Hai decisamente (!!) esagerato con gli avverbi in –mente. Il primo è stato “freneticamente”, poi mi ricordo di gentilmente e , davvero, questi sono i migliori ammazza-narrazione che ci siano. Ora ti spiego: gli avverbi in -mente sono i peggiori nemici dei romanzieri o narratori o come vuoi perché non trasportano il lettore nella storia, capisci?
Voglio dire: hai intenzione di proiettarmi sulla scena, sì o no? ( a proposito, ti sei dimenticata dell’accento sulla i del sì e no di Marco)
Allora, invece di dirmi che Anna ascoltava la prof e prendeva freneticamente appunti, perché non mi fai capire che per Anna lo studio è così importante da essere sempre il primo dei suoi pensieri (l’hai già fatto, ma l’hai scritto nell’introduzione e non è proprio narrativo, no?)? Freneticamente non dice niente.
“Anna ascoltava la prof e prendeva appunti come per tema che non ci fosse un domani”. Certo, ce n’è da aspettare prima del premio Pulitzer, ma non suona già meglio? Un pochino?
In questo modo, invece di dirmi che Anna è frenetica, fammelo vedere. Fammelo sentire. Rendimi parte del suo universo. Ed è anche per questo che ho arricciato il naso quando hai introdotto la storia con una descrizione diretta di Anna. Non dovresti scrivere che ama la scuola più di tutto e che non ama stare cogli amici e che è insignificante dal punto di vista estetico. Mostralo! Mostralo attraverso i gesti suoi a scuola ( lo hai già fatto, e ciò rende ridondante il fatto che tu abbia introdotto il tutto attraverso una descrizione diretta ).
Capisco anche il motivo per cui hai introdotto in tal modo: per accrescere la suspence nel lettore in quanto vuoi fargli capire che prima o poi la protagonista nasconde un segreto, no? Ma la descrizione in cui parli del suo aspetto abbassa la qualità del resto. In poche parole uccide l’efficacia della narrazione. La fa fuori dal punto di vista evocativo. Quello che vorrei che facessi qui è scrivere in tre dimensioni. E sai come si fa? Eliminando tutti i –mente. Sì. Sono loro quelli da far fuori.
“Era una gran bel ragazzo”. Questa frase mi ha fatto venire in mente il fatto che tutti sono capaci di dire “Marco è bello”, “Giada è cessa”, “Liviana è vecchia”. Ma non tutti ( e quelli che lo sanno o dovrebbero saper fare sono scrittori ) sono capaci di scrivere: “ La perfezione del viso di Marco era incontestabile. Alla prima occhiata non era possibile scorgere l’ombra di un difetto, ma anche a una seconda occhiata si avrebbe potuto concludere che non ce ne fossero .”, “ Liviana era il genere di persona che avrebbe messo in imbarazzo chiunque con la sua lentezza a un semaforo. Procedeva un passo per volta, ogni muscolo appesantito dal fardello secolare dei suoi anni, una vera maledizione per i guidatori che non potevano che godersi lo spettacolo, rassegnati”, “ Era incredibile quanto fosse difficile guardare Giada in faccia. E non era altrettanto incredibile sapere che quella distesa di foruncoli che le invadevano il viso dal suo decimo compleanno fosse la sua unica cerchia di amici”. La senti la differenza? Ce l’hai la sensazione di conoscere questi poveri diavoli da sempre? Scherzi a parte, spero di essermi spiegata.
“riuscì dal nascondiglio”. Riuscì è la forma al passato remoto del verbo riuscire terza persona singolare modo indicativo forma attiva, correggimi se sbaglio. Se intendi dire che uscì di nuovo allora dì “uscì di nuovo”. Tout simplement.
“e per lui divenne un ossessione” . Qui ossessione è un sostantivo femminile quindi un è apostrofato, no? Un’ossessione, signore e signori.
“Era un assassina come lei.” Qui hai commesso un errore analogo.
“dopo l'ora di fisica”.Qui c’è un errore perché fisica è una materia matematica. Intendevi dire scienze motorie dal momento che nomini uno spogliatoio.
“stivali neri al ginocchi.” Stivali neri al ginocchio, sarebbe.
“ne fare nulla,” qui dimentichi l’accento su né.
Sai, mi è davvero piaciuta tanto l’idea clinica della schizofrenia. Ho avuto una cosa simile da bambina, avevo un’amica immaginaria che chiamavo Lucy Chang ed era la parte concupiscente di me. Ora sono una santarellina… Mi hai semplicemente ricordato quel periodo che ho superato da un po’, grazie a Iddio. Per il resto ho apprezzato lo sforzo di autenticare l’operato, ma ho avuto la netta impressione che attingessi dal tuo bagaglio di conoscenze americane per scrivere il tuo racconto. Spero di non sembrare troppo esigente, ma lo sto dicendo per te in quanto la tua storia, se è ambientata in Italia o chicchessia risente di realtà. Di dimensionamento. Non c’è il nome del paese. Della via. Del locale. Della scuola. Il lettore si sente sospeso nel vuoto. La mancanza di coerenza fa sì che un’ambientazione crolli su sé stessa nel corso della lettura, dicono gli editori. I discorsi paiono macchinosi perché non sembrano usciti direttamente dalle bocche dei sedicenni attuali di questo Paese.
Per poter rimediare, diventa un’osservatrice famelica e avida della tua realtà quotidiana. Studia la vita del popolo a cui appartieni come Anna studiava il viso di Marco. Assiduamente. Così ciò che scriverai sarà tangibile. Sarà vivo. L’orrore e il thriller sono generi tutt’altro che diffusi in Italia. Un po’ per la fuga di cervelli...un po’ perché gli italiani sono un po’ intimiditi dalla sudditanza agli stati uniti o a qualsiasi nazione che non sia la propria. Io non sono una patriottica. Ma io sono per l’autenticità, la veridicità e la sincerità dell’opera, a maggior ragione se si tratta di narrativa popolare come i thriller o gli horror. Ho davvero amato la tua storia, ma c’erano dei piccoli dettagli che non ho voluto far mancare all’appello. Non mi odiare. Se ti odiassi non ti avrei detto tutto ciò, credo.
Un ultimo dettaglio, promesso: le scuole italiane non hanno armadietti ;) |