Rieccomi qua, ancora una volta.
Un capitolo tanto intenso quanto angosciante, che mostra con un'umanità e un realismo schiacciante le pietose condizioni dei deportati. Devo farti i miei sinceri complimenti, perché sei riuscito a trasmettere in maniera molto viva ed evocativa (ho ancora i brividi) quello che succedeva durante le marce della morte. Non solo a livello psicologico, dal punto di vista di Anahìd, che sembra quasi la ricostruzione del racconto in prima persona di un reduce, ma anche a livello descrittivo, come se tu mi avessi schiaffato una foto sotto gli occhi (che suppongo ci siano, ma non ho il coraggio di cercarle).
Questa frase, particolarmente, mi ha dato i brividi: "Follia, irrazionalità, fame, sete, stanchezza, e tutti i vari problemi che stavano angustiando la giovane la facevano diventare qualcosa di disumano, a suo percepire, poiché non provava più pietà per i bambini che spiravano soli nella sabbia, o per le donne che, ancora vive e con gli occhi aperti e vitrei, venivano calpestate dalla massa dei deportati, che nel suo insieme non aveva più nulla da dare al prossimo o al loro sventurato vicino in quel dannato viaggio a senso unico e senza ritorno, siccome non aveva più nulla da dare pure a sé stessa."
Un racconto davvero molto potente, che non concede nulla al buonismo e alla retorica. Bravo, davvero.
Maria inizia a diventare una presenza subdola... mah, vedremo.
Kassim, invece, non si smentisce mai... un barlume di speranza in un baratro oscuro e senza fondo. Qualcosa però mi dice che lui e Mehmet siano arrivati alle armi, e la cosa non lascia presagire nulla di buono... anche qui, suppongo che tra poco avrò il responso.
Vorrei leggere ancora, ma per oggi mi fermo, altrimenti ti intaso di commenti.
Per adesso ti saluto, e ti ringrazio per aver condiviso con noi questa storia che insegna, intrattiene e fa riflettere, senza far mancar nulla alle tre^^
Alla prossima! |