Ancora non mi spiego com'è che io e te ci troviamo sulla stessa lunghezza d'onda! E' fantastico, davvero: tu dai vita alle mie OTP quando pochi, in questo sito, tentano di uscire dal coro per occuparsi di personaggi "minori" (con le dovute virgolette perché mi rifiuto di pensare che Konan, Yahiko e Nagato siano tali *-*).
Già questo è motivo di sorpresa, ma poi, leggendo ciò che scrivi, mi accorgo che lo stupore è uno stato d'animo che non vede fine, cui non mi abituerò mai, del quale non aspirerei nemmeno di sbarazzarmi, perché al mondo c'è bisogno di meraviglia, di sentimento, di luce (e anche delle ombre giuste, quelle che il cuore proietta). E ci sei anche tu, per questo compito di latrice di emozioni ❤
La storia dei tre orfani di Amegakure è uno dei punti del manga che più amo! Kishimoto ne ha combinate di tutti i colori (ha ucciso Jiraiya e Itachi nel giro di due volumetti e questo non riesco ancora a perdonarglielo, sigh!), ma quando sguazza nell'angst lo fa come si deve, non ci sono dubbi (e, per questo, nonostante non possa chiudere un occhio sulle morti di cui sopra, continuo a seguirlo fedelmente); ecco, dicevo, la vicenda di Konan, Yahiko e Nagato è talmente dura, aspra, forte e triste da risultare tremendamente vera.
Le tue drabble hanno dato un quadro incredibilmente completo di tre infanzie lacrimose - tanto che chiamarle "infanzie", in effetti, pare fuori luogo!
L'idea di parlare di Nagato attraverso i passi è geniale, mi ha colpita tantissimo! Dapprima la mamma lo guarda con amore e gioia, vedendolo camminare con un'incertezza che poi sarà solo un ricordo, mentre improvvisamente, quando il nemico entra in casa ed è pronto a seminare sangue, quel gesto tanto istintivo diventa il più difficile da compiere. Come si può camminare, correre e fuggire, quando i tuoi genitori stanno per perdere la vita? E gli occhi della madre, in tutto il suo desiderio di protezione, assumono anche la sfumatura dell'amore che teme, che ha paura, che vorrebbe possedere la certezza di vedere il proprio bambino sano e salvo.
Le due drabbles di Yahiko sono state di un impatto visivo eccezionale: le spalle del bambino che s'incurvavano sotto la pioggia, per il peso di una sconfitta cui non poteva ancora opporsi - e di un sogno grande, immenso, incredibilmente leggero nella mente, da immaginare, ma spaventosamente vasto e irrealizzabile, quando si vive a un passo dalla morte - sono qualcosa di veramente efficace, da brividi. Gli incontri giusti - Jiraiya, Konan e Nagato - hanno cambiato le carte in tavola, ma, ahimè, non il destino del più grande sognatore di questo manga.
Konan, fragile, delicata, ma tagliente come la carta, è stata di un'eleganza tragicamente umana, nella sua comparsa. Sola al mondo, anche lei, e dura con se stessa, nel tentativo di rendersi perfetta e affidabile per il trio - ma anche per Jiraiya, quell'uomo con la testa fra le nuvole! -, si taglia incautamente un dito e dalla scoperta di essere anche lei fatta di carne nasce la consapevolezza di essere una ragazzina, una creatura capace di amare e, soprattutto, di ricevere amore e assistenza esterna. A cosa serve la perfezione, se ci allontana dai cuori che vorremmo solo proteggere? A cosa serve, se non riusciamo più a percepire il nostro?
L'ultima drabble, che sgorga dalle labbra di Pain, è una pugnalata dritta al petto, alla realtà, all'uomo del XXI secolo, all'umanità in generale; è vero che nasce tutto da un'opera "ludica" come un manga - e che questa è una fan fiction -, ma ciò che hai scritto è esattamente ciò che mi sarei domandata anch'io, a fondo pagina: perché questi dolori assurdi, disumani, sono improvvisamente diventati necessari, inevitabili, nel mondo? Perché la guerra continua a perseverare, a incedere con passo tanto pesante, mentre i sogni si spezzano sotto i piedi degli oppressori, come se fossero fatti di cristallo?
E poi ho capito che ho sbagliato a vederli come tali, perché la pace, la speranza e gli ideali sono di carta. Carta: non era su fogli svolazzanti che circolavano le idee di chi si batteva per la libertà e la dignità degli ultimi? Per quanto accartocciata e pestata, la carta non si spezza; anche bruciandola, io voglio credere che le parole continuino a circolare.
Il riferimento - che ti ha ispirato questa meravigliosa mini-raccolta - a "Il gran sole di Hiroshima" mi ha riportata indietro nel tempo, a quella lettura toccante, triste e spietata, reale, ammirevole e speranzosa. Grazie per questo viaggio nel tempo - passato, presente e futuro.
Non so bene cosa io abbia appena scritto (e con questa frase so di giocarmi tutta la presunta credibilità della recensione), ma ti ringrazio per i pensieri che mi hai ispirato!
Rapida, incisiva, elegante e di una poesia che ti s'imprime dentro fin dalla prima lettura: complimenti!
Un bacione - e in bocca al lupo per il contest! ❤
Ophelia (Recensione modificata il 03/09/2014 - 09:38 am) |