Una lacrima di...

di francy91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...dolore! ***
Capitolo 2: *** ...rimpianti ***
Capitolo 3: *** ... gioia ***
Capitolo 4: *** Con te ***



Capitolo 1
*** ...dolore! ***


Nuova pagina 1

-Juan, per favore, mangia velocemente chè è tardi!-, disse una donna sulla trentina dai capelli castani e gli occhi verde brillante.

Due bambini, intanto, cantavano una canzoncina allegra:

-Ci son due coccodrilli ed un orango tango, due piccoli serpenti e un’aquila reale…-.

-Forza bambini, lo scuolabus vi sta aspettando, andate a scuola!-, disse Sakura Kinomoto, anzi, sarebbe meglio chiamarla Sakura Juarez, con il cognome del marito.

Erano sposati da sette anni, perché Sakura era rimasta incinta all’età di venticinque anni. Pablo era un uomo spagnolo giunto in Giappone per lavoro.

Guardando suo figlio Juan, Sakura rivedeva gli stessi lineamenti del marito e ricordava i momenti passati insieme, soprattutto il modo in cui lui reagì quando…

 

-Pablo, aspetto un bambino.-.

A quelle parole un uomo alto, dai capelli e gli occhi neri e i lineamenti molto virili si avvicinò alla donna che stava seduta davanti a lui e aspettava una risposta.

-Che… che cosa?-. Era incredulo. Avevano avuto solo un rapporto durante quella breve e tempestosa relazione. Si lasciavano e si riprendevano già da un anno. Lui era l’unico che aveva rubato il cuore a quella donna dopo          quell’uomo che, secondo l’amica Tomoyo, non doveva essere nominato davanti a lei.

-Oh… ma… è fantastico!-, si affrettò a dire. Quel silenzio metteva alla prova entrambi.

Un falso sorriso gli si aprì sul volto, pensando a cosa avrebbero fatto insieme. Si sarebbero sposati? E poi? Il suo precario lavoro sarebbe riuscito a reggere tutto quel peso?

 

-Mamma? Mamma??? MAMMA???-. Una bimba dai lineamenti orientali, i capelli di un nero quasi abbagliante e gli occhi verdi fissava Sakura.

Risvegliandosi dai suoi muti pensieri, disse:

-Oh… Sì? Che c’è, Shiruku?-

Lei era la maggiore dei fratelli Juarez. Aveva preso molto dalla mamma, nell’aspetto fisico: l’agilità, gli occhi, i lineamenti del viso, la fragilità nel corpo. Caratterialmente, però, era molto simile al padre: impulsiva, vendicativa, razionale. Così maledettamente razionale.

Invece Juan aveva capelli castani tagliati a baschetto e occhi profondi, nerissimi. Ma, al contrario della sorella, era un bambino incredibilmente socievole, buono, generoso e disponibile come la madre. Anche il suo sorriso, che sfoggiava non in poche occasioni, era dolce come quello di Sakura. Per il resto, era un bimbo tranquillo. Un angioletto, come lo chiamava Sakura. “Piccolo tenshi”, così sembrava a lei.

-Perché hai quella ferita sotto l’occhio? Che ti sei fatta?-. A parlare fu Shiruku, che intanto addentava una fetta biscottata.

In effetti da Sakura aveva preso anche la curiosità e la perenne abitudine di arrivare tardi a qualsiasi appuntamento.

-Io? Ehm… No, niente, sono caduta!-, disse Sakura presa alla sprovvista.

-Mah… Se lo dici tu! Be’, noi andiamo, ciao mami!-, disse la bimba dando un bacio alla madre.

-Ciao mammina!-, la imitò il fratello Juan.

-Ciao bambini, buona giornata! E fate i bravi, mi raccomando!-. Così dicendo seguì con lo sguardo i suoi due figli che uscivano di casa e salivano sullo scuolabus arancione che adoravano tanto.

Il silenzio calò nella stanza. Finalmente era sola. Pablo se ne era andato al lavoro alle sei e mezza e i suoi due bambini non sarebbero tornati prima delle cinque.

Ripensò alla domanda che Shiruku le aveva posto poco prima sulla sua ferita. Un brivido le passò lungo la schiena. Come avrebbe potuto dirle la verità? Come le avrebbe spiegato cos’era successo il giorno prima e ciò che succedeva praticamente ogni sera da più di un anno e mezzo? Subito il sorriso che aveva sfoggiato alla presenza dei figli si trasformò in una smorfia di dolore.

Eppure nascondeva bene le conseguenze della sera prima. Si tolse lo scialle che le avvolgeva le spalle e le copriva tutta la schiena, rivelando lividi e ferite dall’aspetto sicuramente non rassicurante. Tutta la schiena era percorsa da graffi profondi e ancora sanguinanti. Inutile dire che provava un dolore acuto, immenso, anche sulle braccia e sulle gambe.

Certo, Shiruku non avrebbe capito anche se le avesse raccontato tutto. Nessuno sapeva, come nessuno poteva capire. Neanche Tomoyo, la sua migliore amica. Non l’aveva mai abbandonata, fino a quando non si innamorò di quel Kim Po-gyong e andò a vivere con lui in Corea del Sud. Quanto le mancava…

Il ricordò della notte precedente imperversò nella sua mente, mentre una piccola e silenziosa lacrima le scendeva dall’occhio sinistro e le bagnava la ferita ancora aperta.

 

°°°°°°°°°°

Sakura stava sparecchiando e rideva per qualcosa che trasmettevano alla TV. Aveva già addormentato i bambini da un bel po’. Lo scattare della serratura la distrasse. Subito si alzò per andare a vedere chi fosse.

Si rese conto, frustrata, che era il marito.

-Ciao, amore. Com’è andata la…-.

Non riuscì a finire la frase, perché Pablo la prese per i capelli e la trascinò in cucina, facendole sbattere la testa al mobile di legno.

-Ah! Aiut…o…-, cercò di gridare Sakura divincolandosi.

-Sta’ zitta, puttana!-. Il volto di Pablo era alterato dalla rabbia, come il suo cervello lo era dalla birra.

Così cominciò a picchiarla, picchiarla e picchiarla ancora.

Ad un certo punto, stanco di darle calci e pugni, cominciò a strapparle i vestiti.

-No… ti prego…-, cominciò ad ansimare Sakura.

-TACI! SEI SOLO UNA BRUTTA , SPORCA CAGNA!-, prese a gridare Pablo.

-Non gridare, ti prego, i bambini dormono…-, disse Sakura disperatamente. Un forte e penetrante odore di tabacco misto a birra aleggiava nell’aria. Per la donna castana quello era l’odore della violenza, del dolore…

Pablo le tolse la biancheria intima e lì, sul quello squallido pavimento della cucina, la violentò.

Lei sentiva il suo respiro affannato, uguale a quello della sera prima, uguale a quello di ogni sera.

-Sì, troia, così va meglio…-, disse Pablo, grugnendo e baciandole il corpo con le sue labbra umide e che sapevano di alcool.

Alla fine si addormentò, come ogni sera, sopra di lei, sopra le sue lacrime.

Sakura rimaneva lì, a piangere, fino a tarda notte, finchè non rimetteva Pablo nel letto e si addormentava fra i singhiozzi e la consapevolezza che tutto questo non sarebbe cambiato, che il suo dolore non sarebbe mai finito.

°°°°°°°°°°

 

Sospirò.

Sarebbe finita, un giorno?

Lei non lo sapeva, ma la risposta era…

 

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Ciaooooooooooooooooo!!! Lo so, questa ff vi è parsa molto strana, vero? Ma durerà poco, solo due o tre capitoli! Ciao ciao e recensiteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!

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Capitolo 2
*** ...rimpianti ***


Nuova pagina 1

Sospirò.

Sarebbe finita, un giorno?

Lei non lo sapeva, ma la risposta era…

 

“Ah, dimenticavo, devo andare a prenotare la visita dal pediatra per Juan.”, pensò.

Però rimase ancora seduta sulla sedia per un bel po’, immaginando un mondo nuovo, con i suoi figli, SENZA PABLO. Sarebbe stato davvero bello: avrebbe giocato con Juan e Shiruku e li avrebbe aiutati a studiare, sarebbero andati ogni giorno al parco che lei adorava. Era da molto tempo che non ci andava, ma la paura di trovare il marito ancora ubriaco su una panchina la fece desistere da questo profondo bisogno.

Sospirò ancora e si vestì velocemente.

Mentre si avvolgeva un ampio foulard attorno al fragile collo, pensò alle persone che conosceva. Oltre a Pablo e ai suoi figli, non erano rimaste molte persone da amare nella sua vita. Non che amasse Pablo, ovviamente. Amarlo le sembrava quasi scontato, come dire che lei era una donna. Si può chiamare donna una persona che viene maltrattata solo per i capricci maschilisti di un uomo insensibile? Non lo sapeva.

Si rese improvvisamente conto che niente era scontato, né tanto meno l’amore. Fino ai quindici anni la sua vita era colma d’amore: suo padre Fujitaka, il fratello Touya, l’amica Tomoyo, il suo amato Shaoran.

“Shaoran…”

Da quanto tempo non lo pensava? Da molto, sicuramente. Certo, era l’amore della sua vita, il primo per giunta. Ma…

 

“…ma la vita va avanti, Sakura. Se io non posso amarti, ci sarà un altro che lo farà.”, disse un ragazzo dai grandi e profondi occhi marroni. Quel colore le ricordava vagamente le ciliegie mature di fine giugno. Quel giorno era proprio l’ultimo di giugno.

-Come puoi dire questo? La mia vita senza di te non ha senso! E tu lo sai benissimo…-, disse una ragazzina dai folti capelli castani.

Il sole picchiava forte sulle loro teste chine.

-Mi dispiace, Sakura. Io ti amo e tu lo sai, ma le mie sorelle non ce la faranno mai da sole, senza mia madre. Questo è il mio dovere di unico uomo della famiglia.-, rispose quasi piangendo il ragazzo.

-Un uomo? Tu sei poco più di un bambino, Shaoran! Tu non…-, non terminò la frase la giovane.

-Addio, Sakura. Sappi che mi dispiace e… che ti amo.-

La figura del ragazzo apparve sempre più lontana in quell’aeroporto, fin quando non scomparve del tutto.

 

Quel ricordo le pesava ancora in un modo incredibile sull’anima. E se l’avesse fermato? Almeno gli avrebbe detto un vero “Ti amo”, e non il solito e squallido “Ti voglio bene”.

Era piena di rimpianti. Non si potevano contare le volte in cui si era pentita di aver sposato quel mostro. Ma quello fu solo l’ultimo dei suoi errori, l’ultima delle sue sofferenze.

Dopo Shaoran, subito fu un altro l’uomo che la fece soffrire: il papà. Fujitaka era l’uomo più importante per sua figlia, ma non gli era importato. Diceva che ormai era grande e non aveva più bisogno di lui. L’egoismo l’aveva pervaso…

 

-Sakura, tu hai tutta la vita davanti. Io invece…-, disse un uomo alto dagli occhiali grandi.

-Cosa vorresti dire, che sei vecchio? Hai meno di quarant’anni! Perché devi partire? Non capisci? Io sono ancora piccola e…-, lo interruppe una stupenda ragazza ormai quasi donna.

-Un giorno mi ringrazierai. Ma ci sentiremo per telefono! E poi anche Tomoyo è nella tua stessa situazione, no? Potrete stare sempre insieme.-. Così dicendo il finestrino dell’auto nera su cui viaggiava si chiuse e l’auto partì, fra i sonori singhiozzi di una ragazza castana di diciassette anni.

 

Juan e Shiruku le avevano chiesto spesso perché non avessero un nonno paterno. Come poter spiegare loro che era partito per sempre? Che aveva trovato l’amore dopo sua moglie ormai morta? Che a Darwin, in Australia, aveva sposato Sonomi Daidouji? E che mai sarebbe tornato, dopo lo tsunami che aveva colpito la città quattro anni prima?

Il terzo uomo che la uccise moralmente fu Touya. Il suo fratellone… Juan e Shiruku uno zio ce l’avevano, certo, ma il problema era che si al momento o si trovava sul Marte, oppure in uno dei tanti centri della NASA  posti in America. Quel giorno le disse che doveva partire. Aveva ricevuto una borsa di studio, un’occasione d’oro.

Poi ci fu Pablo…

Lo squillo del cellulare la distrasse dai suoi forti e dolorosi pensieri.

-Pronto?-

-Signora Juarez?-, disse una voce femminile dall’altro capo del telefono.

-Sì, sono io.-, rispose incerta Sakura.

-Il dottor Jinkatsu non c’è. Vuole venire lo stesso a prenotare?-

-Ehm… Sì, certo! Non si preoccupi, vengo subito. Buongiorno.-

-Buongiorno.-, rispose educatamente l’altra.

Sakura riattaccò e si avviò velocemente verso lo studio del pediatra.

-Buongiorno!-, disse frettolosamente, per poi entrare nella stanza del dottore.

-Buongiorno, signora. Mi dica.-, disse un uomo alto e sorridente.

-Lei è il sostituto di Jinkatsu, vero? Comunque devo prenotare una visita per mio figlio.-, informò Sakura seriamente.

-Come si chiama?-, disse il dottore con la testa china sul registro dove scriveva gli appuntamenti.

-Juan Juarez.-, rispose tossendo la donna.

-E lei, come si chiama?-, chiese ancora l’uomo.

-Sakura Kinomoto.-, disse distrattamente la castana.

La penna cadde dalla mano del medico, che alzò il viso sbalordito e si indicò con gli occhi la targhetta cucita sul camice, come per far cenno a Sakura di leggere.

Lei obbedì: “Dr. Shaoran Li…”

 

 

Ciaooooooooooooooooooooo!!! Grazie mille a tutti per le recensioni!!! Comunque ci sarà una bella scena nel prossimo capitolo… Quindi leggete e commentateeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!

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Capitolo 3
*** ... gioia ***


Nuova pagina 1

Sakura lesse e rilesse quella targhetta che le sembrava più dolorosa di tutti i pugni di Pablo, ma nello stesso tempo più sollevante di ogni piccolo sorriso dei suoi bambini.

All’improvviso sentì una fitta allo stomaco e un freddo pungente e fastidioso la colpì e viaggiò in tutte le parti del suo fragile corpo, che cadde quasi esanime sulla sedia più vicina. Al contrario della sua anima, essa era calda e accogliente, quasi fastidiosamente morbida.

Tremava. Quel freddo le passò prima lungo la schiena sottoforma di un profondo brivido, poi la fece sussultare e quasi gemere dal dolore, perché quei brividi le facevano male più di qualsiasi altra violenza. Infine quel freddo glaciale possedette anche la sua voce:

-Cosa ci fai qui? Non c’è nulla che ti trattenga qui.-.

Sakura proferiva queste parole con una tale freddezza, completamente diversa da quei giorni in cui pronunciava quella frase singhiozzando e cantando una triste canzone stringendo al petto il cuscino.

Ricordava bene la canzone che cantava sempre quando l’immagine di Shaoran imperversava nella sua mente: “Cinque giorni” di Zarrillo.

Ricordava anche che prima dell’addio di Shaoran aveva ascoltato quella canzone con lui, ma non l’avevano trovata poi così significativa per loro.

Ricordava quel giorno nella sua stanzetta: entrambi stesi sullo stesso letto con il lettore mp3, la cuffia destra a lui, la sinistra a lei…

 

Quel giorno Touya era andato da Yukito per terminare quel progetto di scienze. Fujitaka era ad Hokkaido per delle ricerche e lei era sola. Allora pensò di invitare Shaoran. Quel giorno fu molto coraggiosa: non era mai stata a casa da sola con un ragazzo… E che ragazzo! Shaoran, era il SUO Shaoran, quello stesso Shaoran tanto desiderato, cercato, avvicinato, guardato, lo stesso che le avrebbe fatto male più d’ogni altra cosa e che le avrebbe cambiato la vita.

Lui accettò timidamente l’invito.

-Sakura, ti aiuto a sparecchiare…-, disse il ragazzo dalle calde iridi dopo aver finito di cenare.

-No, non preoccuparti!-, disse timidamente Sakura.

-Non c’è problema, davvero!-, ammise Shaoran.

-Be’, se proprio vuoi aiutarmi… devi prendermi!!!-, gridò la castana ridendo e correndo via, su per le scale.

-Ok!-, accettò allegramente la sfida Shaoran.

Sembravano due bimbi che correvano felici nel loro parco preferito. Erano entrambi spensierati. Sakura era contentissima in quel momento: il ragazzo che amava stava cercando di prenderla. Anche Shaoran era felice… Il solo sguardo divertito della ragazza lo faceva sentire vivo e lui non sapeva più cosa dirle, rideva solamente. Entrambi ridevano spensierati, mentre Sakura entrò correndo nella sua cameretta seguita prontamente da Shaoran.

Erano SOLI, in quella piccola stanza. Si guardavano sorridendo e rossi in viso, sia per la corsa, sia per la vicinanza.

Sakura si gettò sul letto, imitata da Shaoran. Uno accanto all’altra ascoltavano la musica, ma soprattutto quella canzone…

“…aiutami a distruggerti…”. Strane le parole che proferiva quel cantante. Come avrebbero potuto due persone che si amavano… distruggersi? Era un concetto sconosciuto per quei due giovani innamorati.

Cosa li avrebbe divisi, ora? Queste erano le domande più ricorrenti in quella giovane coppia che non sapeva nulla degli imprevisti, dell’amaro destino che divide, unisce e ancora divide.

 

Entrambi ripensarono a quel momento così felice, così estremamente lontano, al loro giuramento…

 

-Shaoran?-, disse ad un certo punto Sakura, mentre le note di quella canzone danzavano flebilmente nelle loro menti.

-Sì?-. Shaoran era stupito dal tono di voce della ragazza: era dolce, ma deciso e misurato.

-Anche se staremo lontani, noi ci ameremo sempre e non ci tradiremo mai, vero?-, disse dolcemente e quasi bisbigliando la castana.

-Certo, non… Scusa, hai detto che ci AMEREMO?-, spalancò gli occhi Shaoran.

-Allora… Mi ami, Sakura? So che è una domanda imbarazzante, però…-, continuò il ragazzo strofinandosi gli occhi caldi.

Sakura, per tutta risposta, arrossì vistosamente.

-Lo prendo per un sì…-, sorrise Shaoran dando un bacio sulla fronte all’amata, che abbracciò il ragazzo.

I due rimasero così per molto tempo, senza fine.

 

Si guardarono negli occhi, si specchiarono reciprocamente nell’anima dell’altro. Rividero il loro passato in pochi secondi: le carte, l’odio, l’amicizia, l’amore, l’abbandono, la tristezza, la lontananza, la freddezza, il distacco.

Sapevano benissimo che quelle frasi tipo “L’amore non ha confini” oppure “La lontananza non uccide l’amore, ma lo incrementa” erano solo strumenti commerciali usati dai grandi imprenditori di cioccolatini o da gente che viveva solo grazie alla festa di S. Valentino per incitare le persone ad amarsi. Pubblicizzavano un amore eterno che non esisteva solo per vendere stupidi e futili prodotti come gioielli o fiori, ma anche le solite frasi fatte, e perché? Solo per illudere. Dopo quel fatidico giorno di febbraio la gente litigava, gridava, moriva, si abbandonava.

Per Sakura quel giorno scandì il più grande errore della sua vita. Era in centro per comprare delle scarpe a Tomoyo per il suo compleanno, quando…

 

-Mi scusi signorina, ma lei è Sakura Kinomoto?-, le disse un ragazzo con un forte ed accentuato accento spagnolo.

-Ehm… Sì. La conosco?-, chiese incuriosita Sakura.

-Mio padre Joaquin Juarez era un collega di suo padre. Sa, erano molto amici-, informò sorridendo il ragazzo.

Sakura fu colpita da quegli occhi. Erano così profondi… Le ricordavano il suo piccolo Shaoran.

“Basta, non devo più pensarci! Ora devo rifarmi una vita.”, pensò Sakura.

 

 

Quello fu il loro primo incontro, poi ce ne fu un altro e un altro e un altro. Fino a quel giorno…

 

Era una fredda notte di inizio dicembre. La grandine scendeva violentemente verso il suolo e picchiettava contro i vetri.

In quella casa il silenzio era rotto da delle risate che provenivano dal soggiorno.

-…dammi un altro goccio Pablino!!!-, disse con un lieve singhiozzo una ragazza castana.

-Subito… Guarda ti è caduta una goccia di birra sulla maglietta… dammela che la vado a lavare!-, disse ridendo Pablo.

Sakura era completamente ubriaca, mentre Pablo non lo era affatto, perché voleva tenere la situazione sotto controllo.

La castana si tolse la maglietta e la porse al fidanzato. Tutto cominciò da lì.

La maglietta… la gonna… le scarpe… le calze… e poi… e poi… tutto il resto.

Prima un bacio, poi un altro: la situazione presto precipitò…

Sakura rideva e Pablo la teneva ferma.

 

Il giorno dopo Sakura era confusa, pentita.

 

Una lacrima le cadde pensando alla sua stupidità, alla sua ingenuità. Da quel momento aveva perso ogni speranza di poter rincontrare Shaoran, di potergli parlare, di poterlo guardare in faccia senza sentirsi una traditrice.

-Allora… allora ti sei sposata?-, ruppe piano il silenzio Shaoran.

Sakura, che all’inizio gli era ostile, ora voleva sfogarsi e piangere sulla sua spalla.

-Ecco… sì.-. Detto questo scoppiò in un pianto disperato.

“L’ho perso per sempre e non me ne sono nemmeno accorta, pentita… Lui aveva fiducia in me e io l’ho tradito con un uomo che non vale nemmeno un millesimo del mio Shaoran. Il mio Shaoran… Da quanto tempo non lo chiamo così? Perché? Perché sono così… sbagliata? La mia vita e piena di errori…”. Questo pensava Sakura in quel momento.

Le ritornarono in mente ancora le parole di quella canzone: “… ho provato a disprezzarti, a tradirti e a farmi male…”. Era proprio ciò che aveva fatto. Si rese improvvisamente conto che in quel modo si faceva solo del male.

-Sakura, non devi piangere…-, disse lentamente e dolcemente Shaoran.

La ragazza alzò la testa: lui era calmo,  non era arrabbiato per quello che aveva fatto, per il suo tradimento.

Shaoran si alzò dalla sua nera poltrona di pelle e raggiunse Sakura dall’altra parte della scrivania e fece qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter fare ancora: le mise una mano sul capo e le accarezzò i capelli.

-Evidentemente non nascondi bene le tue ferite, sia quelle fisiche che quelle morali…-, disse notando la ferita sotto l’occhio della donna.

-Io… s-sono cadu-uta…-, si giustificò la donna, coprendosi ancora di più il viso con il foulard.

-Non nascondere ancora di più il tuo dolore, ti farà solo male. E poi, sono un dottore, so distinguere le ferite accidentali da quelle di violenza. Non mentirmi più, ti prego.-, sorrise Shaoran.

-Perché sei qui? Sei… sposato?-. Temeva la risposta che l’uomo avrebbe potuto darle.

Una nuova ondata di lacrime le inondò il volto. Era successo tutto in solo mezz’ora. Sì, era lì in quello studio da ben mezz’ora.

Shaoran chiuse la porta a chiave e disse:

-Sono venuto per… per ritrovarti, perché io non sono sposato o, meglio, sono separato. Sai, ho cercato di dimenticarti, ma è più forte di me…-. Così dicendo, si mise a sedere nella sedia accanto a quella di Sakura.

-Ti ho tradito… Tu… tu non puoi perdonarmi…-, disse la castana alzandosi e dirigendosi verso la porta.

-L’ho già fatto, amore.-.

Quelle parole le rimbombarono in testa. La risollevarono, le diedero la speranza che ormai aveva perso da molto tempo.

Si voltò verso il viso di quell’uomo che la guardava dolcemente. Ora capiva perché si era innamorata di Pablo: quegli occhi le ricordavano tutto ciò che le dava felicità e amore. Ma si era sbagliata: Pablo non le avrebbe mai dato felicità e tanto meno amore.

Shaoran si avvicinò a Sakura e l’abbracciò dolcemente. Quella sensazione dava loro una ragione in più di vivere. Si sentivano al settimo cielo, in un posto dove nessuno li avrebbe mai divisi. Le mani calde di Shaoran ora circondavano il viso della donna, un viso bagnato dal pianto ma sorridente. Ora sì che si sentiva viva, utile al mondo, soprattutto per una persona: Shaoran.

Lui si avvicinò a lei sempre di più, finchè le loro labbra non si sfiorarono. A quel contatto Sakura trasalì. Pensò ai suoi bambini… Che avrebbero fatto se li avesse lasciati soli con Pablo?

-Shaoran, non posso… I miei bambini…-. Subito s’interruppe. Gli occhi di Shaoran la fissavano e Sakura non riusciva a capire cosa stesse pensando.

“Che sto facendo? Io ho sempre dato la mia vita per la gente che amavo e ho sacrificato me stessa senza avere nulla in cambio. Ora devo riscattarmi, devo fare ciò che voglio senza  pensare agli altri.”.

Pensando questo, Sakura unì ancora una volta le sue labbra con quelle dell’uomo che si stagliava davanti a lei.

Subito si tolse il foulard.

Una sensazione di libertà sfrenata le intimò di togliersi anche la camicia e la gonna che indossava elegantemente.

Shaoran la guardava sorridendo e le baciava le rosee labbra.

-Io… ti amo.-, disse l’uomo togliendosi la giacca e le scarpe.

Sakura rimase incredula a quelle parole, ma più che altro stupita. Da quanto tempo non sentiva quelle parole? Pablo le disse di amarla precisamente sei anni prima, quando seppe della nascita di Juan. Lo disse solo per rassicurarla, Sakura lo capì bene.

Poi arrivò il turno dei pantaloni e della camicia di Shaoran. Ormai tutto l’imbarazzo era sparito, lasciando il posto alla passione che li coinvolgeva fin dal profondo dei loro cuori.

-Sei bellissimo… amore-, disse flebilmente Sakura, mentre toglieva anche i calzini e la biancheria intima.

-Tu sei… sei… fantastica!-, rise Shaoran togliendosi anch’egli i boxer.

Si avvicinarono ancora di più. I loro corpi erano un blocco unico, formavano una cosa sola. Erano finalmente completi.

Shaoran prese Sakura in braccio prendendola per la vita. Lei circondava il collo del ragazzo con le braccia e con le gambe gli cingeva i fianchi.

Lui era dentro di lei ed erano felici, tremavano per la felicità. Le loro lingue danzavano allegramente e, appena le loro bocche si staccavano, un sorriso regnava sui loro volti.

Non sapevano per quanto tempo rimasero così attaccati, ma dopo un po’ si ritrovarono sulla poltrona di fredda pelle nera, con Sakura seduta su  Shaoran e la testa appoggiata sul suo petto.

-Perché… perché non partiamo? Staremo insieme e…-, cominciò Shaoran.

-Shaoran, è stato tutto bellissimo, ma io devo tornare. Ho un marito e due figli…-, rispose Sakura.

-Lui ti fa del male e tu vuoi stare con lui???-, la interruppe l’uomo.

-Ho degli obblighi… Credimi, vorrei tanto venire con te, ma…-

-Ma? Ma vuoi seguire i tuoi obblighi e non il tuo cuore? I bambini potremmo portarli con noi…-, disse Shaoran.

-Amore, ci devo pensare, ok? Ora devo andare… Ciao!-, salutò rivestendosi velocemente.

-Rifletti, amore, e segui il tuo cuore…-, suggerì speranzoso Shaoran.

Quando la porta fu chiusa Shaoran pensò che la cosa giusta da fare ora fosse…

 

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CIAO A TUTTI! Spero che questo cap vi sia piaciuto! Ringrazio tutti quanti per aver recensito! Ci vediamo al prossimo capitolo che, credo, sarà l’ultimo! Ciao e recensiteeeeeeeeeeeee!!!

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Capitolo 4
*** Con te ***


Nuova pagina 1

 

Il vento accarezzava il volto di una donna castana dagli occhi che brillavano. Erano verdi, ma non più di un verde spento e velato di tristezza, bensì di una tonalità quasi sorridente, felice e acceso. Gli occhi di Sakura si posavano delicati sulla natura che la circondava: i forti e robusti alberi quasi la proteggevano da ogni male; l’erba scandiva i suoi passi e si muoveva lentamente, con un’armonia invidiata dalla più melodica delle arpe o dei flauti, o persino dalle voci più dolci e potenti; i fiori si aprivano ormai senza più paura di ciò che li circondava e sorridevano al sole, volgendo la propria bellezza verso ogni essere che li circondava e che li ammirava incantati; le rondini, segno inconfutabile dell’arrivo della primavera, volavano spensierate nel cielo azzurro e pulito, privo di nuvole.

Un evento straordinario colpì Sakura: dal ramo più alto di un alta quercia una piccola rondine lasciò il suo caldo e accogliente nido e spiccò il volo verso l’ignoto, verso l’avventura più bella che l’avrebbe visto come protagonista: la vita, la SUA vita.

Mentre soffici e leggeri petali di fiori cadevano soavemente attorno a lei, Sakura si ritrovò a pensare a quanto coraggio avesse avuto quella rondine per lasciare il suo nido e volare via verso l’infinito e l’indescrivibile ignoto.

Un sorriso le si aprì sul volto, finalmente. Un sorriso vero, non solo accennato o rassicurante, ma una vera e propria dimostrazione di felicità. Tutto in lei sorrideva: le labbra, gli occhi, il corpo.

Era ritornata bambina, quando correva spensieratamente nei prati, raccoglieva fiori da regalare alle persone che amava di più, sorrideva ad ogni minimo movimento della natura e del mondo intorno a lei. Correva, correva, correva senza meta, cantando un’allegra canzone d’amore. Si rivide da adolescente, quando le persone da amare erano ormai infinite e impossibili da perdere, quando pensava che cose come l’abbandono, la solitudine, la violenza, la frustrazione non l’avrebbero mai toccata e interessata. Si sbagliava, certo, ma a che serviva ripensarci ancora e ancora e ancora? Piccola, fragile, ma amabile e sorridente, sempre. Questi ultimi due aggettivi particolarmente. Come avrebbe potuto considerarsi tale dopo aver sposato Pablo? E invece l’amore che aveva perso ora le era accanto, a pochi isolati da lei. Perché lasciarlo? Perché pensare sempre agli altri e non premiare sé stessa, qualche volta?

L’indomabile e quasi immancabile egoismo dell’adolescenza tornò a possederla. Si sentiva come una quindicenne che aveva appena conosciuto l’amore, le emozioni che esso suscitava e le gioie che portava. Correva ancora, sorridendo e parlando da sola, come una ragazzina che è appena stata baciata per la prima volta, come un uccello in gabbia che è appena stato liberato e che ammira la bellezza del mondo da un’altra angolazione.

Ora era stanca, stanca di correre, ma non di amare. Cominciò a camminare e ad ammirare il mondo intorno a sé. Tutto le sembrava più bello, come vivere in un paese fatto di nutella e orsacchiotti. Persino la signora Tsutegoto, che era la più grande pettegola del quartiere, quasi le sembrava simpatica.

Arrivò finalmente a casa ed entrò. Il profumo delle rose che teneva sul davanzale le inebriò l’olfatto e Sakura ne fu completamente piena.

All’improvviso si girò verso la finestra e strappò le tende nere e grigie, sostituendole con quelle rosa e azzurre regalatele e cucite da Tomoyo qualche anno prima. Improvvisamente quel nome la rattristò un pochino, così, dopo ben tre anni, prese il telefono e la chiamò.

Questo non succedeva più da quando…

 

-… Non so, Tomoyo. Io amo Pablo, ma lui mi tratta così male ultimamente…-, disse una donna castana con la nera cornetta del telefono in  mano.

-Senti, tu non puoi continuare così! Devi reagire.-, rispose un’altra donna dai capelli corti e nerissimi.

-Come faccio? Per te è tutto facile… Kim non si comporta mica così, no? Perché sono sempre io quella sfortunata?-, cominciò a piangere Sakura.

-Ma come è possibile che tu pianga sempre? Non servirà a nulla, lo vuoi capire? Fin quando tu non lascerai Pablo, io non ti telefonerò più e tu farai lo stesso con me!-, tagliò corto Tomoyo sbattendo il telefono in faccia a Sakura.

Sapeva che così l’avrebbe solo ferita, ma almeno si sarebbe data una mossa.

Una settimana… un mese… un anno…: nulla.

Cominciò a preoccuparsi, ma si fece forza e non chiamò più la sua migliore amica.

 

Sakura ricordava bene quei momenti in cui aveva bisogno di lei, ma la ignorava e cercava di andare avanti. Finalmente aveva deciso: quello sarebbe stato l’ultimo suo soggiorno in quella stupida e dannata casa.

La  castana compose il numero coreano dell’amica quasi tremando.

Aspettò una risposta…

-Yoboseyo? -, disse una voce dolce e puerile dall’altra parte del telefono.

-Ehm… Tomoyo?-, rispose incerta Sakura: non sapeva una parola di coreano.

-Sakura! Come va? Cavolo, da quanto tempo! Allora… hai deciso?-, domandò Tomoyo.

Sakura credeva che si sarebbe formata una specie di freddezza fra di loro e invece Tomoyo le parlava come se non fosse successo nulla, come se la loro ultima telefonata fosse accaduta il giorno prima.

-Sì, amica mia: ho deciso-, disse sorridendo Sakura.

-Sakura… Qualsiasi scelta tu abbia fatto, tu rimarrai sempre mia amica.-, proferì rassicurante Tomoyo.

Fra le due amica non c’era un’aria tesa, ma tranquilla. Finalmente si erano riconciliate e non volevano rovinare quel momento con stupide discussioni infantili.

Sakura le raccontò tutto quello che era accaduto poco prima nello studio di quel pediatra molto speciale.

-Ma è… è fantastico!!!-, gridò quasi la mora.

-Sì…-, rispose vaga Sakura.

I suoi occhi fissavano le candide tende senza vederle davvero. Perché era immersa e persa nei suoi muti pensieri. Un delicato sorriso si stagliava sul suo fragile volto. Non pensava più alle ferite, al dolore, a Pablo. Era completamente concentrata sul vero senso dell’amore, sulle pagine della sua vita, vuote e insignificanti in confronto a quelle poche e intensissime ore appena trascorse.

-Sakura? Ci sei? Ehi???-, disse scherzosamente l’amica.

-Ehm… Sì sì, ci sono! Scusa, ero soprappensiero!-, rispose un po’ imbarazzata la castana.

-Allora… che hai deciso?-, chiese timorosa della risposta Tomoyo attorcigliando il dito al filo del telefono, segno inconfondibile di preoccupazione.

-Lascerò Pablo e porterò i bambini con me e Shaoran. Questa è la cosa più giusta.-, disse decisa Sakura.

-Sakura, sono felicissima! Ma c’è solo una cosa che mi preoccupa: come lo dirai a Pablo?-, chiese ansiosa Tomoyo.

-Oggi starò un po’ con lui e domattina presto me ne andrò senza dirgli nulla. Non posso fare altro, credimi.-, disse tristemente la castana.

-Va bene, Sakura. Però dove andrete? Perché non venite qui in Corea? Almeno siamo tutti insieme, finalmente.-, propose speranzosa Tomoyo.

-Sarebbe un’idea fantastica! Ora stanno arrivando i miei bambini, quindi devo chiudere, mi dispiace. Ci sentiamo stasera, ok? Lo devo proporre a Shaoran. Ciao Tomoyo e grazie infinite, davvero!-, salutò allegramente Sakura.

-Ciao, Sakurachan!-, rispose la ragazza in tono materno.

Sakura chiuse la comunicazione e accolse felicemente i suoi bambini:

-Ciao, bambini! Com’è andata oggi a scuola?-.

Un sorriso le si aprì sul volto, finalmente un vero sorriso.

-Mamma… che ti è successo? Sei così… felice!-, disse Shiruku osservando sospettosa la madre e con aria interrogativa.

A volte vedendo la sua bambina Sakura pensava a Tomoyo, poiché erano molto simili: entrambe grandi osservatrici, entrambe perspicaci ed entrambe scaltre.

-Io… No, niente! Sono solo felice di vedere i miei bambini!-, rispose incerta Sakura, mentre cercava disperatamente di essere convincente.

Come avrebbe potuto dir loro la verità? Magari avrebbe spiegato loro che dovevano partire senza il papà… Ma come spiegare chi fosse Shaoran? Non sarebbe stato poi così difficile, dato che i bambini non avevano nessun rapporto con il padre, in quanto non lo vedevano mai e, quelle poche volte che c’era, Juan e Shiruku lo ignoravano completamente.

Il pomeriggio passò tranquillo, fra i giochi innocenti dei bambini e le favole raccontate da Sakura. Le piaceva tantissimo narrare ai propri bambini di principesse rapite e aitanti principi che le salvavano, perché sperava sempre che uno di quei principi l’avrebbe salvata dal mago cattivo, ovvero Pablo. Finalmente quel giorno era arrivato, anche se senza il cavallo bianco, ma ciò non aveva alcuna importanza.

Arrivò così la sera, annunciata da una telefonata.

-Pronto?-, disse la donna castana con un po’ di affanno, poiché aveva fatto una gran corsa per venire a rispondere.

-Stasera andiamo a cena fuoro. Esco prima dal lavoro. Preparati.-. disse una voce maschile chiudendo la cornetta.

Sakura rimase attonita: non era mai uscita a cena fuori con PABLO, o almeno non se lo ricordava.

Era pallida… Perché doveva farle questo? E soprattutto, cosa significava quell’invito? Domande senza risposta, che avrebbe acquisito un significato solo se Sakura avesse accettato l’invito.

Pensando ai motivi più contorti e particolari, la donna si vestì non troppo accuratamente: indossò una gonna verde lunga fin poco sotto al ginocchio, un paio di calze nere, una maglietta a maniche lunghe nera con dei piccoli cerchietti verdi sui bordi delle maniche e del collo e infine un paio di scarpe verdi molto semplici.

Quasi non ricordava come fosse fatto un ristorante, veramente. Pensò e ripensò ancora a quello strano invito di Pablo… Cosa avrebbe fatto? Avrebbe dovuto cogliere l’occasione per dirgli tutto? E poi? Lui avrebbe accettato? Sicuramente no… Come avrebbe potuto?

All’improvviso il suono del campanello fermò lo scorrere dei suoi pensieri.

Sakura aprì la porta e si trovò davanti la sagoma del marito. Non riuscì a guardarlo negli occhi, aveva una paura tremenda. Così cercò di soffermarsi sulla sua squallida camicia un po’ sporca di polvere.

-Andiamo.-, disse lui deciso.

Sakura lo seguì senza badare troppo a lui, ma guardando il paesaggio desolato e quasi deprimente.

Dopo un quarto d’ora di silenzio in auto arrivarono in un ristorante dall’aspetto molto curato e caro. C’erano una ventina di tavolini ognuno dei quali presentava due candele come illuminazione, una candida tovaglia e delle posate molto ben curate e lucidate.

Si sedettero sempre in silenzio e quasi subito giunse un cameriere vestito in modo impeccabile.

-Prego?-, disse.

Pablo ordinò per sé e per Sakura alcuni piatti, alcuni del quali alla donna non piacevano.

In questo modo si rese conto di quanto fosse estranea per lui, ma decise di non rovinare quel momento per motivi così futili.

-Allora…-, cominciò a parlare Pablo per attirare l’attenzione della moglie.

Sakura era un po’ imbarazzata, ma guardò lo stesso il marito con fare interrogativo.

-Perché… insomma, perché mi hai portato qui?-, disse la donna prendendo tutto il coraggio che aveva.

Pablo si aspettava qualche complimento per la scelta del ristorante o qualcosa di gentile, ma fu spiazzato da quella domanda.

-Non sei contenta?-, chiese premurosamente.

Non sapeva perché, ma quelle parole irritarono Sakura in un modo incredibile.

-Rispondi alla mia domanda.-, sentenziò la castana con fare impositivo.

-Va bene… Che dire? Ti ho portato qui perché ti amo.-, disse quasi angelico Pablo.

Il cuore di Sakura avrebbe dovuto sciogliersi a quelle parole, invece si indurì ancora di più.

-Bene, mettiamo che sia così: perché allora mi fai tutto questo?-, disse ironica Sakura indicandosi la ferita sotto l’occhio.

Pablo stava per rispondere in  malo modo a Sakura, ma giunse fortunatamente il cameriere che portava le pietanze richieste.

-Allora?-, chiese impaziente Sakura quando il cameriere si allontanò.

Non si riconosceva più: era diventata fredda e  distaccata.

-Allora che?-, domandò ignaro Pablo.

Sakura a quelle parole si infuriò e disse rabbiosamente:

-Tu non hai il diritto di farmi tutto quello che vuoi, ma ti dirò soltanto una cosa: l’amore si ottiene con l’amore e tu questo non riesci proprio a capirlo, vero?-.

Dicendo questo Sakura si alzò dalla comoda sedia e uscì con passo pesante e deciso dal locale.

L’aria fuori era fredda e pungente e una lacrima le scese da viso. Così ritornò con tristezza e rabbia a casa sua.

**Intanto, nel locale…**

Pablo seguì con lo sguardo sua moglie che se ne andava. Andò subito su tutte le furie e, dopo aver pagato il conto, uscì dal ristorante e giunse nel solito pub dove ogni sera sfogava la sua rabbia bevendo.

-Ehi Pablo!-, lo salutarono i suoi compagni.

-Ciao…-, mugugnò l’uomo.

Dopo alcuni bicchieri di birra, chiacchiere inutili e stupide risa, nel pub solitario entrò un altro uomo dai tratti somatici cinesi.

-Ehi amico, vuoi un bicchiere???-, chiese un uomo seduto al fianco di Pablo.

-No, grazie-, disse un po’ schifato il cinese e continuò: -vorrei sapere dove trovare il signor Juarez.-.

-Al suo cospetto, signor…-, cominciò Pablo completamente ubriaco.

-Li. Mi permette di darle una cosa?-, disse con uno strano sorriso Shaoran. Aveva finalmente scoperto chi era colui che dava tante pene a Sakura.

Pablo annuì con la testa e Shaoran si avvicinò sempre di più, fin quando non gli fu innanzi. Così, con grandissima soddisfazione, diresse il pugno chiuso verso il viso di quell’uomo e lo colpì violentemente, mentre Pablo gridava dolorante.

Nessuno capiva cosa stesse accadendo, perciò nessuno rincorse Shaoran che scappava fuori dal locale.

Pablo era accasciato a terra, ma si alzò improvvisamente.

-Dove sei, brutto bastardo?-, disse follemente.

Stava per picchiare chiunque gli capitasse davanti, ma fu fermato dagli amici e messo a sedere.

-Oh, calmati! Ora mandiamo Uzo e Jinetsu e cercarlo!-, dissero alcuni amici.

A quelle parole Pablo si calmò e ricominciò a bere un altro bicchierone di birra.

Subito i suoi due amici Uzo e Jinetsu uscirono dal locale per cercare Shaoran. La serata passò tranquillamente dopo l’episodio del pugno e Pablo continuò a bere. Ormai era completamente ubriaco quando entrò Sezuko, un altro compagno del pub.

-Ehi amico, come va?-, disse Pablo con qualche singhiozzo dovuto al troppo bere.

-Tutto bene… Piuttosto, a te come va? Ho sentito delle cose…-, chiese vago Sezuko.

-Oh, che hai sentito?-, domandò Pablo invitando l’amico a sedersi accanto a lui.

-Come, non sai niente? Cazzo… Devo dirtelo proprio allora… Sicuro che lo vuoi sapere?-, chiese timoroso Sezuko.

-Ma certo! Parla, muoviti…-, ordinò Pablo vomitando a terra.

-Amico, hai bevuto davvero troppo!-, disse il barista che intanto toglieva il boccale di birra dalle grinfie dello spagnolo, che dopo un’iniziale protesta si arrese.

-Come sai, mia moglie fa la segretaria nello studio del dottor Jinkatsu, no? Ha detto che stamattina è venuta tua moglie per prenotare una visita a tuo figlio, ma il dottor Jinkatsu mancava, così l’ha sostituito il dottor… aspetta… Come cazzo si chiamava? Ah, sì: il dottor Li. Mia moglie ha detto che tua moglie si è trattenuta “amichevolmente” con lui. E’ sicuro, ha detto che ha spiato dalla serratura!-, spiegò Sezuko.

Pablo diventò prima pallido per il colpo e poi rosso di rabbia. Sentiva le vene pulsargli da tutte le parti e si mordeva il labbro inferiore facendolo sanguinare.

-IO LO AMMAZZO!-, gridò prima di alzarsi e correre fuori dal locale. Ormai sia la rabbia che la birra lo accecavano. Non capiva più nulla… La moglie che lo tradisce, quel pugno in pieno viso… L’unica cosa che voleva in quel momento era vedere quel viso dai tratti cinesi e dilaniarlo.

Intanto Shaoran era arrivato fino al ponticello dove dichiarò il suo amore a Sakura. Appena vide la sagoma di Pablo avvicinarsi sempre di più non sentì più paura e nemmeno il bisogno di correre. Aveva ancora addosso il profumo di Sakura che gli ricordava tanti bei momenti…

 

Era ormai il tramonto e due ragazzi camminavano vicini verso la casa della ragazza, Sakura.

-Sakura… Andiamo al ponticello?-, chiese timoroso il ragazzo, Shaoran.

-Be’… Sì, perché no!-, rispose allegra Sakura.

Giunsero in cinque minuti al luogo stabilito. La ragazza si poggiò al parapetto e Shaoran si fermò dietro di lei.

-Che bel tramonto…-, mormorò la castana.

Shaoran a quelle parole prese coraggio e disse con la testa bassa ma con una mano sulla spalla della ragazza:

-Sakura… io ti amo!-.

Sakura rimase sbalordita a quelle parole, ma non riuscì a rispondere: “Anch’io”, bensì:

-Ti voglio bene.-.

Sorrise e abbracciò teneramente il ragazzo dietro di lei e rimasero così per molto molto tempo.

 

Pensando alla sua dichiarazione, Shaoran vide Pablo a pochi metri da lui. Il suo passo era rallentato dalla birra, che però acuiva la sua rabbia.

-Ti aspettavo-, disse solamente Shaoran, mentre Pablo alzava la pistola che portava sempre perché era un poliziotto.

-Shaoraaan! Dove sei? Ah, eccoti!-. Sakura era uscita di casa per cercare l’uomo e dirgli che accettava di venire con lui e subito lo scorse sul ponticello.

-Shaoran! Ho deciso! Accetto! Verrò per sempre con te, perché io ti amoooo!-, gridò Sakura mentre era ormai a pochissimi metri dall’uomo che amava. Solo in quel momento si accorse che c’era anche Pablo.

-E tu… che ci fai qui?-, chiese impaurita Sakura, che intanto aveva raggiunto Shaoran e lo abbracciava.

Pablo non rispose alla domanda della moglie, ma si limitò a premere il grilletto una, due, tre, quattro volte.

Quei due corpi stretti in un ultimo e solenne abbraccio caddero esanimi sul nudo legno del ponticello.

Pablo ritirò a sé la pistola e guardò soddisfatto la scena che gli si prospettava davanti: sua moglie e Shaoran erano a terra uno sopra l’altro e si abbracciavano. Ormai erano solo cadaveri freddi e pallidi, con gli occhi ancora aperti e vitrei che fissavano vuoti il cielo nero e pesante che gravava sulle loro anime.

Pablo, preso ancora dalla rabbia, prese a calci quei due corpi ormai vuoti di un’anima. Ma qualsiasi cosa avesse fatto, Pablo non sapeva che non sarebbe servito a nulla, perché le loro anime riposavano ormai insieme e nessuno le avrebbe divise, mai.

 

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Prologo

Pablo fu subito arrestato grazie alla preziosa testimonianza del suo amico Uzo, che amava segretamente Sakura e che non aveva mai perdonato il gesto estremo dell’amico.

Juan e Shiruku sono andati a vivere con Tomoyo di loro spontanea volontà e finalmente Sakura e Shaoran erano insieme e stavolta per sempre.

 

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Ciao! Questo era l’ultimo capitolo, quindi la fanfic è terminata. Spero vi sia piaciuta almeno un po’ e spero anche di aver raggiunto il mio obiettivo: suscitare emozioni e far riflettere. Mi raccomando, riferitemi ancora una volta la vostra preziosa opinione! Grazie mille a tutti coloro che hanno recensito! Ciao!

Francy

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