[11° classificata al contest La Caduta dell'Inverno Boreale]
Il tuo stile è, in linea di massima, gestito bene, anche se non mi piace da impazzire ma questi sono gusti meramente personali. Ritengo che a volte sia un po’ troppo colloquiale, inoltre in alcuni punti fai dei periodi troppo lunghi la cui comprensione non risulta immediata, e che comunque rimangono un po’ contorti, per quanto tra le righe io veda i tuoi sforzi per cercare di renderli il più possibile comprensibili.
Passiamo ora ai punti più interessanti.
Per quanto riguarda il background, lo sfondo che incornicia le vicende dei nostri personaggi, avrei apprezzato più dettagli e un po' meno dialoghi.
Qualche contorno contestuale in più non guastava, ad esempio: perché si sta combattendo questa guerra?
Il racconto è costituito quasi esclusivamente da pensieri e scene di movimento, soprattutto dal secondo capitolo in poi, raramente concedi spazi di respiro al lettore, raramente ti soffermi a costruire il mondo che circonda i nostri protagonisti. Non ci sono contorni fisici né geografici, i luoghi che Svan attraversa non ci appaiono inscatolati in uno schema, ma sono liberi e indistinti nella nostra mente.
In generale hai descritto poco, ma ho comunque apprezzato moltissimo quelle pennellate di colore che a volte, senza preavviso, ci hai offerto: la più eclatante, quando tratteggi velocemente eppure in modo incisivo quella pittoresca “fauna” che Svan si trova davanti, una volta arrivata alla città in riva al mare. Certo, mi sarebbe piaciuto che, oltre al caos e alle genti che l’abitavano, avessi descritto un po’ (anche brevemente, in poche righe) lo "scheletro" della città: com’era fatta, dov’era situata, il colore prevalente, se le case erano di legno o di pietra, povere o ricche… dettagli di questo genere. Ma capisco che non era una priorità, visto che Svan è “di passaggio” in qualunque luogo la inquadri.
Ti devo invece lodare per come hai saputo riassumere la società delle Valchirie, che paradossalmente è più fisica e reale del mondo su cui Svan sta poggiando i piedi in questo momento. È un particolare un po’ paradossale, sì, ma nello stesso tempo trova una sua spiegazione: dato che il racconto è narrato prevalentemente da un punto di vista interno di Svan (soprattutto nella prima parte), è normale che i suoi pensieri vadano spesso alla sua casa, la quale rievoca con una tale nostalgia e un tale desiderio che questa quasi prevarica la realtà.
Altri particolari che mi sono piaciuti, sono stati quei pochi punti di confronto che poni tra il mondo degli umani e il mondo delle Valchirie: il caos contrapposto all’ordine e al rigore, e la pietà della donnina che ha accolto Svan, contrapposta alla freddezza e alla diffidenza del mondo di origine della nostra protagonista.
Anche il background di Svan però rimane fumoso. Hai poco approfondito, in definitiva, i motivi del suo esilio (mentre invece ho apprezzato gli accenni ai fratelli e alla madre, i quali però non mi sembravano i particolari più importanti da inserire, mentre mi pareva fosse prioritario, ai fini della trama, specificare il perché Svan si trovasse in esilio). Ha disubbidito agli ordini dei superiori, sì, ma quali erano questi ordini? Perché l’ha fatto? Perché, dalle poche informazioni che ci dai, sembra che l’abbia fatto solamente perché non voleva essere una guerriera, ma mi sembra un motivo fin troppo banale, e nemmeno coerente con il personaggio, visto che Svan anela comunque di ritornare a casa (il che significa tornare a ricoprire il suo ruolo nella sua società), sente la mancanza della spada appesa al fianco, e non le manca certo la grinta per combattere. In definitiva, mancano un po’ il prima e il dopo di questa trama, non è ben definita ai lati. Ma mentre mi sembra più che lecito lasciare il futuro di Svan all’immaginazione del lettore, mi sembrava invece doveroso aggiungere qualche dettaglio in più sul suo passato, sulle circostanze che, in definitiva, hanno dato avvio alla storia che ci racconti.
Non ci sono grossi buchi nella trama. Ho apprezzato molto anche il modo in cui hai ripreso "il misterioso ospite" sulla nave, che a primo acchito ci sembrava un nemico, ma che poi si è rivelato un preziosissimo aiutante. Alla fine ogni cosa ritrova il suo posto, e non ho trovato incoerenze.
Ma, se è vero che alla fine non ci sono eclatanti vuoti di trama, è anche vero che non mi piace il modo in cui sei saltata "da una scena all'altra", in alcuni punti. L'esempio più eclatante che mi viene in mente è il passaggio dal primo al secondo capitolo. Mi ha dato l'impressione di essere un po' troppo brusco, è come se ci mancasse un pezzo. Dale e Svan passano troppo velocemente da una sorta di rapporto signore/mendicante (non so come definirlo), a un sano rapporto amichevole. Anche Dale mi sembra cambiare di tono in modo un po' troppo precipitoso: prima era un giovanotto impettito che non si faceva scrupoli a sedurre le fanciulle che gli capitavano a tiro, e davvero aveva il cipiglio intraprendente e "pericoloso" del dongiovanni, e poi come per magia i suoi modi di fare cambiano, e diventa un personaggio quasi comico; ma, soprattutto, se prima incuteva soggezione, ora i termini della coppia sono perfettamente capovolti: è Svan che comanda. Non dico che questo cambiamento non dovesse avvenire, perché non avviene senza motivo (c'è un episodio cruciale, ed è l'aggressione ai danni del povero Dale, e il conseguente intervento salvifico della valchiria), dico solo che avviene in modo troppo precipitoso. Per me era abbastanza importante graduare ulteriormente quel passaggio.
Ho apprezzato molto la suddivisione dei capitoli in terra - mare - cielo: benché possa sembrare banale, in questo caso è davvero una tripartizione azzeccata. Rispecchia perfettamente questa sorta di viaggio di espiazione che la Valchiria deve compiere per poter riconquistare la propria libertà.
I nemici veri e propri (in carne ed ossa) scarseggiano in questo racconto, ma è molto interessante come tu, nel secondo capitolo, abbia eletto a nemico il mare stesso.
La parte che più mi è piaciuta, e che ritengo meglio scritta e in generale meglio impostata, è il primo capitolo. Il vagabondare di Svan mi ha commossa, mi sono sentita davvero vicina a lei, ogni volta che era costretta a fuggire, ogni volta che era malamente scacciata, ogni volta che doveva fingersi debole e malata per poter elemosinare un tetto o un pasto. Hai reso molto bene la condizione della valchiria esiliata, della valchiria decaduta, dell'angelo che ha perduto le ali. Ecco, forse sarò un po' troppo morbosa, ma mi sarebbe piaciuto vedere Svan "faticare più a lungo" (per dirla con parole povere): indugiare di più nella decadenza, essere costretta a compromessi più gravosi per ottenere ciò che vuole, mentre invece si riscatta praticamente subito (non dico che il riscatto non dovesse avvenire, anzi!, però potevi renderlo più agognato, più faticato). E inoltre Svan sembra non avere conseguenze per il periodo in cui è stata costretta a vivere in modo così infimo. Insomma il suo “rimettersi in piedi”, per me, avviene troppo presto, troppo facilmente, e in modo troppo roseo.
Bene, molto bene la resa del vagabondo. All’inizio, come già ti ho accennato, sono stata parecchio coinvolta nella sventurata condizione della protagonista, tanto che mi sarebbe piaciuto vederla cadere ancora più in basso, prima di rialzarsi in piedi. Ma queste sono canzoni che ti ho già cantato, dunque soffermiamoci ora solo sui punti positivi. L’episodio della valchiria che trova rifugio nel villaggio dei taglialegna è forse il mio preferito, quello più toccante, dal momento in cui Svan, fingendosi cieca, “bussa alla finestra”, sino al momento in cui è costretta a fuggire dalle pietre e dagli insulti che le vengono lanciati. La tensione è ancora alta quando la valchiria è costretta a sedurre Dale, per cercare di ottenere un passaggio in nave. Poi, dal secondo capitolo in poi, come già ho detto, Svan dimostra di saper badare non solo a sé stessa ma anche agli altri, per cui smettiamo di preoccuparci per lei. Ma forse sono io che mi sono figurata Dale come un conquistatore un po’ troppo tenebroso e addirittura pericoloso, e allo stesso tempo ho attribuito a Svan troppa debolezza, forse dimenticandomi che è stata una guerriera e un generale.
Tornando a noi, ho apprezzato tantissimo il modo in cui riprendi la figura del vagabondo sul finale, lasciandoci intendere che Svan continuerà a vagabondare, a pendolare, e che forse non rimetterà più radici. Mettendo un momento da parte il vagabondo, il finale di per sé stesso è bellissimo, con il fuoco spostato su queste zampe di Hrìm che, passo dopo passo, “scalano l’aria”.
Ed è inutile dire che la partenza della valchiria, a cui anche noi lettori (non solo Dale) ci eravamo affezionati, mi ha davvero, un'ultima volta, commossa.
Silvar |