Recensioni di JulesBerry

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Recensione alla storia She's a Waterfall. - 09/08/15, ore 20:08
Capitolo 14: Talk tonight (II)
Tesoro carissimo, che bellezza indescrivibile.
Ti scrivo di getto, subito dopo aver letto questo attesissimo capitolo, proprio per non dimenticare o trascurare neanche la più piccola emozione che sei riuscita a regalarmi. Non starò qui a dirti quanto alte fossero le mie aspettative: l’importante è che tu sappia che anche stavolta non sono state deluse.
Ma da dove dovrei cominciare?

Rivedere Sally a Londra è stata pura gioia. Confesso, ero tremendamente curiosa di sapere come si sarebbe sentita, che cosa avrebbe provato nel rimettere piede in quest’Inghilterra che tutto le ha dato e che tutto sa toglierle quando meglio preferisce. Eppure, nonostante sappiamo che effetto ciò possa farle, continuo a pensare che sia quello, il suo posto nel mondo. Il luogo in cui Sally è più viva e vera che mai, tra le canzoni degli Smiths e quelle emozioni che non riuscirà mai ad anestetizzare, perché prepotenti e incontrollabili. Lo voglia o no, ci sarà sempre qualcosa che quasi inconsapevolmente le farà credere di essere costretta a tornare, e devo ammettere che mi piacerebbe se rimanesse lì ancora per un po’.
È stato estremamente soddisfacente, poi, vederla così incazzata, così desiderosa di vomitare tutto quel dolore, dopo averlo masticato con snervante lentezza nella sua amara e indigeribile consistenza. In quegli istanti, avrei voluto essere lì con lei per dimostrarle tutta la mia approvazione: era ora che si arrabbiasse, era ora che decidesse di smetterla di tenersi tutto dentro e che iniziasse a lasciarlo fluire all’esterno, non importa se a piccole dosi o in un’unica soluzione.

“Finalmente mi riversi addosso cosa mi merito”.
Sì, Noel, te lo meriti. Per il tuo egoismo, per la tua testardaggine, per i tuoi modi dittatoriali, ma ancor di più per esserti lasciato scappare quella che forse era – ed è tuttora, presumo – l’unica persona al mondo che sarebbe stata disposta a dare la propria vita per te. Lei ti ha concesso ogni cosa e tu le hai sempre restituito l’Inferno; ti sei comportato come un bambino capriccioso e antipatico che, unicamente per il gusto di farlo, strappava le margherite dal prato e le tormentava, fino a quando non riusciva a distruggerne ogni singolo petalo. E adesso sei qui, come se nulla fosse successo, con quel pentimento che – lo so – ti sta divorando le viscere, perché Sally non te la potrai mai lavare via dalla pelle. Te la porterai sempre addosso, come promemoria che ti ricordi ciò che sei e cosa siete insieme.
E fanculo, Gallagher, perché riesci sempre a farti perdonare, nonostante fino a qualche capitolo fa la mia voglia di prenderti a schiaffi avesse preso il sopravvento su tutti i miei buoni sentimenti.  

Il mio dramma è che rimango incantata, quando leggo di Sally e Noel insieme. Sono tanto vivi che li sento vicini, come se si trovassero nella stanza accanto ed io, piccola intrusa sentimentale, stessi origliando ogni loro singola parola; e a volte mi sento persino di troppo, quando riesco a captare quelle frasi non dette, ma urlate dai loro occhi in un apparente silenzio assordante. Bisogna squarciare il Velo di Maya, quando loro due si guardano; bisogna andare oltre senza paura e immergersi con tutta la testa in ciò che si è avuto il coraggio di far proprio, e allora la meraviglia sarà incontenibile.
Io ci credo troppo, in questo loro amore. Nonostante spesso faccia finta di non esserlo, l’inguaribile romantica che è in me non si darà per vinta fino a quando anche un solo, piccolo briciolo di speranza le dirà che è ancora possibile per loro trovare la giusta strada da percorrere insieme.

Quest’ultimo capitolo è stato un’emozione continua, in una forma tanto incantevole quanto spiazzante. Quelle canzoni racchiudono tutto ciò che Sally e Noel sono stati, ciò che sono, e ciò che eternamente saranno. Sono lì, immortali, comodamente incatenati tra le note di quei capolavori, costruiti ad arte attorno a quella struttura portante fatta di sentimenti neanche tanto velatamente taciuti. La loro storia è di fronte ai loro occhi, cantata con amore da chi di tutto quel casino non ha mai saputo niente, mentre loro sono ancora una volta uno davanti all’altra a raccogliere i cocci.
È stato come tornare indietro nel tempo, come ripercorrere con passo lento il passato per mezzo di questi pezzi che ci sono entrati dentro, e alla cui nascita abbiamo assistito con fiero orgoglio e commozione.
Ho rivisto quel giovane uomo con la sua chitarra in mano che suonava Slide Away in piena notte, in una buia stanza ospedaliera, come se fosse la cosa più naturale e giusta del mondo; mi sono ricordata di quella ragazza dai capelli biondi e dal lungo vestito elegante che rinunciava definitivamente a quella vita troppo borghese e troppo stretta per salire sul primo volo per San Francisco e salvare un uomo dalle sue decisioni sbagliate, salvando così anche se stessa; ho trattenuto il respiro, mormorando un “Mio Dio” reso inudibile dalla mano portata alle labbra leggermente incurvate in un sorriso emozionato, nel leggere di quel mostro sacro chiamato There is a Light That Never Goes Out, che tanto significa per me e tanto significa per Sally.
Sarà che mi sento sempre un po’ più vulnerabile, quando leggo le tue parole. Sto riscoprendo delle parti di me che mi sono sempre sforzata di tenere al sicuro, e che adesso mi ritrovo a condividere perché non più disposte a rinunciare all’ora d’aria.  

Ci hai lasciati in sospeso, com’è giusto che sia, e non posso che domandarmi cosa accadrà. Come si comporterà Sally, come deciderà di affrontare ciò che Noel ha finalmente trovato il coraggio di confessarle. È un Noel cresciuto, più maturo, che credo abbia imparato ad avere maggiore consapevolezza dei suoi sentimenti, di ciò che realmente vuole e di ciò che è disposto a fare per averlo.
Senza esitazione, mi sento di affermare che ci troviamo di fronte a una svolta; rimane da capire in quale direzione deciderà di portarci.

Lascerò che la curiosità mi divori, mentre aspetto il prossimo aggiornamento, certa che qualsiasi scelta prenderai sarà quella giusta.
Nel frattempo, grazie di cuore per queste pillole di bellezza.

Un abbraccio fortissimo.
Jules 
Recensione alla storia She's a Waterfall. - 27/07/15, ore 13:47
Capitolo 12: Where do his intentions lay?
Mia cara,
So di arrivare qui con un imperdonabile ritardo, ma ho avuto bisogno di assaporare lentamente queste parole e di assimilarle, prima di lasciare traccia del mio passaggio.
Leggere questi tre capitoli è stato un po’ come andare sulle montagne russe: siamo passati con una velocità a tratti spiazzante da quella che aveva tutto il sapore di una ritrovata serenità, fatta di ricordi che sembravano non fare più male, a un nuovo – e a mio parere inevitabile, come se fosse nell’aria e minacciasse già da tempo di verificarsi – crollo di Sally, che di lacrime ne ha versate e me ne ha fatte versare. La sua sofferenza è sempre un pugno dritto allo stomaco: insieme riuscite quasi a farmela sentire mia, e senza averlo programmato mi ritrovo un po’ a parteciparla e a viverla, rimuginando su di essa, come se comprenderla potesse aiutarmi a scoprire una qualche verità universale.

Ho letto il primo di questi tre capitoli con un sorriso intenerito dipinto sul viso. Il piccolo John è stato una sorpresa meravigliosa: una di quelle che ti fanno portare la mano al cuore e ti lasciano con gli occhi un po’ arrossati, ma innegabilmente felici.
Il Masterplan ha fatto il suo corso e ha concesso a Kristin il regalo più bello che potesse darle, quasi come se in tal modo stesse cercando di chiederle perdono per ciò che le aveva tolto. Un nuovo essere umano che nasce per riempire il vuoto lasciato da chi ormai si è spento: in fondo è questa, la vita, nella sua accezione più globale; energia che non muore, ma che si trasforma in altro per continuare ad esistere. John vivrà sempre in quel figlio che non ha mai conosciuto, e che da grande potrà solamente essere orgoglioso di suo padre.
Liam, il caro Liam, l’ho apprezzato a dismisura, con il suo classico atteggiamento e con quei soliti modi che riescono sempre a fare sorridere e che ci regalano una bella ventata di freschezza.
Lui e Sally, insieme, sono uno spettacolo imperdibile; portano sulle loro spalle lo stesso passato, la stessa storia, che – nel bene e nel male – ha sempre contribuito a unirli, a tenerli vicini, ed è meraviglioso come tra di loro non servano le parole per comprendersi. Ho letteralmente amato, poi, che Liam abbia fatto quel discorso a suo fratello: è quello che abbiamo pensato tutti, ed è quello che io stessa, fossi stata lì in mezzo, gli avrei urlato addosso parecchio tempo addietro.

Il capitolo successivo è stato uno schiaffo in piena faccia, ma non era del tutto inaspettato: sapevo che Sally non avrebbe potuto lasciarsi il passato alle spalle per davvero. Era stata una felicità, uno stato di benessere drammaticamente illusorio, ed è bastata quest’amata e amara Inghilterra a togliere ogni dubbio a riguardo.
La nascita di Victoria è stata pura gioia – a proposito, bisognerebbe complimentarsi con Kate per il nome meraviglioso –, ma, per quanto immensa, non è stata sufficiente a impedire a Sally di fare i conti con se stessa. È incredibile quale effetto riesca a farle, quella maledetta pioggia.
Solo la settimana scorsa mi sono ritrovata a scrivere qualche riga di un nuovo capitolo di una mia storia, e sorrido se penso a come quelle parole da me frettolosamente e inconsapevolmente appuntate possano, a modo loro e con estrema umiltà, richiamare quanto ho appena letto, ed è per questo che mi sento in dovere di condividerle con te:

“[...] La pioggia inglese [...] non è una semplice precipitazione atmosferica, quanto piuttosto una vera e propria forza esterna capace di scavarti sin dentro le ossa, di rimanere in circolo nelle vene, di rimescolare le carte in tavola, fino a quando tutto non sembra diverso, fino a quando tu stesso non sei diverso; e, nelle tue narici, l’odore di quell’acqua che ti ha appena bagnato il viso sa degli sbagli che hai commesso, delle scelte che hai fatto, degli amori che ti hanno distrutto dall’interno e di quelli per cui hai lottato fino a non avere più aria nei polmoni. La pioggia inglese saprà sempre come costringerti a fare i conti con te stesso: sta a te decidere se lasciarti sopraffare o se combattere per rimanere in piedi”.   

In quella pioggia, è come se Sally vedesse se stessa, ciò che è stato, ciò che forse mai più potrà essere. E posso vederla, nitida e reale, mentre combatte contro il mondo, contro i ricordi, persino contro se stessa, mentre quelle dannate lacrime la svuotano e la destabilizzano. Deve riflettere, deve pensare, deve capire cosa vuole realmente, a cosa sarebbe disposta a rinunciare, e cosa invece dovrebbe correre a riprendersi per essere felice. Lasciare andare ciò che potrebbe distruggerci, o fare finta che abbia smesso di accompagnarci passo passo nel caos dei nostri giorni, non sempre è la chiave, e raramente è la scelta giusta. Meglio affrontare faccia a faccia i nostri demoni.
Per cui affrontali, Sally: di petto, a cuore aperto, come se non avessi paura di niente a questo mondo, e non importa se farà tanto male da lacerarti l’anima. È l’unico modo per renderti finalmente, veramente libera.
E Matt ha ragione, terribilmente ragione: è arrivato il momento che Sally cresca, che la smetta di ergere un muro tra se stessa e le persone che la amano e gliel’hanno sempre dimostrato; è giunta l’ora che comprenda che contemplare passivamente il suo dolore è solo un’attività sterile che non potrà aiutarla.
“Sally e Noel cosa sono”. Ce lo chiediamo da parecchio tempo, ormai, e dubito riusciremo mai a trovare una risposta che possa soddisfarci. Vorrei essere in grado di capirlo, di trovare una chiave di lettura, ma mi sono arresa: perché, d’altra parte, definirli? Definire è limitare, e loro non lo meritano.

In quest’ultimo capitolo, Sally ha detto una sacrosanta verità: il suo rapporto con Noel è una malattia. Per quanto riesca a togliermi il fiato, a ridurmi con le lacrime agli occhi, potrei mai affermare il contrario? Sarei una cieca se lo facessi. È una malattia che la logora, che la devasta, che la uccide lentamente. Per un folle istante ho istintivamente pensato a Heathcliff e Catherine di Cime Tempestose e a questo loro amore maledetto, che alla fine ha portato entrambi alla distruzione – non per nulla è uno dei miei romanzi preferiti.
Ho apprezzato la scelta di Sally di non seguire Matt a New York, comunque. Lui mi piace, mi sta simpatico, ma Sally è sempre stata indipendente e sempre dovrà esserlo. È una donna che non è disposta a rinunciare a ciò che ha costruito faticosamente con le proprie mani solo per un uomo, e non potrei essere più d’accordo di così.
Se il Masterplan vorrà far funzionare la relazione tra Sally e Matt, neanche quei tremila chilometri potranno dividerli.
Devo dirti che mi è piaciuta molto, poi, questa “passeggiata” nella vita della nostra blondie attraverso gli anni. Ci hai catapultati in un paio di capitoli dal 2003 direttamente al 2007, come se nulla fosse cambiato e Sally fosse sempre la stessa. Ho sorriso spontaneamente nel constatare che avesse già trentasei anni; d’altronde, l’abbiamo incontrata per la prima volta che era ancora un’adolescente intrappolata tra le strade di Burnage; l’abbiamo vista crescere, amare, ridere e soffrire, e l’abbiamo osservata mentre si realizzava e diventava la splendida donna che è adesso.
Tuttavia, continuo a pensare che lei sarà in eterno quella ventenne che, sempre più incasinata, camminava per i backstage con quella macchina fotografica stretta tra le mani e quell’amore negli occhi che, nonostante tutto, le ardeva dentro e riusciva a farla sentire un po’ più viva.

Ma adesso devo proprio andare. Non so quanto senso possa avere ciò che ho appena scritto, ma questo caldo asfissiante si diverte a liquefare i miei poveri neuroni. Credo di poter giustificare in tal modo i miei deliri.
Ti ringrazio anche stavolta, dolcissimo tesoro, per le perle che ci regali. Trovare un nuovo capitolo della vita della nostra Sally è come bere un tè bollente in una fredda notte d’inverno.

Un abbraccio fortissimo,
Jules
Recensione alla storia She's a Waterfall. - 28/06/15, ore 23:48
Capitolo 9: Together we stand, divided we fall.
Mia carissima,

In questo periodo folle e apparentemente sconclusionato, in questo periodo di angoscianti sessioni estive e di materie soporifere da preparare, questa nuova e splendida incursione nella vita della nostra Sally era proprio ciò che ci voleva per farmi ricordare di non essere una macchina, ma piuttosto una comune mortale fatta di sentimenti ed emozioni ancor più che di carne e di ossa.
Leggere di Sally è un privilegio cui non si vorrebbe mai rinunciare: ti ritrovi a dover mantenere l'equilibrio mentre i pavimenti e le pareti della tua anima tremano, ma al tempo stesso ti dici che non hai paura di crollare a terra, perché forse cadere è l'unico mezzo che hai per immergerti in quel meraviglioso fiume di parole ed estrapolarne la bellezza; ti destabilizza, e in questo caso sarebbe impossibile definire questa sensazione come negativa.

Ripartiamo dagli istanti successivi a quelli con cui ci hai lasciati la scorsa volta, e anche qui la sofferenza, i perché che non troveranno mai risposta, lo sgomento e il dolore la fanno da padrona: il dolore di due genitori, che trovano innaturale vedere il proprio amato figlio lasciare questa terra prima di loro; il dolore di una moglie, privata all'improvviso di quella vita che aveva iniziato a costruire in compagnia dell'uomo che amava e che difficilmente potrà smettere di amare; il dolore di un fratello, che deve fare i conti con i ricordi, con ciò che avevano condiviso, con ciò che non potrà esserci mai più.
E di fronte alle parole di quest'ultimo, non ce l'ho fatta a trattenere qualche lacrima. E' comparsa all'improvviso, senza fare rumore per non disturbare, così silenziosa che quasi non mi accorgevo della sua presenza, ma è comparsa, e con lei i brividi che difficilmente possono mancare in circostanze come quelle da te descritte. Chi sono io per provare a resisterli, a mandarli via? Pur volendo, sarebbe un tentativo del tutto vano.   

Ora, è qui che mi chiedo: quanto dolore ha dentro, la nostra Sally? Quanto ancora potrebbe sopportarne?
Le ferite del passato che fanno male, che tornano a bruciare con sempre maggior vigore, come se tenerle nascoste non avesse fatto altro che renderle più profonde, anziché rimarginarle quel poco che sarebbe bastato per renderle sopportabili; ferite che hanno contribuito a determinare ciò che lei stessa è e che, volente o nolente, deve imparare ad affrontare e ad accettare, perché solo in tal modo potrà continuare ad andare avanti. 
La conversazione tra Sally e Matt ha tante di quelle sfumature poetiche che sono riuscita a distogliere gli occhi da quelle parole non prima di averle assaporate una per una, dalla prima all'ultima, due e più volte, perché una lettura sola non sarebbe stata sufficiente a rendere loro giustizia. 
I sentimenti provati da Matt per Sally erano intuibili, ma tu sei riuscita a farli emergere in quello che, a mio avviso, è stato il modo migliore; l'amarezza e la velata rassegnazione che marcano le sue ultime battute, poi, sono il loro complemento perfetto, ciò che ci conferma ulteriormente che lui - che è tutt'altro che uno stupido - dentro di sé aveva già capito tutto ancor prima di sentirlo dire indirettamente da lei. 
Perché, diciamocelo, che Sally si porta dentro Noel è lampante, e in fondo è giusto che sia così: ci sono anime che si cercheranno sempre, nella speranza di raggiungersi e non lasciarsi andare mai più via, amaramente consapevoli del dolore che sanno infliggersi e sadicamente desiderose di continuare a farsene. Paradossalmente, è un po' come se questo fosse l'unico modo per non perdersi.
“Perché il mio letto di morte, se si fosse trattata di morte, poteva solo essere a Supernova Heights”. E' questa la frase che racchiude l'essenza di ogni cosa, ed è di una bellezza dannatamente disarmante. 

“Ci credi davvero al Masterplan?”
“Sì”.
“Spiegami il Masterplan come ha girato in questa situazione”.
“Non posso saperlo, non te lo so dire. Sono convinta che alla fine, anche questo porterà qualcosa, qualcosa per cui andare avanti”.

Tu forse non ci crederai, ma è stato un colpo al cuore. Perché tu non puoi saperlo, ma queste quattro battute sono la fotocopia di parte di una conversazione che ho avuto personalmente, non molto tempo fa, e davvero stento a credere che ciò sia possibile.
E' stata una di quelle conversazioni che difficilmente si possono dimenticare; una di quelle che rivivi spesso nella tua mente, nei momenti più impensabili, quasi come se volessi scovare qualche particolare, qualche dettaglio che magari si è perso per strada; una di quelle conversazioni in cui, quasi inconsapevolmente, ti ritrovi denudata delle barriere che avevi creato per proteggere le tue fragilità e stai lì, masochista, a raccontarti a quello che è a tutti gli effetti un estraneo, pur mantenendo quel minimo di distanza che ti consente di non farti troppo male. Un po' come se gli dicessi: "Non voglio darti la chiave d'accesso alla mia anima, ma eccoti qui un piede di porco; se davvero lo vuoi e sei disposto a sudare un po', hai tutto ciò che ti serve per entrare".
Una di quelle conversazioni in cui, quando qualcuno che ha perso fiducia nel Masterplan ti chiede se tu ci credi e perché, non puoi fare altro che rispondere.

Grazie, mia cara, perché mi regali delle perle che non riesco a smettere di amare.
Grazie, perché sento Sally vicina come se fosse mia sorella.

Un abbraccio fortissimo.
Jules   
Recensione alla storia She's a Waterfall. - 06/04/15, ore 22:21
Capitolo 8: Shelter from the storm.
Cara Part of the Masterplan

Come ti avevo promesso, eccomi arrivata anche qui. Mi scuso per l’imperdonabile ritardo, ma le lezioni all’Università e lo studio mi rubano la maggior parte del tempo, mi è stato quasi impossibile tirar via la faccia dai libri. Sono venuta a fare un salto qui non appena è stato possibile, e alla fine ce l’ho fatta. Meglio tardi che mai, forse, e spero di riuscire a tirar fuori qualcosa di dignitoso.
Preferisco andare per ordine, anche stavolta, nel tentativo di evitare il rischio di dimenticare qualcosa o di non dare la giusta rilevanza agli elementi che mi hanno colpita in particolar modo.

Come posso, iniziando questa recensione, non parlare immediatamente di Sally? Sally a San Francisco, Sally che cerca di ricostruire la sua vita dalle macerie in cui era stata ridotta poco tempo prima; una Sally che guarda il mondo dal suo ufficio personale nella sede del leggendario Rolling Stone, e che non riesce a non guardare al passato con rabbia. È a questa ragione, probabilmente, che dobbiamo i suoi tentativi di rivisitarlo, di renderlo meno doloroso, di rinchiuderlo in un cassetto remoto di cui vorrebbe distruggere la chiave. Ma non servirebbe a niente: se tutte le copie andassero perse, lei si ritroverebbe inchiodata di fronte ad esso, intenzionata a scassinarlo. Il passato torna sempre a trovarci, lo vogliamo o no: non basta non bere più Yorkshire Tea, cambiare sigarette, seppellire i ricordi che ci mozzano il respiro; trova il modo di riemergere, e spesso non ci rendiamo conto che siamo stati proprio noi a cercarlo.
Ed eccolo qui, un primo incontro con il passato, arrivato in un pacco postale dall’Inghilterra insieme a Standing on the Shoulder of Giants, che grida in faccia alla nostra Sally, con quanta più forza possibile, ciò che lei stessa è e che non può rinnegare. Mi sono ridotta con le lacrime agli occhi leggendo le sue riflessioni, e mi sono sentita come se fossi lì con lei, proprio accanto, pronta a stringerle la mano e a farle forza, a ricordarle che tutto ciò di cui ha bisogno è esattamente dentro di lei. Deve solamente trovare il modo di recuperarlo.
“Sono ciò che sono, in qualunque angolo del mondo”. Mezz’ora di brividi irrefrenabili su e giù per la schiena, dopo aver letto questa frase. Frase in cui si racchiude l’essenza di questa donna meravigliosa, cui mi sono tanto affezionata da poter dire di essere costantemente fiera di lei, in ogni istante. La sua è una bellezza complessa e poetica, spesso drammatica, ricca di sfumature da scoprire e analizzare, di cui sarebbe impossibile stancarsi. Sally ci sbatte in faccia la sua presenza attraverso ogni gesto, ogni pensiero, ogni singola parola, dandoci l’illusione di conoscerla ormai a fondo, prima di farci render conto – ancora una volta – dell’assurdità della nostra convinzione.

Mi sembra più che necessario, arrivate a questo punto, aprire una piccola parentesi e spendere qualche parola per un’altra tua splendida creatura, già conosciuta in You sing, you shout, you turn the world around e che, in questo sequel, è riuscita a farsi amare sin dal primo capitolo: sto parlando di Jackie, l’altra metà della mela, senza la quale, probabilmente, la nostra cara mancuniana non avrebbe trovato la forza di ricominciare da capo.
È l’amica perfetta, in ogni sua sfaccettatura: è colei che sa dare la scossa, che sa offrire conforto; colei che sprona a riflettere o ti costringe ad agire, a seconda della circostanza; è il supporto emotivo necessario, nonché motivazionale, e ha quasi dell’incredibile che lei riesca ad assolvere tutti questi compiti in maniera a tratti impeccabile. Il rapporto che lega queste due meraviglie è unico e speciale, ed è come se il Masterplan – facendole incontrare proprio nel periodo in cui tutto sembrava sul punto di crollare – avesse voluto salvare Sally, regalandole un appiglio, un punto fermo su cui contare.
Jackie è certezza, è stabilità, è rassicurazione. Jackie sa di casa, da una parte e dall’altra del mondo.   

Dopo aver chiuso la parentesi, mi sembra giusto andare dritti al sodo, a quello che non può essere altro se non il punto di svolta, nonché un nuovo faccia a faccia con l’onnipresente passato di cui, ormai è chiaro, è impensabile potersi liberare: parliamo di un Wembley che reclama i suoi ultimi istanti di gloria prima di essere demolito, di una Londra che chiede di essere raggiunta, di una certa band originaria di Manchester che ha tutto, tranne che intenzione di lasciare andar via una donna che ha significato e continua a significare ogni cosa.
Una svolta che aveva iniziato a prendere forma in occasione della presentazione del libro di Jackie, e che non può che affermarsi nello stesso luogo in cui, diversi anni prima, tutto aveva avuto inizio: sotto un palco, in compagnia di una macchina fotografica, fedele amica di sempre. Di fronte ad un uomo che è stato salvezza e distruzione, Paradiso e Inferno, e che la vita non si rassegna a tenerlo distante da lei.
Nulla, se non le parole da te utilizzate con tanta maestria, avrebbe potuto descrivere la bellezza di quegli istanti e la loro intensità, procurandomi un colpo al cuore su quello splendore di Don’t Look Back in Anger, che tanto significa per noi e tanto significa per Sally, forse più di quanto si riesca a gestire senza sentirsi sopraffatti e spogliati di qualsiasi protezione.
“Non è un peccato essere Sally, stanotte. È la cosa più bella che potrei chiedere di essere”. È la cosa più bella che ognuno di noi potrebbe chiedere di essere. Sally deve essere orgogliosa di se stessa, del suo coraggio, della forza che ha dovuto tirar fuori per attraversare la tormenta nel bel mezzo della quale era stata spinta. Non ci si stanca mai di Sally, così come lei non deve mai stancarsi di guardarsi allo specchio e ringraziare la splendida donna che è diventata per non aver mai mollato veramente.
Una donna che, alla soglia dei fatidici trent’anni, si ritrova catapultata a Ibiza senza neanche averlo chiesto, senza sapere che proprio qui, in un’isola del Mediterraneo, trascinata da quelle due meraviglie di nome Kate e Jackie e con un boccale di Guinness in mano, il Masterplan avrebbe rimesso insieme i pezzi del puzzle. È qui, per me, che il tempo si ferma: Sally e Noel, che sono ancora la stessa cosa; Noel e Sally, che si estraniano dal mondo in un modo che è tutto loro, prima di rifugiarsi in un’altra dimensione, inaccessibile a qualsiasi altro. Lo splendore in uno sguardo, la perfezione in quelle parole: è come se tutto, dopo anni, avesse trovato e assunto un senso che è a tratti diverso, mentre per altri rimane sempre lo stesso.
La tua bravura, anche stavolta, merita di essere esaltata senza riserve: hai descritto degli istanti di immateriale ma tangibile bellezza, rendendo giustizia a quell’intensità commovente e – è necessario dirlo – destabilizzante che da sempre la fa da padrona quando si parla di due anime come le loro, al cui fascino tormentato non si riesce mai a rimanere immuni. Quando leggo di loro, è come se tutto attorno a me svanisse, perdesse forma e significato, mentre le emozioni mi travolgono e mi suscitano quei brividi e quelle lacrime per le quali – mi sembra giusto ribadirlo anche in questa recensione – posso solo ringraziarti.

E, a proposito di emozioni e lacrime, non posso non soffermarmi su quest’ultimo capitolo. Non posso proprio, sebbene trovare le parole mi risulti terribilmente difficile. Non è semplice commentare un evento tanto scombussolante che, disgraziatamente, ha segnato la nostra storia, e lo è ancor meno quando bisogna trattarlo come scrittori, immedesimandosi nel punto di vista dei protagonisti. Credo sia anche per questa ragione che meriti il doppio dei complimenti, dato il carico fortemente emotivo che avrai dovuto gestire in questa circostanza.
“Guardare” l’orrore dell’11 settembre attraverso gli occhi di Sally mi ha fatto vivere quell’angoscia che, puntualmente, si ripresenta ogni anno, lo stesso maledetto giorno: abbiamo una Sally che non solo sente il dolore sulla propria pelle, ma che deve consolare quello, immensamente più grande, di una Jackie che da un momento all’altro vede sgretolarsi la certezza di un’America invincibile, indistruttibile, inarrivabile, che guarda il resto del mondo dalla vertiginosa altezza della sua grandezza. Un’America che adesso è indifesa, ferita, e che soprattutto ha paura di ciò che potrebbe accadere dopo.
E in questa desolazione, neanche a dirlo, Sally può trovare conforto in una sola persona, la stessa che non se n’è mai andata, e che mai la abbandonerà per davvero. Sta proprio qui, gran parte della perfezione.

È così che, per adesso, voglio concludere. Sì, credo di averti annoiata abbastanza, e spero di poter scrivere qualcosa di più sensato, la prossima volta. Voglio solamente ripeterti, ancora una volta, quanto tu sia meravigliosamente eccezionale in quello che fai, e devi esserne orgogliosa.
Le tue parole sono capaci di farmi versare fiumi di lacrime a ogni singolo capitolo, e il fatto che io – già di mio – sia abbastanza emotiva e sentimentale non è una giustificazione. È tutto merito tuo, ed è necessario che tu lo sappia.

Detto ciò, posso liberarti dalla mia tediosa presenza – puoi esultare, non mi offendo –, ma solo fino al prossimo capitolo. :) Nel frattempo, continuerò a sbirciare sul tuo blog in attesa di qualche nuovo, splendido pezzo. Non esistono parole adatte a commentare tanta bellezza.

Un abbraccio,

Jules
Recensione alla storia You sing, you shout, you turn the world around. - 02/03/15, ore 14:24
Capitolo 42: Please remember me, keep me on your mind.
Cara Part of the Masterplan

Tu non sai chi sono, ovviamente, e ti starai chiedendo da dove io salti fuori. La verità è che ho scoperto questa storia tardi – troppo tardi – ma ciò non mi impedirà di lasciare un segno del mio passaggio. Spero mi perdonerai se non ho scritto una recensione per ogni singolo capitolo, ma ho preferito portare a termine la lettura e, in tal modo, elaborare con calma tutte le sensazioni che sei riuscita a trasmettermi e tutte quelle emozioni che sei stata così abile a farmi provare.
La verità, mia cara, è che mi hai annientato l’anima: con le tue parole, con le vicende che hai tanto meravigliosamente descritto, me l’hai strappata via e l’hai ridotta in mille pezzi – un’impresa che, prima d’ora, solo a The Chief era stato concesso di portare a compimento. Te ne sono grata, perché grazie a questa incantevole storia ho riso e sorriso, ho sospirato – a volte di felicità, altre volte di tristezza – e ho sentito una stretta al cuore e allo stomaco, ma soprattutto ho pianto. Ho pianto per la gioia, per l’amarezza, per la sofferenza in cui ho provato a immedesimarmi, ma non sono mai stata così riconoscente a qualcuno per delle lacrime – il Dittatore di cui sopra costituisce sempre un’eccezione, naturalmente.

Tu non hai creato un personaggio: tu hai creato una persona.
Sally è vera, viva, reale, e spesso mi ritrovo a chiedermi se non esista per davvero. Sally respira, fa sentire la sua presenza, ed è dannatamente bella: è bella nella sua imperfezione, nei suoi difetti, nel suo dolore. Ha saputo costruirsi una vita a partire dalle macerie della desolazione, ha perso se stessa e ha saputo ritrovarsi. Mi risulta molto difficile trovare le parole giuste per descriverla, perché qualsiasi commento sarebbe assolutamente riduttivo; diverse volte non ho condiviso le sue decisioni, mentre in molte altre circostanze sono persino riuscita a ritrovarmi un po’ in lei, e non posso negarti che sia stato amore a prima vista – o forse sarebbe meglio dire a prima lettura – con questa tua meravigliosa creatura.
Sally ama, soffre, e soprattutto lotta per farsi spazio in questo mondo, e alla fine non può più aspettare. Forse, semplicemente, perché lei non è nata per aspettare: lei non può stare lì a guardare, a contemplare passivamente il susseguirsi degli eventi davanti ai suoi occhi; lei è stanca, esausta, e sarebbe impossibile darle torto. Ma qui ritorneremo dopo: voglio procedere per ordine, o almeno ci provo – sto buttando giù questa recensione a più riprese, e ho impellente bisogno di ordinare le migliaia di idee che si affollano nella mia povera testa, quindi mi scuso sin da adesso per la possibile sconclusionatezza di alcuni discorsi e per l’altrettanto possibile dimenticanza di alcuni punti che avrei voluto trattare. :)

Tornando indietro ai primi capitoli, ci imbattiamo immediatamente in questa giovane donna che, è necessario ricordarlo, si fa amare sin dalle prime battute. Questo rapporto così intenso e tormentato tra lei e il Dittatore ha fatto in modo che io giocassi a ping-pong con il mio cuore fin da subito, dal momento che loro due, insieme, sono stati la mia “croce e delizia” durante la mia full immersion in questo tuo splendido capolavoro.
Ogni istante da te descritto è puro oro, ed io non ce l’ho fatta a non lasciarmi trasportare da tanta bellezza. Sally e Noel che sono la stessa cosa, che vivranno per sempre, nonostante tutto. Questo legame che prende forma in una Burnage che fa avvertire la sua presenza in ogni circostanza: sotto la pelle, fino alle ossa. Un legame che non potrà mai essere spezzato, contro il quale neanche Nick, a conti fatti, ha mai potuto nulla.
Nick, così tipicamente borghese e “ordinario” di natura, che con Sally non c’entra proprio niente. Lui non ha nulla a che vedere con quel mondo, e ha spesso dimostrato di non poterlo capire in alcun modo. Nonostante le sue mirabili qualità e la sua straordinaria dolcezza, ha urtato le mie povere sinapsi non poche volte, e con regolare frequenza mi sono chiesta come facesse la nostra bella bionda a reggere questa vita che così poco le si addiceva, a maggior ragione dopo i suoi ritorni a/da Manchester.

Ho a dir poco amato i tre capitoli della corrispondenza epistolare tra Sally e il “fottuto Bonehead”, dove abbiamo potuto assistere con una stretta al petto ai tentativi della prima di rimettere insieme ciò che rimaneva di se stessa dopo il passaggio dell’Uragano Gallagher, che tanto le ha dato ma, al contempo, tanto le ha tolto. Confesso che, quando ha gettato la lettera destinata a Noel, mi sono lasciata andare in un “Vaffanculo, Sal” carico di esasperazione, evidentemente alimentata dalla cocciutaggine di quei due e dalla loro eccelsa abilità di complicare ogni cosa. E, a proposito dei tre capitoli in questione, mi ha fatto sorridere la piccola incursione di OurKid, e ne approfitto per dirti che anche con lui hai fatto un ottimo lavoro. Liam è caratterizzato maledettamente bene, e la sua idiozia e il suo perenne entusiasmo sono perfettamente miscelati a quegli attimi di goffa serietà che lo rendono perfettamente credibile. Riesce a dimostrare l’immenso affetto che nutre per Sally in maniera spontanea, con quel suo pizzico di impulsività che fa sorridere: in poche parole, in un eccelso Weetabix Style.
Ancor meglio tratteggiato è il caro Natalino, e penso che meglio di così tu non potessi proprio fare. È perfettamente lui, con i suoi modi bruschi e autoritari, con il suo volere tutto e subito e come lo vuole lui, ma soprattutto con quell’anima profonda e in continua lotta contro se stessa che emerge in ogni singolo suo gesto. L’amore per Sally che non vuole ammettere, il suo modo di volerla accanto a sé, come le sue premure nei suoi confronti – a mio parere, mosso anche un po’ dal senso di colpa, come abbiamo visto dopo l’incidente – non fanno altro che far sospirare il mio cuore, già eccessivamente sensibile di suo. La sua ironia, poi, e il suo costantemente spiazzante modo di fare, sono l’immancabile ciliegina sulla torta. In tal senso, riporto una frase che hai scritto nelle note dell’autore alla fine di un capitolo: “Chi non è un Madferit non sa cosa vuol dire amarti”. Mai parole furono più vere di queste, e mi permetto di aggiungere che è quasi impossibile tentare di spiegare a chi non è un Madferit cosa tutto ciò significhi.
Per quanto riguarda la caratterizzazione del Dittatore, preferisco fermarmi qui, semplicemente perché rischierei di scrivere un papiro a riguardo. Mi limito a queste “poche” parole, lasciandomi trasportare però da un incontenibile applauso senza fine.

È stato emozionante, poi, assistere alla nascita e all’ascesa al successo dei nostri mancuniani preferiti: sei riuscita a farmi avere l’impressione di trovarmi lì con loro, al Boardwalk come al Maine Road, passando per la genesi di Definitely Maybe, per quella di (What’s the Story) Morning Glory?, per la battaglia del Britpop, per i Brit Awards del ’96, arrivando a quello che, probabilmente, è stato il periodo più difficile, in cui si è rischiato di affondare e di non ritornare più in superficie. Sono stata in grado di respirare l’atmosfera di quegli anni, di gioire e soffrire con Loro, di condividere le emozioni e il dolore di una Sally che – lo ripeto ancora una volta – potrebbe perfettamente esistere. Anzi, ho avuto tante volte il presentimento che lei fosse davvero lì, con i suoi capelli biondi e la sua macchina fotografica, e con quegli occhi intenti a cercare quelli di un uomo che, nella sua grandezza, ha sempre avuto bisogno di lei per non cadere nel baratro.
Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, verrebbe da pensare. Quella donna, immensa donna, è Sally. Colei che ha ispirato alcuni dei più grandi capolavori degli ultimi vent’anni – e non solo –, primo tra tutti Don’t Look Back In Anger, la cui nascita da te descritta mi ha regalato una carrellata di emozioni indescrivibili. Leggere della propria canzone preferita in tal modo è… incredibile. L’ho sempre sentita mia, sulla pelle e sotto di essa, dentro le ossa, fino all’anima. Un’anima che scivola via ogni singola volta che quella melodia mi arriva addosso, diventando io stessa la Sally cantata dalla voce di Noel. Credo che chiunque abbia questa canzone particolarmente impressa nel cuore si ritrovi spesso in lei.

Gli ultimi capitoli possono essere paragonati a una raffica di pugni dritti allo stomaco – prendilo come l’ennesimo complimento, ovviamente. Ogni cosa sembra sul punto di crollare, di dissolversi in una nube di fumo tossico, e ogni singola parola trasuda quell’angoscia e quella sofferenza che, posso giurarlo, mi hanno presa in pieno durante le battute finali di questa immersione. Emozioni che stavano diventando devastanti per la vita di Sally, che giustamente non ce la fa più, e qui torniamo al discorso di parecchie frasi fa: Sally non può aspettare, ed è sacrosanto che non lo faccia.
È suo diritto arrabbiarsi, è suo diritto non sopportare la presenza di Meg – e mi chiedo come abbia fatto a sopportarla Lui –, è suo diritto salvarsi dall’autodistruzione, e soprattutto è suo diritto – e aggiungerei anche dovere – andarsene via e spiccare il volo. Una decisione che le – e ci – spezza il cuore, ma è la più sensata e sana possibile.
Si potrebbe pensare che sia questo, l’epilogo del loro amore, ma la verità è che certi amori non potranno mai finire. Continueranno a rincorrersi, a inseguirsi, e forse si ritroveranno. O magari rimarranno divisi per sempre, nonostante il filo che li lega sia resistente e indissolubile.
D’altronde, ho notato che hai iniziato a pubblicare il sequel, quindi non ci resta che aspettare di sapere cosa il Masterplan abbia in serbo per loro.
Mi ci fionderò il prima possibile, promesso. Devo solo ricaricare il serbatoio di lacrime, ma ci sto lavorando.

Nel frattempo, mi inchino.
Part of the Masterplan, sei eccezionale.

Un abbraccio,  
Jules

Ps. Spero mi perdonerai per la lunghezza spropositata di questa recensione – o almeno è quello che dovrebbe essere –, ma non sono riuscita ad essere più sintetica. Tendo sempre ad esagerare, ahimè! Anche la tendenza alla “logorrea” è un dramma esistenziale.