"Mangiavo vetro per non impazzire, perché spesso il metallo è meno tagliente delle persone".
Prima di recensire l'intero scritto,volevo fermarmi su questa magnifica scintilla di cupa saggezza,fin troppo lontana purtroppo dai toni di un'oscura profezia: ogni giorno questo assoluto diviene sempre più realtà,o almeno per quanto riguarda il passato di alcune persone. Le persone,nel loro egoismo,sanno tagliare e fendere quei morbidi legacci che ci fanno orbitare intorno a loro alla guisa di un satellite pago di aver trovato il suo pianeta protettore,cullato dall'ebbrezza di quelle indissolubili equazioni gravitazionali che reggono l'universo.
Al di là della sterile osservazione che qualcuno potrebbe fare sulla natura del vetro e sull'ovvia verità che questo non sia un metallo,il connubio delle proprietà taglienti ed amorfe del primo con quelle resistenti e arrugginite del secondo rende splendidamente l'idea di una ferita che squarcia e imputridisce nel tempo,peggiorando la nostra condizione emotiva. Tagli che non si rimarginano,ma che sono destinati a segnarci per tutta la vita (o almeno in gran parte) costringendoci ad esporli come cicatrici di battaglia,ma solo alle persone cui permettiamo di infrangere le spigolose superfici cristalline del nostro Io.
In fondo,certe lesioni interne possiamo vederle solo noi e chi standoci accanto ci conosce bene. No?
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Passando al resto della composizione,ciò che si intuisce al primo colpo è il procrastinarsi della sofferenza derivata da una separazione amorosa. A rendere il concetto è una progressiva trasformazione di quell'odore caratteristico che prima era avvertito come dolce culla d'essenza,ed ora ti ammorba fin nel profondo delle sinapsi nervose. L'annichilimento che si prova,il desiderio di sparire,il senso di sfuggita e perdita contrastano con una razionalità agonizzante e stremata,ridotta a strillare come regredendo allo stadio di fanciullo un "io non volevo morire" contradditorio ed incerto. In fondo,la ragione è la peggior nemica di se stessa.
"Mi frantumo al di là di un dirupo, ma questo quasi mi piace. Del mio corpo non rimarrà più nulla, lo giuro, sarà come la cenere delle pagine che hanno scritto la mia vita, trasportate dal vento in un ballo senza fine."
La gioia dell'autodistruzione espressa al massimo delle sue potenzialità,la soddisfazione nel contemplare le proprie ceneri strette in un pugno. E' un immagine fortemente evocativa di un dolore che non può essere placato,la cui unica ragione d'esistere è il nulla inteso nella sua forma più assoluta di non-esistenza. L'esaltazione dell'oblio ci invade totalmente,come illuminandoci gli occhi di una luce vuota e senza sorgenti.
Pensieri davvero molto forti,resi ancora più suggestivi da uno stile incalzante e finemente elaborato quale quello che oramai ho imparato a riconoscere con gioia in ogni tuo scritto. Le immagini che richiami,i pensieri che convogli nel foglio (o nei byte di informazione che compongono il monitor del computer? In fondo,la tecnologia assolve in maniera multiforme alle infinite esigenze dell'arte e del pensiero umano) dovrebbero indurre a fermarsi e riflettere tutti coloro che passano per questo angolo di Internet,meditare sulle infinite sfaccettature che a tutti sfuggono ma che solo un cuore lacerato e sofferente può cogliere.
Una superba composizione,in conclusione.
Come potrai notare,ho espresso ogni pensiero in forma assolutamente impersonale,non sapendo nulla sui tuoi retroscena nella vita reale. Qualunque sia la verità,ti auguro di superare ogni arduo momento che vivrai,adesso e nel futuro,facendo affidamento al più grande e splendente dei tuoi talenti. L'arte della scrittura,che in te ha fatto germogliare più che un albero un'intera foresta.
Alla prossima,allora,un abbraccio,
Dave. |