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Recensione alla storia Fairytales Don't Exist - 14/10/12, ore 17:18
Capitolo 19: Through this night (I might not make it)
Buon giorno! Eccomi pronta a recensire un altro capitolo con il mio immancabile ritardo fisiologico e patologico, per il quale ti chiedo scusa.
Osservazione numero uno: siamo al diciannovesimo capitolo, ma ti rendi conto? Questa storia consta di diciannove capitoli, va beh, osservazione inutile, me ne rendo conto, ma improvvisamente sono stata colpita da questa consapevolezza.
Veniamo alla recensione del capitolo vera a propria. Eravamo rimasti al perentorio “arrivo” di Erin che, prontamente, in piena notte salta in macchina e arriva in soccorso dei nostri eroi, anche se in questo caso l’eroina è lei. Va beh, insomma, non sottilizziamo.


Le luci che correvano rapidamente sul cofano della vecchia Ford Farlaine sembravano minacciare di accecarla ad ogni comparsa, e le sue mani tremanti si stringevano sul volante grossolanamente largo e ricoperto in una sorta di ecopelle, che non aiutava la situazione. La Interstate 580 correva lungo la scura e roboante chiazza di nero che era l’oceano, abbracciato dalle lunghe e presumibilmente solide strutture e ponteggi del porto di Berkeley;

Mi piace questa parte della descrizione, un po’ perché parli della macchina e questo rende tutto straordinariamente reale, un po’ perché mi culla questo paesaggio notturno che mi sembra poter vedere dal finestrino. Mi piace l’idea dell’oceano scuro accanto a loro e mi piace immaginare il porto fermo, immobile nella quiete notturna. E’ un immagine veritiera.

il lungo tratto rettilineo le permetteva di girarsi, di tanto in tanto, a lanciare un’occhiata al sedile posteriore, dove con un morbido, intimo cullare, Mike stringeva a sé Billie, che sembrava essersi fatto improvvisamente più piccolo, indifeso, nel sonno inquieto e sfinito che finalmente si era concesso tra le braccia del suo migliore amico.

Ci siamo, ecco la vera stranezza di questo viaggio notturno: i passeggeri. Immagino bene Erin che sbircia dallo specchietto i due abbracciati, immagino la tranquillità di Billie e il volto serio e pensoso si Mike. Una scena davvero, davvero tenera.

“Mike..” Chiamò, la voce bassa, eppure non ridotta ad un sussurro, né ad un mormorio. Non aveva desiderio di nascondere nulla, o di far sembrare come se lo stesse facendo. Sentiva come di tradire qualcuno, in qualche modo.
Il biondo fece scattare gli occhi nello specchietto retrovisore, facendo scomparire ogni traccia di malinconia e tristezza di cui lo sguardo era gravato, mentre, fino a pochi secondi prima, guardava con aria assente fuori dal finestrino; forse il suo stesso riflesso, e con esso quello del piccolo uomo che abbracciava a sé.
Erin sospirò ancora. Abbassò di nuovo lo sguardo sulla strada, umettandosi il labbro inferiore, per poi morderlo appena. Aveva paura, anche adesso.
“.. What went wrong?” Chiese, la sua voce adesso incrinata appena, impercettibilmente, di timore del non ritorno. Come se stesse lei stessa pronunciando una condanna. Come se dirlo ad alta voce lo facesse sembrare più vero, ed improvvisamente incurabile.
Mike distolse lo sguardo, ritornando al suo vuoto osservare di ciò che li circondava. La tonante e scura distesa dell’oceano ormai alle loro spalle lasciava il passo agli imponenti cavalcavia della Freeway, e ad ogni secondo si avvicinavano al centro di Oakland, e ad ogni secondo il suo cuore si faceva più pesante.
Il bassista fece fuggire lo sguardo verso la ragazza un’ultima volta.
“I don’t know”.

Adoro, adoro davvero questa parte. Mi piace che Erin non sussurri, mi piace che abbia il coraggio di chiedere, mi piace il gioco di sguardi tra gli specchietti, mi piace immaginare lo sguardo che Mike lanciava al di là del finestrino, mi piace che lei si rivolga a lui con completa onestà e riceva una risposta altrettanto onesta, altrettanto vera. Adoro che la conversazione si svolga in inglese, un po’ per l’allitterazione di ‘w’ nella domanda di lei, impossibile da rendere in italiano, un po’ per la rapidità e l’immediatezza con cui l’inglese sa comunicare a volte. “Che cosa è andato storto?” Cinque parole a fronte di tre, secche, brevi, assonanti e pronunciate in rapida successione. Decisamente uno a zero per l’inglese in questo caso. Poi c’è la risposta, la risposta di Mike che indifeso e impotente in egual misura non vuole mentirle, ma allo stesso tempo non sa risponderle. Nel “non lo so” di Mike si avverte tutta l’inadeguatezza che mi immagino un migliore amico possa provare in una situazione del genere. Sapere che non puoi fare niente per aiutare chi ami, sapere che lui soffrirà e che non c’è niente che tu possa fare per impedirlo, sapere che dovrà vedersela da solo, sapere che puoi solo stargli vicino ed aspettare che passi. Penso che Mike possa sentire questo. Senza contare il fatto che non sa darsi una spiegazione, sa cos’è successo a Billie, ma di certo non sa perché gli è successo. Decisamente non sa cosa dire a Erin, perciò, semplicemente cerca di essere sincero.

Non sapeva minimamente come li avrebbe trovati, eppure eccoli lì, entrambi. Come due saltimbanchi fuggiti dal circo per la follia di uno e per l’affetto e il protettivismo dell’altro, alla ricerca di un’alternativa che non sapevano neanche loro di volere, o di che natura potesse essere.
Vedeva l’ombra di Billie in controluce danzare allegramente, quasi a ritmo con una canzone che sentiva solo lui, nella sua mente in quel momento compromessa, distorta.

Mi piace questo paragone con il mondo del circo, rende bene l’idea di queste ombre distorte, ebbre, illuminate dalla luce dei lampioni.

Trattenne il fiato, cercò mentalmente di fermare il cuore in corsa. Qualcosa le urlava di girare le spalle, di non farsi vedere, sentire. Non era quello il suo posto, non era lei a dover essere presente, non pensava di essere abbastanza forte per se stessa, figurarsi per entrambi. Avrebbe fatto lo stesso, appena qualche giorno fa, quando ancora la sua piccola bolla di vita non era scoppiata, quando ancora tutto il suo mondo girava intorno al prossimo articolo, alla prossima serata passata con Alice a dar fondo a vasche di gelato e ad intere stagioni di sitcom televisive? Avrebbe risposto ugualmente senza esitazioni alla surreale richiesta di aiuto di quella stessa persona che con il suo di aiuto l'aveva tenuta in vita?

Ma…ma, ma che domande! Ma certo che sì, eh. E’ di Billie Joe Armstrong e Mike Dirnt che stiamo parlando. Non so se mi spiego, mica dei primi due ubriachi capitati a Christie Park u.ù Però, in effetti, immagino che sarebbe stato tutto diverso.

L'ombra si fermò, improvvisamente. Curva, accartocciata in avanti, piccola la statura che emanava squilibrio, impazienza, si girò verso di lei, le braccia ritirate appena verso il petto, le piccole dita, fino a poco prima frementi, improvvisamente immobili.
Anche la ragazza, come se fermata da una trazione improvvisa, si bloccò. I suoi occhi puntati negli altri; grandi, verdi, spalancati. Riflettenti una luce innaturale, impropria, che nulla rifletteva o risplendeva di quella scintilla abituale, instancabile, brillante, volendo anche con una vena di follia.
Improvvisamente l'ombra si mise a correre verso di lei, tendendo le braccia. E fu solo quando si rese conto di averle strette attorno al proprio corpo in una morsa disperata e piena di bisogno, solo allora osò riconoscere la materialità dell'ombra. Fu un sussurro a farle stringere le braccia nello stesso modo, fu un sussurro a suggerirle di chiudere gli occhi, fu un sussurro a ordinare al suo cuore di pulsare con improvviso dolore, a rubarle un respiro, improvvisamente troppo pesante e troppo da sopportare per il suo corpo.


“Tell me that I won't feel a thing..”

Fu un sussurro a farle dimenticare se stessa in quell'abbraccio.


D’accordo, a me puoi dirlo, dillo che volevi un finale mozza-fiato-e-strappa-lacrime. So che era questo il tuo intento, ragazza sprezzante dei nostri poveri cuoricini sensibili di lettrici accanite di fan fiction. E’ un vero colpo basso. L’intera scena è un colpo basso e soprattutto è un vero colpo basso giocare su una frase di Give me Novocaine, eh. Va bene, va bene, sei perdonata, ma solo perché sei tu, sia ben chiaro. Ora commento seriamente questo pezzettino, è più forte di me, non ci riesco a fare un commento del tutto serio.
Mi piace che si parli di ombre, mi piace che sia parli di ombre che prendono corpo, perché alla fine, se ci pensi, la storia parla di favole e le favole sono ombre che prendono corpo nella nostra mente. Tutto è un rimando realtà/irrealtà, verità/fantasia, certezza/illusione. Mi piace la parte degli occhi verdi, mi piace l’abbraccio. Mi piace tutto di questa scena.
D’accordo, anche questa recensione (per tua fortuna) è finita, al prossimo capitolo cara!


P.S.
Questo Post Scrittum si rende necessario, direi doveroso, a questo punto. La citazione all'inizio. Non l'avevo notata. Avevo guardato, ma non osservato, anche perchè all'epoca vagavo ancora nella nebbia. Ma questa citazione merita un commento. Tu non puoi farmi questo, non puoi mischiarmi l'universo Green Day con l'universo Sherlock Holmes, mi fai venire un infarto. Quando, casualmente, me ne sono accorta ho avuto un momento di vertigine. Notare poi quanto fosse perfetta quella citazione mi ha provocato un ulteriore giramento di testa. Poi ho pensato al contesto in cui la dice, allo sguardo di Molly, al tono di voce di lui...e a tutto quello che succede subito dopo. *Sospira* Va bene, non ci pensiamo e torniamo a Billie ed Erin (:
(Recensione modificata il 25/10/2012 - 12:17 am)
Recensione alla storia Fairytales Don't Exist - 14/07/12, ore 14:12
Capitolo 18: And in the darkest night. (But you still keep on falling down)
Buongiorno super Capa, grande Guitarist, insuperabile frontwomen (e sì, se te lo stai chiedendo, questa è una captatio benevolentiae bella e buona), finalmente libera da esami e con una valigia che mi osserva minacciosa in attesa di essere completata, recensisco!

Premesso ciò ci tengo a dire che sto scrivendo questa recensione sentendo per la prima volta Glass in the Park, che, tra parentesi, mi piace assai.


Title: And in the darkest night. (But you still keep on falling down)

Che recensione sarebbe se non commentassi anche il titolo? The darkest night, non mi sono mai fermata più di tanto a riflettere, sentendo Whatername, quale fosse la darkest night, perché per me era chiaro: è la notte senza speranza, dove è spenta ogni altra face e il cielo è muto e senza stelle, senza più nulla da raccontare; è toccare il fondo e non essere sicuri che ci sia un modo per tornare lassù dove qualche luce sa come brillare. Ma da quando hai dato questo titolo al capitolo mi sono resa conto che l’ormai proverbiale (almeno per me) notte più buia forse è qualcosa di più. Non è solo un baratro privo di colore e speranza, è anche il vicolo cieco del labirinto. Non è il luogo dove tutto è perduto, è solo il luogo dal quale non si sa dove andare o dal quale sembra impossibile uscire, almeno da soli. C’è bisogno di un filo d’Arianna che conduca all’uscita, che ci mostri la strada, c’è bisogno di una donna che faccia strada, che torni a prenderci, che non ci lasci persi sull’erba del Christie-Labirinto.

Soundtrack: Useless, Nasty Cats; Glass In The Park, Alex Turner.

"Ebrietas est voluntaria insania."
[Seneca]



Vedo di non essere l’unica traviata dai classici, citazione di Senaca, che grande che sei.

L'eco della porta sbattuta le risuonava ancora tra i pensieri, lontano anni luce, lontano nella mente, lontano nel tempo, così lontano mentre rigirava tra le dita il vecchio telefonino, guardandolo rotolare tra le sue mani fredde e nervosamente tremanti.
Cosa avrebbe dovuto fare? Non era una scelta, la sua, in fondo. Azzardarsi o non azzardarsi. Provare o non provare. Cosa avrebbe avuto da perdere?
Tutto.
Era una situazione che la ingolfava, che le fagocitava qualunque pensiero, qualunque agire o pensare ragionevole o razionale, un dominio dell'istinto tale da farle perdere la cognizione della surrealtà della situazione, che sfiorava appena con un barlume di coscienza, forse l'unico rimasto.
Il numero compariva sul display, tra le chiamate ricevute. Era semplice, era chiaro, e non richiedeva poi tanto. Cosa le impediva di premere quel pulsante verde scolorito? Cosa la fermava dall'affrontare la sua voce, la sua presenza, inevitabilmente ad essa annessa? Chiuse gli occhi, lasciandosi cadere seduta sul letto, il minuscolo appartamento ancora nella penombra, unica fonte di luce le persiane ancora semi-aperte, da cui filtrava la luce dei lampioni e quella più fioca e lattea della luna.
Si passò una mano tra i capelli, per poi stringere il dorso del naso tra l'indice e il pollice, una volta lasciati cadere gli occhiali da vista in un posto dimenticato da D-o, e pure da lei.
Si strinse nelle spalle con forza, reprimendo l'istinto di urlare. Non aveva scelta, e se anche ne avesse avuta, l'aveva già fatta.


Chiamare o non chiamare questo è il dilemma. Ci siamo trovati tutti in una situazione in cui c’era solo da premere il pulsante del cellulare e quella semplice azione, a volte, può sembrare la più complicata del mondo.
In un posto dimenticato da Dio e pure da lei, come la capisco, benedetta ragazza!


".. Pronto?"

La mano premuta sul cellulare, attaccato all'orecchio, era la stessa che aveva sfiorato il tasto di risposta, senza nemmeno far caso al nome che lampeggiava fastidiosamente sullo schermo, unica fonte di luce in quella stanza altrimenti quasi buia, se non fosse stato per la lampadina a basso consumo energetico della cucina, che non contava certamente tra le sue competenze quella di rischiarare l'ambiente assegnatogli, bensì quella di diffondere una luce giallastra e uggiosa in uno spazio estremamente limitato.

Ben mi immagino Billie che risponde senza guardare il cellulare, così come mi immagino fin troppo bene la stanza piccola e malamente illuminata.

Billie allungò il braccio verso il telecomando, notando con muto divertimento le bocche improvvisamente azzittite degli ospiti del dozzinale talk show, mentre, senza abbandonare la sua posizione supina, si sistemava meglio sul divano, evitando accuratamente di far cadere con un gesto improvviso dei piedi scalzi i cartoni di take away mal accatastati e in precario equilibrio sul bracciolo opposto del divano.

Te l’ho già detto, questa è una delle immagini più belle di questo capitolo, Billie mollemente abbandonato su un divano da quattro soldi, in un appartamento piccolo e buio, anestetizzato da una tv che non ha niente da dire e i cartoni del take away sul bordo. Mi sembra di poter vedere quando li ha ordinati, la pigrizia con cui li ha mangiati senza staccarsi da quel divano…

"Billie, sei tu?"

Mani nervosamente torte intorno ad un lembo del lenzuolo, che pendeva dal letto ancora disfatto, respiro pesante, ansioso, ansimante, voce incrinata, occhi chiusi come in vana speranza di qualcosa, e nell'altrettanto vano tentativo di trattenere le lacrime.

".. Erin?"
Voce ed espressione altrettanto sorpresa, mentre il suo corpo istintivamente si tirava su a sedere, come per prestare più attenzione, per poter sentire, capire meglio.
Dopo aver passato l'intera giornata nel più totale ozio ed apatia, abbandonato alla non-scelta dell'azione successiva e alla passività brada più totale, sembrò come improvvisamente svegliarsi da un dormiveglia incosciente.

Ed altrettanto bene mi immagino la rapidità con cui si tira su per ascoltare meglio in qualche modo, come risvegliato dalla sua voce, dall’urgenza del suo tono, come se avesse dormito incoscientemente fino a quel momento di risveglio.

"Si, Billie, io.. Ciao.." […]

"Erin, cosa c'è? E' successo qualcosa? Dimmi.."
Voce sorridente, eppure colorata da una venatura di inequivocabile apprensione, come se fosse pronto ad ascoltare qualunque cosa. Billie si passò una mano fra i capelli, ora perfettamente seduto sul divano, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

Billie ci tiene a lei. Elementare Watson, dirai tu, lo so, ma la “venatura di inequivocabile apprensione” rende al meglio l’idea.

"No, no.. Non è successo niente. E' solo che..  Alice.. Io.."
Coperta convulsamente stretta nel pugno, infilatasi tra le dita come il dolore che le si insinuava tra le parole che non riusciva a dire, o nemmeno a formulare nella mente. Sentiva il petto stringersi, la mente urlare la sua inettitudine, la sua incapacità, rinfacciarle la sua più totale idiozia manifestatasi nella sola, insulsa iniziativa di chiamarlo, di chiedergli.. Chiedergli cosa, poi? Chi credeva che fosse, la nonna sempre pronta ad accoglierti in casa propria, piena di quell'odore di generazioni passate e di armadi chiusi, disposta ad ascoltarti, a darti consigli, a lasciarti piangere sulla sua spalla? Chi credeva che fosse, un vecchio amico, un confidente? Respirò a fatica.
Aspettava una sua parola, un suo invito ad andare avanti, ma nulla, solo il silenzio. Era in attesa, come lo era lei stessa, di capire quanto fosse successo.
Attacca, attacca, le urlava la coscienza nella mente, che esasperatamente s'insinuava nei suoi pensieri, attacca, avanti, cosa aspetti? Cosa credi, che voglia stare qui a parlare con te?
Un sospiro lungo.

Erin si rende perfettamente conto dell’assurdità della questione. Insomma sta pur sempre chiamando il suo frontman preferito per avere conforto. Non le sfugge quanto sia insensato, dal suo punto di vista, pretendere che lui, Billie Joe Armstrong, non dimentichiamolo, si interessi ai suoi problemi d’amicizia. Erin lo sta trattando come un amico, ma non come un semplice, qualsiasi amico, lo sta trattando come si trattano le persone più importanti, quegli amici veri che sono sempre pronti a darti un conforto ad aiutarti, a tirarti fuori dal tuo groviglio d’emozioni. Lei sa che in qualche modo sta passando oltre, in senso buono ovviamente. Sta valicando la linea invisibile, ma fondamentale, che c’è tra un conoscente e l’amico vero, quello che chiami a qualsiasi ora, per qualsiasi cosa. Si chiede che diritto abbia di considerarlo così dopo pochi giorni di conoscenza. Vorrebbe, dovrebbe attaccare. Lei sa di aver passato quella linea e lo sa anche lui.

Improvvisamente sentì dall'altra parte del telefono un rumore forte, voci gioviali e un battere di mani, e una voce che riconobbe istintivamente come quella di Tré.

Immagino anche come Erin istintivamente riconosca la voce nasale di Tré

".. Avanti, Billie-mogio-Joe, alzati quel tuo culetto da nano e vai a recuperare le birre dal frigo, qui intanto lo zio Tré si organizzerà per allestire la migliore serata all'insegna dei vecchi tempi, con vaschette di gelato senza fondo, maratone di fiction anni '90 - no, Mike, è inutile che ci speri, Fonzie e gli altri lesi di quel programma non li vedremo - e un sacco di altri-"
Geniale. Questa parte è geniale. Confessa signorina, tu conosci Tré Cool e lo frequenti abitualmente, dì la verità.Lo tratteggi troppo bene, è troppo perfetto.

"Tré, che cazzo ci fate qui?" La voce di Billie, a metà tra il seccato, il perplesso e il piacevolmente stupito, interruppe l'attacco di logorrea del batterista, che Erin era stata ad ascoltare con altrettanto sconcerto.
Bè direi, immagino Erin con la faccia stupita e gli occhi leggermente dilatati chiedendosi se ha sentito bene.


[…]


"Erin, io, scusami ma..-"

Dall'altra parte, la mano destra, che non reggeva il cellulare, coprì gli occhi serrati, mentre il cuore della ragazza palpitava come un tamburo nelle sue orecchie.Cosa ti ha fatto pensare che ti volesse parlare, eh?!
Sentì il suo respiro mozzarsi nei polmoni, e un grosso peso materializzarsi nello stomaco, pieno di senso di colpa e di quella terribile consapevolezza, che Billie non potesse avere in alcun modo, in alcun momento, anche solo un secondo da dedicarle. Lui aveva ben altro a cui pensare, lui aveva migliaia, no, milioni di vite da rappresentare, da cantare nelle sue parole.. Perché mai avrebbe dovuto pensare a lei?
Allora cosa aspetti ad attaccare, idiota?
Strinse convulsamente il cellulare tra le dita, incurante dell'alta probabilità che si rompesse, mentre stringeva i denti, urlandosi nella mente la sua inadeguatezza, e quanto avrebbe desiderato sparire nel nulla, in quel preciso momento.

Vedi sopra, stesse motivazioni.

".. C-certo. Scusami." Mormorò con voce impercettibilmente rotta. Soffocò un singhiozzo di rabbia nella gola, mentre davanti ai suoi occhi vedeva correre immagini di un deja-vu che avrebbe dato qualunque cosa per non rivivere, in quel momento. Suo fratello, una chiamata in piena notte, lacrime amare. Scosse la testa, tentando di scacciare il ricordo; lasciò cadere il cellulare sul letto, e se stessa con esso, affondando la testa nel cuscino, sperando di soffocare con i suoi pensieri e ricordi anche quel bruciante senso di colpa che le opprimeva il respiro.


Tah tah tah tam, tah tah tah tam. Cosa sarà questo bel ricordo di Erin? Lo scopriremo nelle prossime puntate! Continuate a seguirci su questo canale!

Aveva bevuto troppo, e parlato altrettanto. Era riuscito a rimanere sobrio abbastanza da godersi la serata con Mike e Tré, ridere alle battute vecchissime e non più così divertenti dei programmi televisivi di vent'anni prima, rubare l'ultima cucchiaiata del Chocolate Chip Cookie Dough ice cream, essere trascinato tra le risa generali ad un parco divertimenti alle due di notte, dove aveva preteso di fare il giro per tre volte di seguito sulla ruota panoramica, che ricordava essere la giostra, forse l'unica, su cui il padre, Andy, lo portava, indicandogli di volta in volta i luoghi dove era cresciuto, dove aveva suonato con il suo gruppo jazz, la loro casa, ricordando con affetto a Billie che la madre, Ollie, li aspettava lì, fedelmente, amorevolmente, come ogni altro giorno.

Cavolo però è un colpo basso nominare il Chocolate Chip Cookie Dough ice cream! Così come lo è nominare Andy, è pur sempre un colpo al cuore, anche se di diversa natura. E l’incipit “aveva bevuto troppo e parlato altrettanto” è bellissimo.

".. E' come dico io, ti assicuro! Io su queste cose la so lunga, sai.." Biascicò Billie, con quel suo stringere le labbra in un serissimo broncio, ed agitando l'indice con fare da predicatore.

Ce lo vedo con “fare da predicatore”, se non fosse uno dei migliori frontman in circolazione, potrei quasi dire che ha sbagliato mestiere!

Mike sospirò. “Billie, non credo che se la prenderà per così poco..” Cercò di rassicurarlo, sorridendo appena, cercando di capire dentro di sé il motivo di tanta preoccupazione.
[…]
Billie scosse la testa, sempre più convulsamente. “Lei mi odia. E io non riesco a dormire. Mi odia..”
Mike sospirò. “Non c’è niente che tu possa fare, adesso. E’ tardi, Billie, non puoi parlarci adesso, né puoi chiamarla.. Dovrai aspettare domani, va bene?”

Tutta questa parte è bellissima, è bellissimo il fatto che Billie tenga così tanto a lei, che sia consapevole della linea invisibile che lei ha passato telefonandogli per chiedergli aiuto. E’ bellissimo il modo in cui si raggomitola, il modo in cui i suoi pensieri sconnessi si riconducano a lei. Lui sa di averla ferita e in qualche modo non può sopportare questo pensiero, il che è un bruttissimo segnale o meraviglioso, dipende dai punti di vista. E’ bella la pazienza quasi inesauribile di Mike, il suo fare rassicurante. Il modo in cui allontana le mani dal viso del suo migliore amico. La calma con cui cerca di confortarlo.

La massa di capelli corvini si sollevò rapidamente, e due occhi scuri, appena striati di verde alla luce artificiali dei lampioni sparuti nel parchetto, lo guardarono pieni di uno stupore che il bassista non riuscì a decifrare.

Luci artificiali sugli occhi di Billie. Ok. Ricomponiamoci.

“No che non va bene. Perché noi la chiamiamo adesso.” Proferì, con la voce candidamente risoluta, chiara, come se stesse riferendo l’ora, o il colore del cielo, come se stesse esponendo la verità più ovvia del mondo.
“.. Cosa? Ma che dici, Billie, sono le quattro e mezza di notte, ma che chiamare e chiamare...” Commentò Mike, quasi sul punto di esasperarsi, riuscendo a mantenere la calma grazie ad un profondo respiro.
Billie ebbe da protestare sonoramente, imbronciandosi, lagnando e lanciando occhiate omicide all’amico.
Immagino fin troppo bene le occhiate omicide che Billie ubriaco potrebbe lanciare al povero Mike che tenta di trattenerlo dal commettere qualche insania.

“Non puoi pensare di chiamare quella povera ragazza a notte fonda..” Ribadì un’ultima volta il bassista.
Billie lo guardò intensamente per qualche secondo, e per un attimo sembrò a Mike che i suoi occhi si fossero accesi di un qualche lampo mefistofelico. “Infatti. Io non la chiamerò.” Sorrise appena, questa volta con aria di sincera serenità e accettazione di un fatto già dato per scontato. “La chiamerai tu.”
Mike lo guardò sbigottito, senza proferire parola. Passarono una decina di secondi prima che, con voce piatta, con una vena che sperava di essere scoraggiante, il bassista potesse rispondere.
“Tu stai scherzando”.

Geniale, questa parte è geniale. Non posso dire altro, mi fa ridere, sorridere e... è stupenda. Basta.

Billie non fece altro che scuotere la testa energicamente, ridacchiando tra se e se, come se solo lui fosse partecipe della più grande trovata di tutti i tempi. Il suo divertimento di fronte alla faccenda, nonostante tentasse di evitarlo, era fin troppo evidente.
E mentre Mike cercava di dissuaderlo dal compiere un tale atto di vandalismo psicologico, Billie gli porse il telefono, su cui campeggiava una scritta bianca, chiara, inequivocabile: il nome della povera malcapitata.
“Billie, no, aspetta! .. Che stai facendo, imbecille..!” Mike tentò di strappargli il telefono di mano, ma senza successo, perché il frontman aveva cominciato a saltellare, quasi correndo, sventolando il telefono che squillava, con piccoli urletti di gioia e di scherno
“Tanto non mi prendi!”, squittiva ridacchiando sguaiatamente.

Che ridere! Billie che scorrazza scompostamente per il parco agitando il telefono e Mike che gli da dell’imbecille, avrei voluto esserci!

Quando finalmente Mike riuscì a prendere il telefono e ad allontanarlo dalla presa dell’amico, sentì una voce femminile, impastata di sonno, roca, forse anche il risultato del fumo, rispondere.

“... Pronto?” […]

“Ciaaao Erin!” Sentì Billie urlare accanto a lui, mentre si sporgeva sulla sua spalla, aggrappandosi a Mike per aiutarsi a raggiungere, o quantomento avvicinarsi al telefono, che il bassista aveva alzato al di sopra di quanto Billie potesse arrivare con le braccia.
“.. Billie?” Sentì la voce dall’altro capo del telefono, dal tono perplesso, stupido, ed ancora innegabilmente assonnato.

Mi sembra di vedere Billie aggrappato alla spalla di Mike urlare “Ciaaaaao Erin”, come una mezza cantile, allungando le vocali. E Mike che cerca, invano, di tenere il telefono fuori dalla sua portata.

“Pronto, Erin? Ciao, scusami, sono Mike.” Aggiunse velocemente lui, accostando il telefono all’orecchio, passandosi una mano sulla nuca, sospirando.
Si, lo so.. Cioè, lo avevo capito.”

L’aveva capito, Mike. La conosce la tua voce, così come quella di Tré, così come quella di Billie, è un po’ improbabile non riconoscere la loro voce, eh che cavolo, Mike.

Qualche secondo di silenzio, un sospiro. “Scusami.”
“Senti, piuttosto, qui-”
“Ciaaaaaaao Erin!” Esasperando ulteriormente la vocale, Billie si era sporto verso il telefono aggrappandosi al braccio flesso di Mike, tentando di farsi sentire.
Billie..! Sono le quattro.. E’ successo qualcosa?” Una traccia di ansia non troppo nascosta.
“Ma no, figurati.. E’ solo che-”

Chiamata alle quattro del mattino, dal bassista del tuo gruppo preferito, effettivamente un po’ d’ansia viene.

[…]

“Mike, dille di venire qui!”
Mike lo guardò allucinato, per qualche secondo, registrando il silenzio dall’altra parte del telefono.
Dopo una manciata di secondi, sentirono di nuovo la voce della giovane.
“... Dove siete?
Domanda semplicemente posta, senza pretese, e che non avrebbe accettato altra risposta se non l’ubicazione richiesta.
“Siamo a Christie Park, e c’è tanta erba!” Urlò Billie, sghignazzando, facendo ancora leva sul braccio di Mike, sul suo viso stampata un’aria compiaciuta e gli occhi che gli brillavano.
Arrivo.

Il bisogno di vederla, ecco che cosa mi sconcerta di questa parte. “Dille di venire qui.” Lui ha bisogno di lei, per chiarire, per scusarsi forse o forse solo per averla lì. Mi sconcerta altrettanto la sua risposta secca, “Arrivo”, non un’esitazione, non un’incertezza, solo e soltanto la sicurezza di esserci lì per lui.

Bene Capa, dopo questa recensione più breve del solito (me ne scuso), attendo con ansia il prossimo capitolo, come sempre del resto!

(Recensione modificata il 22/07/2012 - 11:32 pm)
Recensione alla storia Fairytales Don't Exist - 10/01/12, ore 21:29
Capitolo 17: A Bullet and a Prayer.

Eccomi pronta a recensire un altro meraviglioso capitolo, ma prima è necessaria una premessa.

Questa storia è fenomenale, my dear, non lo dico solo perché ormai ne sono assolutamente dipendente, ok forse anche un po' per questo, ma lo dico soprattutto perché ne sono fermamente convinta, quindi, appurato ciò, sorge spontanea una domanda: cosa te ne frega dei commenti? Devi essere convinta di aver fatto un ottimo lavoro a prescindere. Non puoi continuare ad arrovellarti. Ovviamente è giusto che un alto numero di recensioni positive ti renda felice, però non devi neanche dipenderne. Insomma, quello che sto cercando di dirti, è che quello che rende una storia bella e interessante non è il numero di commenti che vengono lasciati. Perciò rilassati, fai un bel respiro e credi con tutta te stessa in quello che stai creando, perché merita davvero.

Ora passiamo alla recensione del diciassettesimo capitolo (sottolineo diciassettesimo).

Title: A Bullet and a Prayer.

Già il titolo mi piace. Suppongo che tu in questo momento stia alzando un sopracciglio con fare scettico, pensando a me come “la solita esagerata fanatica”, forse lo sono, però i titoli sono importanti e sono parte integrante di una storia. Un racconto senza un buon titolo non ispira, facciamo qualche esempio: io non avrei mai letto “La solitudine dei numeri primi” se, con la coda dell'occhio, in libreria non avessi colto di sfuggita questo titolo, il fatto che poi si sia rivelato uno degli ultimi libri peggiori che abbia mai letto è un aspetto secondario (ora mi arriveranno sicuramente strali da tutti i fans del libro). Facciamo altri esempi, se la “Metamorfosi” di Kafka si fosse chiamata “Lo scarafaggio umano” probabilmente avrebbe avuto meno successo (anche se si sa, i capolavori vengono sempre a galla -?-) oppure riesci a immaginare cosa sarebbe successo se “Uno, nessuno, centomila” si fosse chiamato “Vitangelo Moscarda e la scoperta del naso storto” ? Va bene, la smetto di cercare di fare la simpatica, tutto questo sproloquio (poi mi chiedo come mai ci metto così tanto a scrivere le tue recensioni) per dire che ci vuole un certo talento per i titoli e io penso che tu ce l'abbia. Ora tu potresti dirmi: “Chissene frega, in primo luogo di quello che pensi tu su i miei titoli e in secondo luogo della considerazione in generale, dopotutto una storia senza un titolo sopravvive, un titolo senza una storia non va da nessuna parte”, avresti anche ragione, però visto che tu riesci a scrivere egregiamente sia l'uno (il titolo) che l'altro (la storia) mi sembrava corretto dartene atto. Ora che ci penso forse i titoli in inglese hanno anche tutta un'altra efficacia... (Audience: Fermatela!!!). Ok, mi fermo e passo oltre, accidenti quanto sono logorroica oggi.

Erin allungò una mano per cercare il calore della sua fedele tazza verde pistacchio, senza tuttavia rimanerne appagata; inutile dirlo, la tazza giaceva abbandonata accanto al piccolo, malmesso portatile, il caffè da lungo tempo raffreddatosi.

Ecco questa tua frase avvalora la mia teoria secondo cui le tazze vicino al computer si raffreddano più velocemente. D'accordo, lo ammetto, questa teoria non ha il benché minimo supporto della fisica, al limite quello della psicologia. Uno si distrae, scrive, naviga, sente una canzone e ecco lì che il caffè è gelato, ma non freddo, proprio gelato. Tu, senza pensare, avvicini la tazza alle labbra, pregustando il caldo piacere della tua bevanda preferita, senza indugio ne trai una sorsata il terribile connubio di due parole che dovrebbero stare lontane come 'caffè' e 'freddo' si realizza sulle tue papille gustative. E' tanto disgustoso che il primo istinto è quello di sputarlo, ma volendo evitare di fare i fanghi al tuo incolpevole computer, lo mandi giù e un brivido di freddo ti percorre la schiena... e dire che ti eri fatta il caffè per scaldarti! La situazione peggiora se la tazza calda, come nel caso di Erin, deve rappresentare un conforto emotivo in un momento di stress e nervosismo, come sostituto del peluche super morbidoso che ormai sei troppo grande per abbracciare.

Erin sospirò; forse una gitarella fino all'isolato successivo per stanare dei viveri al supermercato era diventata necessaria.

Io lo sostengo da sempre e per sempre, quando non riesci a scrivere, a studiare o a fare qualsiasi attività che richieda alla tua materia grigia uno sforzo superiore a quello di vegetare guardando la tv, la soluzione sia mangiare. E' una questione fisica, il nostro povero cervello necessita di zuccheri, perciò, perché non accontentarlo? Senza contare che mangiare sfoga lo stress, appaga e risolleva l'umore. Attenzione: leggere attentamente il foglio illustrativo, può creare un'elevata dipendenza.

Quell'articolo la stava facendo penare già da qualche ora, e lei non aveva altro desiderio che fare a pugni con il cuscino prima di crollare addormentata fino al giorno dell'apocalisse.

Ora crederai che io sia completamente pazza, però il concetto di apocalisse mi ricorda profondamente Billie. Potresti obbiettare facendomi notare che, in effetti, stiamo parlando di Erin. Lo so, è vero, ma questa frase è una di quelle che avrebbe potuto strappare un sorriso a Billie, esattamente come “This is East Jesus fucking nowhere, ti spiacerebbe andare all'inferno?” e perciò nella mia mente contorta rappresenta una sorta di punto di contatto tra le loro due personalità.

Rilesse mentalmente la prima frase che aveva scritto. “Pugnalata alle spalle per il neo-eletto Gary Bakers”.

Si frustò mentalmente per essersi lasciata trascinare dalla propria rabbia e dai propri sentimenti. Va bene la satira, va bene la pungente ironia e il velato antagonismo, ma apertamente urlare il proprio odio ai quattro venti nei confronti di Bakers era forse un po' troppo.

 Sospirò di nuovo.

Forse non era al corrotto politico che era indirizzato l'articolo, e tantomeno la “pugnalata”.

Più che umano lasciarsi trasportare dai sentimenti quando si dovrebbe mantenere una rigorosa obbiettività critica. E' la classica azione più facile a dirsi che a farsi. Nessuno di noi può biasimare la povera Erin, in una manciata di ore ha incontrato Billie ed è stata tradita dalla sua migliore amica, direi che il minimo che possa fare sia lasciarsi andare a qualche commento velenoso contro il malcapitato di turno, nel nostro caso Bakers.

Mi piace che tu abbia inserito questo particolare quotidiano, lo definisco così perchè è qualcosa che tutti abbiamo provato, rende la storia più vicina ad ognuno di noi, più reale.

La ferita era fresca e lei non poteva fare a meno di stuzzicarla, ripensando con rabbia all'accaduto e meditando possibili litigate e rappacificazioni improbabili.

Lo faccio sempre anch'io. M'immagino conversazioni, cose da dire, riappacificazioni, come dici tu, davvero improbabili.Quando sei tu il regista si questi filmini sembra tutto facile, poi improvvisamente arriva la realtà e non dici mai le cose che hai pianificato.

Non appena fu in strada, chiuse gli occhi e inspirò profondamente, grata di quell'aria appena fredda che le pungeva i muscoli indolenziti dalla quasi totale immobilità delle ultime ore. Ripensò brevemente all'accaduto di quella stessa mattina; Billie (chiamarlo così sembrò improvvisamente una libertà troppo grande da prendersi, pur avendolo sempre fatto prima di averlo conosciuto di persona) che si presentava sotto casa sua, i caffé bollenti, la pioggia, la canzone.

Scosse la testa.

Troppi pensieri, congetture e ricordi per poterli affrontare con nervosa lucidità.

Decise di rimandare l'analisi dello strano fenomeno “Billie” alla mattina successiva, davanti al dovuto caffé mattutino.

E' una faccenda strana, a me non piace il freddo, però l'aria che ti punge i muscoli in qualche modo ti risveglia e ti fa essere più presente a te stessa.

Immagino che per Erin sembri passata un'eternità, succede sempre così quando accadono cose troppo fuori dalla tua portata, cose assurde, impensabili. Comprensibilissima la necessità di rimandare il pensiero di qualcosa di così grande almeno alla mattina successiva.

Osservò il barista, un omone pelato dalla pelle innaturalmente nivea e costellata di efelidi […]

Ree, my little Carrot! E' tanto che non ti vedo.. Come stai?” […]

Aemonn annuì, come se avesse improvvisamente capito tutto. […]

L'“Oblivion”, tesoro. E' ciò che ci vuole per te, dato che mi pare che tu non sia in vena di sputar fuori ciò che ti pizzica. Comunque, il vecchio Aemonn è sempre qui, nel caso volessi rendermi partecipe di qualche gossip.” […]

per poi osservarlo accarezzarsi la lunga barba color carota mentre ascoltava l'ordinazione di tre ragazzi poco più in là, un altro tic che si portava appresso probabilmente da quando aveva orgogliosamente cominciato a crescere la folta barba di cui andava tanto fiero.

Adoro la descrizione di questo barista *_* è tenero da matti, è affettuoso, ma non eccessivamente paterno, attento, ma non apprensivo, discreto e non invadente. Chi non vorrebbe avere un barista del genere a gestire un pub irlandese sotto casa, capace, come se non bastasse, di preparare cocktail buonissimi?

My little Carrot”... sento di volergli già bene!

Anche l'idea di quest'omone pelato che si accarezza la barba, sovrappensiero, come un tic, mentre ascolta un'altra ordinazione, mi è piaciuta davvero tanto.

Erin accarezzava il bordo del bicchiere con aria assorta, piacevolmente intorpidita grazie all'alcol che le circolava in corpo, tuttavia ancora sobria, abbastanza da scuotere la testa infastidita e dolorante ogni qualvolta la sua mente errante sfiorasse il doloroso ricordo dell'accaduto. La capacità tipicamente irlandese di reggere l'alcol non era sempre comoda, soprattutto quando si avevano una migliore amica da avere in odio e una giornata (forse non tutta) da dimenticare.

Mi piace il fatto che Erin regga bene l'alcool, s'inserisce perfettamente nel personaggio.

Che cavolo Erin, direi proprio che non è tutta da dimenticare, insomma se Billie Joe Armstrong fosse venuto sotto casa mia con due caffè (di Starbucks) per farmi leggere una sua canzone, probabilmente ci avrei pensato due volte prima di dimenticare quella giornata! Ma solo per i caffè di Starbucks, intendiamoci. Tutto sommato però è giusto che Erin non sia andata in visibilio per questo. Innanzitutto lei può prenderselo quando vuole il caffè di Starbucks e poi, probabilmente, è troppo stranita per farlo e, so che sembra folle dirlo, ma ha cose più importanti a cui pensare. Oltretutto l'argomento Billie-Alice è strettamente collegato perciò non si può pensare all'uno senza l'altro, bella fregatura.

Pronto?” Voce stanca, seccata. La mano nella tasca dei pantaloni, il piede ciondolante a calciare via qualche sassolino d'asfalto.

Erin? Sei tu, tesoro?” Una voce distintamente femminile dall'accento irlandese, calorosa e apprensiva, si poteva quasi percepire un sorriso nella voce stessa.

[...]

La nostra Allie ci ha detto di averti aiutata tanto, non è vero? Siete sempre inseparabili, eh, come eravate da piccoline...”

Erin rimase in silenzio; strinse i pugni, chiudendo gli occhi e inconsciamente trattenendo il fiato. Contò i battiti, lenti, regolari, nel tentativo di arginare l'ondata il veleno che le si insinuava nel corpo. Respirò profondamente.

.. Io.. Io devo andare, Abigail. Scusami, ma devo proprio andare. Ci risentiamo a Natale, eh? Come sempre. Ciao.”

La telefonata. Ormai si è capito che Erin ha (ha avuto?) qualche piccolo problema in famiglia. Ha adottato i genitori di Alice come suoi e loro, probabilmente, hanno fatto altrettanto. Questo rende la situazione dannatamente più complicata. Quando ti affezioni a delle persone, considerandole come genitori, non è facile dire loro che la tua migliore amica, nonché loro figlia, è, quantomeno, una bugiarda. Prima di tutto perché spesso, per i genitori, le amicizie, sembrano cristallizzate all'infanzia, per cui non riescono neppure a immaginare che i rapporti possano cambiare, evolversi, che possa esserci un litigio. Il secondo motivo è che non potranno fare a meno di dare comunque ragione a loro figlia, per quanto ti amino, per quanto ti considerino una figlia adottiva, per quanto ti vogliano bene, non potranno mai “abbandonare” da sola dalla parte del torto la loro creatura, la difenderanno sempre, la scuseranno nel migliore dei casi, nel peggiore accuseranno te di essere un'ingrata, un'approfittatrice della loro generosità, una viziata, qualcuno che non appena può giudica e critica. Erin si dev'essere resa conto di tutto questo perché all'improvviso non sembra riuscire più a continuare la telefonata, come se si sentisse soffocare nel vedere con chiarezza tutto ciò che può perdere.

Che cosa vuoi?”

Non credette di aver mai parlato con tanta freddezza, con tanto veleno nelle parole. Occhi duri e carichi d'odio in occhi disperati ed eloquenti, quasi domandassero mille cose, mille scuse.

[...]

Alice si bloccò; boccheggiava, con gli occhi sbarrati, incredula, negli occhi il dispiacere, la disperazione. Abbassò il viso, socchiudendo gli occhi. Mormorò un “mi dispiace”, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime, prima di scappare via, fuori dal pub.

Povera Alice. Si lo so, forse non è il commento giusto da fare, ma a me fa tenerezza. Hai ragione, ha terribilmente tradito la fiducia di un'amica, della sua migliore amica ed è una delle cose peggiori che si possano fare. Erin ha tutte le ragioni del mondo per essere furiosa con lei. Però, cosa vuoi che ti dica? Mi fa tenerezza. Ha sbagliato e ne sta pagando le conseguenze. So anche che Erin adesso è troppo arrabbiata per stare ad ascoltarla, troppo scossa, troppo ferita. Quindi è giusto così, sì, d'accordo...bando ai sentimentalismi (*faccia da dura, non troppo convinta*).

Era forse il momento giusto di porre fine a tutto quell'infinito dolore, che, ormai era evidente, non era la sola a dover sopportare? Non voleva lasciar andare tutto così, come se fosse stata una litigata stupida, di quelle che alla fine non si sanno neanche per quale motivo siano cominciate. Non riusciva a dimenticare quell'immagine dell'amica che la guardava, senza riuscire ad articolare parole, mentre lei si rendeva conto di ciò che le stava di fronte. Non riusciva a lasciar andare la nuova, dolorosa consapevolezza che ormai non avrebbe avuto più nessuno di cui fidarsi ciecamente, neanche più Alice. Non riusciva ad accettare che la propria migliore amica le avesse intenzionalmente mentito, nascosto la verità, tradita..

Non riusciva a ritrovare la fiducia e la speranza di far ritornare tutto come prima.

Per il commento vedi sopra. No, scherzo però sì, il succo della questione è lo stesso. Erin è troppo arrabbiata, ferita, si sente incredibilmente tradita e ha perso la fiducia. Quando perdi la fiducia in una persona è davvero difficile, forse impossibile tornare indietro. Certo, puoi proseguire l'amicizia, puoi perdonare, ma mai fino in fondo, mai senza riserve, almeno inconsce. Puoi cominciare un nuovo rapporto, superando la delusione con l'affetto che provi, ma non è mai la stessa cosa. Intendiamoci non che, dopo una perdita di fiducia, due persone non possano più avere un rapporto sincero, semplicemente è un rapporto nuovo, sicuramente diverso.

La guardò qualche altro momento, lo sguardo buio e infinitamente triste, prima di avviarsi lungo Telegraph Ave., verso casa. Anche stanotte non avrebbe dormito.

Una bellissima conclusione dalla quale traspare il fatto che, comunque, a Erin importa eccome di Alice.

 

Per concludere posso dire che questo capitolo mi è piaciuto molto (ma va), soprattutto perché entra un po' di più nella psicologia di Erin...

Morale della favola...Non vedo l'ora di leggere il prossimo capitolo!!


Recensione alla storia Fairytales Don't Exist - 05/01/12, ore 23:27
Capitolo 16: I'd pray for a good coffee (here's to the past).

Dopo un tempo infinito, non mi scuserò mai abbastanza per questo, ecco (finalmente) il mio commento.

Eccomi qua, pronta a recensire un altro (e meraviglioso) capitolo! E qui ci starebbe la risatina mefistofelica, ma te la risparmio.

Allora, che dire? Il capitolo precedente ci aveva lasciati con il fiato sospeso, Erin tradita dalla sua migliore amica, Billie che le va a parlare come se potesse permettersi di essere "fastidiosamente chiunque" e Erin che, come se non bastasse, gli risponde pure male. Un quadretto quanto meno insolito. Cosa c'è di bello nella tua storia è che non ci si annoia mai. 

 

"O Romeo, Romeo, wherefore art thou Romeo?"

Un grugnito. Il letto cigolò sotto il peso che si spostava.

Una serie di colpi. Secchi, deboli.

"We are once again reminded that America can do whatever-"

Altri colpi. Altri grugniti. Imprecazioni.

Do you mind?!

Vibrazione improvvisa, e la vecchia tivvù della vecchia signora del piano di sopra e la vecchia signora del piano di sopra improvvisamente non sembrarono più così fastidiosi.

Erin socchiuse un occhio, dopo aver girato appena la testa. Storse il naso per la luce del display del cellulare, che le ferì gli occhi ancora assonnati.

"Lice", sapeva che vi avrebbe letto.

Il telefono vibrava allegramente nella sua mano esattamente come aveva fatto le altre ventisette volte nell'ultima ora. E, come le altre ventisette volte, Erin sbuffò e lasciò cadere il piccolo aggeggio sul materasso.

Nascose il cellulare sotto al cuscino, tuffandovi il viso nell'attesa che quella dannatissima vibrazione finisse.

Sospirò.

"Try the new Big N' Tasty! With extra salad-"

Grugnito crescente in esasperazione.

Vibrazione.

 

Eccoci immersi in una classica situazione che tutti, almeno una volta nella vita, -purtroppo- abbiamo sperimentato. Cosa c'è di peggio che cercare di dormire, avendone peraltro disperatamente bisogno, mentre la tv della vicina sorda ci penetra nelle orecchie ad un volume indecente, come un martello pneumatico? Tra parentesi come ti sia venuto in mente di spaziare da Shakespeare alla pubblicità del "New Big N' Tasty" lo sai solo tu, geniale. Fatto sta che effettivamente le variazioni sul tema "il destino sta cercando di impedirmi di dormire" sono infinite: il rubinetto che gocciola, il ticchettio dell'orologio, i lavori in corso nella strada sotto la tua finestra, la vicina che passa il folletto, lava i piatti e litiga col marito contemporaneamente (solo lei sa come…), ma l'istinto di ringhiare il tuo malcontento al prossimo è sempre lo stesso, se aggiungiamo poi le ventisette chiamate senza risposta di un'amica con la quale non hai nessuna intenzione di parlare, l'irritante, imperterrita, allegra vibrazione del telefono che continua a squillare, ignorando il tuo umor nero e la tua tentazione di metterlo a tacere lanciandolo contro un muro, bè non potremmo certo biasimare Erin per la reazione spazientita, irritata e scorbutica.

 

«This is East Jesus fucking Nowhere! Ti spiacerebbe andare all'inferno?»

 

Questo è il miglior modo che io abbia mai sentito di mandare a quel paese qualcuno. Dico davvero! Non so, sarà il riferimento alla canzone, sarà l'americano. Sarà il tono scorbutico seguito dall'apparente gentilezza del "ti spiacerebbe", sarà che "andare all'inferno" mi sa di Christian e Gloria. Non lo so, ma è assolutamente perfetto. 

 

Una breve risata dall'altro capo della linea. Maschile.

Erin sentì il sangue gelarsi nelle vene.

 

Ops. Interlocutore sbagliato. Il fatto più esilarante dell'intera vicenda, è come Erin, fan sfegatata, non faccia altro che insultare, in un modo o nell'altro, il suo frontman prediletto. Credo che Billie le abbia voluto parlare anche per questo, è stato incuriosito dal suo modo di fare anomalo, di sicuro più sgarbato di quelli che è abituato a ricevere, dalla maniera in cui è stata ferita e dalla sua reazione al "tradimento", tema comune e caro ad entrambi.

 

<<I'd love to, ma mi seccherebbe buttare tutto questo caffé.. Ah, e ho anche quella canzone che mi avevi chiesto ieri. .. Anzi, non è neanche tanto male.>>

 

Perfetta anche la risposta di lui, molto "Billesca" a mio avviso…"I'd love to", bellissimo! Povera Erin, riesco a stento ad immaginare l'infarto che debba essere sentirsi dire una cosa del genere per telefono da lui, appena sveglia. Farebbe andare in iperventilazione chiunque!

 

«Dimmi che non sei quello in piedi qui sotto.. Vicino all'insegna del cinese.»

Breve silenzio.

«Allora, che fai.. Scendi o no?» 

Oh.

 

Oh. Billie mi sta aspettando sotto casa mia. Vuole che scenda. Sta aspettando proprio me. Già, Erin, "Oh." 

Qui è bello il contrasto tra l'insicurezza di lei e quella di lui. Quella di lei è immediatamente comprensibile per ovvi motivi, insomma ha anche il diritto di accettarsi se è proprio quella voce che conosce così bene a parlarle al telefono e se è proprio Billie Joe Armstrong quello che la attende sotto casa sua, in un angolo quanto mai squallido e banale, davanti al quale è passata ogni giorno e dove mai avrebbe immaginato di vedere proprio lui, ad aspettarla per giunta. Ma l'insicurezza di Billie è ancora più bella, perché meno ovvia in un certo senso, trapela a stento da quelle poche sillabe. "Allora che fai…Scendi o no?" O no. Sembra che Billie senta come possibile un eventuale rifiuto, quasi che in qualche modo lo tema, quasi come se avesse timore di sentirsi rifilare un "no" secco da quella ragazza che, d'altra parte, non aveva certo esitato a trattarlo come chiunque altro. Sembra anche che sia incerto, insicuro di quello che ha fatto, sembra che abbia paura di sbagliare ancora, di fare qualcosa che non va, forse ha paura di ferire una ragazza in quel momento già così provata, forse non vuole invadere con la sua presenza una vita già messa alla dura prova dal tradimento di un'amica. E' molto umana l'indecisione, il nervosismo che sembra provare all'idea di poter essere lasciato lì, con due caffè in mano.

 

«Arrivo.» Risposta secca, con una traccia di ansia.

 

Con una traccia d'ansia, ma solo una traccia eh, beata lei! Scherzi a parte, è "giusta" anche questa risposta, senza fronzoli, senza altre domande, senza neanche risposte. 

 

Non credette di essersi mai sbrigata tanto in vita sua.

Sette minuti dopo usciva dal portone biancastro del palazzo sistemandosi gli occhiali sul naso, al contempo mentalmente domandandosi se avesse chiuso la porta di casa e come avesse fatto a scendere le scale senza gli occhiali e di corsa senza schiantarsi e-

Cosa cazzo ci facesse Billie Joe Armstrong davanti al suo portone di casa con due caffè e un sacchetto con ciò che pareva essere un brownie in mano.

 

A parte il fatto che mi immagino troppo bene Erin che corre come una pazza per la casa, prendendo vestiti alla rinfusa, cacciando il suo gatto dalla sua borsa (e credimi, per esperienza, è un'impresa non da poco!), lavandosi i denti mentre si infila le scarpe, uscendo di casa senza gli occhiali messi, con mille ansie e domande, tra cui: cosa cazzo ci faccia Billie Joe Armstrong davanti a casa sua. Un interrogativo più che legittimo. Immagino cos'abbia provato ad uscire di casa e vederselo lì, mingherlino sotto quella giacca di pelle nera, gli occhi chiari increspati in un sorriso appena accennato e, come se non bastasse, a completare questa visione, un caffè e dei brownies. 

 

Dovette rimanere imbambolata per almeno dieci secondi; il suo viso era contratto in una lieve smorfia, qualcosa a metà tra l'addormentato, l'incredulo e l'infastidito, ma quest'ultimo per colpa del sole semi-nascosto dalle nuvole che le feriva gli occhi.

 

E' bellissima questa descrizione, rende benissimo l'idea. Insomma chiunque avrebbe detto "con un sorriso a 32 denti" o "raggiante in volto". Invece no. E' giusto che l'incredulità prevalga, quel sentimento sospeso tra realtà e finzione che ti lascia in bilico, come quando sei sull'orlo di un sogno e avverti, in un angolo recondito la tua mente che si risveglia, che reclama la tua coscienza all'adesione a una realtà ancora impastata di sonno. Quell'incredulità che ti impedisce di aprire gli occhi sulla verità anche se la stai guardando. Non è esattamente semplice passare dal sonno al sogno ad occhi aperti e convincersi di non star sognando. 

 

"Coffee?" Billie le allungò uno dei due bicchieri; sorrise appena, divertito dall'impaccio e dall'espressione della ragazza.

 

Mi fa troppo ridere l'idea di Billie che ti porge un bicchiere dicendo: "Coffee?", non lo so, mi sembra di vedere il suo sorriso impertinente, quasi come se stesse cercando di nascondere il divertimento nel vedere l'espressione confusa di Erin nel tentativo di non offenderla. Quel sorriso da presa in giro tipico di Billie insomma.

 

Erin grugnì, buttando giù per la gola rasposa una sorsata del liquido bollente, per poi allontanarne il contenitore e osservarne con naso arricciato la nota marca verdastra stampata sul cartoncino anti-ustione-dita-consumatori

 

Staaaaarbucks! :( Come mi manca. Sniff. 

 

 

".. Perché mi hai portato il caffé?"

Cristo, Erin. Di tutte, le domande che potevi fargli.. Sai com'è, perché si trovi qui, perché proprio ora, come ha fatto a sapere dove abitassi, dove abbia pescato il mio numero.. No, eh? Niente.

 

Effettivamente! Però è giusto così, non si può avere la lucidità necessaria per fare certe domande in simili situazioni…Mi piace come Erin si maledica per la banalità di ciò che pensa di aver detto, io lo faccio sempre. E' una strana sensazione, sentirsi sfuggire delle parole di bocca, sentirle fiacche, inadeguate, fuori posto e desiderare di averne pronunciate altre, ma è una sensazione più che comune.

 

Billie rise appena. "Tré non ama svegliarsi prima delle due di pomeriggio senza quattro o cinque caffé.. Volevo ringraziarti per il favore che hai reso alla nazione ieri. - Erin sorrise appena; Billie si schiarì la voce, facendo poi spallucce. - E comunque volevo darti almeno un motivo per non uccidermi selvaggiamente per averti svegliato".

 

In effetti secondo me ha rischiato grosso XD

 

Lui sorseggiando il suo con una mano in tasca, avanzando con quel suo strano incedere che ricordava i tempi di Dookie, in cui non riusciva a mettere un piede davanti all'altro senza che sembrasse che si stesse perdendo i piedi, come se li facesse rimbalzare troppo in là per la gamba e il resto del corpo. Come se non avesse proprio voglia di camminare.

 

Ecco io ti invidio profondamente per queste descrizioni stupende che riesci a fare…E' così preciso il modo in cui hai saputo descrivere l'andatura buffa e malinconica al tempo stesso che aveva in quegli anni. Mi ricorda precisamente l'andatura che Billie ha nel video di When I Come Around.

 

"Stupide marionette di una salvezza che si sono costruiti da soli, ecco cosa sono." Aria uscita dal naso, brevemente, con evidente disapprovazione. Uno sguardo di lato, subito tirato via; eppure non c'era solo disdegno in quegl'occhi..

"Vuoi spiegarmi allora perché vivi in un quartiere di ferventi protestanti?" La domanda non era solo curiosità; affronto, forse?

".. Per masochismo." Rise aridamente Erin, tra sé e sé, mentre finiva il suo caffé per buttarlo in un cestino lungo la strada. "Mio fratello e mio padre hanno avuto sempre rapporti migliori con dio che con me."

 

Mi piace tanto come lo dice, in qualche modo spiega il rifiuto complicato che ha della religione, dell'idea di Dio, è molto più difficile non credere se hai accanto qualcuno che lo fa con tanta dedizione. E' buffo, in un certo senso, ne parla come se Dio fosse un amico di famiglia con cui lei non si trova tanto bene, un parente con il quale non si può evitare di relazionarsi, ma con cui allo stesso tempo senti di avere un rapporto difficile.

 

cominciarono a venire giù grosse gocce d'acqua.

 

Ah, la pioggia. La nostra storia infinita.

 

Billie si sfilò il chiodo in pelle, porgendolo ad Erin, che non aveva nulla con cui coprirsi. Erin lo guardò con un'espressione indecifrabile, un misto di ammirazione, confusione, gratitudine e orgoglio, prima di accettare la giacca e riprendere la corsa.

 

Mi immagino fin troppo ben quell'espressione

 

Lasciandosi cadere su uno dei sedili in plastica, Billie sospirò, chiudendo gli occhi. Riaprendoli qualche attimo dopo, si ritrovò davanti la mano di Erin che gli rendeva la giacca, con un'espressione in viso piuttosto eloquente; i capelli erano zuppi, come anche il viso e gli altri vestiti. Sorrideva appena.

"Grazie comunque." disse, tentando di rimanere impassibile.

Dopo averla guardata qualche secondo, Billie scoppiò a ridere. Erin alzò gli occhi al cielo.

 

Mi piace questa sequenza di azioni, Erin che cerca, che spera che Billie non scoppi a ridere vedendola fradicia e lui che si lascia andare ad una bella risata. Stupendo.

 

Il foglietto sembrava cedesse sotto alle sue dita che tremavano appena; schiuse la carta appesantita, respirò. Lesse.

 

Pare quasi che sia la verità rivelata a celarsi tra le pieghe di quella carta umida. La verità più importante, quella che qualcuno vede guardandoti dentro.

 

Ora non starò a citare tutta la parte riguardante la canzone perché sarebbe eccessivamente lungo e io ti ho promesso almeno un commento per quando saresti tornata a casa. Inoltre poi ho constatato, la mancanza di parole tra noi non è un problema comunicativo poi così rilevante.

 

E' semplicemente delicatissimo e stupendo il richiamo che fai alle favole, che danno il titolo all'intera fan fiction. Favole, in un certo senso le canzoni lo sono, ti trasportano in un'altra realtà, ti fanno percepire un mondo altro, completamente avulso da quello a cui siamo abituati. E' una dimensione a sè stante dove la musica scalanca un universo intero e le parole gli danno voce, un cosmo che alla lunga, per quanto vasto e sconfinato ritrovi dentro te stesso, rannicchiato nelle tue pieghe, annidato nelle tue piaghe, nascosto tra memorie del passato e speranze sl futuro.

 

Non c'era nessuna storia, nessuna fiaba che finisse, nella sua memoria. E lei aveva imparato che ogni cosa, ogni cosa vera, aveva una fine.

Le fiabe, quelle.. Non finivano. Quelle erano solo finzione.

 

Il dubbio, il terribile dubbio, che le favole restino tali, che nella realtà non ci sia spazio per i lieto fine, che nessun "vissero felici e contenti" sia davvero pensabile. 

 

Alzò lo sguardo dal foglio, appena indirizzandolo verso l'uomo che sedeva accanto a lei. Il suo era uno sguardo illegibile, cupo e lontano; non era il presente, né la realtà ad avere stretta in pugno la sua mente.

Era lontano.

 

Bellissima la descrizione di questo sguardo. Non assente, ma lontano, distante, meglio irraggiungibile. Inafferrabile come i suoi ricordi e i suoi pensieri.

 

Chi aveva perso? Cosa lo aveva spinto a brancolare nel buio?

Eppure c'era un tale amore in quelle parole, in quel primo verso, una tale dipendenza da una persona..

I respiri diventavano più forzati, gli occhi rileggevano quelle due righe come fossero un mantra.

Perdevo me stesso quando non ti trovavo.. E ora non so neanche più dove cercarti.

Ti ho perso, ho perso me stesso.

Così apparentemente chiaro, così crudo.

 

Quell'immediatezza tipica delle canzoni di Billie, quella di cui parlavamo, quel suo mettersi a nudo, mostrarti con una semplicità disarmante intimi scorci della sua anima. Definire, in questo caso, con chiarezza la perdita. Perdita di una persona, certo, ma allo stesso tempo perdita di una meta, di un luogo dove andare, dove cercare ciò che si è perso, la perdita di una direzione quindi la perdita di se stessi e del proprio baricentro, una conseguenza inevitabile. 

 

Guardò Billie, con uno sguardo pieno di tensione, di perplesso dispiacere; non sapeva bene per cosa dovesse dispiacersi, era semplicemente quel peso terribile che gravava su quelle stesse parole, era stata quella frustata così netta di realtà, ad averla resa quasi dolorosamente sensibile.. A cosa, non lo sapeva ancora bene.

 

Quella sensazione, a noi ben nota, del dispiacersi da spettatrici esterne certo, ma non solo, è un dispiacersi dato dalla consapevolezza di avere una comprensione di quel dolore perché quelle parole così personali eppure così universali, parlano anche per te, danno voce alla tua d'interiorità, diventano di chiunque e di nessuno.

 

Qualche secondo ancora, e Billie si girò, guardandola prima negli occhi; quasi inespressivi, i suoi, in genere sempre così accesi di quel verde pieno di tutta l'anima. 

 

Quest'espressione non avrebbe potuto essere più azzeccata, perfetta e calzante.

 

Si alzò, passando velocemente le mani sui pantaloni, come a volerli ripulire, come se volesse ripulirsi le mani della conversazione appena avuta. Dimenticarla, forse, annoverarla negli scaffali del passato e cercare di dimenticarla, o di farla passare inosservata alla sua stessa coscienza.

 

Immagino alla perfezione questo gesto. Come se avesse voluto scrollarsi via di dosso qualcosa, spazzare via occhiate indiscrete, una specie di modo per richiudersi nel guscio dopo aver aperto così tanto la propria anima.

 

Erin rimase seduta a guardarlo mentre si sistemava, mentre si infilava il chiodo di pelle ancora lucido di pioggia, improvvisamente troppo grande per le sue spalle piccole e stanche. Rimase seduta a domandarsi se fosse il suo posto, quello, di vedere tutta l'umanità del proprio eroe, del proprio idolo, tutta l'umanità, tutta la debolezza più miserabilmente umana, tutta insieme.

 

E' questa la fregatura di Billie: è umano e non fa niente per nasconderlo; non cerca di mostrarsi forte, perfetto, senza macchia. Confessa le sue debolezze, i suoi bisogni, i suoi tormenti. Sembra diventare ancora più piccolo e mingherlino Billie quando fa così, quando ti nasconde i suoi occhi chiari nell'ombra o quando in quel verde riesci a leggere quanto sinceramente si stia confessando a te, quanto sia difficoltoso ammettere determinate cose, quanto direttamente ti mostri improvvisamente ciò che prova o ha provato. 

 

quell'ombra che si faceva strada tra i sedili della tribuna, con l'alone della propria pioggia interiore su ogni centimetro di sé.

 

Quanto è stupenda questa frase.

 

Prima di scendere l'ultimo scalino, si girò, rivolgendole un sincero, piccolissimo sorriso; gli occhi si accesero appena. "Se mai dovessi ritrovare quella forza che ti ha spinto a combattere le favole degli altri.. Vorrei esserci."

I'd like to feel what it's like.

 

Mi sembra di vederlo Billie che si gira, con gli occhi che brillano appena, accesi da qualcosa e dire: " […] vorrei esserci", sembra sottintendere: "ho bisogno della tua forza per tornare a combattere", sembra gridare 'non ti arrendere', sembra un invito alla resistenza contro il tradimento subito dalla ragazza che funziona come propulsore della reazione di Billie al tradimento da lui subito. 

 

 

So che spesso mi ripeto, ma credo che questo capitolo sia ormai ufficialmente eletto a mio preferito. Forse. E' davvero difficile scegliere, le emozioni che mi trasmetti e la tua bravura mi lasciano sempre senza fiato, un po' frastornata, come se leggendo questa storia entrassi nel mio personalissimo mondo di favole, quelle favole che ti consolano e sollevano, quelle favole che ti trascinano in una sospensione trasognata della realtà.


Recensione alla storia Fairytales Don't Exist - 01/05/11, ore 23:50
Capitolo 15: Stop the world, I want to get off.
Bene, non vedevo l'ora di scrivere e commentare, perciò eccomi qui...il terribile Capo è tornato... muahahahah!!! (*Audience*: "Ma cosa le avete dato?")

Soundtrack: When I Come Around

Ebbene sì sto commentando la soundtrack, quanto, no dico, ma quanto è bello l'attacco di quella canzone? Scusate, ma dovevo dirlo.

Ok, cominciamo (forse...)


Il trucco era entrare nello Starbucks evitando accuratamente i colleghi appostati come falchi ai tavolini lungo la vetrata, sbilanciarsi su un piede per vedere quanta fila la separava dalla cassa, e mentalmente fare l'ardua scelta: brownies oppure chocolate chip cookies?
...
"Un Caffé Mocha e un Frappuccino, per favore." 

Dico questo è sadismo lo sai vero? Si? Parlare di STARBUCKS davanti a me...e..e brownies...e caffè Mocha...e Frappuccino! E' colpa tua sai, tutta colpa tua se sono mattine, intere mattine, decine di intere mattine che io vaneggio a scuola balbettando "Starbucks..." in tutte le possibili variazioni di intonazione, dall'adorante al piangnucoloso, dall'euforico all'estasiato e vago assaporando il gusto del caffe Mocha, del Cappuccino, del Frappuccino, del Latte anzi Caffe Latte, as well. It's not fair. (Sì, sì, lo so "Nobody ever sayd that life was fair now").
Dunque, torniamo a noi, devo ringraziarti per la apprezzatissima citazione del Caffe Mocha e del Frappuccino *.*  *.*  *.*


Cercando di destreggiarsi tra persone e occhiate stralunate di caffeinomani che non avevano ancora ricevuto la propria dose di "droga" legale

Oh quanto mi ci riconosco in questa descrizione …coffee *.*

E' semplice. Devi solo entrare nella redazione con questi due affari bollenti.

Entrare nella redazione con questi due affari bollenti. Evitare Nathan-occhio-pesto.

Entrare nella redazione con questi due affari bollenti. Evitare Nathan-occhio-pesto. Sgattaiolare oltre quella orrida segretaria figlia-di-papà.

Entrare nella redazione con questi due affari bollenti. Evitare Nathan-occhio-pesto e Joel voce-finocchia. Sgattaiolare oltre quella orrida segretaria figlia-di-papà. Aprire la porta dell'ufficio di 'Lice con uno scenico "Ta-dah!", un sorrisone e il suo caffé preferito.

Amo questa progressione di pensieri tipica di quel momento della mattina in cui il tuo corpo, in chiara astinenza da caffeina, programma le azioni automaticamente, in sequenza, per essere sicura di non combinare disastri e/o ledere in qualche modo l’incolumità altrui.

 ripassando mentalmente la scaletta di cose che avrebbe dovuto fare per portare a termine la sua "missione"

E portare due caffè di Starbucks bollenti (si, adoro anche il fatto che siano ustionanti *.*) fino in redazione può ben essere definita una “missione”.

la porta era appena nascosta da un enorme mobile a cassettoni e dalla scrivania della segretaria, la quale non sembrava essere presente al momento, con grande sollievo della ragazza, che ringraziò mentalmente tutte quelle pubblicità sul sonno rigenerante di bellezza, che teneva la cara segretaria ancora impegnata, evidentemente.

Ahah…! xD Questa segretaria tutta di plastica me la immagino fin troppo bene, come ti escano certe idee geniali sulle cure di bellezza lo sai solo tu =D

Abbassando energicamente con il gomito la maniglia della porta, Erin sfoggiò il suo sorriso più entusiasta, già divertita da ciò che sarebbe successo.

Me la immagino perfettamente...(lo so, questo sì che è un commento utile!)

".. Hey, Platypus, indovina un po' chi ti ha portato il Frappucc-"

Platypus. No, dico, ma tu sei un genio, lo sai, sì? Platypus. Geniale, nient’altro da dire…what else am I supposed to say? Eh, ma insomma…
E quel Frappucc- con la linetta è perfetto. Perfetto. E io sono ripetitiva, lo so.


Si bloccò di colpo.

Sul suo viso, incredulità.
L'incomprensione della realtà, la confusione, il terrore, lo stupore; il caos.
Dipinto su quegl'occhi color ambra, grandi e spalancati.

Seduti davanti a lei, i Green Day.

Uno davanti all'altro; Tré più verso di lei, che copriva parzialmente Mike, seduto al centro, e in fondo, quasi sul lato opposto della stanza, Billie. La mente si rifiutava di capire, il cuore di battere; erano Loro. Non una foto, non un video clandestino su YouTube, non un poster, non il booklet di un CD. Non un sogno.

Erano 
Loro.

Già, Loro. E’ qualcosa di incredibile quella sensazione terribilmente, eppure meravigliosamente, ineluttabile, innegabile, dell’averceli lì. A portata. A pochi metri da te. E’ qualcosa di spaventoso e fuori dalla nostra comprensione, come se il cervello si rifiutasse di afferrare fino in fondo quell’idea. Di accettare che qualcosa di così speciale, inarrivabile, intoccabile, sia lì, a respirare la stessa tua aria. Avere la certezza, la consapevolezza, la terribile, perché sconcertante, consapevolezza di avere davanti ai tuoi occhi qualcosa che invece in quel momento è tangibile e meravigliosamente umano. Guardarli mentre parlano, suonano, cantano, o mentre compiono il più comune e banale dei gesti che per qualche strana ragione in quel momento appare quasi un miracolo.
E’ la rottura delle barriere, come se tra due dimensioni, completamente avulse l’una dall’altra, abituate, normalmente, a comunicare attraverso una mediazione: la carta lucida delle foto, lo schermo pallido e tremolante del computer, le cuffie dell’I-Pod, improvvisamente si aprisse una breccia, come se si squarciasse una sorta di “Velo di Maya”, come se la realtà si rivelasse pienamente in tutta la sua verità e bellezza. Come se ogni cosa prendesse corpo, vita, respiro. Come se loro prendessero corpo vita e respiro, uscendo, dalla pur meravigliosa, fantasia delle nostre menti.
Ecco, questo è uno dei motivi che renderà sempre speciale Bologna, ecco perché, dei tanti momenti, non scorderò mai quell’attimo in cui ho visto Trè sulla passerella, lì, davvero e mi sono resa conto…e ho capito…D’accordo, sto divagando, questa è un’altra storia.
Il nocciolo della questione era che tu sei riuscita a rendere un sensazione pressoché indescrivibile in poche righe. Ti adoro per questo.


E, in quel momento, mentre vedeva fondersi sul viso della caporedattrice stupore, vergogna, dispiacere e rabbia, capì tutto.
.. O forse non capì assolutamente niente.

Questa frase spezza in modo perfetto la tensione. Capire, una parola importante, si ha capito cosa stava succedendo, eppure, come poteva essere sicura di aver davvero capito, compreso nel profondo quello che era successo?
Di nuovo hai detto tutto questo in una frase…cosa ci vuoi fare, sei troppo brava! u_u


".. Sia benedetto Belzebù!"

Ahahhahhah!!!! XD Stupendo. Non posso dire altro…ho riso dieci minuti xD xD

Tré, in tutto il suo divertentissimo morbidume, le corse improvvisamente incontro agitando le mani al cielo, e, dopo essersi abbassato per annusare a turno i due bicchieri chiusi dalla copertura bianca, con aria solenne le strappò di mano il Frappuccino dalla mano sinistra.
"Mine. E comunque la prossima volta ci voglio anche la doppia panna." Puntualizzò, stringendo a sé il bicchiere.

“Divertentissimo morbidume” Dio, ecco chi è. Cos’è. Trè è un divertentissimo morbidume, è lui! Amo quest’espressione. La amo. Oh si.
Ce lo vedo troppo che annusa con fare esperto i bicchieri e poi quasi come un predato re dice “Mine!” Ahahahah! Sia benedetto Trè Cool, la doppia panna e tu che scrivi queste cose (:


Billie, sbilanciandosi all'indietro con la sedia, sorrise divertito, osservando per brevi momenti ora Erin, ora Alice.

Come lo immagino bene.

La porta si chiuse con un impercettibile clack, mentre, ancora con gli occhi puntati sul punto esatto dove Erin era stata fino a qualche attimo prima, Billie sorrise.

Questo gesto mi fa venire i brividi nella schiena. La mia testa frulla frenetica immaginando i suoi pensieri…

La punta di una delle due Converse rimbalzava risuonando appena, sordamente, sulla ringhiera; Erin abbassò la testa, stringendo gli occhi già chiusi, i pugni, le dita attorno a quella sigaretta che bruciava troppo velocemente tra le sue mani tremanti.

Il suo stomaco si torse, e tremò appena, le mani ora gelide, una convulsamente aggrappata alla scrostata ringhiera del balcone condominiale su cui si trovava, l'altra si sollevava ad avvicinare il piccolo schifo di nicotina alle labbra, che ne aspirarono avidamente il fumo.

Basta, non posso di nuovo dire che è perfetto. Però, lo è davvero. Ho in corpo ogni sua sensazione, come dentro di me, la percepisco. Così come mi sembra di sentire il rumore delle converse contro la ringhiera e di vedere le sue mani tremanti…e la sigaretta…

".. It sucks, doesn't it? Being lied to from the ones you love"

Ogni volta che leggo questo pezzo mi si stringe lo stomaco.
Quella frase è stupenda, terribilmente Billesca, un’espressione che avrebbe potuto tranquillamente dire lui, dietro di essa il gigantesco sottointeso del Being lied to from the ones you love, perché anche lui sa cosa vuol dire, sa quanto fa dannatamente schifo, quanto fa male, quanto fa sentire traditi, umiliati, inutili. Quanto bruci dentro, quanto corroda sapere di essere stati ingannati da qualcuno che ami. Anche se lei non lo sa, lui può davvero capirla, da essere umano a essere umano, da pari. Senza dimenticare quant’è più efficace la lingua “originale”. Insomma, sai quanto amo l’italiano, però quel “Being lied” intraducibile in italiano in modo letterale (“essere mentiti” è più turco che altro) rende molto di più l’idea. Perché quando qualcuno ti mente, subisci quell’azione, passivamente, è come se l’atto compiuto da colui che ha mentito ti sovrastasse e compisse l’azione. Mi sono spiegata? Era un po’ contorta come spiegazione…


.." Una voce, maschile, ruvida, calda, eppure non molto profonda. Improvvisa, un tono indefinito; a metà tra la comprensione, la compassione,

La voce. La sua voce. D’accordo non aprirò una parentesi su questo perché altrimenti non finisco più, inoltre, hai già detto tutto tu.

eppure un sorriso evidente tra quelle parole, caldo e compassionevole anche quello. Eppure, anche di profonda umanità.

Oh sì, hai centrato il punto, Billie sorride con gli occhi e con la voce, in un modo incredibilmente umano e sarcastico allo stesso tempo, come se ti stesse prendendo costantemente in giro eppure vedesse attraverso la tua stessa anima. Non so come faccia. Sarà una di quelle capacità precluse a noi poveri umani, I guess.

"Nascondere la verità è ancora menzongna? - Rispose dopo qualche attimo, ogni parola carica d'odio e rabbia. Rise appena, amaramente, tra sé e sé - .. Io lo chiamerei più un codardo tradimento." Erin chiuse gli occhi, sentendo ogni goccia della sua bruciante ira saturare di puro veleno la sua risposta, senza domandarsi alcunché o preoccuparsi del destinatario delle sue parole. Si trovò a stringere ancora più convulsamente i pungni, sentendo la sigaretta bruciarle appena, di solo calore, la pelle bianchissima dell'indice.

A parte la scrittura sublime di questo pezzo (“a parte” si fa per dire eh, fosse così facile!) io ti adoro, perché è questo mentire:  è un dannatissimo, codardo tradimento. Chi mente è sostanzialmente un codardo, no offence, ma obbiettivamente è qualcuno che non è in grado di affrontare una situazione, una reazione. Ne ha paura, per quanto i motivi possano essere “nobili” ( specificando che io non credo alle bugie “nobili”), è senza dubbio un codardo. Mi è piaciuta quella frase.

"Maybe betrayal is just a way to keep your own rage from destroying your love.. And yourself." Il sorriso nella voce più marcato, eppure disteso, soave, quel tono scuro, così semplicemente arreso alla vita.
Erin si bloccò, sentendo l'aria abbandonare il suo corpo in maniera così improvvisa da lasciarle il viso improvvisamente pallido, più di quanto già non lo fosse; un freddo addosso, improvviso, la gola bruciante, bloccata, la mente vuota.
Rage.. Love... Rage.. Love... Rage.. Love... Rage. Love.

Rage and love.

Quella voce.

Si girò di scatto.

Posso quasi sentire le sue rotelle che girano mentre il suo cervello processa le informazioni: la frase..la voce..le parole. Rage and Love. Già Erin, come si dice, in persona.

Si avvicinò lentamente ad Erin, che ancora lo fissava con i grandi occhi color ambra, mentre muoveva ogni passo, come se fosse allo stesso tempo il materializzarsi dei suoi pensieri più reconditi e una realtà discesa da un'altra dimensione. Eppure, in quello sguardo, non c'era adorazione, non c'era adulazione, non c'era falso desiderio di avvinghiarsi alla sua fama solo per il suo nome e la sua gloria mondana.
".. Cat got your tongue?" Rise appena, quando fu davanti a lei. La osservò a lungo; quei suoi capelli castani, ramati, che incorniciavano, lunghi, morbidi, quel viso bianchissimo e appena costellato di lentiggini marroncine, su cui spiccavano quei due occhi, grandi, appena allungati, quasi gialli in quei momenti in cui catturavano i raggi del freddo sole di Novembre.

Si sto citando tutto, è maniacale, I know. Ma è tutta colpa tua, è tutto così bello!
E quanto me lo vedo che con un sorriso tra l’impertinente e il divertito, le dice “Il gatto ti ha morso la lingua?”. Dio santo, ti rendi conto di quanto è azzeccata per lui questa frase? E’ sua.


 Fece spallucce, mentalmente affogando nel suo stesso battito del cuore, impazzito, nel tentativo di riacquistare la voce che sapeva l'avrebbe tradita, tremante.

"Immagino non sia una roba da tutti i giorni incontrare l'uomo che ha dato voce alla tua vita".

Non "una celebrità", non "il mio idolo".

Billie si era sentito chiamare in tutti i modi possibili, dallo schifoso venduto al dio disceso in terra, dallo sfigato a rockstar, e forse neanche quell'espressione, in qualche modo, era stata del tutto nuova. Eppure, era stato il tono di disarmante sincerità, quasi resa incondizionata. Lo aveva guardato negli occhi, nei brevissimi attimi in cui aveva pronunciato quelle parole, ed era riuscito a guardare ben oltre il loro semplice e letterale significato.
Questa mi rifiuto di commentarla, è troppo bella. u.ù
 Billie sorrise appena, poi sfilò le mani dalle tasche, prendendo la mano sinistra di Erin nella sua, e le sfilò dalle dita quello che ormai era praticamente un mozzicone; lo avvicinò alle labbra, rubando un'ultima boccata, prima di spegnerlo sulla ringhiera e lanciarlo in un vaso pieno di erbacce che giaceva dimenticato qualche metro più in là.

Io me la sono sognata questa scena, nel vero senso della parola. Mi ha fatto emozionare tantissimo cosa vuoi che ti dica, sospiro come un’idiota a leggerla. Mi piace da impazzire. (Mmm…impazzire, a proposito! xD)

".. Billie Joe Armstrong, molto piacere." 

Già, probabilmente, sarebbe stato meno strano sentirsi dire “Piacere, sono Santa Claus”

Le porgeva la mano, con quelle labbra increspate impercettibilmente in un'espressione indecifrabile che aveva qualcosa di profondamente buono, eppure di divertito da tutta la situazione.

Chiamata altrimenti “tipica faccia da Billie” o “faccia Billesca”.
Si sei fantastica, non c’è dubbio, solo tu potevi riuscire a descriverlo così bene…grazie.


Per poi chiedersi cosa cazzo centrasse la cortesia in presenza di Billie Joe Armstrong.

In effetti xD
E qua mi viene in mente la faccia che fa Trè subito dopo che Billie, in Bullet in a Bible, dice : “Actually my name is asshole” come a dire “eh…in effetti” XDXD


".. Hey, mica mordo" rise appena

Bravo, la fa facile lui. Tzè!

Odiava le presentazioni formali, le presentazioni dettate dal galateo, gli sapevano di falso, tipo "Hey, piacere, sono un miliardario che ha fatto strada grazie alla depressione e rabbia adolescenziali"; eppure qualcosa lo aveva spinto a presentarsi con una semplice stretta di mano; una maniera per togliere quella ragazza dall'impaccio, un modo per presentarsi per ciò che era, prima ancora di essere celebrità, rockstar, cantautore o padre: un uomo. Uomo comune, uomo come tanti altri.

Di nuovo mi avvalgo della facoltà di non commentare per la troppa perfezione del succitato insieme di frasi.

Alice sapeva tutto. Sapeva cosa sarebbe successo, eppure non ha fatto nulla. Non ha mosso un dito.. E le avevo anche portato il caffè, cazzo. Un fottuto caffè, non ho riavuto neanche quello. Ma certo, fai pure. Compro un caffè per la mia fottutissima migliore amica che fa le cose alle mie spalle, che cazzo importa. Tanto hanno da ridire pure gli altri, ci commenta chiunque. Ti fregano il caffé e ti fregano tutti.. E hanno pure da ridire..

Povera ragazza, neanche il caffè, quanta solidarietà nei suoi confronti, in tutto quel turbinio di emozioni ha anche saltato la colazione! Scherzi a parte, pensiero molto bello e azzeccatissimo per gli sviluppi futuri.

Oh.

"Aspetta un attimo.. Cosa cazzo.. - Gli occhi si stringono, già venati di sofferente incredulità. - .. L'occhio nero.. Come facevi a..?" Caduta. La voce, il corpo. Cedettero come cosa sola, le spalle, il tono spezzato della voce, ora strozzata, rantolo nella gola stretta bisognosa più che mai d'aria.
Can't you see the evidence when you're looking for it?
E lo sguardo di Billie era più che mai evidente. Era chiaro, trasparente, quasi ingenuo, confuso. Poteva quasi scorgervi i ricordi, il pensiero che si formulava nella sua mente, dietro a quella fronte corrucciata, che sembrava urlarle contro; non lo aveva forse capito? Non era forse ovvio? Lui era stato lì prima ancora di quell'intervista. Era stato lì, forse chissà quante altre volte, e Alice le aveva tenuto nascosto tutto, ogni cosa.
Come aveva fatto ad essere così cieca?
Erin alzò di nuovo lo sguardo, gli occhi grandi ed increduli ad incontrare le iridi verdi del frontman, appena socchiuse le palpebre dal sole ormai freddo; lo sguardo penetrante, interrogativo, sincero. Un pugno allo stomaco, improvviso.
Molto, molto, molto, meglio ragazza. Bellissimo, centratissimo, azzeccato. Mi piace tanto. Degno del resto (:
D'improvviso, l'intero corpo della ragazza fu bruscamente strattonato indietro, trattenuto dalla ferma mano dell'uomo. La stretta sul polso ferma, eppure non dolorosa, seppure Erin opponesse forte resistenza.
Il suo viso si girò improvvisamente, con rabbia, verso di lui, i suoi occhi puntati sui suoi con accusa e poche, furenti tracce d'incredulità.
Come si era permesso?
Ed è questo ciò che capì Billie appena un momento dopo, quando lesse con chiarezza nei suoi occhi una ferita dolorosa e forse non così nuova. Come un bambino che si accorge della verità, dopo una menzogna durata anni. Hey, ragazzino, tuo padre è morto. Che ci vuoi fare?
Tradita. Ecco tutto ciò che si leggeva nei suoi occhi. Uno sguardo perso, tradito, abbandonato.
Cosa aveva a che fare lui con tutto ciò?


"Dove stai andando?" Domanda sincera, candida nel tono, nello sguardo; un bambino anche lui, nel suo domandare. Aspetta. Dove stai andando? Perché non rimani?
Uno strattone, e la presa si fece inconsciamente più dura.
"Cos'è, adesso vuoi cantarmi una canzone sul tradimento, tanto per dire che ne sai più di me?" Rabbia pura, diretta tra labbra strette e sguardo gelidamente rabbioso, amareggiato, ora rabbioso, ora deluso.
Billie lasciò immediatamente la presa.
Cos'era stato, tra quelle parole? Un senso di smarrimento, di dolore improvviso. E aveva fatto male.
La osservò scappare via, le dita ancora incurvate e il braccio proteso, forse sentendo ancora sulla propria il fantasma della pelle della ragazza, improvvisamente bollente, improvvisamente troppo da sopportare.

Bello, mi piace tantissimo, il gesto, i pensieri di lui, l’indignazione di lei, la rabbia, il tradimento, il desiderio bruciante, pulsante, di scappare, di fuggire, davvero di lasciarsi tutto alle spalle, anche lui. Anche lui, perché è troppo in quel momento, troppo da sopportare, da vivere, troppo da accettare.
L’immagine del bambino, dell’inconscia, ingenua volontà di trattenerla, è di una delicatezza e di un efficacia tali da lasciarmi senza fiato.


 E davvero credeva di poterlo trattare così, come se niente fosse, come se volesse insultare il primo idiota che si sarebbe posto come ostacolo tra lei e la sua rabbia da sfogare?
L'aveva spodestato con due gesti qualche giorno precedente, due parole in quei pochi momenti. L'aveva spodestato, tirato giù dalla sua nuvoletta di gloria e fama eterna ed internazionale, l'aveva trattato come avrebbe trattato chiunque, lo aveva reso fastidiosamente chiunque.

Il divario e il dilemma del voler essere trattato come chiunque e il venire effettivamente trattato come tale.

Chi diamine era quella ragazza? 

Domanda fondamentale per il seguito, germe della curiosità e seme di ciò che si svilupperà da questo episodio.
E come non aggiungere un “ta na na na. Ta na na na” in note basse e cupe in stile horror?


Bene in attesa del prossimo episodio e già in trepidante attesa, un grazie enorme per le parole che ci regali, per le emozioni che susciti e per l’ispirazione che mi dai.
Thank you.

P.s.
Eleggo questo mio capitolo a mio preferito, ever.