Recensioni di Neal C_

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Recensione alla storia Teenage Angst - 26/12/13, ore 00:17
Capitolo 1: Teenage Angst
La mia fiction di Natale! Nella sezione Placebo!

Adesso posso morire felice. Attendo un altro po’… non sia mai ti venga voglia di pubblicare il seguito; capodanno sfrenato in casa Olsdal *-*
Stavolta sarò sintetica, sigh.
Dunque dunque dunque, cominciamo con l’ aitante figura di Rob Schqualchecosa che attende il ritardatario della situazione, Mss PrimadonnaMolko.
Diciamo che c’è un piccolo conflitto d’interessi all’interno del neonato gruppo che fa presagire come presto il gruppo cambierà batterista.
Nel frattempo non so bene cosa pensare del personaggio di Rob, acido, perennemente incazzato con il suo cantante, personalità forte che cerca di imporsi sia come persona, sia in campo musicale.
Il suo riarrangiare le canzoni è una sorta di bisogno di approvazione per confrontarsi contro uno spettro temibile: Hewitt. È Steve il beniamino di Bri, è lui a minacciare la stabilità del gruppo e Rob vuole in tutti i modi cercare di dimostrare di essere parte integrante e attiva dei Placebo.
Almeno questa è la sensazione. Ma non l’avrà mai vinta in quel modo.
Per quanto siano divertenti i quadretti fra lui e Bri (il loro insultarsi a vicenda è esilarante, mi fa brillare gli occhi) non fa altro che rendersi più irritante e odioso agli occhi di Molko.
intanto non accetta il suo modo provocatorio e un po’ strafottente di comportarsi, rifiuta ogni aspetto del suo personaggio, “la troia” come amano ripetergli sempre tutti i suoi amici.
è splendido il modo in cui ricostruisci un passato lontano, praticamente una post-adolescenza spensierata con il Molko dei bei tempi.
Case per studenti affollate, affittuari poco diligenti, jam session litigiose, una galleria di personaggi nuovi, alcuni più di contorno, altri di supporto, pub e concerti caotici, bere, fumo, erba, sigarette senza proprietario, saccheggiate incessantemente da chiunque.
A dare un’andatura allegra e scorrevole al complesso si aggiungono i dialoghi botta e risposta, piccati, provocatori, sarcastici, volgari a più riprese a seconda dei contrasti che insorgono fra i personaggi.
Il tuo Stef poi è meraviglioso, sempre il più ragionevole, quasi mansueto davanti ai capricci a tratti isterici della sua controparte (il Molsdal è palpabile si… e il solo fatto che tu lo abbia citato nelle note fa pensare che tu abbia la coda di paglia MWAHAHAHAHAHAH), ma anche il tipo sensibile pronto ad investire in un rapporto che fa cilecca fin dal primo momento.
E così, in seguito al “tradimento” di Adam, scopriamo l’altro lato del personaggio di Brian.
Una tendenza spiccata a “mandare tutto a puttane”, senza mai dare un vero valore a niente.
Ciò a cui è legato torna a galla con il passato, nei suoi pensieri, quando, lontano dal solito giro di amici si riscopre a pensare a suo fratello, a gesti quotidiani e familiari come collezionare adesivi, come se questi potessero dare un’identità, una vita ai grigi quaderni di scuola del cupo Lussemburgo, come se un adesivo avesse il potere di battezzare e definire la sua Fender “la SUA chitarra”.
Oppure le fotografie che ha fatto sviluppare, anche quello rappresenta un pezzo di vita che la fotografia è in grado di fermare sulla carta e rappresenta Brian, ciò che è e ciò che gli è caro : la musica, il post-esibizione, l’adrenalina e la felicità sulle loro facce sfatte, il trucco sciolto sembra quasi metafora di una maschera che viene via per lasciare il posto ad una genuina allegria e poi ovviamente il gruppo e la loro amicizia secolare.
Per il resto però non si smentisce. Si autodistrugge assumendo alcool e fumo fino a scoppiare e non resiste/ non prova neppure a resistere alla prospettiva di appartarsi con Adam, personaggio ambiguo (veramente disinteressato come sostiene Stefan nelle battute finali oppure semplicemente un approfittatore che non vuole niente di serio con nessuno, che sia Olsdal o qualcun altro? ).
Personaggi un po’ di contorno ma comunque importanti per la narrazione sono James, l’amico-proprietario del locale dove si esibiscono e Christine, amica gentile e soccorrevole.
Di contorno perché in un certo senso sono appena abbozzati, vagamente simpatici, sono parte della compagnia e nonostante partecipino a pieno ritmo alle sequenze narrativo-dialogiche , rimangono figure sfocate, generiche, semplici rappresentazioni degli amici perfetti, capaci di far ridere con i loro commenti e di soccorrere o preoccuparsi per l’amico in difficoltà di turno.
Ma questa fiction è speciale per tanti piccoli dettagli, pezzi di storia per noi fan accaniti, quali la nascita accennata di “Teenage Angst” che da il titolo alla fiction (un pezzo di adolescenza sta’ canzone *-*), il ritorno di Steve Hewitt da pochi mesi dalla pubblicazione di “Placebo”, il battesimo di “bitch” la Fender di Brian, la decisione di andare a vivere insieme di Stef e Brian e poi l’ultimo che mi ha definitivamente commosso… il momento in cui Stefan conia il soprannome “Bri” per il Molko.
E le ultime battute della fict sono il più bello scenario che si potesse scegliere per rappresentare questo tenero momento.
Termino manifestando tutto il mio immortale entusiasmo davanti al nuovo capitolo di T.P e tutto il mio sconforto dal momento che ci hai lasciati sul più bello. Non puoi mettermi un Bri malinconico e una splendida e comprensiva Helena e poi, ZAC, chiudere lasciandoci con il fiato sospeso.
Aspetto fiduciosa, ti ringrazio per l’adorabile dedica, e nel frattempo buon Natale e un meraviglioso anno nuovo (pieno di fic! *-*).
Tanti baci e a presto,

Neal C.

p.s Ravel è una stupenda colonna sonora... e Conrad è divino. Ottima scelta Stef.
(Recensione modificata il 26/12/2013 - 12:19 am)
Recensione alla storia The Beautiful Ones - 04/01/13, ore 23:11
Capitolo 1: The Beautiful Ones
Magnifica!
Documentata fino all'ultimo spillo, un perfetto bilancio fra la modalità "introspettiva" della voce narrante (ok in questo caso più che parlare di "introspezione" si può parlare di "descrizione delle emozioni" e tutto ciò mi esalta a dir poco... fallo sempre) e la parte dell'azione, una scena rossa assolutamente arrapante e un Brian da capogiro.
è quanto mai divertente il dialogo con cui esordisce la fiction, presentandola fin da subito come uno spettacolo.
Tutto è spettacolare in questa fiction, i convenevoli e le battutine maliziose, la sfilata di celebrità e l'ambiente che costringono Brian a guardarsi intorno annoiato e indolente come sempre. è in nome dello spettacolo, nonchè della sua vanità che Brian si guarda allo specchio, critica la sua magrezza/bassezza/pallore per poi uscire teatralmente dal bagno delle donne (e fingere con sé stesso che è stato un caso).
Poi è costretto su un divano, preda della noiosissima conversazione di Brett si sente escluso dalla festa, nascosto alle telecamere, sta perdendo il suo tempo e per una volta non fa parlare di sé e questo non gli garba affatto.
Indicativo è il Tum.Cling ossessivo, l'attenzione di Brian è catalizzata su quel rumore che per quanto sia fastidiosamente assillante sembra essere più degno di attenzione del discorso di Brett.
Non resiste, deve fare qualcosa. E così ecco la versione romanzata (e chissà anche vera) della storia del tavolino.
La scena è descritta benissimo anche se il punto di vista è quello di Brett; Brian dimostra effettivamente una leggerezza e una forza straordinaria considerata la sua taglia minuta (o sarà che siamo un po' di parte *-* ).
E infine la serata deve finire in qualche modo e l'attaccamento pudico e infantile di Brett è frustrante (sembra una tredicenne alle prime armi).
è delizioso il fatto che il punto di vista narrativo cambi subdolamente da Brian a Brett rendendo ancora più eccitante la scena: l'avidità feroce di Brian e la timida sottomissione di Brett.
Il dettaglio delle labbra è sempre una carta vincente (dan-dan-dan-daaaaaan)ù.ù
Poi c'è la comparsa di Stefan, con un sorrisetto da vecchia volpe e un divertimento palese che non può non scuotere persino il Brian senza pudore (vergognarsi e quasi arrossire? non è da lui ).
E in tutto questo Brett rimane inerme come una bambola, incapace di rispondere alle sentenze annoiate del compagno, incapace di proporsi e allo stesso tempo incapace di lasciargli il braccio.
Bellissimo forse, ma un guscio vuoto o comunque troppo insicuro per contare qualcosa in quello stagno di squali.
E tutto intorno è spettacolo, persino il sensuale sibilo con cui Brian esce di scena.
Ed infine è quanto mai interessante il titolo, un palese errore grammaticale poichè "uno" non può avere un plurale in -s.
(e scoprì che l'espressione the *adjective* ones esisteva <.<)***** chiamasi neologismo, causale: licenza d'autore
Ok, lo so ciò messo un secolo e tre anni prima di lasciarti una recensione e non ne scrivo neanche una come si deve...
ad ogni modo spero che continuerai ad adottare questo genere di tecnica narrativa (specie dopo che ho letto "some kind of madness"... non ti perdonerò mai! ç___ç ) da risalto all'azione ma non appiattisce i personaggi, da voce ai loro pensieri ma non ti assale con monologhi emotivi e orrendamente introspettivi e lascia spazio a una galleria di comparse che colorano la scena dando alle storie una veridicità appassionante e rendendo magnificamente le descrizioni di luoghi forse mai esistiti, sicuramente diversi nella realtà ma sempre verosimili!
A presto darling,

Neal C.


*****E proprio mentre studiavo per un esame mi sono imbattuta in una bella regoletta grammaticale:
Big one - ones ----> ergo "The beautiful ones" è corretto... Le cose che ti cambiano la vita! *_*
(e sopratutto evitano di farti prendere 18 <_< )
(Recensione modificata il 08/01/2013 - 10:59 am)
Recensione alla storia We'll both end up - 21/11/12, ore 00:15
Capitolo 1: We'll both end up
Bocciata.
Introspezione, pura e semplice introspezione.
Uno spaccato breve di Brian, la voce della coscienza o meglio dell' "incoscienza" : The dark side of Molko.
è indubbiamente affascinante leggere del proprio personaggio preferito in questi termini, ne esce un ritratto quanto mai tormentato, che strega il lettore con la sua malignità, suadente e serpentino, insinuante e velenoso.
Efficaci le domande retoriche, le ripetizioni e la messa in evidenza dei pronomi come "tuo" , come a voler ribadire ancora una volta che questa voce insinuante (che da questo momento in poi definirò "il serpente") è parte integrante della "persona" di Brian per quanto quest'ultimo si sforzi a tutti i costi di ridurlo a semplice "maschera" ed è quindi uno dei tanti elementi che compongono il "personaggio" . Efficace il gioco dei nomi "persona" e "personaggio" che definiscono e differenziano le due immagini, il Brian maturo, consapevole che ormai la sua adolescenza è finita da tempo e il Brian "scomodo", immorale più che amorale in tutti i sensi.
E poi c'è la violenza di certe affermazioni, domande sussurrate con il tono caustico di chi vuole affondare il nemico ancora in una fase di transizione, non del tutto risoluto al cambiamento, che ha bisogno di scriverlo, di dare voce ai suoi pensieri (si sa che la scrittura ha sempre avuto una preziosa funzione catartica...). Il serpente paventa un apocalisse che non arriva mai, vuole terrorizzare Brian richiamando alla sua mente lacrime, dolore, ansia da prestazione e preoccupazioni, rinfacciandoli con una malignità che ricorda un po'  le smorfie contorte di Gollum che rivendica il  "noi"  là dove Smeagol vorrebbe potersi definire un "io" . è quanto di più vicino alla schizzofrenia ci sia eppure potrebbe capitare a chiunque senza che questo sia veramente considerato pazzo.
Ho apprezzato la crudezza del linguaggio e la perentorietà del messaggio ma in questa fic riconosco la fiammella di una candela piuttosto che un fuoco.
Sarà per la brevità, sarà per la velocità con cui le frasi scorrono l'una dopo l'altra, sarà perchè non sono riuscita a trovare un elemento particolarmente originale a cui appellarmi, qualcosa che mi abbia colpito veramente e abbia fatto divampare il fuoco.
Forse è il gioco dell'  "io" e del  "tu" che non mi ha veramente soddisfatto;
ogni tanto si intravede il  "noi" , simbolo dell'unità che viene affermata nel concetto ma non si realizza nelle parole.
Insomma, per farla breve, mi sarebbe piaciuta una parte in prima persona plurale, dove l'aggressività avrebbe lasciato il posto alla mielosa descrizione di tutto ciò che erano stati capaci di fare insieme e che il  "tu" adesso era pronto a rinnegare. Così invece suona solo come un' invettiva, molto ben costruita, anzi, direi, una costruzione magistrale ma che sembra mancare di vita.
è troppo tutto nero e dall'altro lato è tutto troppo bianco. Ci sono il carnefice e la vittima ma manca un pizzico di ambiguità.
Non so se fosse voluta questa demarcazione di ruoli così netti ma io non riesco a non preferire sempre e comunque il grigiore al bianco e al nero.
Mi dispiace, questa non è una recensione costruttiva, è una mera opinione di nessuna importanza, la mia.
Alla prossima darling (che spero arrivi presto!),

Neal C.

p.s prima o poi recensirò anche le altre che sto seguendo ma non riesco a darmi un tempo. Quanto a te non hai scuse... We are waiting for MyMolko!
Recensione alla storia I'm coming back for more - 13/11/12, ore 01:25
Capitolo 1: I'm coming back for more
OH.MIO.DIO.
L'apoteosi dell'introspezione.
Non c'è niente di così osceno come l'introspezione, a mio parere.
E nonostante tutto l'ho adorata alla follia.
Innanzitutto l'elenco, un tocco di classe, sintetizza una vita e una storia che incide molto più di quanto ci si aspetterebbe da una manciata di caratteri sotto forma di pixel sullo schermo di un portatile.
Il punto esclamativo è un tocco giovanile, assolutamente realistico, un entusiasmo che fa a pugni con la visione profondamente disincantata della voce narrante che ricorda ma non si riconosce più in un giovane scapestrato, cocciuto e pronto a sfondare a qualunque costo, tallonando le persone giuste che alla fine lo hanno portato al successo nel momento in cui hanno capito che potevano davvero ricavarne un qualche guadagno.
Hanno visto in lui la tenacia di quello che non si arrende, che farebbe di tutto per fuggire dalla condizione provinciale di uno sperduto paese che sembra un continente a sé, isolato dal mondo. Un altro personaggio particolarmente importante nella vita di Brian è Londra a cui la voce narrante dedica una sequenza riconoscendo di essersi nuovamente rinchiuso in un altro "microcosmo" per usare le tue parole (si non l'hai usata in questa accezione ma trovo che si adatti benissimo a quanto segue), d essersi conformato alle "strutture mentali" londinesi, alla sua natura caotica e dispersiva, regalandogli una seconda adolescenza abbastanza folle da eccitarlo e spingerlo ancora di più verso il suo obbiettivo.
(aggiungerò fra parentesi che ogni frase era musica per le mie orecchie, ogni sequenza di parole era una poesia a sé stante, lessico curatissimo, metafore affascinanti, arguzia e tono amabilmente ironico, con quel retrogusto di amaro che tanto si confà all'anatra all'arancia... ok, ricoveratemi. Eppure è tutto vero!)
Poi arriva il successo, un boom. Improvvisamente tutti li vogliono, tutti li cercano, Nancy Boy di qua, Nancy Boy di là;
è il momento di cambiare strategia ma non subito. Continuano a cavalcare l'onda della "Teenage Angst" almeno finchè rimane coerente con a sua immagine spiritata di "chanteur maudit" che eredita dai "paradisi artificiali" del tanto inflazionato Baudelaire.
E così ci sono ben due cose essenziali da spuntare sulla nostra lista. Ma Brian è realistico, non l'ha certo conservata. è rimasta impressa a fuoco nella sua mente per tutta la giovinezza come un ospite molesto che si trattiene più a lungo del dovuto.
Aggiungo e segnalo per una volta che il tuo Brian è quanto più si avvicina al tipo intellettuale (o intellettualoide) che vede la sua strada nel teatro (salvo cambiare idea subito dopo evidentemente per mancanza di talento), che cita il padre dei simbolisti con nonchalance e che mette a nudo la sua anima di "narcisista intellettuale" dimostrando una spocchia e uno snobbismo che non sono poi tanto giustificati non essendo conseguenza di talento né tantomeno di genialità. Forse a suo favore va il fatto che non abbia timore a narrarcene anche se non posso nascondere la sensazione che tutto questo sia un arguto giochetto, un sottile sfoggio di falsa modestia, un estremo bisogno di attenzione e un momento di vittimismo e capriccioso protagonismo.
E adesso anche l'ultimo punto è raggiunto e, nel suo piccolo, era un nobile intento, quello di raggiungere la felicità (diritto inalienabile della dichiarazione di indipendenza degli USA non è forse "la ricerca della felicità" ?), e ritrovare tutto ciò che aveva rinnegato in nome dell'indipendenza, es. la famiglia, la stabilità economica (che è tutt'altro che underground, anzi, decisamente "borghese" ) la possibilità di concedersi ogni piccola sciocchezza che possa farlo sorridere e possa fargli pensare di essere felice.

"La felicità è un meccanismo talmente banale da risultare intollerabile a chiunque sia abbastanza vanitoso da credersi diverso dagli altri, e rivestiamo il dolore di un’importanza smisurata per crederci unici almeno nella sofferenza. Sarà l’età e la stanchezza che si porta appresso, ma mi risulta sempre più faticoso riservarmi questi piccoli inganni narcisistici."

Quanto è vera la prima frase e quanta consapevolezza c'è nel Brian che pronuncia la seconda! Finalmente si è smascherato!
Ha ammesso di essere invecchiato, di "essersi rammollito", di essere diventato una delle tante persone che vivono e vegetano su questa terra ritagliandosi il proprio spazio nel cerchio della vita (aaaaaahsbegliààààbadabiziaaabaaaaa ù.ù).
e poi la "definizione" di felicità: piccoli-grandi momenti, piccole-grandi persone, piccoli-vecchi ricordi, insignificanti-mastodontici sentimenti.
sono tutti ossimori, lo ying e lo yang, due facce della stessa moneta e per questo sono così veri.
(Adesso più che mai ti consiglio di leggere Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo http://www.einaudi.it/libri/libro/francesco-piccolo/momenti-di-trascurabile-felicit-/978880620551)
Non ho nessuna intenzione di analizzare anche le lyrics e il titolo sebbene in genere quest'ultimo sia fondamentale nelle storie perchè ho appena constatato che tutto il discorso che ho costruito mentalmente sembra quadrare almeno per adesso... e non ho nessuna intenzione di scoprire che così non è.
Quindi prendi questa recensione per quello che è: una specie di ode in un momento di sconfinato amore per la tua penna!

Neal C.
Recensione alla storia Daddy Cool - 28/10/12, ore 23:52
Capitolo 1: Daddy Cool
Interessante.
Prendi spunto da una credenza diffusa, cioè che la nascita di Cody sia stata un errore, e personalmente anche io ne sono convinta.
Però descrivi una famiglia arida, un Brian che non è stato preso dall'incantesimo della paternità, un' Helena che non sembra considerare il suo bambino più di tanto, troppo presa da un infantilismo latente, il bisogno di "fare i dispetti" al suo ex-compagno, si diverte a rendergli la vita odiosa costringendolo a passare i sabato mattina attendendo il figlio in un ambiente piuttosto squallido, con il vociare della tv (elemento che fa sempre abbastanza tristezza, diciamolo) nelle orecchie, e lui lo fa con aria mesta, assonnata, come di chi sta per caricarsi un fardello in spalla oppure è costretto, almeno per poche ore a convivere con una mosca fastidiosa.
L'unico elemento luminoso nel tuo racconto, tre brevi sequenze ma dal ritmo narrativo piuttosto lento, è proprio Cody che vive in una favola, come tutti i bambini, in adorazione del padre, lo attende, lo chiama e gli comunica il suo affetto.
ma proprio quel momento finale è un colpo basso per il povero Brian da parte di Helena. C'è qualcosa di estremamente malizioso e subdolo nel modo in cui Helena cerca di "mollare" Cody a Brian, come se quelle dieci ore del sabato, tanto odiate dal cantante, in compagnia del suo figlioletto e intento nelle solite noiose attività, non bastassero.
Helena è scorretta, insinua che Cody sente la mancanza del padre ma non ha affatto l'aria della madre preoccupata bensì quello della ragazzina dispettosa che si ribella ad un'ingiustizia, il fatto che, essendo madre, è costretta dalla legge ad occuparsi di un mocciosetto di cui farebbe volentieri a meno. E per questo, persino quel "ti voglio bene" finale, detto con sincerità da Cody, piuttosto che ispirare tenerezza raggela l'aria rendendo amara questa storia come una cattiva medicina. Come se Helena volesse scatenare il senso di colpa di Brian strumentalizzando le parole candide del bambino e aspettando che facciano il loro effetto perchè, tutto sommato Brian non può essere così indifferente.
Poi alla fine sembri riabilitare la figura di Helena :
“Potresti venire a passare una settimana da me, lo faresti…”
Solo qui ho sospettato che Helena stesse cercando di riavvicinare Brian per amore del figlio, che fosse sincera quando temeva che la lontananza di un padre lo avrebbe reso infelice.
Il che mi fa pensare che il punto di vista di Brian è talmente influente da distorcere la realtà facendo apparire mostruosa e poco materna la figura di Helena, come se disegnasse un piccolo subdolo poltergeist là dove c'è solo una fatina.
Intrigante... ma adesso rischio di divagare...
La caratterizzazione di Brian è a tratti piacevolmente particolare a tratti un po' deludente.
é originale la sua indifferenza e quasi insofferenza verso il suo ruolo di padre ma ad un certo punto emerge una forzatura (o almeno così mi è sembrato di percepire dal testo) : è come se ci fosse un collegamento fra l'odio che aveva provato per suo padre e l'incapacità di sentirsi (un buon) padre, un collegamento che è presentato quasi come se fra le due cose ci fosse un rapporto di causa-effetto.
E questo tipo di psicologismi è un po' troppo forzato per i miei gusti.
Per il resto è efficace e originale come storia. Passiamo alla forma e allo stile.
è piuttosto breve ma, nella narrazione, il tempo è estremamente dilatato; forse è il taglio introspettivo, forse è la descrizione grigia e squallida degli ambienti o la dovizia di particolari che figurano uno scenario triste e cappa grigia di indifferenza che il piccolo Cody non si merita (e lui la affronta anche con un entusiasmo poco veritiero... purtroppo atmosfere del genere sono facilmente percepite dai bambini).
Non per questo è noiosa. Affatto. Anzi è molto è ben riuscita.
Mi sono piaciuti i piccoli esperimenti letterari che hai descritto nelle note, come il passaggio dalla terza alla prima persona che sortisce bene il suo effetto amplificando le percezioni di Brian e facendo si che i suoi pensieri investano il lettore (forse anche troppo, non stravedo per l'introspezione anche se almeno qui non mi appare così invadente ). Oppure mi è piaciuto l'espediente dell'omissione dei nomi propri e il fatto che hai puntato sui titoli familiari generici o i pronomi personali.
Fortunatamente quest'ultimo esperimento sortisce meno effetto e così la storia può essere ben catalogata come una fiction sui Placebo; infatti compare fra le righe la questione del cognome, il cognome di un personaggio famoso che distinguerà sempre Cody da tutti i bambini, che si porterà addosso come un marchio, un cognome che lo rende "diverso" a priori, qualunque cosa Brian possa tentare per rendere la loro una famiglia normale. Ma forse è solo un modo per non raccogliere la sfida maliziosa di Helena e tirarsi indietro con no-chalance.
Insomma, se non fosse per questo elemento potrebbe quasi considerarsi una storia Originale (e mi riferisco alla categoria di efp).
Però anche questo produce un effetto positivo perchè è come se il lettore condividesse un segreto con l'autore e questo crea una sorta di complicità.
Ho un'unica obiezione di tipo grammaticale ed è nel titolo: in inglese l'aggettivo precede il nome quindi il titolo corretto è "Cool Daddy".
Spero di leggerti ancora! i tuoi testi sono molto piacevoli, assolutamente lineari, ben costruiti e mai ovvi (almeno fin ora... ne ho letti giusto un paio).
Alla prossima ;)

Neal C.