Recensioni di SherryVernet

Queste sono le ultime cinque recensioni che l'utente ha lasciato nella sezione nell'ambito del programma recensioni.


Recensione alla storia Nei Silenzi - 05/05/24, ore 15:48
Capitolo 18: #18 Era de Maggio III
Me lo avevi annunciato, il cossirar! E, a conti fatti, confermo pienamente la mia considerazione (sic! XD) formulata in astratto: non c’era altra conclusione logicamente possibile – vuoi per la progressione tematica, vuoi per la coerenza che deve andare a chiudere il cerchio, in tre movimenti. Ed è in tutto e per tutto una chiusura, nel contenuto quanto nella collocazione strutturale. Inserire sequenza periodica di qui.

Poi, come Maskuzzo e come Cancer, anche noi lo sappiamo, che a questo giro lui non tornerà, ma ci troviamo anche noi col nostro cossirar – e con la speranza malcelata che si abbia tutti quanti torto. Mai sia. E poi, chi l’ha detto mai che la speranza ha da esse’ ragionevole, con buona pace di Immanuel?  (Nota a latere: io ce la metterei, una virgolina, tra stesso e ch’abbia torto .)

 

P.S. Chiedo venia strisciando per il ritardo ed il mio smaccato fallimento nel santificare le feste. E no, l’ironia che sia il giorno dell’ Ei fu non è che una magra consolazione!
Recensione alla storia Nei Silenzi - 30/04/24, ore 20:29
Capitolo 17: #17. Era de Maggio II
Con un po’ di aiuto esterno dalle circostanze, quelle squisitamente estrinseche – per rimanere aristotelici fino alla feccia: il quando, il dove, con una punta di patire ed un’altra equale di habitus, q.b. –, occasionalmente mi ricordo finanche di santificare le feste. Mi risparmio le scuse d’ordinanza per l’ennesimo ritardo annunciato (Annunciazione! Annunciazione!), nonché per la pochezza del presente commento, ma vanno così questi giorni quasi di maggio, un filino infami. Si fa quel che si può (sostanza), come si può (qualità), quando si può etc. etc., il tutto condito dalla modalità della potenza, che è di per sé relazione intrinseca all’atto. Niente, stasera ho l’Aristotele interiore rampante e bello ringalluzzito, quasi miles gloriosus a fare la mimesis del tuo bellissimo Maskuzzo pupo e puparo; e, a latere, c’ho pure poca voglia di andare a preparare la cena, al di là del dovere civile e morale di santificare le feste suddette.

Dicevamo? Al solito, trovi da parte mia abbondanza di gran piacimento, su tutta la linea – ed anche abbondanza di gran forza di volontà (alla faccia della mia akrasia perenne!) per non volare a monologare sulle note. Uuhuh, sì, sì, sì!

Non c’è bisogno di ripetere – manco fosse ad uso e consumo degli amici da casa – quanto sia in fase Suprlice e quanto certe surplici siano bellissime. Il problema della solita pigrizia del Cialtronissimo è che la versione prefabbricata delle cloth non ha neppure la dignità di essere considerata un’amante un po’ facilona, compagna d’una sera, ma a me ha sempre puzzato di peripatetica (ah! Quella nel senso che la Treccani infima traditrice segna come obsoleto, non nel senso di “aristotelico”, altrimenti, viste le premesse di cui sopra…) a buon mercato. E dunque filano diritti diritti, senza fare neanche mezza piega, l’atteggiarsi di lui ed il disio d’entrambi, senza neanche bisogno di posarsi gli occhi addosso.

Mi fa piacere che le discettazioni dell’altra sera sui de e le radici indoeuropee per vedere, che è la radice di sidus, sideris , del desiderare e del considerare, abbiano dato questo frutto piccolo e ben orchestrato, in ogni sua battuta! Gongolo, gongolo! E gongolerei anche se non fossi impallatissima, in questi giorni, sul desiderio e la consideratio. Inserire tanti cuoricini qui.

Però, Vostro Onore, io mi sento autorizzata a non sentirmi chiamata in causa tra i filologi né tra quelli che si occupano di paturnie di gente morta da più di mille anni. Faccio tante pulci, Vostro Onore, è vero, ed ho grande simpatia per le liste (ah!), lo ammetto. Ma, Vostro Onore, la gente le cui paturnie e liste della spesa occupano i miei giorni è di solito morta da meno di un millennio. Indi per cui poscia, Vostro Onore, il fatto non sussiste e la sottoscritta rimane una persona molto raccomandabile!

No, eh?
Recensione alla storia Nei Silenzi - 06/04/24, ore 14:43
Capitolo 16: #16 Era de Maggio I
Questa volta sono in clamoroso ed assolutamente consapevole ritardo, perché mi avevi annunciato il giorno e l’ora, però sono riuscita a sfasare di quasi una settimana lo stesso, senza olio nella lampada ma con un abbiocco cosmico inquantificabile.

Inutile dire che me ne dolgo o che la settimana in questione è stata a dir poco difficile. Qui la saggezza popolare si può profondere in pregnanti osservazioni sulle intenzioni che lastricano cose, sul latte versato, sull’aspettare il tempo – io non ce l’ho, il tempo; ma è anche vero che, in certe circostanze, l’unico modo per avercelo è crearselo, questo benedetto tempo. Quindi rimando come con una nota a piè di pagina alla sapienza delle nostre nonne, scaricando come il solito barile anche il mio dovere di far poscinesi.

Resta il fatto che comunque me ne dolgo, fosse anche solo perché a questa tua era, almeno in un certo senso, un pezzo di stagione (sì, lo so, non stiamo dal fruttivendolo di fiducia, ma se non ammazzo male la poesia prima di subito, poi casca il mondo) sui cui avrei potuto nonché dovuto sfogare i miei entusiasmi pasquali.

Ho una certa simpatia, molto malcelata, per la Pasqua; è una simpatia tutta concettuale che, secondo me, si confà naturalmente a queste materie – complice una tantum quell’orologio rotto che è il Cialtronissimo, qui fermamente piantato sull’ora giusta per una di quelle famose due volte al giorno (su quale sia l’altra e se sia pervenuta si può discutere).

Però, c’è però un però, quando si aggiusta un orologio rotto, o fermo, o quel che sia, giocoforza si devono spostare le lancette; ci si muove nel tempo e l’ora giusta non solo può ma è sacrosanto che diventi un’altra.

Quindi non posso che commentare con un sonoro e reiterato sì: sì alle tre vipere nel cuore del Carducci; sì al Maggio, con dignità di maiuscola; sì a Santa Valpurga (che negli ultimi anni mi fa particolarmente ridere perché Sint Walburga è parte dell’identità culturale del Gelderlander medio – nonché un tipico nome da attempata signora, da queste parti). E il Maggio dà senso anche alle rose ed alle spine sul finale, che inizialmente avevo un po’ faticato a collocare. Poi, ovviamente, il resto è tutto bello, bello, bello, e evocativo, e bello, bello, bello etc., ma che te lo dico a fare?

Recensione alla storia Aetna (Cancer Deathmask) - 31/03/24, ore 21:55
Capitolo 1: Prologo
Mi ero ripromessa di ricominciare da qui, e credo di averlo annunciato anche a te – tanto per impormi dei paletti esterni, perché sai bene che l’autocontrollo non è esattamente la più eminente delle mie (non così tante) virtù…  La decisione è stata dettata, sempre all’insegna dei vincoli esterni (davvero non ce la posso fare a stare al mondo), dalla guida alla lettura stilata per me dalla Fra, cui devo l’ennesima bottiglia di roba buona ed un altro “grazie” da aggiungere alla serie infinita. Col senno di poi, mi dico che c’è anche un senso tematico nel procedere su questa Aetna dopo S.O.S.; perché se c’è un Santo che ha più di tutti a che fare con la Morte, nel nome e nel tipo di potere che esercita, quello è Deathmask.
A me, anche nelle mani maldestre del Cialtronissimo, Deathmask è sempre stato simpatico. E ti dirò, per quanto moralmente riprovevole – che, poi, se ne può discutere! – la sua visione della giustizia e della forza, ha per lo meno nobili ascendenti filosofici, almeno quando applicata su grande scala, ovvero la scala geopolitica, più che dei comportamenti individuali. Quando hai il potere di spappolare le stelle in punta di dita, giocoforza operi su grande scala, non hai altre scale; ancor più, poi, quando sei uno strumento al servizio di un’Istituzione, umana o divina che sia, corrotta o integerrima (ce ne sono?) che sia. Insomma, quando entrò in scena Deathmask ai Cinque Picchi, il suo monologo tutto mi parve tranne che il delirio di uno stolto. Oddio, il ragazzo magari era visibilmente un pochettino squilibrato (nessuno è perfetto!); ma certo non uno stolto. (Non inizio qui uno sproloquio su come non credo si possa dire altrettanto di Dohko, ma ricordamelo per una prossima occasione.) Perché la sua visione delle cose, almeno a me, sembra tutto sommato realista, e lo era parsa anche alla piccola me di cinque anni o giù di lì. Brutale. Violenta. Deprimente. Ma realista.
Basta accendere un telegiornale qualunque, in questi giorni, per rendersi conto che il metro e la misura di Deathmask sono moneta corrente, e non ci sono donne e bambini che tengano. Ed ha ragione Aphrodite: è una ben macabra moneta.
Il problema è quando l’individuo, dismessa la divisa o la ferraglia che sia, si guarda le mani che hanno compiuto certe cose. Allora l’individuo deve raccontarsi altre cose e metter su  altre storie, o metter teste sopra ai muri, per dare un senso alle proprie azioni e dormire la notte. Credo.  In linea di principio – ti farò sapere se mai commetterò una qualunque variante tra l’eccidio e il genocidio.
In questo prologo – saranno le rose riappuntate anche in calce, saranno i gesti che trasudano simbolismo, sarà il tono lucido, quasi canzonatorio, ma comunque a suo modo crudele – Aphrodite si conquista a pieno diritto i due terzi della scena, senza colpo ferire. E va bene così.
È bastata una manciata di frasi, ma è immediatamente lampante che anche questa è una cosa bellissima. <3
Recensione alla storia Quando piangono le stelle - 31/03/24, ore 17:05
Capitolo 22: 22.
Vediamo di riuscire a concludere qualcosa, qualunque cosa, quest’oggi, alla faccia del passaggio all’ora legale – passaggio molto a tema, il giorno di Pasqua, ma non per questo meno molesto.
 
In linea di principio, provo sempre a lasciare un commento a caldo, appena finita la lettura, capitolo per capitolo; per una ed una sola, semplice ragione: sono ricoglionita, senza speranza. E dunque sono qui a guardare i miei appuntini che attendono, dalla settimana scorsa, l’arrivo di un momento migliore per trovare una coerenza interna. Inutile dire che i momenti ideali non arrivano mai e quelli migliori neppure, indi per cui non aspettarti di trovare coerenza in questo o quel che segue; né posso garantire l’assenza di svarioni imbarazzanti.
 
Ignorando momentaneamente i miei appuntini di cui sopra, riprendo il filo di un discorso che ti anticipavo in separata sede, sulle narrazioni non continuative. È una soluzione narrativa per cui sono di parte, è vero, ma che riscontrerebbe le mie simpatie, particolarmente in questa materia, per tutta una serie di ragioni. Senza andare a scomodare gli antecedenti letterari “alti” del caso, credo che un progetto narrativo di questa tipologia abbia una sua profonda ragione di essere quando è messo in atto – come una forma aristotelica di cui si sente sempre l’impellente bisogno! – su una materia prima fondamentalmente disorganizzata e disomogenea come quella del Cialtronissimo. Raccontarla così è far lentamente emergere l’ordine dal caos, portare alla luce dei fili sensati da una matassa ingarbugliata dove apparentemente di sensato c’è poco e niente. Questo è punto chiave o almeno una delle ragioni principali per cui formati narrativi di questo tipo sono appetibili quando si scrive di Saint Seiya, o almeno è quanto mi dico tra me e me da una ventina d’anni a questa parte – arrotondiamo e facciamo finta, con tutta la cattiva coscienza di questo mondo e dell’altro, che sia per eccesso, eh? Sempre guardandomi indietro di una ventina d’anni o giù di lì, mi vengono in mente una serie di titoli che hanno implementato una struttura di questo tipo; probabilmente ce ne sono altrettanti, se non di più, guardandosi attorno ed in avanti, ma non ho più il tempo che avevo una volta per leggere cose a scatola chiusa. Gli esiti tendono ad essere… mah – oggettivamente, e no, non sono i miei standard ad essere impossibili –, vuoi perché gli autori si perdono pezzi per strada, e da una cosa corale ci si riduce alle vicende di uno o due agenti in croce; vuoi perché, al contrario, ci si ritrova a leggere polpettoni indigesti senza capo né coda, svuota-frigo impresentabili e improponibili; vuoi perché non emerge una continuità narrativa e l’autore, seguito a ruota dal lettore confuso e frustrato, si perde pezzi per strada e non ha palesemente idea alcuna di dove voglia andare a parare. È un formato rischioso, ecco. Ma, a volersi prendere il rischio, credo che come stai sviluppando questa storia dovrebbe essere preso a modello. Perché una cosa del genere, a volerla far bene, va fatta così. Poi, io, da lettore, non ho assolutamente nessunissima idea di tu voglia andare a parare, ma vedo, sniffo, sento ed intuisco una direzione, un piano, una coerenza; l’ordine ed il senso che emergono; e mi lascio felicemente condurre per acque che fluiscono con una loro logica, senza ritrovarmi alla deriva in un mare di polpettone, già con un’indigestione in corso.
 
Poi, fa sempre piacere vedere i panchinari in azione; e potrei dilungarmi in disquisizioni sui lupi, le responsabilità, i maschi alfa e lo scarica barile – questo almeno mi indicano i miei appuntini – ma te la risparmio.
 
Potrei anche togliermi il cappello di fronte a Camus che, una tantum, si degna di impartire una lezione sensata – che probabilmente entrerà da un orecchio ed uscirà dall’altro, ma si fa quel che si può con quel che si ha e con chi ci si ritrova sul groppone.
La mancanza di dilemmi di Camus non abbisogna di ulteriori discettazioni, se non una menzione en passant del bene all’anima che fa predicare al coro.
Come un’altra menzione d’onore spetta di diritto a: «Hyoga, Popoff. Siamo lì.». Ho riso fin quasi alle lacrime. Sallo. Penitenziage!
 
Piano piano, conto di avanzare in tempi ragionevoli, perché questa storia è bellissima, è ben strutturata, ha senso; e perché ci sono cose che ancora non ho capito, dunque aspetto di avere più elementi per un giudizio informato. Ad esempio, nello scorso capitolo Kanon – con una fine implicatura proposizionale, perché Kanon, con tutto l’amore, è comunque Kanon – aveva lasciato intendere di pensare che Saga è pazzo. Qui, Shion prende le debite contromisure contro un daimon – non so quanto saranno efficaci ‘ste contromisure, ma almeno quel vecchio rincitrullito un tentativo lo fa. Ora, né l’uno né l’altro sono una fonte affidabile e certa acché chi legge possa trarre una conclusione oggettiva sulla faccenda; e la faccenda istessa è tra le voci in cima alla classifica dei pasticciacci brutti brutti del Cialtrone. Non è detto neppure che le due opzioni si escludano, anzi.
 
Ora faccio finta di andare a fare cose… molta, molta finta!
Buona Pasqua!