Ciao Mel!
Premetto che la figura di Maeglin è, per me, una tra le più strazianti dell'intero Legendarium (ed è dir molto). Una vita condannata non per scelta, ma per nascita. E data la mia vena masochistica, è anche una di quelle che più mi affascina. Insomma, Maeglin è un personaggio su cui mi sono spesso soffermata a pensare e, al di fuori della cerchia dei Feanorion, uno di quelli che "conosco" meglio.
Tutto questo per dire che, dal mio punto di vista, riesci a descrivere molto bene questo momento di intimità tra il piccolo e la madre.
Mi è piaciuto come hai posto l'accento sul fatto che Maeglin capisca molto più di quanto la mamma si immagini, su come sia in grado di mantenere i propri segreti, su quanto non sia affatto uno sciocco, per usare le tue parole. Una tra le tante condanne del nipote di Nolofinwe è quella di essere intelligente, pronto, capace, ma di non avere i mezzi per dirigere questo dono nella giusta direzione. Dirò di più, Maeglin è pieno di doti e allo stesso tempo è completamente privo della capacità di volgerle a uno scopo che non sia egoistico. Non è stato educato, non ha avuto esempi in questo senso, allevato in un posto oscuro e isolato, da un padre dispotico e violento e da una madre che nella sua incessante ricerca di libertà ha finito per incappare nel peggiore dei suoi incubi, la prigionia.
Ma divago, come mio solito.
Un'altra frase che identifica Maeglin è: "Non sa qual è la risposta giusta e non gli piace sbagliare". Anche questo atteggiamento lo caratterizzerà a Gondolin, quando si troverà solo ad affrontare un mondo più grande di lui. Non si appoggerà alle persone che, a modo loro, lo amano e tengono a lui, come lo zio e la cugina. Piuttosto che rischiare di essere giudicato, di sbagliare, si chiuderà in sé stesso e nelle sue fantasie contorte.
Ma veniamo al racconto di Aredhel, nel quale io vedo quasi più una consolazione che lei concede a sé stessa, che un rispondere alla richiesta del figlio. Una consolazione che però le si ritorce contro, che porta alla luce il rimorso che la corrode, per aver scelto male, per essere responsabile della propria e dell'altrui infelicità, di quella del fratello che l'ha tanto amata, di quella della nipote che ha sempre guardato a lei come un sostituto della madre che ha perso da giovane.
Fa male vedere questa Aredhel sconfitta, piangente, domata. Ti domandi: se non fosse per il piccolo Lomion sarebbe già fuggita, l'indomita Irisse? O la sua prigionia non è solo imposta, ma anche autoimposta, dall'orgoglio che non le permette di tornare sconfitta dal fratello, che non le fa accettare di aver fallito nella scelta del compagno? O da quell'orribile sentimento che a volte impedisce alle donne di abbandonare un partner violento, fatto di un misto di sensi di colpa, di speranze vane in un futuro diverso, di ricordi vuoti di cose che forse non sono mai state reali.
Appena prima delle fine, ci concedi una breve visita nella mente di Aredhel, non abbastanza per poter rispondere a queste domande, ma sufficiente per gettare uno sguardo sulle sue speranze e sulle sue paure.
Molto bella, infine, la conclusione sui sogni di Maeglin, che aprono le porte su un futuro di illusoria speranza.
Spero con queste parole confuse, di essere riuscita a comunicarti quanto abbia apprezzato questo racconto. So che tu hai dei progetti, per i tuoi scritti futuri (anche se non so quali!!!). Mi permetto di sperare che ci sia un po' di Irisse, perché in questo brano ne hai dato un'immagine profonda e malinconica, commovente.
Dimenticavo. Il tutto è narrato con un presente che scorre fluido e corretto, adatto a raccontare un momento di dolcezza e di malinconia tra una mamma e un figlio che condividono una vita in cui ciascuno è l'unica luce dell'altro.
Grazie per aver condiviso, cara.
Los
PS
Occhio che la prima frase ti si è spezzata in due paragrafi! |