[1° classificata al concorso "The Witcher"]
Ragionando riguardo l'economicità della tua trama, c'è un surplus di sadismo da parte del Domnitorul, un surplus in effetti giustificato dal suo odio verso le streghe. L'idea di fondo poteva quindi essere strutturata più “economicamente”, poiché non ha senso rapire i figli delle streghe per poi addestrarli allo scopo di andare a caccia delle streghe stesse. Questo è un'inutile complicazione ideata a bella posta da questo sovrano pieno di rancore represso, un vero e proprio sadismo gratuito: mandare i figli a caccia delle madri. Infatti, anche la stessa Adaria mette in evidenza questo circolo vizioso: Se le odiate tanto, se il vostro signore salva i bambini che le Donne rendono orfani… non sarebbe meglio cacciarle tutte […] ?
Anche se in questo caso il contesto è diverso (Adaria sta solo spingendo il figlio verso il compimento della profezia), lo stesso, in questo dialogo sembra quasi che la donna si arrenda all'evidenza dell'assurdità di questo meccanismo.
Sembra infatti assurdo: giunge l'emissario del Domnitorul, quest'uomo dallo sguardo impassibile, ed egli sottrae i figli maschi alle madri e alle sorelle. Quindi si sa chi sono le streghe, si sa chi sono e si sa dove sono. Che senso ha, quindi, fare questo passaggio in più? Perché non limitarsi a sterminare le streghe, perché non eliminare il problema alla radice?
Ma non fraintendermi, sto ragionando sull'economicità della trama con criteri interni. Infatti questo surplus, questo eccesso di perversa crudeltà del tutto gratuita, è ciò che rende affascinante ed originale la storia: si innesta una sorta di perpetuo circolo edipico, messo in moto dalla sete di vendetta e dal dolore di Tudorel Suveran.
Non ti smentisci mai con l'ambientazione. Mentre la contestualizzazione è presente il necessario (di Beclou, per esempio, sappiamo poco), di contro l'ambientazione è davvero uno dei pilastri portanti di questo racconto. In realtà non ci sono lunghe digressioni descrittive immobili, fini a loro stesse: quello che ho adorato del tuo modo di scrivere (e descrivere) è stata la tua costanza di scendere nei particolari, nei meccanismi quasi filologici dell'antichità. E, neanche a dirlo, l'atmosfera medievale pregna ogni frase. Mi piace il modo in cui hai descritto la praticità di una vita di questo tipo, una vita a diretto contatto con le cose, una vita che ci è lontana. In realtà sono tutti particolari su cui spesso si sorvola scrivendo una medieval-fantasy, perché si crede che siano noiosi, inutili, accessori. Non ci si vuole attardare a spiegare come, ad esempio, si prepari un semplice pranzo, o come si allestisca un bagno. Invece, dal mio personalissimo punto di vista, ho amato proprio il tuo descrivere con dovizia di particolari questi gesti pratici, comuni, appartenenti alla ciclicità pacifica della vita casalinga. Sono spezzoni deliziosi e piacevolissimi da leggere, poiché ti fanno immergere in un mondo vecchio, ti fanno toccare con mano la concretezza delle dinamiche quotidiane di un mondo antico e remoto. Cosicché le tue digressioni descrittive diventano anch'esse narrative, tutt'altro che accessorie. È sbagliato sorvolare sempre su questi passaggi. Digressioni di questo tipo possono diventare narrative eccome, soprattutto se le si narra a tuo modo, cioè non sommariamente (es. pescò due carpe e preparò la cena), perché sì, spesso si trovano indicazioni “a tempo perso” di questo tipo, però liquidate in modo così sommario diventano (in questo caso sì) noiose, diventano delle mere indicazioni. Invece, se tu ti prendi del tempo per spiegare con precisione, con l'amore per il dettaglio, come e perché, allora in questo caso sì che questi spezzoni non sono “a tempo perso”, ma diventano parte integrante della narrazione. Non è assolutamente uno spreco di spazio, è ciò che, esulando dalla trama, dà colore e personalità alla tua storia.
Una cosa originale che ho apprezzato veramente molto è stato il modo in cui hai descritto in che cosa sono diverse le streghe, il modo discreto in cui i loro poteri si manifestano, ad esempio il mite gesto di sfregare un legnetto tra le mani per accendere il fuoco: non è molto diverso dall'atto primitivo che ci aspetteremmo, ma c'è una differenza minuscola e fondamentale: le mani diventano incandescenti. Il tuo è un modo molto dimesso di rappresentare la magia, non ci sono bacchette magiche, bastoni, amuleti... in realtà non ci sono proprio oggetti magici di nessun tipo, ciò che la strega ha di magico è tutto in sé. Infatti non a caso è il cuore della strega l'unico potenziale oggetto magico che compare nel racconto, e questo ribadisce quanto questi “poteri”, questi sensi acuminati siano legati essenzialmente alla natura della strega. È pienamente nella sua natura, tanto che non ha bisogno di supporti esterni, di supporti materiali per esercitare i suoi poteri. In realtà non ha nemmeno bisogno di esercitare i suoi poteri, è fatta così, è una creatura che vive su un piano sensibile differente, sfasato rispetto a quello dell'essere umano. Per fare un paragone stupido, è come se la strega vedesse il mondo in HD, e gli altri essere umani lo visualizzassero a 480p, quasi che quando la strega Osserva, avesse una ghiera di ingrandimento davanti agli occhi che mette a fuoco i dettagli, quasi che il tempo rallentasse sotto il suo sguardo.
Per comodità chiamo queste doti “poteri magici”, consapevole di usare una denominazione inappropriata: perché in realtà non ci mostri dei “poteri magici”, ci mostri un occhio differente, un modo diverso di vedere le cose, ci mostri come la strega sia semplicemente una declinazione umana che Vede e non semplicemente guarda, che riesce a far parte in modo armonico del mondo naturale.
Infine, un'altra caratteristica che ho trovato originale, è la non-belligeranza delle streghe: le tue non sono streghe guerrigliere: non combattono, al massimo si difendono quando vengono attaccate, analogamente agli animali.
Cambiando argomento, l'attinenza al videoclip è stata realizzata in modo eccellente. Mai avrei pensato che qualcuno riprendesse quella scena di incontro/scontro tra il cacciatore e la preda in modo da designare il cacciatore come il figlio della preda. Questa singolare, edipica impostazione madre-figlio ti ha fatto guadagnare ulteriori punti in originalità. Mi piace anche come la strega sia rassegnata a ciò che ha visto essere il futuro, mi piace come vada incontro in modo assolutamente naturale alla morte, e forse anche questa è una caratteristica propria del suo essere più naturalmente inserita nel ciclo vitale delle cose.
Un'altra cosa che ti ha fatto guadagnare punti in originalità è stata la tua decisione di non calcare troppo la mano sul “fattore bellezza”. Descrivi la protagonista, Adaria, come una donna attempata, almeno due volte ribadisci che il suo volto è segnato dal tempo.
Mi dà invece più da pensare questo rapporto ambiguo che Adaria intrattiene con Ionela, devo ancora interpretarlo bene. Comunque sia, denota anch'esso una grande marginalità nei confronti dell'elemento maschile, per quanto concerne il microcosmo delle streghe. È molto strano e particolare l'aggregato familiare che ci presenti:
Il padre (o meglio, il padre di Nistor, perché non sappiamo se sia anche il padre di Briana) è letteralmente lasciato in disparte, sembra che il suo unico ruolo sia stato quello di contribuire quell'unica volta alla generazione. C'è inoltre questo sodalizio femminile, che definirei quasi amoroso, o comunque che poteva esserlo ma non lo è stato: tu stessa ci parli di cose non dette in quel bacio, un bacio che forse non è stato episodico, ma un bacio sicuramente irrisolto, mai chiarito. In realtà non riusciamo ad intuire con precisione quali siano stati i trascorsi tra Ionela e Adaria, ma pare proprio che la loro sia stata una complicità che mai si è risolta, che mai si è sbilanciata, che mai è stata legittimata.
La figura del padre che piange in disparte il figlio è veramente pietosa e “popolare”. È incredibile come un'immagine di pochissime parole dica tante cose. Non ci descrivi il maniscalco, di lui dici solo che tiene stretto il cappello al petto: in questa immagine, in questa impressione, è come se ci dicessi tutto di lui, è un fotogramma, ma un fotogramma pregno di dolore e rassegnazione.
Una cosa che ho amato tantissimo è il tuo modo di giocare l'introspezione dei personaggi, e soprattutto le relazioni tra i personaggi. I dialoghi sono molto semplici e diretti, però tu giochi le interazioni profonde tra i personaggi sul piano concreto, sui gesti. Per fare alcuni esempi: Stelian che si scotta prendendo il boccone di carne nonostante i materni avvertimenti di Adaria; Ionela che lava per un'ultima volta i capelli ad Adaria; Adaria che, per far rinsavire Ionela sul fatto che non potrà mai mettere da parte un figlio che ha partorito, le artiglia il ventre; Adaria che, per persuadere il figlio, compie tra i tanti un gesto emblematico: seleziona il cuore tra le interiora della lepre e lo ingolla quasi con ferocia: un gesto dimostrativo più persuasivo di mille parole.
I personaggi si toccano spiritualmente toccandosi prima di tutto materialmente. I gesti che compiono tra loro sono banali, ma nascondono sentimenti e intenti profondi. Il tuo è un giocare sulla superficie ciò che c'è di più profondo.
Un'altra particolarità della tua storia è che il persecutore, l'antagonista, pur non essendo giustificabile per ciò che compie, ha però una ragione di fondo: è uno di quei cattivi che cattivi non erano, ma che lo sono diventati: danneggiati dall'odio altrui, odiano a loro volta. Il suo non è un odio immotivato ma non è neanche un odio, quello del Domnitorul, dettato da sentimenti superstiziosi, o dall'ignoranza, o da percezioni discriminatorie verso il diverso (basti pensare che la sua compianta consorte era una strega). È un po' come se, in fin dei conti, le streghe si fossero messe nei guai da sole: hanno anch'esse un concorso di colpa, all'origine. La “cattiveria del cattivo” è una cattiveria dolorosa, non è né innata, né dettata da bassi sentimenti, né immotivata. Quindi, da questo punto di vista, la storia in certi passaggi viene stemperata per quanto riguarda il carico di dolore: non la definirei atroce, è atroce la soluzione finale, ma è un'atrocità contenuta, poiché a monte ci fornisci delle motivazioni.
La storia che ci hai narrato è in tutto e per tutto una leggenda. Ha il sapore leggendario di un cerchio che si chiude: c'è un preambolo e c'è una maledizione/profezia, la quale anticipa e stabilisce la conclusione.
Spenderei qualche parola sul finale, anche se potrei ripetermi. L'idea che hai serbato per la soluzione epilogante è piuttosto atroce, ma forse il rating rosso è leggermente esagerato. Certo, il tema di un figlio che uccide la madre, questa sorta di soluzione edipica rovesciata, è pesante, però dobbiamo ricordare che Stelian è inconsapevole del matricidio che compie.
A parte questo, l'espediente del finale è molto buono, anche perché sei riuscita a conservare l'effetto a sorpresa, rivelandoci solo in ultimo, a un passo dal suo compimento, la natura integrale della maledizione.
Prendiamo mano a mano consapevolezza che Adaria ha un compito, e il suo compito è chiudere il cerchio della maledizione, un compito a cui lei non cerca in nessun modo di sottrarsi. C'è una sorta di serena rassegnazione verso il futuro: è così che le cose devono essere, e non bisogna opporsi al corso del destino. Anche questa è una caratteristica che può diversificare la strega da una comune essere umano: Adaria assume la profezia così com'è, sentendosi parte di qualcosa di più grande. Prende con calma assuefatta gli eventi, asseconda l'onda, piega la testa sotto la scure del fato, sorridendo.
Silvar |