimento aveva alzato le spalle e pensato che poteva andare a farsi
fottere
lei e la sua superbia. Aveva visto quella donna soltanto una volta
dalla
nascita di Lilly, al funerale di Mara e anche allora andava di fretta.
Era
ripartita il giorno seguente, senza tanti problemi. E ora pretendeva
che si
facesse da parte? Se lo poteva anche scordare.
Aveva fatto una promessa a
Mara: quella di esserci sempre per la bambina e di fare quello che
anche lei
avrebbe fatto.
«Ora che ci sei anche tu,
potresti aiutarmi a trovare un piccolo appartamentino per me e la
bambina?» –
le aveva chiesto Karl ancor prima che lei salisse sulla sua auto, in
aeroporto.
«Perché, non
avevi deciso di
vivere con tua madre?»
«Beh, sì:
all’inizio, per
aiutare Lilly ad ambientarsi avevo pensato che fosse la soluzione
migliore… ma
adesso…» Aveva titubato lui.
«Adesso cosa?»
«Avevo dimenticato quanto
fosse
stressante vivere con lei.», le aveva sorriso con
un’alzata di spalle.
«Oh, capisco… va
bene. Ti
aiuto volentieri, anche se non capisco a cosa ti servo io. Sei
bravissimo in
queste cose.»
«Ecco…
», si era schiarito la
voce, imbarazzato. «Pensavo di chiederti di venire a vivere
qui.»
Lou lo aveva fissato come se
fosse improvvisamente impazzito.
«Cosa?»
«Aspetta: non saltare
subito a
conclusioni. Ho solo pensato che la tua presenza qui potrebbe evitare
che
Evangeline si chiudesse ancora di più e iniziasse ad avere
problemi seri. E ho
pensato che dal momento che hai concluso il tuo impegno con le
illustrazioni
del libro potevi liberarti, e in ogni caso potresti lavorare ai
prossimi anche
da qui… e anche per il part time in
libreria…»
«Karl, non so che dire: sai
che per Lilly farei qualsiasi cosa, ma davvero... Questa cosa mi coglie
impreparata.»
«Lo so e hai tutto il tempo
che vuoi per pensarci. Capirei anche se tu rifiutassi, anche se mi
auguro che
accetti.»
Lou continuava a guardare
fuori dal finestrino, in silenzio.
«Non credo sarà
facile trovare
un lavoro qui.»
«Lou, andiamo: è
più probabile
che tu trova qualcosa qui che sia di tua competenza, che in Italia. E
poi anche
se non trovassi niente, non ci sarebbero problemi!»
«Non dire
assurdità: non
voglio mica fare la mantenuta!»
«Guadagno abbastanza per
poter
mantenere altre tre persone e sai che i soldi non sono mai stati un
problema
per me: ci accontentiamo di poco.»
«Non lo so…
dammi il tempo di
pensarci su, va bene?»
Karl aveva sorriso, alleggerito.
«Hai tutto il tempo che
vuoi
per decidere.»
E così ora si trovava
sulle
rive del Reno mentre passeggiavano in lungo e largo per il Parco
omonimo con la
piccola Lilly, aspettando che Karl le raggiungesse, godendosi la prima
giornata
di sole da quando era arrivata.
Eccola lì a prendere una
decisione che avrebbe dato nuovamente una svolta alla sua vita.
Col passare delle ore quella
proposta le sembrava la decisione giusta: Roma le provocava stress e
anche il
suo dirimpettaio, si sentiva inutile e con la perenne sensazione di
perdere del
tempo prezioso.
«Tesoro, ti piacerebbe se
rimanessi qui con voi, fin quando non torniamo a casa?»,
chiese alla piccola
che le saltellava contenta accanto indicando ora un gruppo di bambini
intenti a
tirarsi la palla, ora una barca che
passava lungo il fiume. Lilly strinse la manina nella sua e
guardò in su strizzandole
gli occhi verdi.
«Sì! Tanto
tanto: così è come
quando siamo in Italia a vieni da noi a casa nostra?»
«Certo: ma sarà
per tanto
tempo. Che dici, vuoi che rimanga qui?»
La piccola
annuì energica.
«Bene… ci
divertiremo un sacco
noi due, qui!», disse solleticando la mano della bambina che
rise deliziata.
«Però la collana
ce la teniamo
lo stesso anche se siamo vicine!»
«Ovviamente!»
«Non mi piace nonna Ilse:
mi
sgrida sempre quando parlo in italiano.», continuò
la bambina.
«È
perché lei non lo capisce,
tesoro.», disse Lou difendendo la donna che trovava lei
stessa odiosa. «Quando sei
con lei parla solo in tedesco, va bene?»
«Okay. Ma non mi piace lo
stesso.»
Lou sorrise sotto i baffi: la
piccola era schietta e diretta quanto lo era stata Mara.
«Fra un po’ avrai
una casa
nuova e vedrai la nonna solo ogni tanto.»
«Menomale.»,
disse la bimba. «Luly,
possiamo chiedere a zio Pepè e zio Simone di venire anche
loro qui? E di
portare Calzetta e Natale? Mi mancano tanto e anche io manco a
loro!»
I due animali domestici erano
stati affidati temporaneamente a Katia che aveva una casa con giardino
dove
poteva permettersi di ospitarli; inoltre erano familiari al felino e
alla
cagnetta, che stravedeva per la piccola Valentina.
«Vedremo, tesoro. So che ti
mancano tanto. Ma non devi preoccuparti per loro:
c’è Vale che fa loro tante
coccole anche per te, lo sai?»
«Sì, lo so. Ma
sono i miei
amici e mi mancano. E anche Valentina mi manca.»
«Piccola
mia…», Lou le strinse
la mano. «Vedrai che torneremo a casa molto presto.»
La notte precedente aveva
scritto una lunga mail a Simone e Beppe e anticipato che era possibile
che
rimanesse a Colonia più a lungo di quanto avesse programmato.
Attendeva a breve una risposta
piccata e colorita da parte di Simone e un “lo
immaginavo!” da Beppe.
Sentiva il bisogno di
allontanarsi da tutto e ricominciare da capo, ma non sapeva ancora se
quella
era la strada giusta. Qualcuno
avrebbe
detto che stava di nuovo fuggendo e forse era così.
È difficile trovare una
nuova casa per la propria anima quando la si è persa
già una volta.
«Sono stanca, Luly: ci
sediamo?»
«Vuoi tornare a casa?
Oppure
troviamo una panchina comoda e stiamo ancora un po’: oggi
è una bella giornata
e c’è il sole.»
«No, voglio stare qui a
guardare le barche.»
Poco più in là
vide una
panchina ancora libera e si affrettò prima che qualcuno la
occupasse prima di
loro.
Si sistemò la bambina
sulle
ginocchia e insieme guardarono verso il fiume di fronte a loro. Le
piaceva
quella città: in qualche modo le ricordava Helsinki, anche
se erano
completamente diverse.
Forse era per l’atmosfera o
il
clima: fatto stava che per la prima volta da anni si riempiva i polmoni
di aria
frizzante.
Il giorno precedente lei e
Karl si erano messi in moto per vedere qualche appartamento: ne avevano
trovato
uno disponibile quasi in centro, molto vicino al posto di lavoro
dell’uomo.
Lei stava aspettando Karl,
guardando distrattamente le vetrine in compagnia della piccola Lily che
non aveva
voluto saperne di rimanere a casa con la nonna.
I negozi eleganti e costosi
erano sulla via principale mentre lei preferiva di gran lunga le
piccole
botteghe artigiane o i minuscoli e polverosi negozi di dischi che
vendevano
ancora vinili.
Era proprio in uno di questi
che aveva visto il poster del concerto degli HIM.
Il giorno successivo avrebbero
suonato in quella città.
“Valo, mi
perseguiti. È impossibile che tu lasci la mia mente, anche
quando non ti penso, sei tu a cercarmi.” – pensò quasi divertita, con la
stranissima sensazione di sentirne quasi la presenza lì
vicino, con lei.
Sembrava che il destino si
stesse divertendo parecchio in quel periodo.
“E chi sono io
per deludere il destino?”,
pensò.
Sorrise a Karl che stava
arrivando con un sorriso raggiante sul viso, si avvicinava e con in
braccio la
bambina le cingeva le spalle, dandole un bacio sulla fronte.
Avrebbe fatto bene a farci
l’abitudine, non sarebbe sicuramente stata l’ultima
volta che si trovava di
fronte ad una foto di Ville.
Col tempo anche quello non
l’avrebbe più scalfita.
Col tempo avrebbe ripensato al
periodo con lui come un qualcosa di bello e magico da raccontare un
giorno alla
piccola Evangeline.
*****
«Forse
dovresti uscire a prendere una boccata d’aria, piuttosto che
stare qui a rompere le palle a tutti con il tuo muso e le tue
rispostacce acide
e cattive!»
La voce dura ed
esasperata del suo migliore amico nonché bassista della
sua band, gli sferzò lo stomaco come un pugno. Lui era la
sua roccia sul palco
e fuori da esso, quello che lo riprendeva sempre per la collottola
quando ne
combinava una delle sue e che bene o male sopportava le sue bizze, e
ora gli
stava dando una strigliata più che meritata.
Il tour era agli
sgoccioli e le date in Germania sarebbero state le
ultime: dopodiché sarebbero tornati tutti a casa per un
lungo periodo di
riposo.
Si rendeva conto di aver
reso la vita della sua band e dello staff un
vero inferno. Prima e dopo le date in Italia era stato quasi
impossibile
rivolgergli la parola senza che lui scattasse come una molla, nervoso.
Si passò una
mano sul viso stanco e annuì all’indirizzo del suo
amico.
Aveva ragione: doveva uscire e darsi una calmata. L’idea di
casa lo rincuorò:
non vedeva l’ora di tornarvi e trovare un po’ di
calma interiore. Inoltre le
mancava la sua gatta: lasciarla nelle mani della sua famiglia era stata
una
buona idea.
Amy si era offerta di
tenerla per lui dopo la delusione della notizia
che non sarebbe andata con lui in tour.
«Non ho
bisogno della badante e non voglio nessuno intorno quando
scendo dal palco: l’unica cosa di cui ho bisogno è
una birra e un letto. E
tanto silenzio.» Le aveva detto rudemente.
Afferrò la
giacca e occhiali da sole tanto grandi da coprigli mezza
faccia e uscì.
Il loro hotel era vicino
al teatro in cui avrebbero suonato.
La luce lo
accecò per qualche istante quando mise fuori il naso per la
prima volta da mesi: non ricordava l’ultima volta in cui
aveva passeggiato al sole.
Prese a camminare senza una meta, osservando la gente intorno a lui,
affaccendata ognuna nella propria vita e quotidianità.
Sperava che nessuno lo
riconoscesse e si calcò ulteriormente il
cappello sul viso.
L’ultima cosa
che voleva era sorridere ed essere gentile forzatamente e
fare autografi ai fan esagitati. Non sopportava di vedere
l’eccitazione ed
emozione di trovarsi di fronte al loro idolo trasformarsi lentamente in
delusione,
come spesso accadeva quando si rendevano conto che era scostante e per
niente
affabile.
Si infilò in
una strada parallela meno affollata dove non vi erano che
poche persone a camminare lungo la strada, continuando il suo stanco
vagabondare.
Si annoiava
già e il sole picchiava duro nonostante l’aria
fredda:
forse era il caso di rientrare in hotel e mettersi a dormire, piuttosto
che
arrivare alla sera successiva con un mal di testa da insolazione.
Girò sui
tacchi e si immobilizzò improvvisamente.
Qualcosa aveva attirato
la sua attenzione ma non capiva esattamente
cosa fosse.
Poi tornò a
guardare la donna intenta ad guardare una vetrina al di là
del marciapiede in cui era lui.
Aveva i capelli corti e
scuri, tagliati appena sotto le orecchie,
leggermente mossi.
Un cappotto bianco,
jeans e stivali neri.
Non aveva niente di
appariscente da motivare la sua attenzione.
Ma qualcosa nel modo in
cui la donna si muoveva, la linea della
schiena… le ricordava qualcuno, le era stranamente familiare.
Teneva per mano una
bambina che parlava e scalpitava e saltellava
continuamente sul posto, facendo voltare la testa della donna nella sua
direzione di tanto in tanto.
Poi lei si
scostò i capelli, infilandoli dietro l’orecchio.
Quel semplice gesto lo
colpì in pieno petto.
«Lou…»
Lei lo faceva allo
stesso modo, indugiando un po’ sui capelli rossi e
lisciandoli.
La donna aveva i capelli
corti e scuri: non poteva essere lei.
Si girò,
mostrandogli il profilo e lui tornò a sussultare.
Avrebbe riconosciuto
quel profilo ovunque.
La donna sorrise alla
bambina e una fossetta fece capolino sulla sua
guancia.
Si spostò in
modo da poterla vedere meglio.
Il vento gli
portò la voce acuta della bambina che chiedeva qualcosa in
italiano alla donna.
Lei continuava a
sorridere e annuire alla piccola.
Quante
possibilità c’erano che fosse lei?
Non era possibile, era
soltanto la sua stanchezza e la voglia di
rivederla che gli facevano avere visioni.
Era già
capitato in passato che una ragazza con una vaga somiglianza
con Lou attirasse la sua attenzione, ma era svanita fulmineamente
così come era
arrivata.
Osservò la
linea del viso, il collo, le piccole orecchie.
«Non
può essere lei…», disse rivolto a se
stesso.
Quante
possibilità c’erano che lei fosse lì,
in un posto sconosciuto e
improbabile, a pochi metri da lui?
C’era qualche
decina di metri tra loro, non di più.
Qualche metro e una
strada poco affollata.
La donna rise e
l’unica certezza ancora flebile che aveva, svanì.
Lou.
Era lei.
Non aveva dimenticato la
sua voce dolce e sottile così come non aveva
dimenticato la sua risata, quasi timida.
Mosse un passo e fece
per scendere dal marciapiede.
Ogni briciolo di rancore
per lei si era sciolto come neve al sole.
Voleva parlarle, vederla
ancora una volta.
Mosse un altro passo.
La bambina si
staccò da lei e corse incontro ad un uomo alto e biondo
che andava verso di loro con un sorriso. Prese la bambina in braccio e
avvicinandosi
alla donna le passò un braccio intorno alle spalle sottili
posandole un bacio
sulla fronte.
Lei gli sorrise, e si
strinse a lui abbracciandolo in vita.
Pochi istanti e si
stavano allontanando. Un perfetto quadretto di
famiglia felice.
La donna si
voltò improvvisamente dalla sua parte e lui girò
sui
tacchi, dandole la schiena.
In quella frazione di
secondo non ebbe più alcun dubbio.
Era Lou. Diversa, eppure
la stessa.
Rimase fermo davanti
alla vetrina, immobile per un tempo lunghissimo, finché
il proprietario dall’interno, non si avvicinò alla
porta per lanciargli uno
sguardo di rimprovero.
I suoi piedi si mossero
da soli.
Lentamente
tornò indietro verso l’hotel.
Quante
possibilità c’erano che lei fosse stata
lì, a pochi passi da lui
e allo stesso tempo più lontana che mai?
Si rese conto che per
quattro anni aveva vissuto nella speranza che lei
tornasse prima o poi, o che pensasse a lui di tanto in tanto. Aveva
fatto di
meglio: aveva una famiglia.
Al contrario di lui che
viveva in una casa dove la sua presenza
impregnava ogni cosa e il suo ritratto occupava un posto di primo
piano. Era
così stupido indugiare nei sogni e nei rimpianti.
Nel tragitto fino
all’hotel, in quei pochi minuti, promise a se stesso
che avrebbe voltato pagina.
Una volta a casa si
sarebbe disfatto di quel quadro e di ogni ricordo o
speranza nutrita finora.
Era giunto il momento
che aprisse le porte al futuro, qualsiasi cosa
gli volesse portare.
Meritava anche lui
qualcosa che potesse lontanamente somigliare alla
felicità serena che aveva visto sul viso di Lou.
*****
«Le tende mi piacciono
bianche, così quel poco di sole che ci sarà
sembrerà più forte.»
«A me piacciono quelle
gialle con
Peppa Pig!»
«Scegliere tra quelle
bianche
e quelle col maiale, sarà dura…»
Karl scoppiò a ridere
trascinandosi dietro anche la bambina.
Lou sospirò scuotendo la
testa. Arredare il nuovo appartamento si stava dimostrando un compito
più arduo
del previsto: la piccola Lilly aveva una personalità forte e
imperiosa.
Si era imposta su quasi tutto
quello che sarebbe andato nell’arredo della sua stanzetta
temporanea e ora
pretendeva di decidere anche sul resto della casa. Era spaventosamente
somigliante a Simone e la cosa li terrorizzava. Come se non ne bastasse
uno!
Simone non aveva degnato di
una risposta la sua mail.
Si era aspettata una lunga
sequela di insulti e recriminazioni, ma lui semplicemente aveva deciso
di non
rispondere.
Al posto suo l’aveva fatto
Beppe, invece.
E non si aspettava di certo la
sua improvvisa aggressività: l’aveva chiamata a
telefono ed era andato subito
al dunque senza tergiversare o prendere le cose alla lontana,
com’era suo
solito.
«Sei impazzita? E
lasceresti
la tua vita qui, di nuovo?», le aveva chiesto rude.
«E quale sarebbe la mia
vita lì,
scusa?»
«Stai scherzando, vero? Hai
un
lavoro, una casa tua e se tutto va bene un futuro. E tu prendi e vai
via solo
perché la piccola non si è ambientata, in
quanto… neanche un mese? Santo cielo!
Datele tempo, è solo una bambina e si sa che sono molto
più resistenti di
quanto noi immaginiamo! Tu e Karl a volte siete esagerati!»
Lei era rimasta in silenzio,
lasciando sbollire la stizza del ragazzo.
«Lou, stammi a sentire:
devi
lasciarli andare. Da soli. E tu iniziare una vita nuova. Non
è tua figlia, Lou.
Lui non è tuo marito. So che hai già avuto una
discussione molto simile con
Simone e all’epoca non ero d’accordo con lui. La
bambina era così piccola e
Karl fragile… e anche tu stavi meglio quando ti occupavi di
loro. Ma ora le
cose devono cambiare. Per il bene di tutti. Ti rendi conto di essere
sempre
punto e accapo e che non vai avanti in alcun modo? Devi pensare a te
stessa!»
«Non capisco cosa cambia se
io
lavoro da qui a tutte le cose che potrei fare anche
lì.», aveva ribattuto lei
ostinata.
«Perché devono
imparare a
cavarsela da soli, anche senza di te. È troppo facile per
Karl chiamare te
quando le cose non vanno bene! E non è giusto! Per te, per
la piccola
Evangeline! È ora che se la cavi da solo con sua
figlia!»
«Lo fa.»
«Oh, andiamo! La bimba ha
il
broncio e lui ti chiama: ha la febbre, chiama te e ti precipiti
immediatamente.
Potevo passarci sopra quando erano qui, a poche ore da noi. Ma volare
in
Germania solo perché lui si sente solo è da
egoisti! Tranquilla: dirò le stesse
cose anche a lui. È ora che qualcuno gli dica di cavarsela
anche quando pensa
di non farcela.»
«E da parte nostra non
è egoistico
lasciarli da soli?», aveva chiesto Lou, freddamente.
«Quando mai li abbiamo
lasciati soli? Dimmi solo un’occasione in cui non siamo stati
con loro! Ma è
ingiusto chiederti di mollare tutto “perché
tanto Lou lo farà per Lilly”.»
Beppe aveva ragione e lo
sapeva.
Ammettere a se stessa che anche
se era una cosa che desiderava non era la cosa giusta da fare, per
tante
ragioni. In due settimane si era resa conto che per quanto amasse la
piccola
Lilly e fosse a suo agio con Karl, dal di fuori tutti li vedevano come
una
famiglia. Cosa che non erano.
E lei sentiva un senso di
colpa nei confronti di Mara.
Aveva promesso alla sua amica
di esserci sempre per sua figlia, ma non prendendone di nuovo il posto
com’era
già successo.
«Non posso lasciarli su due
piedi…»
«Non li stai lasciando, per
la
miseria! Se la caveranno da soli!»
«Ci
penserò…»
«Lou. Stavolta non ci
passerò
sopra, ti voglio bene e non mi va di impormi, ma tengo a te. Teniamo a
te.», aveva
precisato più duramente. «E forse non sempre lo
dimostriamo nel modo giusto.
Vogliamo soltanto che tu ti senta libera dalle catene che ti sei
costruita da
sola. Lo capisci, vero?»
«Sì, so che cosa
intendi.»
«E allora dacci un taglio,
o
vengo a prenderti io stavolta.»
Lou aveva sorriso debolmente:
era riuscita a far inalberare perfino il pacifico Beppe.
«Non ti alterare: ne avevo
già
parlato con lui ieri. E anche con Lilly. Con lei è stato
più dura, ma dopo un
po’ di capricci ha capito.»
Beppe tirò un sospiro.
«E mi hai fatto parlare e
sbraitare per mezz’ora ugualmente? Sei proprio stronza a
volte!», aveva
sbottato lui, ridacchiando.
«Era divertente sentire la
tua
voce alzarsi man mano di tono e diventare ad ultrasuoni.»
«Bastarda. Quando
torni?», aveva
chiesto sempre ridendo.
«Appena posso. Almeno
questo
concedimelo. Mi serviva una vacanza…»
«Okay, ma non ti mollo.
È bene
che tu lo sappia.»
«Santo cielo: non ne
bastava
uno di cane da guardia?»
«Poche chiacchiere, bella.
Riporta qui il tuo culo il più in fretta possibile,
chiaro?»
«Va bene… Stai
iniziando a
somigliare alla tua metà. E non è un
complimento.»
Beppe era tornato a ridere di
gusto chiudendo la conversazione, visibilmente soddisfatto di se stesso.
Tornò a prestare
attenzione
alle tende allineate davanti a lei.
«Che ne dite di queste
verdi
con le righe bianche?», chiese ai due che guardarono le
tende, scettici.
«Oh, fate un po’
come vi
pare!», rise lei.
Qualche minuto dopo uscirono
dal negozio con due paia di tende: uno bianco, l’altro
tempestato di maiali
rosa.
*****
«Luly, questa dove lo metto?»
La piccola la stava aiutando a
fare la valigia, tutta contenta di poter essere d’aiuto.
Si era aspettata pianti e
lacrime ma inaspettatamente stava reagendo bene alla sua partenza.
Stava crescendo e anche se la
cosa la faceva sentire triste, in un certo senso la liberava dai sensi
di colpa
nel lasciarla.
«Dove vuoi, tesoro.
C’è tanto
spazio, mettila dove ti piace!»
«Okay!»
Sarebbe tornata a Roma prima
che Beppe andasse di persona a prenderla come aveva minacciato
più volte.
Ormai era passato un mese dal
suo arrivo e la bambina si era ambientata più che bene, lei
poteva tornare in
Italia senza sentirsi in colpa. Mancavano solo due settimane al Natale:
Karl ed
Evangeline avrebbero passato le vacanze con loro, come ogni anno.
Controllò nuovamente la
prenotazione del volo per l’indomani mattina: non si sentiva
rilassata fino a
che non si sedeva sulla poltroncina. Era sempre così: temeva
che qualcosa
all’ultimo minuto andasse storto.
Una volta assicurata che era
tutto sistemato, scorse velocemente le altre mail.
Cestinò gli spam e
pubblicità
e notò una mail che le era sfuggita datata quasi due
settimane prima.
Con sorpresa vide che era una
mail di Matleena.
«Oh!»
«Che
c’è?», chiese Karl
entrando in camera proprio un quel momento.
«Una mail dal mio ex capo,
quand’ero a Helsinki…»
«E cosa vuole?»
«Non ne ho idea: la sto
aprendo ora e vedo cosa…», si bloccò,
senza fiato.
«Lou… che
succede? Tutto okay?»,
chiese l’uomo vedendola sbiancare, con gli occhi lucidi.
Si avvicinò apprensivo e
lei
gli mostrò il contenuto della mail.
Lui lesse attentamente e alla
fine le posò le mani sulle spalle, stringendogliele forte.
«Questa volta non puoi
ignorare: devi andare. Lo sai anche tu.»
«Non…
posso…»
«Devi. Devi tornare a
Helsinki, Lou.»
*****
Le luci dell’aeroporto di
Vantaa si avvicinavano sempre di più e lei sentiva il cuore
rullare come stava
facendo il motore del velivolo. Per quasi quattro ore era rimasta
immobile sul
sedile, stordita a chiedersi continuamente che cosa stava facendo.
Karl l’aveva messa sul
primo
volo per Helsinki senza tante chiacchiere e lei si era lasciata guidare.
L’aereo si fermò
e i
passeggeri si apprestarono a prepararsi a scendere.
Lei li seguì intontita. Le
faceva uno strano effetto essere lì.
Scese l’ultimo gradino
della
scala passeggeri e respirò a fondo.
“Ecco, sono di
nuovo sul suolo finlandese.”
Nonostante tutto, sotto una
montagna di dubbi e paure era felice di essere tornata, emozionata e
sulla soglia
delle lacrime.
“Stupida donna
emotiva!”
Alzò gli occhi al cielo
carico
di neve e sorrise.
Era buio pesto ed erano solo
le tre del pomeriggio. E lei si sentiva a casa come non mai.
Ad ogni passo che faceva verso
l’uscita si sentiva meglio.
Dopo pochi minuti che era
sulla navetta che portava a Helsinki aveva già la smaniosa
voglia di trovarsi
in città, rivedere i posti che amava, respirare di nuovo
l’aria di quel posto
che amava tanto.
L’ora passò
lentamente per
lei: si sentiva stupida ma osservava le strade, le insegne, i quartieri
che
erano quasi tutti gli stessi. C’erano pochi cambiamenti e lei
li notò tutti.
Non riuscì a rilassarsi,
continuando a girarsi a destra e manca come una bambina nel paese delle
meraviglie. I passeggeri dovevano pensare che era fuori di testa,
sicuramente.
Aveva tempo per andare a fare
una doccia nell’albergo prenotato in centro, posare il
bagaglio a mano e
correre da Matleena.
Ricordò
all’improvviso il
motivo per cui era di nuovo lì e le venne da piangere.
Ingoiò il groppo che le si
stava formando in gola e cercò di pensare ad altro,
inutilmente.
Scese dalla navetta e si
incamminò automaticamente verso l’hotel.
Aveva dimenticato quanto fosse
facile e tutto facilmente raggiungibile a piedi in quella
città.
L’hotel era quasi attaccato
alla stazione e a 500 metri c’era il Kiasma.
Amava ogni singola pietra di
Helsinki.
Il freddo le arrivò in
faccia
all’improvviso schiaffeggiandola e sorrise come
un’ebete, nonostante il vento
le facesse lacrimare gli occhi.
Questa volta non si sarebbe
preoccupata che natura avessero le sue lacrime.
Ogni sentimento che provava,
nostalgia, ritrovarsi, perdita, amore… erano tutte
concentrate in quelle
lacrime che non si preoccupava di nascondere o asciugare.
*****
La struttura del Kiasma in
vetro e acciaio la sovrastava, così imponente e allo stesso
modo fluida e
morbida con le sue pareti curvate.
Aveva passato in quel posto
tantissimo tempo e ora ne ritrovava gli odori, la
familiarità.
Le pareti bianche e irregolari,
le scalinate che si intersecavano tra loro.
Passeggiò con calma tra le
mura, ritrovando nella sua memoria i ricordi e il tempo in cui era
felice e
soddisfatta della sua vita.
Una hostess bionda e
dalle
gambe chilometriche le infilò tra le mani una brochure degli
espositori in mostra,
parlandole in finlandese.
Lou le sorrise e la
gratificò
con una simulazione di sorriso mormorando un “Kiitos”
a bassa voce.
Sfogliò il volantino con
interesse.
“Viaggio tra
sogno e realtà: ‘Una finestra aperta sul
cuore’ –
Retrospettiva di Aappo Korhonen”
Davanti alla sala che ospitava
le opere del Sig. Korhonen si fermò a prendere respiro.
Poi entrò.
C’erano tantissimi quadri,
ovunque guardasse intorno a lei c’era un’esplosione
di colori.
Su tutti predominava il blu,
declamato in ogni sua sfumatura: dalla più tenue e chiara al
blu più cupo.
Lou camminava fra la gente,
tantissima, stringendo nervosamente la brochure fra le mani.
Non aveva mai visto i quadri
del suo vicino di casa prima di allora.
Ammirò le figure umane
fluttuanti, spigolose e allungate che erano in quasi tutti i dipinti.
In un
primo momento poteva sembrare che l’artista si fosse ispirato
al suo vecchio
amico Chagall. Invece le figure del Sig. Korhonen erano molto meno
romantiche e
morbide rispetto a quelle del più famoso artista.
C’era un che di gotico e
dark
nelle opere del suo vecchio amico e vicino di casa, un lato che non si
sarebbe
mai aspettata. Il tenero Sig. Korhonen, l’uomo col sorriso
contagioso e gli
occhi ridenti celava in sé un’anima tormentata e
oscura.
E nonostante tutto, quei
quadri trasudavano amore, erotismo, magia.
Passeggiava lentamente, in
silenzio, godendosi ogni pennellata.
Col cuore in tumulto
ricordò
l’ultima volta che aveva visto il suo vicino, il giorno prima
che lei andasse
via da Helsinki.
*****
«Di cosa hai
paura?», le aveva
chiesto il suo amico andando dritto al punto.
Erano seduti nel salotto di
casa Korhonen, intenti a sorseggiare un tè aromatico. Lei
aveva abbassato gli
occhi sulla sua tazza e non aveva risposto.
«Hai paura di lui? Che ti
possa deludere? Che possa tradirti?»
La voce dolce del suo amico la
incalzava.
«Un po’ di tutto
questo.»
Aveva risposto a mezza
voce, alzando le
spalle.
«Non hai mai pensato che
potresti anche essere tu a tradirlo per prima? Scappando via, non
affrontandolo, è come se lo tradissi. E lo stai
deludendo.»
Lei aveva alzato gli occhi e
guardato l’uomo che le stava di fronte.
«Lo so. Ma non riesco ad
impedirmelo. Non sto andando via per sempre… solo
che… Ho bisogno di pensare,
di tempo. Non voglio lasciarlo. Non posso e non voglio
deluderlo.», aveva
spiegato lei.
«Allora aspetta che lui
torni,
parlatene insieme. Non sempre le cose sono come appaiono, mia cara. Lui
non è
un uomo come tanti: essere famosi, in certo senso rende molto
più vulnerabili
di quanto uno ci si aspetti.
Io vedo nei tuoi occhi che lo
ami. E anche lui, anche se non ho mai avuto modo di parlarci, sono
certo che ti
ami. L’amore è la cosa più importante.
Più importante della paura, del dubbio,
dei sentimenti contrastanti, degli intoppi quotidiani, delle
intromissioni.»,
le aveva detto infervorato.
«Non sto
scappando…», aveva
mormorato nuovamente lei.
«Bene. Se così
fosse,
deluderesti anche me.», aveva aggiunto lui in tono severo.
Lei aveva tenuto gli occhi
bassi, sentendosi in colpa.
«Abbi il coraggio di vivere
la
tua realtà, mia cara bambina. A volte, è molto
meglio della favola che abbiamo
sempre sognato.»
*****
Si rese conto di aver quasi distrutto
la brochure a furia di stritolarla tra le mani sudaticce.
Aveva deluso tante persone in
quei quasi 5 anni, ma il suo vecchio amico e vicino di casa, il suo tenero Sig. Korhonen
era quello che le pesava di più sulla coscienza.
Che la faceva vergognare per
la sua codardia, il suo poco coraggio, la sua eterna paura di non
essere quello
che tutti si aspettano da lei. Lo aveva salutato credendo che si
sarebbero
rivisti a breve, che Ville in qualche modo potesse fare il miracolo di
infonderle la sicurezza e trasmetterle l’amore di cui lei
aveva bisogno.
E invece non si erano rivisti
e ora lui non c’era più.
C’erano solo i suoi quadri
a
raccontare la vita di un uomo, dell’artista e
dell’amore per la sua Maili.
Si trovò davanti al
ritratto
del donna che lui aveva amato.
“Keeper of my
soul”: Custode della
mia anima.
Era così che
l’aveva chiamata
una volta, parlandone con lei. Ed era il titolo del quadro che
raffigurava
Maili.
La figura sottile dalla pelle
viola su uno sfondo blu: toni cupi che invece contrastavano con
l’espressione dolcissima
della donna, le mani strette al petto a stringere un cuore umano, di un
rosso
vivo e vibrante.
Il cuore del Sig. Korhonen.
“Perché
batte il cuore?”
Rimase per un tempo indefinito
davanti al tributo di un amore che aveva superato il tempo e lo spazio.
“Mi
dispiace… mi dispiace non essere stata la persona che
pensava, Sig.
Korhonen… Mi dispiace…”, si ripeteva mentalmente, ingoiando il nodo in
gola
che non voleva saperne di scendere e smettere di soffocarla.
Si mosse a fatica, tornando a
guardare le opere che cambiavano forme e colori diventando sempre meno spigolose e cupi.
Arrivò davanti a quello
che le
tolse il respiro.
“Ikkunaprinsessa”.
La Principessa alla
Finestra.
C’era lei, Lou, in quel
ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o
pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le
sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni
piccola
e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro
Sig.
Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera
inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che
diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso,
mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante,
sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col
vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata
di
Maili.
Lui aveva mantenuto la sua
promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche
senza
di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo
la sua vera essenza.
Sentì il viso infiammarsi.
Avrebbe voluto contenersi ed essere controllata come le riusciva
così bene in
quegli ultimi anni. Invece le lacrime tracimarono e incurante di chi,
guardandola
imbarazzato, si allontanava impercettibilmente da lei in una strana
sorta di
rispetto, tirava su col naso guardando se stessa come avrebbe dovuto
essere.
Con quel quadro il Sig.
Korhonen era come se le stesse di nuovo sorridendo, rimproverandola di
pensare
troppo, di smetterla di parlare e lasciarsi andare ai propri sogni che,
come aveva
detto, a volte potevano rivelarsi migliori di ogni favola mai
immaginata.
Su una targhetta posta in
basso c’era scritto “Private Collection”.
«Sapevo che ti avrei
trovata
qui davanti, prima o poi.»
Sobbalzò al suono della
voce
vicinissima al suo orecchio.
Si girò lentamente.
«Ciao
Matleena…»
«Ehi, che hai combinato ai
capelli?»
La sua ex direttrice la
guardava sorridendo.
«Ci ho dato un
taglio.»,
rispose lei asciugandosi gli occhi.
«Allora: che ne
pensi?»,
chiese facendo un gesto ad abbracciare la stanza.
Matleena non fece nulla per
stringerla in un abbraccio o sperticarsi in inutili convenevoli,
parlandole
come se si fossero viste soltanto il giorno precedente e non fossero
passati
più di quattro anni.
«È
bellissima… Non immaginavo…
Non so che dire.»
«È il suo ultimo
lavoro, sai?»,
disse ancora indicando il quadro davanti a loro.
Lou annuì, tornando a
deglutire.
«Mi spiace non aver letto
la
mail prima…», mormorò debolmente.
«Non avrebbe fatto molta
differenza: non era cosciente da mesi ormai.»
«Sono terribilmente
desolata…»
Matleena in uno slancio
affettuoso le batté la mano su una spalla.
«Lo so.»
La prese sottobraccio
guidandola per il resto della mostra, senza dire una parola.
Stranamente le dava conforto
passeggiare appoggiata a qualcuno che sembrava capirla senza bisogno di
molte
spiegazioni, come se le leggesse dentro le emozioni che si affollavano
l’uno
sull’altra, confusionarie e travolgenti, dandole il tempo di
abituarsi.
«Quanto resti?»,
le chiese
diretta come sempre, dopo un bel po’.
«Pochi giorni. Ho un aereo
giovedì.»
«Capisco. Tre giorni per
rivedere i vecchi amici, visitare di nuovo la città mi
sembrano pochi.»
«Non contavo di rimanere
più
di tanto…», disse Lou a disagio.
Matleena si girò a
guardarla
in tralice.
«Lo sospettavo. Beh, nel
caso
tu cambiassi idea per qualsiasi motivo e decidessi di tornare fra noi e
rimanere, qui hai sempre un posto che ti aspetta.», disse la
donna.
Era più di quanto ci si
potesse aspettare da lei: il massimo della dimostrazione di affetto.
«Lo so, Matleena.
Grazie.»
La sua voce dovette risultare
più fredda di quanto volesse perché la donna non
nascose un pizzico di
delusione.
Di nuovo. Sembrava non facesse
altro che deludere le persone a lei care, ultimamente.
Si fermarono davanti a una
foto in bianco e nero.
C’era il suo caro Sig.
Korhonen intento a dipingere il suo ritratto ancora abbozzato.
Chi lo aveva fotografato lo
aveva colto quasi di sorpresa o tale era l’intento. Come
qualcuno che in
silenzio osservava l’artista al lavoro e avesse voluto
coglierne un istante.
Lou guardò le mani nodose
dell’anziano che stringevano caparbie il pennello e
l’espressione del viso
concentrata. Chiunque avesse scattato quell’istantanea aveva
la sua invidia:
lei avrebbe tanto voluto essere al suo posto.
“Photo by
V.V.”
Solo due lettere. Le sue iniziali.
Inspirò a fondo.
«Sì,
è stato lui a scattare la
foto. Era spesso con Aappo negli ultimi tempi. Passavano molto tempo
insieme.»,
disse Matleena tornando a leggerle nella mente.
«Sono contenta che alla
fine
si siano conosciuti.», disse con voce strozzata.
«Erano molto più
simili di quanto
loro stessi non credessero.», disse Matleena guardando
intensamente la foto.
«L’ho sempre
pensato anche io:
era per quello che mi trovavo a mio agio con entrambi.»
Matleena le strinse nuovamente
il braccio a mo’ di conforto.
«Finisci di guardare la
mostra. Fai con calma, prenditi tutto il tempo che vuoi. Ma prima di
andare via
passa nel mio ufficio. Non osare sparire senza prima
salutarmi.», aggiunse
seccamente.
«Te lo prometto.»
La guardò sollevando un
sopracciglio.
«Le mie promesse fanno
acqua
da tutte le parti, lo so bene: ma tu mi metti una paura fottuta e non
voglio
farti mica incazzare!», disse lei ironica.
La donna rise brevemente.
«Sarà meglio per
te,
ragazzina.», disse girando sui tacchi tornando al suo lavoro.
Lou sorrise a sua volta. Tutto
cambia e nulla cambia.
Guardò la foto.
Lentamente fece amicizia col
pensiero di Ville e il suo tenero Sig. Korhonen insieme.
Li immaginava senza sforzo a
parlare di arte e musica, a bere tranquillamente il tè nei
pomeriggi bui nel
salottino elegante, tra quadri e foto e ricordi.
Si chiese come Ville avesse
visto e vissuto tutta la faccenda del quadro.
Se il suo amico artista
l’aveva dipinta, allora in qualche modo Ville si ricordava
ancora di lei.
Non l’aveva dimenticata
subito
come Amy le aveva detto al telefono.
Trovò un posto libero su
uno
dei tanti posti a sedere, rettangoli bianchi di plastica e acciaio che
fungevano da sedie.
Spianò la brochure
rovinata,
lisciandone gli angoli e iniziò a leggere la biografia
dedicata al suo amico,
alzando di tanto in tanto gli occhi sull’opera citata, per
poi tornare sempre
alla foto in bianco e nero.
Era confortante sapere che
quei due uomini che avevano significato così tanto per lei,
erano stati vicini.
Sapere che Ville era stato
accanto al Sig. Korhonen fino alla fine le riempiva il cuore.
Era una cosa bella. Non era da
solo.
Per qualche istante
dimenticò
anche i suoi sensi di colpa verso entrambi.
Ora che l’emozione di
essere
lì ed essere parte integrante dell’opera ultima
del suo amico stava
diventandole familiare, si prese il tempo di godere della mostra con la
sua
parte professionale.
Le ore passarono in fretta
mentre lei studiava i quadri.
Si rese conto che era ora di
chiudere quando una delle hostess le passò accanto,
schiarendosi la voce,
guardandola in attesa che lei si levasse di torno.
Si alzò in fretta, notando
anche di essere l’unica visitatrice rimasta, e avviandosi
all’ufficio di
Matleena diede un ultimo sguardo alla foto.
Bussò con discrezione alla
porta e la voce della donna la invitò ad entrare.
La trovò a piedi nudi, con
le
lunghe gambe magre appoggiate sulla scrivania.
«Anni e anni di tacchi alti
e
io non mi abituo ancora alla loro scomodità.», le
disse.
«Mai fatto amicizia con
loro.»,
rispose lei, sedendosi di fronte alla donna.
Matleena la studiò
brevemente,
passando in rassegna ogni dettaglio del viso di Lou.
«Allora. Che cosa combini
in
Italia? L’ultima tua mail risale a più di un anno
fa.», la rimproverò gelida.
«Niente di
esaltante.»,
rispose Lou. Non era in vena di conversazioni sulla propria vita.
La donna annuì,
rassegnata:
sapeva che non era il caso di insistere con Lou.
«Ho una cosa per
te.», disse
alzandosi all’improvviso e si diresse verso il quadro che
nascondeva la
cassetta di sicurezza dove conservava i documenti più
importanti.
«È per questo
che ho preteso
che tu fossi qui: ho promesso ad Aappo che ti avrei consegnato questa
cosa
soltanto di persona.»
Tornò alla scrivania e le
porse un pacco piatto, incartato con carta vellutata rosso scuro.
Lou lo prese, perplessa. Era
piuttosto pesante.
«È per me? Sai
cosa c’è
dentro?», chiese a Matleena.
«Ovviamente no. Non ho
chiesto.
Ho soltanto promesso che te lo avrei dato personalmente.»
«Allora
grazie…», disse Lou
non sapendo cos’altro aggiungere.
«Non lo apri?»
«Vorrei farlo quando sono
da
sola, spero non ti spiaccia.»
Matleena alzò le
sopracciglia
ben curate.
«È una tua
scelta, anche se
sono molto curiosa.», ammise ridacchiando.
Lou rispose al sorriso ma con
la mente già altrove: non vedeva l’ora di essere
sola nella sua stanza
d’albergo per poter aprire il pacco.
Lo infilò nella sua borsa
nera: era una fortuna che amasse le borse enormi e capienti.
«È una
retrospettiva
bellissima, Matleena.», disse per spezzare il silenzio.
«Sì, abbiamo
fatto un bel
lavoro di squadra. Tu avresti fatto di meglio, ma non posso
lamentarmi.»
«Sei esagerata, non hai
bisogno
di me per tutto questo!», fece un gesto ampio.
«Uhm. Sono abitudinaria e
non
mi piacciono i cambiamenti, lo sai.», le sorrise.
«Mi piacerebbe prendere un
caffè con te domani, o quando sarai libera. Mi racconterai
le novità e i tuoi
progetti che oggi non hai voluto condividere con me.»,
aggiunse severa.
«Ma certo.»,
ridacchiò Lou
sotto i baffi. Matleena la stava gentilmente congedando,
così si alzò di nuovo.
«Allora a domani. E di
nuovo
complimenti per tutto… posso tornare di nuovo a vederla,
prima di ripartire,
vero?»
«Ma che domande: ovvio che
sì!», sbottò la donna, alzandosi a sua
volta, avvicinandosi a lei.
Lou la strinse in un
abbraccio: Matleena rimase rigida per un secondo, poi
ricambiò la stretta.
«Mi era mancato il tipico
calore italiano!», ridacchiò.
«E
a me il freddo distacco
finlandese!», ribatté Lou, ridendo.
"Angolo
dell'autrice:
Ciao a
tutti! Il tempo passa e infine siamo giunti quasi alla fine. Non mi
sembra vero: ho iniziato questa storia per gioco, non ci credevo
neanche io e soprattutto non credevo che sarebbe mai potuta interessare
a qualcuno.
Nel frattempo sono successe innumerevoli cose e tutte grazie agli HIM.
So che molte pensavano che Lou sarebbe andata al concerto... ma che
autrice sadica sarei se avessi fatto ciò che tutte si
aspettavano? :D
Devo mantenere alta la nomea di bastarda sadica!
Spero che in ogni caso il finale, (che è nel prossimo
capitolo eh!), non deluda nessuno!
Nel caso vi lascio il mio indirizzo di casa: potete venire a
picchiarmi! :D
Voglio
ringraziare le gentili donzelle che come sempre hanno recensito
l'ultimo capitolo:
Dadda_HIM,
Lady Angel
2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon,
LilyValo, saraligorio1993, Izmargad, renyoldcrazy.
*Per il titolo al capitolo mi sono ispirata a Stratovarius - Winter Skies
E
niente...ci si rivedere perl'ultimo!
Abbraccio
forte a tutte!
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima!
Baci
baci,
*H_T*
testo.
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Capitolo 34 *** Capitolo trentatrè: "Leggera come la neve" ***
Capitolo
trentatrè
Leggera
come la neve
Lou alzò lo sguardo al
cielo non appena
mise fuori il naso dal Museo. Tornò a sorridere: la neve
preannunciata quel
pomeriggio ora cadeva in maniera così perfetta e armoniosa,
come una danza
lenta.
Lasciò che
le si posasse sul viso.
Non aveva nessuna
voglia di tornare al
chiuso tra quattro mura, così prese a camminare senza una
meta precisa.
La sensazione di
felicità serena che
provava dopo tanto tempo nel ritrovarsi a camminare per la
città che amava e
che aveva sempre portato nel cuore, la riscaldava e attutiva il freddo
pungente
che le si infilava sotto gli strati dei vestiti. Camminò per
le strade che
conosceva bene, ascoltando il rumore del traffico moderato, le voci
basse e
contenute dei passanti. Le sembrò così strano
risentire quella lingua quasi
aliena che non somigliava a nessun’altra al mondo.
Nessuno si curava di
lei e del suo
sorriso ebete stampato sul viso dal momento in cui aveva rimesso piede
in terra
finlandese: altra cosa che amava.
Infilò le
mani nelle capienti tasche del
suo piumino e rallentò ancora di più il passo.
Avrebbe voluto
fermare il tempo.
Aveva il quadro del
sig. Korhonen
davanti agli occhi. Quella versione di se stessa che era un tempo e che
l’uomo
aveva colto, la Lou che non era più e i desideri che
l’artista aveva saputo
mettere su tela, le gravavano addosso: ne era schiacciata e oppressa.
Eppure,
ad ogni passo che faceva nella neve soffice e fresca, quel peso andava
via via alleggerendosi.
Come se tutti gli anni passati a tormentarsi stessero depositandosi ai
suoi
piedi insieme alla neve.
Si sentiva leggera
come la neve.
Era curiosa e allo
stesso tempo
spaventata dal contenuto del pacchetto lasciatole dal sig. Korhonen:
stava
rimandando il momento in cui avrebbe dovuto aprirlo e scoprire cosa il
suo
amico aveva voluto dirle come ultima cosa.
Si fermò
di colpo davanti ad una
struttura in legno chiaro che lei ricordava ancora incompleta quando
era andata
via. Spuntava quasi dal nulla a lato della piazza Kamppi, quasi
nascosta e
dimessa: strideva con i centri commerciali, le insegne luminose dei
negozi
dell’ampio spazio commerciale.
Sembrava una
gigantesca arca: Lou
sorrise e si avviò all’entrata, come se i piedi
prendessero decisioni per conto
proprio. Il tepore improvviso all’interno la
stordì, così come l’immediato
silenzio che l’accolse.
La Cappella del
Silenzio. Un nome più
che appropriato.
Si slacciò
la sciarpa e tolse il
cappello prima di iniziare a sudare e si sedette su una panca.
Oltre lei,
c’era soltanto una vecchietta
dai capelli candidi che sorrideva ad occhi chiusi e un ragazzo
inginocchiato,
intento a pregare.
Il rumore
dell’esterno era totalmente
annullato tanto che lei aveva quasi paura di respirare, temendo di
disturbare. C’era
odore di legno e cera: aveva trovato un angolo di pace in mezzo al
rumore della
città.
Cercò di
svuotare la testa da ogni
pensiero godendosi quel momento, ma una vocina le ricordava
incessantemente il
pacco dentro la sua borsa. Resistette ancora per un minuto o due, poi
lo tirò
fuori rassegnata. Lisciò la carta morbida e vellutata e
slacciò il nastro che
la teneva ferma.
Ancora due forme
piatte e rettangolari:
una la riconobbe immediatamente.
Era la scatola di
velluto blu scuro con
gli angoli consunti che conteneva la collana di Maili. Ne
sollevò il coperchio
con mani tremanti ed eccola lì: bellissima e luminosa come
l’ultima volta che
l’aveva vista.
Perché il
Sig. Korhonen l’aveva lasciata
a lei? Non la meritava affatto dopo aver deluso le aspettative che il
suo amico
riponeva in lei, dopo aver tradito la sua fiducia. Sfiorò
con un dito la pietra
blu sfaccettata e con la mente tornò al giorno in cui
l’aveva indossata,
nell’attesa di Ville, in quella notte tempestosa che aveva
sancito l’inizio dei
mille dubbi sul loro rapporto. O meglio, soltanto sulle proprie
sicurezze. Sospirò
rumorosamente e la signora dai capelli bianchi seduta tre panche
davanti a lei,
si girò.
Contrariamente a
quanto si aspettava–
ricordò la donna italiana in metropolitana di qualche mese
prima- quella
davanti a lei le rivolse uno sguardo comprensivo e dolce. Il ragazzo
invece non
aveva dato segno di aver notato nulla.
Affondò di
nuovo gli occhi all’interno
della scatola pensando con una stretta al cuore che non poteva
ringraziare il
Sig. Korhonen: le aveva regalato qualcosa di prezioso per lui, qualcosa
che
aveva un valore sentimentale anche per lei.
Quel ciondolo era un
dono che non
sentiva di meritare eppure in un angolo del suo cuore, sapeva anche che
in
qualche modo le apparteneva. Era come se il Sig. Korhonen
l’avesse tenuta da
parte per così tanti anni in attesa che qualcuno potesse
indossarlo con lo
stesso sentimento della sua amata Maili.
Richiuse con cura la
scatola e passò
all’altro involucro. Era molto più voluminoso ma
più leggero rispetto a quello
precedente. Era un sacchetto di velluto che conteneva a sua volta altro
velluto
intorno all’oggetto. Lo svolse con maggior
curiosità. Il gemito stupefatto che
le scappò quando si trovò davanti il quadro di
Chagall che era stato un dono
per celebrare l’amore di un caro amico, questa volta
disturbò anche il ragazzo.
Entrambi la guardarono preoccupati.
Lei
sollevò lo sguardo chiedendo scusa
silenziosamente, per poi tornare a guardare senza fiato la piccola
tela. Sfiorò
con un dito tremante le due figure volteggianti, il cielo, la luna.
Deglutì
rumorosamente. Non riusciva
ancora a credere ai suoi occhi: quel regalo era quanto di
più prezioso qualcuno
le avesse mai regalato in vista sua.
Probabilmente nessuno
avrebbe mai potuto
eguagliarlo.
Un misto di
felicità per quel dono
inaspettato che si alternava al rimpianto di aver deluso il suo vecchio
e caro
Sig. Korhonen, la stavano sopraffacendo. Sentiva il cuore rullare
impazzito.
Sollevò il
quadro per osservarlo meglio
e così facendo le scivolò sulle gambe una piccola
busta color crema, sigillata
con della ceralacca rossa.
La prese
immediatamente e la aprì con
attenzione.
“Mia
cara bambina, l’amore non ha tempo, non ha luogo, non ha
scuse. L’amore è
l’unica cosa che continuerà a muovere il mondo
intero, a farci battere il cuore
anche quando penseremo che non sarà più
possibile. A farci fare le cose più
folli e meravigliose. A farci rischiare di perdere tutto o al
contrario,
trovare tutto.
Presto
sarò di nuovo con la mia Maili e vorrei che fossi tu la
custode del nostro
amore: so che è in buone mani.
E
quando
sarai pronta, riporta il tuo cuore “a casa”.
È sempre stato lì ad aspettarti.
Non avere paura.
Con
affetto, Aappo.”
*****
Con la borsa stretta
contro il petto,
quasi aggrappata ad essa come se fosse una zattera di salvataggio, Lou
camminava svelta da ore nella neve.
Non sentiva
più il freddo riscaldata
com’era dalle parole del suo Sig. Korhonen. Aveva gli stivali
zuppi e il naso
così ghiacciato che non lo sentiva più, ma la sua
anima era in fiamme. Era
uscita dalla Cappella del Silenzio in fretta, mossa da una smania che
non
sentiva da anni. Le mani intirizzite indovinavano i contorni del
minuscolo
quadro di Chagall attraverso la stoffa; ne accarezzava i bordi cercando
conforto
nella poesia e amore e magia così sapientemente condensate
in pennellate di
colore di anni e anni prima.
Aveva preso a
camminare senza meta
girando in tondo, presa nei pensieri e nei dubbi; nei sentimenti a
lungo
trattenuti e che ora risalivano in superficie tutti insieme. Si era
ritrovata
all’improvviso davanti alla Cattedrale Bianca ancora
più bella e maestosa di
quanto ricordasse, offuscata appena dai fiocchi di neve sempre
più fitti.
La sovrastava eppure
era come un candido
abbraccio che le dava di nuovo il benvenuto. Salì
rapidamente gli scalini di
pietra senza prendere respiro arrivando in cima senza fiato e si
girò a
guardare la piazza e parte della città che si srotolava
davanti ai suoi occhi.
Respirò a
bocca aperta l’aria gelida,
sentendosi viva dopo un tempo che le sembrava infinito.
Ogni parola scritta a
mano dal suo
vecchio amico apriva una nuova breccia nel suo cuore. Le sembrava che
si stesse
sciogliendo di minuto in minuto. Se avesse potuto esprimere a parole o
a gesti
la tempesta emotiva che le si stava scatenando dentro, qualcuno avrebbe
potuto
prenderla per pazza.
Non che la sua faccia
stravolta facesse
meno effetto, del resto. Non le importava. Non le importava di quello
che la
gente poteva pensare e credere di lei.
A quel punto non le
importava più di
nulla tranne che i tonfi del suo cuore impazzito.
Con un ultimo sguardo
alla città scese
con decisione gli scalini, incurante della neve mista a ghiaccio che li
ricoprivano.
“Lou,
vedi di non romperti l’osso del collo proprio ora!”, si disse in un
impeto d’ironia.
I suoi piedi avevano
deciso di seguire
il suggerimento del cuore questa volta.
Cinque chilometri a
piedi, quasi
un’ora.
Avrebbe avuto tutto
il tempo per trovare
le parole giuste da dire, prepararsi a qualsiasi cosa avesse trovato.
Un rifiuto,
indifferenza, il vuoto. Era
pronta a tutto ormai.
Lo doveva al Sig.
Korhonen che aveva avuto
una fiducia incrollabile in lei, lo doveva alla giovane donna dipinta
del suo
quadro.
Lo doveva a Mara che
le aveva detto fino
alla fine di correre a riprendersi il proprio cuore.
Lo doveva a se
stessa.
Lo doveva alla Lou di
quasi cinque anni
prima.
Alla bambina di tre
anni con la bocca
sporca di marmellata alle ciliegie, imbronciata e con la palla in mano,
che
sognava l’amore vero ballando con i piccoli piedini sopra
quelli del papà.
Era pronta a tutto.
Non aveva più senso
avere paura.
*****
Tutto era come lo
ricordava.
Immutato nel tempo.
Ogni pietra, vicolo,
albero.
Era come se non se ne
fosse mai andata,
ed era tutto ciò che aveva sempre sognato. Per quasi cinque
anni, non aveva
fatto altro che desiderare di tornarvi.
Sentiva caldo ora,
dopo poco meno di
un’ora di cammino a passo spedito. Era sudata e non le
importava.
Girò
l’angolo ed ecco la casa del Sig.
Korhonen.
Non c’era
nessuna luce accesa. La
tristezza dell’assenza tangibile dell’uomo la
colpì in pieno.
Strinse a
sé la borsa col quadro.
Sentiva dietro di
sé la presenza
incombente della Torre, ma non era ancora pronta ad affrontarla.
Lentamente volse lo
sguardo alla casa
che un tempo divideva con Nur. Le luci erano tutte accese e nel
silenzio della
sera riusciva a sentire chiaramente le inconfondibili risa acute di un
bambino
piccolo.
Tutto
cambia e nulla cambia.
Si girò
senza esitazioni e alzò gli
occhi sulla Torre.
Aveva quasi avuto
timore di trovarla
disabitata e ostile.
L’ultimo
piano era illuminato da una
luce calda.
Ville c’era
e forse non era solo. Non le
importava neanche se Amy era presente: se solo osava guardarla storto
l’avrebbe
scaraventata giù per le scale, in mezzo alla neve.
Si avviò
lungo il vialetto, salì le
scale e scavalcò con un ghigno il basso cancello che fungeva
da ostacolo.
A circa cinque metri
c’era la porta di
legno d’entrata alla Torre.
Mosse un passo e si
fermò subito. La
sicurezza iniziale si alternava alla paura.
“Calmati.
Respira. Puoi farcela. Ville è oltre quella porta.”
Fece ancora un passo.
Un tonfo attutito e
subito dopo un
leggero scampanellio attirò la sua attenzione.
Una macchia nera si
profilò all’improvviso
a pochi passi di distanza, davanti a lei, spiccando nettamente sulla
coltre
immacolata.
Il gatto la fissava
immobile. Gli occhi
verde chiaro si strinsero.
Katty.
Non poteva che essere
la sua Katty
quella elegante felina dal manto nero e lucido, con un nastro rosso
scarlatto intorno
al collo.
«Katty…»,
sussurrò a mezza voce per
paura di spaventare l’animale facendola scappare via.
La gatta si mosse
all’indietro senza
staccare gli occhi da lei.
Lou si
accovacciò cauta e allungò la
mano.
«Vieni qui,
piccolina… sono io…»,
bisbigliò con un groppo in gola.
La felina era ancora
cauta ma si
avvicinò lentamente continuando a girarsi
all’indietro, forse nella speranza di
veder apparire un aiuto.
Il campanellino che
era attaccato al
collarino rosso tintinnava ad ogni passo.
Lei
continuò a tenere tese le dita verso
Katty che girava in tondo, facendo l’indifferente senza
perderla di vista.
Le sembrò
che passasse un’eternità prima
che la gatta le arrivasse vicina a sfiorarle la mano col muso morbido.
Lasciò
che le odorasse la mano con calma, prima allontanandosi con un salto
all’indietro poi tornando a sfiorarla, fino a che Katty prese
a zampettarle le
dita con le unghiette affilate.
«Piccola
stronzetta, non sei cambiata per nulla!», disse divertita Lou
lasciandosi
mordicchiare e graffiare.
Katty alla fine si
strofinò con la
testolina sotto il suo palmo, accettandola definitivamente.
Lou rimase calma,
grattandole lentamente
il muso, senza fretta. La felina alzò gli occhi a guardarla
fissa, con
un’espressione altera e quasi di rimprovero.
«Hai
ragione ad essere severa: sono
stata cattiva con te.», sussurrò a bassa voce.
«Maooooaoo!»,
miagolò indispettita la
gatta a confermare le sue parole.
«Sei
proprio bella, lo sai? Sei
diventata proprio una pantera in miniatura…», le
parlò dolcemente coccolandola,
lisciandole il pelo lucidissimo color della pece.
Katty le faceva le
fusa socchiudendo gli
occhi.
La neve cadeva
sottilissima e così lenta
che le sembrava di essere all’interno di in una di quelle
sfere di vetro che
tanto amava da bambina.
La porta di legno si
aprì
inaspettatamente facendola sobbalzare.
La figura
inconfondibile di Ville si
profilò nel fascio di luce proveniente
dall’interno della casa.
Non aveva il coraggio
di alzare gli
occhi a guardarlo: non ancora.
L’uomo fece
un passo in avanti per poi
bloccarsi immediatamente, rigido.
Lou gli
fissò la punta degli anfibi
neri, risalendo pian piano lungo le gambe snelle. Teneva una mano
infilata
nella tasca dei jeans neri stinti e l’altra lungo il corpo.
Vide le sue lunghe
dita stringere la
sigaretta che stava fumando qualche istante prima.
Tenne lo sguardo
fermo al centro del
petto di Ville il tempo necessario per prendere respiro.
Le venne da sorridere
notando che
addosso aveva solo una t-shirt a maniche corte.
Non riusciva ancora a
vederlo in viso ma
la sua postura faceva intuire chiaramente di essere sorpreso.
Immaginò
la sua pelle calda sotto le proprie
mani.
Le punte dei capelli
mossi. Li aveva
tagliati e gli davano un’aria da ragazzino.
Ecco il collo liscio,
il mento con un
accenno di barba.
Le labbra strette fra
loro.
Il naso piccolo e
dritto.
Lou prese ancora un
lungo respiro prima
di incrociare il suo sguardo dopo un tempo troppo lungo, un tempo
infinito. Cinque
anni.
Cinque anni in cui si
era negata ogni
possibilità di essere felice o almeno provare ad esserlo.
Il verde chiaro degli
occhi dell’uomo la
trafisse da parte a parte.
Tra loro
c’erano poco più di una decina
di passi.
E la neve.
Che continuava a
cadere pigra,
silenziosa.
“Tutto
cambia e nulla cambia.”, pensò Lou.
Era così
che si erano incontrati la
prima volta.
Il bianco dei fiocchi
di neve, un gatto
nero davanti alla porta e due persone intente a fissarsi in silenzio.
Si rimise in piedi
lentamente dopo aver
dato un’ulteriore carezza a Katty.
Durante le ultime ore
si era chiesta se
lui l’avrebbe mai riconosciuta.
Era chiaro che Ville
sapeva benissimo
chi aveva di fronte.
Lo sguardo sorpreso e
disarmato dei
primi istanti aveva preso il posto di un’espressione dura.
Lo capiva bene: aveva
tutte le ragioni
per guardarla in quel modo. Se lo meritava.
E col passare degli
istanti si disse che
avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi perdonare.
Nel frattempo doveva
tornare a respirare
in modo normale, però.
L’uomo si
riscosse d’un tratto: portò
alle labbra la sigaretta quasi consumata e diede un tiro.
La scena sarebbe
stata perfetta se la sua
mano non avesse tremato leggermente.
Lou provò
un impeto di amore
incondizionato per quell’uomo.
Un uomo dal quale era
stata lontana per
un tempo dieci, cento volte maggiore di quello che avevano passato
insieme.
Eppure non era
cambiato nulla: lo amava
con la stessa intensità del giorno in cui era partita.
Aveva voglia di fare
quei dieci passi e
stringerlo forte.
Aveva voglia di
sentire se la sua pelle
aveva ancora lo stesso odore.
Ville non aveva
abbassato gli occhi
neanche per un istante: la sua espressione era sempre dura, distaccata.
Ma la sua mano aveva
tremato. Non gli
era indifferente. L’aveva riconosciuta.
E tutte queste cose
insieme le davano un
briciolo di sicurezza in più.
Cosa poteva dirgli?
Come si fa a chiedere
perdono a qualcuno
che forse non ha voglia di accettarti di nuovo?
Aveva la bocca arida
e le mani sudate.
Le tremavano le gambe
come quando da
piccola ne aveva combinato una grossa e aspettava che sua madre la
punisse.
Infilò le
mani nelle tasche del giaccone
bianco, tanto per fare qualcosa e muoversi.
Ville la guardava
senza proferire
parola. E non sembrava per nulla intenzionato a farlo.
Rimaneva rigido e
immobile, fumando la
sua sigaretta con finto disinteresse.
E più gli
istanti passavano, più Lou non
sapeva cosa dirgli e come iniziare.
Probabilmente lui si
stava chiedendo
cosa diavolo volesse dopo tutto quel tempo, cosa ci facesse nel suo
giardino.
Forse avrebbe potuto
iniziare con un
“ciao”… sarebbe stato già
qualcosa.
Ma per uno come Ville
ogni parola sembrava
superflua e stupida.
Si rilassò
e anche lei prese ad studiarlo
con calma, cercando di non trattenere il respiro e rischiare di
stramazzare al
suolo svenuta. Le sembrava assurdo di essere lì, davanti a
lui.
Era ancora
più bello di quanto
ricordasse. Più bello di quanto immaginasse.
Il tempo per Ville
sembrava andare al
contrario.
Era solo un
po’ più magro di cinque anni
prima e aveva profonde occhiaie da stanchezza che su chiunque altro al
mondo avrebbero
stonato, ma su di lui risultavano affascinanti.
Lou mosse un passo in
avanti, accennando
un mezzo sorriso.
L’uomo
strinse gli occhi, diffidente
come poco prima lo era stata la gatta.
Se non fosse stato
così orgoglioso,
probabilmente avrebbe anche fatto
un
balzo all’indietro come Katty.
Le venne da ridere
istericamente.
“Ville
mi butterà giù in strada a calci fra un
po’.”
Prese un respiro e
fece un passo in avanti.
Poi un altro respiro. Un altro passo verso Ville.
Otto
passi più vicino.
Non riusciva a
decifrarne l’espressione:
ora che la distanza tra loro diminuiva, notava una luce diversa negli
occhi
verdi dell’uomo.
Vedeva la
fragilità attraverso la scorza
dura dell’indifferenza.
I capelli di Ville si
ricoprivano di
neve sottilissima e lei si preoccupò improvvisamente del
fatto che potesse
beccarsi un raffreddore coi fiocchi se rimaneva ancora lì
fuori, al freddo.
Lui sembrava
insensibile anche al gelo
esterno.
E continuava a
tenerle gli occhi puntati
addosso.
Si avvicinava
lentamente, cauta; quasi
timorosa di vederlo fare dietrofront e tornare dentro la sua Torre,
chiudendola
fuori anche dalla sua vita.
Sei
passi.
Cinque anni le
avevano insegnato
qualcosa? A capire quello che a volte le parole non possono spiegare? O
era
solo il suo desiderio di tornare a “casa” fra le
braccia di Ville, a farle
vedere, a farle credere di vedere negli occhi dell’uomo
immobile di fronte a
lei, quella luce che vedeva un tempo?
La voglia di
stringersi a lui era
diventata un bisogno struggente.
Quattro
passi.
Eccola ancora quella
scintilla nella
giada. Nonostante la rabbia e il rancore a stento trattenuti,
c’era la luce di
un tempo.
L’eco del
sentimento che c’era stato tra
loro.
Avrebbe preso freddo,
pensò di nuovo
Lou.
Si fermò
davanti a lui, alzando la testa
a fissarlo.
Ora riusciva a vedere
le pagliuzze
dorate negli occhi.
E anche
l’odore della sua pelle, misto a
legno e fumo di sigaretta.
Soltanto la sua
mascella che si serrava
a ritmi regolari poteva farle intuire che Ville non era così
impassibile come
voleva far credere.
“Non
avere paura.”
La lettera del Sig.
Korhonen che aveva
imparato a memoria le risuonava nella testa, accompagnandola per tutto
il
tempo, nel tragitto mentre tornava a casa.
A
casa.
Tra le braccia di Ville.
"Angolo
dell'autrice:
Ciao a
tutti! Siamo arrivati alla fine di questo viaggio. E direte voi:
"Menomale!"
E avete ragione...
Che cosa posso dirvi se non un enorme, immenso, infinito GRAZIE?
Grazie a questa storia ho conosciuto tantissima gente, amiche ora.
E insieme a me, Lou e Ville, Andrea, così come Nur e Simone,
Mara, Karl e la piccola Lily... e il nostro amato sig. K., sono
diventati vostri.
Li avete amati e odiati insieme a me.
Questa avventura per me è stata bellissima e spero possa
rimanere nei ricordi di qualcuno di voi.
Prima che diventi tutto un piagnisteo, la finisco qui. E vi dico
arrivederci... forse torneranno con qualche OS.
Chissà?
Io vi ringrazio tutte, non mi metterò a fare nomi: ne
dimenticherei più di uno e non voglio far torto a nessuna di
voi.
Grazie a chi non ha mai mancato una recensione, chi mi ha detto in
privato quel che ne pensava, chi non si è mai palesato ma ha
seguito, un grazie a tutti voi. Nessuno escluso!
Per cui, beccatevi un grazie e un abbraccio virtuale.
Siete belli! :D
E poi
se proprio vorreste ritrovare Lou e i nostri, vi segnalo che... ehm...
avrei pubblicato su Amazon la trasposizione di Ikkunaprinsessa, col il
titolo: Come miele e neve, con un finale
aggiuntivo che qui non ci sarà. :D
Ci
ho messo tanto per decidermi a fare questo passo. Molte di voi mi hanno
spronato, per non dire obbligato a farlo!
Qualcuna
anche in via abbastanza minatoria... :D
E
quindi niente.
Sappiate
che c'è questa cosa.
Non
c'è Ville... ma qualcuno di cui non ricordo il nome, un
inglese mi pare... un tale Shakespeare
scriveva:
"Che
cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il
nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome,
serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo."
Per cui anche se ha un
altro nome, noi in cuor nostro sappiamo che sarà sempre lui.
:D
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima avventura.
Baci
baci,
*H_T*
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