Recensioni per
Sostiene Callimaco
di _Maeve_

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
10/04/16, ore 17:38

No, non dovresti cancellarla, lo sai bene anche tu. Capisco cosa intendi, capisco che certe immagini possano apparirti troppo usate (anche in termini di espressioni), che certi versi ti risultino troppo familiari, che come poesia ti sembri troppo articolata (vorresti essere icastica, come chi scrive un epigramma?), che ti risulti troppo postmoderna (ma c'è chi, come me, la apprezza ancor di più proprio per questo) ed ermetica (molto ermetica per via degli autoriferimenti ermetici in effetti, ma chi dice che sia un male?), eppure questa poesia è bella. Semplicemente bella.
Sì, ha l'andare, le reiterazioni e la musicalità di una filastrocca, ma non è una filastrocca. Sono dei versi che incantano, per via del tuo modo di scrivere, che coinvolgono e fanno venir voglia di decriptarli, di captarne le frequenze nascoste. So già che mi porteranno fuori strada le scie che ci hai lasciato, nondimeno tenterò comunque di seguirle. Le tue parole sono troppo invitanti - e scusa se alla fine io sarò forse invadente.

Visto che hai citato Callimaco - seppure incidentalmente, a tuo dire -, e visto che Callimaco sembra vestire i panni di quel tuo super io "che se la ride", io provo a indovinare cosa Callimaco (ammesso che parliamo dello stesso Callimaco) direbbe di sè/di te/del tuo es:

"Metà della mia anima respira, l'altra metà è scomparsa,
rapita da Eros o da Ade, non so bene.
Si è persa dietro a un ragazzo? Eppure li avevo avvertiti
più volte: «Ragazzi, se scappa, non accoglietela».
Sarà a a casa di -; Ne sono certo: è là che s'aggira
quella sciagurata, pazza d'amore."

(Ep. 41. Uno di quelli in cui lascio il segnalibro, per intenderci)

Potrei essere azzardato nel dire che quelle due metà ti rappresentano (o essere banale e generalista: quante persone vi si troverebbero? Tante), a partire da quel primo distico che è figura della tua scissione interiore, della tua freudiana comprensione di te stessa (in cui il tuo super io è narrante e le altre due istanze si sono separate) e dalla sua incertezza, fino al distico finale e alla sua convinzione, alla certezza ritrovata. Tu considerala, io intanto passo ai tuoi, di versi.
L'ironia della tua prima strofa è disarmante, come disarmante è ritrovare Callimaco al primo verso e in posizione analoga lo xanax nell'ultimo. Da una parte la classicità e l'estetica del mondo antico, tanto bello quanto lontano e anacronistico, dall'altra l'ansiolitico e la deprimente ma reale quotidianità del mondo di oggi, quello in cui si trova la tua vita. È divertente l'ironia con cui Callimaco ti riprende, come farebbe un super io rassegnato ma non domato, mentre la seconda strofa inizia a farsi più seria, con il motivo della famiglia - molto pascoliano! Okay, battuta stupida la mia, ehm. - che si (ri)presenta, l'immagine dei tuoi doveri e delle aspettative riposte su di te, del conflitto fra responsabilità e sensi di colpa che ti impone di rializarti e di non fermarti a lungo - la vita esige la tua vita e che tu non te la tolga, la daga passa a lei. Devi riemergere dopo l'apnea - eri in una vasca?
E quel vestito appeso bellissimo, mi chiedo di che colore sia, che forma abbia. Deve essere davvero bello, comunque (o sono dei ricordi a renderlo così bello?), e osservarlo ti riempie un po' il cuore; pensi di starci bene dentro, mentre le giornate si rifanno calde e ti prepari a indossarlo. Ti prepareresti a indossarlo, anzi, e se ne valesse la pena saresti pronta a farti guardare, a donarti a chi in questo momento è distratto da altro. Distrazione a parte, la sensazione è che non ne valga la pena, non per adesso: l'egocentrismo nietzchiano è già irritante di per sé, figuriamoci quando il titolo di superuomo è immeritato. Un pensiero ti trafigge: ché Mishima direbbe, "Va bene la vità, ma dignità anche alla morte". Ci vuole dignità nell'allontanrsi, nello sparire. C'è l'aroma di un libro appena letto, qua dietro, uno di Mishima.
L'aroma però svanisce in fretta: diventi all'improvviso insofferente, non sopporti quei temi e quei pensieri ricorrenti, non sopporti che ancora una volta pervadano i tuoi versi da cima a fondo, il tuo super io si impone e ti ricorda che tu, tu sai essere orgogliosa. Sii emertica, da ora in poi, quantomeno.
Ci riesci solo in parte. Sbuca fuori un Leuconoe, che tu stessa ammetti sia un rimando (a qualcuno), che dice:

"se dici che hai le emicranie,
ti risponde che ha i piedi amputati"

E per quanto mi sforzi, qua è difficile trovare qualcosa (Non che non abbia provato a interpretare: solo che la mia è un'ermeneutica pindarica e sono sicuro d'essere andato troppo fuori strada, ehm). La curiosità è tanta, lo ammetto. È significativo, comunque, che tu scelga una donna e di riflesso quel passo a cui il suo nome è tanto legato. Il suo nome abbraccia quattro elementi: l'amore, le corrispondenze, il carpe diem e quel credere il meno possibile nel domani.
Dicevo, comunque, hai tentato di farti ancora più ermetica, poi sei tornata sui tuoi passi.

"ma meglio - e il meglio ossessiona -
di niente, di pomeriggi madidi, sdruciti e ritorti
e
"vado a cena coi colleghi",
beh io mi sto disperando,
per quanto ti importi;"

Ironica e malinconica, diretta e sincera, per una volta (solo tra i versi, forse).
C'è la penultima strofa, infine, in cui io credo che Callimaco si rivolga ancora a te (dipende anche da come la si legge, sei tu che cambi prospettiva con la tua parentesi), esprimendo l'esigenza di non voler spiegare (quello che provi, o di non spiegare a te quello che provano) e di voler capire (quello che provi o quello che provano) e di non voler ferire chi ti vuole bene (e chi ha fiducia in te, e la fiducia ha un prezzo da scontare).
È buffa la chiusa, in cui diventi l'Amleto che deve andare a immergersi nei libri (rigorosamente senza annegare) piuttosto che scrivere poesie.
Non sarà salutare scriverle, ma leggerle è stupendo, se può consolarti.
Complimenti, Maeve, per come esprimi la tua interiorità, per come ti mostri e per come ti nascondi, per come giochi con le parole.