Questi dieci capitoli sono stati un viaggio alla riscoperta del vero Bucky - un viaggio che inevitabilmente passa per Steve, la sua ancora e lo scrigno che custodisce la sua identità. Ha dunque perfettamente senso che il viaggio termini qui, prima degli eventi centrali in Civil War, in cui Bucky è ancora alle prese con ptsd e atroci sensi di colpa ma ormai quasi totalmente padrone di sé stesso. Così come è azzeccata l'associazione di idee relativa al "vagone merci", che l'autrice sceglie di NON riferire al treno da cui Bucky precipitò (poiché la storia procede in ordine cronologico, sarebbe stata una forzatura troppo evidente tornare a quell'episodio, già rievocato in "Semnadtsat"), ma inventare ex novo una meno scontata correlazione che ci traghetta direttamente nelle battute di apertura di Civil War. Il vagone merci è il tramite che conduce Bucky in Romania, per tenersi alla larga da Steve; è anche la prima cosa su cui pensa di saltare su non appena si sente braccato. Il vagone merci rappresenta la fuga. Da un passato di sangue e morte, da un presente che lo vede braccato, da se stesso e da quello che è capace di fare (e potrebbe fare senza rendersene neanche conto, prova ne è lo strisciante dubbio di aver, in effetti, commesso lui l'attentato durante uno dei suoi blackout mentali). Bucky è un ramingo, un clandestino nel mondo, costretto a nascondersi nel buio e a tener pronte tutte le sue cose per fuggire al primo sentore di qualcosa che non va; vive con i sensi continuamente allertati, e la sensazione di non poter permettersi neanche di dormire in un letto normale che, per quanto ne sa, potrebbe trasformarsi in una trappola. Solo i taccuini continuano a moltiplicarsi - non è come mettere radici, però almeno costituiscono una zavorra sempre più ingombrante. |
Allora, prima di iniziare a dire cose strappalacrime, è meglio parlare del capitolo. |
Ho apprezzato moltissimo il fatto che questo capitolo sia dedicato ai misteriosi taccuini, di cui se ne vede solo uno in Civil War, e qui Bucky è dolcissimo a pensare che ricordare Steve è più importante di ricordare se stesso. Poi è tenero il fatto che lui sappia di doversene andare, ma che stare lontano da Steve lo faccia sentire perso. E allora "stalkera" il suo migliore amico per sapere e ricordare il più possibile di lui e portarsi sempre un po' di Steve con sé. Se solo quest'ultimo sapesse quale guerra sta combattendo Bucky con se stesso pur di vincere il desiderio di restare con lui...detesto il fatto che Bucky si ritenga un assassino capace di fare solo del male, mi viene voglia di coccolarlo e, contemporaneamente, dargli uno schiaffo dicendogli che non è vero. Poi quell'ammissione di "amare Steve Rogers" -che può stare a significare qualsiasi cosa- è stata così...così dolce! Ed è per lui che si allontana, lo fa per il suo piccolo Steve, per proteggerlo. Perché Steve sarà anche Captain America, ma quando si tratta di Bucky lui torna a essere "un sedicenne a Brooklyn". |
"A differenza del primo taccuino, le note sono più approfondite; può non sapere molto di se stesso, ma di sicuro conosce il Capitano." |
Ooook, eccomi in ritardissimo a commentare anche questo capitolo, di cui avevo già pregustato un breve assaggio. Qui vediamo dipanarsi un altro trope che mi intriga: quello della "Bestia", la cui attrazione (non malsana, ma mossa da un genuino istinto di protezione, misto a sincera fascinazione) per la "Bella" è talmente forte da portarla a fare qualcosa di avventato e potenzialmente pericoloso: osservarla dormire, rimanendo nell'ombra, con la scusa di sincerarsi che stia bene. E la Bella, in questo caso, è ovviamente lo sbadato, noncurante, "innocente" Steve, totalmente privo di barriere fra sé e quel mondo che lo spaventa e lo confonde, ma dal quale non ha ragione di celarsi, ecco dunque spiegata la totale assenza di tende e simili. E chi può incarnare la Bestia meglio di Bucky, reso suo malgrado un animale da combattimento senza memoria né identità, mezzo uomo e mezzo macchina, ma la cui parte umana sta finalmente riaffiorando, andando a sovrapporsi a quell'istinto ferino e imprevedibile che tuttora lo rende una mina vagante, capace di esplodere alla minima scintilla? Splendido, dolcissimo il momento in cui le dita di Steve si stringono inconsciamente attorno all' (incauta?) carezza di Bucky, e la sua fuga in preda alle emozioni risvegliate da quel breve contatto. |
Ciao! *sospira per la tenerezza* |
Mi si è spezzato il cuore nel leggere il modo in cui Bucky si accanisce contro il braccio di metallo procurandosi delle ferite: no, Bucky, ormai quel letale pezzo di metallo è parte di te e dovrai imparare a conviverci, a trovare il modo di sottrarlo al controllo dell'Hydra e metterlo al servizio della giustizia. Fortunatamente, mentre il nostro... gattino spaurito e sanguinante se ne sta a infradiciarsi sotto la pioggia stordito da stralci di passato che non è in grado di catalogare, arriva un angelo nella forma di una signora anziana, pratica e determinata a non ricevere un no come risposta. Un trope che personalmente adoro, quello della macchina di morte colta in un momento di fragilità e trascinata, quasi controvoglia, in una casa "umana" da qualcuno rassicurante e autoritario al tempo stesso come solo le nonne sanno essere, che se ne prende cura per qualche ora offrendogli uno spiraglio di calore e normalità quasi familiare. |
Questo capitolo mi ha stretto il cuore davvero tanto, ma non per tristezza o pietà come negli altri, ma di tenerezza e tanta, tanta voglia di abbracciare Anna e Bucky. Secondo me, questa parte della storia serve a mostrare il primo passo verso un po' di normalità per Bucky ma anche per mostrare quanto lui sia disabituato alla gentilezza, alla generosità di persone come Anna e alla normalità citata prima. È scritto e tradotto meravigliosamente come sempre, e inoltre mi è piaciuta molto la scena in cui si scatena il temporale; mi è sembrata una sorta di metafora, è come se la casa dell'anziana signora fosse un rifugio caldo e sicuro in cui trovare riparo, mentre il mondo all'esterno è violento e impetuoso come un temporale, appunto. |
Quello che mi piace di questa storia è come ogni capitolo sia unico e possa essere letto come una one shot; in successione, però, essi assumono tutto un altro significato, offrendoci uno spaccato fluido e straziante dei cambiamenti nella testa di Bucky. Siamo arrivati agli eventi di Cap. II (che rimane il mio preferito tra tutti i film del Marvel Cinematic Universe). Adoro come gli attori principali di questo capitolo abbiano tutti nomi freddi e impersonali, nella testa di Bucky: il Soldato - parola che definisce il suo stesso io, sfuggente e privo di una reale identità, lui è solo "un'arma" dopotutto; la Donna (Nat, con cui Bucky ha un passato in comune); il Capitano. |
Ciao! |
"I rari flash che lo colpiscono quando è in azione sembrano per la maggior parte schegge di ricordi. Sono indefiniti, muri di mattone e vicoli polverosi e ciocche di capelli biondi." |
No, vabbé, addio. Perché l'autrice ci fa questo? T^T |
Mi sono commossa. Mi sono commossa quasi più che negli altri capitoli, è strano a dirsi, ma la desolazione irrimediabilmente vuota che esprime è devastante. Questo capitolo è il primo sul Soldato d'Inverno e mi ha stretto il cuore perché il comportamento di Bucky è tanto perfetto per il personaggio e per la "macchina" che lo hanno fatto diventare, quanto tremendo dal punto di vista umano, anche se chiaramente qui Bucky non ha più nulla di umano. Anzi, qualcosa sì. Dopo un capitolo intero passato a percepire la stessa indifferenza, la totale assenza di emozioni del Soldato d'Inverno, ecco che c'è una piccolissima speranza. Il fatto che Bucky colleghi la bandiera rettangolare a una bandiera rotonda e fiera. Quanto mi è piaciuta questa parte. |
Ho incrociato parecchie volte questo headcanon anche io e ribadisco che lo trovo appropriato e intrigante. E' giusto che il Soldato d'Inverno sia responsabile di qualche omicidio di altissimo profilo, per dare le giuste proporzioni al suo ruolo di arma chiave. Del resto, "he shaped the century", e l'omicidio di Kennedy è indubbiamente uno dei fatti di sangue più iconici e politicamente rilevanti del XX secolo. |
Ho appena finito di rivedere la scena in questione e beh, se nel film accade tutto nel giro di una manciata di secondi, qui il pov di Bucky sembra dilatare il tempo. Il panico che lo assale quando la porta automatica lo separa da Steve (non panico per se stesso, ma per l'idea di non essere in grado di proteggere l'amico, è sempre così, per Bucky). La sensazione di essere a un passo dalla morte quando rimane a corto di munizioni. Il sollievo inaspettato quando Steve irrompe nel vagone. L'angolo della bocca di Steve che si solleva alla sua battuta un attimo prima che si scateni di nuovo l'inferno. Il vagone semidistrutto, Steve che gli tende la mano disperato. |