Eccomi qui, a commentare anche questo secondo capitolo.
Confesso che durante la lettura hanno iniziato a suonare tutta una serie di campanelli e campanellini, anche se la loro frequenza assomigliava al chiasso delle sale pachinko (hai presente una sala piena di flipper impazziti? Ecco.). Credo che quello in cui hai deciso di ambientare questa storia sia il mio periodo storico preferito, o meglio: uno dei preferiti (l'altro, è senza dubbio quello tra il periodo Nara e quello Heian, con la nascita del bakufu Kamakura).
Il Giappone moderno è un paese complicato e pieno di contraddizioni, e il Giappone della seconda metà dell'Ottocento è un microcosmo che sta ad osservare il proverbiale pettine raggiungere i proverbiali nodi, ché il potere, de facto, era in mano allo shogun, e all'imperatore la cosa non andava particolarmente a genio. L'Imperatore era poco più che un simbolo, un fantoccio, che aveva ben poco spazio e ben poco peso nella vita politica del paese. Tutto precipita con l'arrivo della nave nera del commodoro Perry e la richiesta (diciamo così) di apertura del Paese: è questo, a dare la stura ad una serie di problematiche che covano da tempo e che non chiedono altro che esplodere col più grande fracasso possibile (come se il fracasso fosse una sorte di compensazione).
I pezzi si stanno sistemando sulla scacchiera: Eiji ha fatto il suo bravo lavoro - o, sì, ambasciator non porta pena è una verità sacrosanta che è valida a tutte le latitudini e per tutte le culture - e adesso chiede solo di pensare a sè. Mi piace molto quest'uomo, pratico e senza troppi fronzoli: è abituato ad ubbidire, lui, quindi può ritagliarsi il proprio tempo tra un incarico e l'altro, ché chi lo sa quanto gli resta ancora da vivere?
Gli ultimi due shogun Tokugawa mi ricordano Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore d'Occidente: il primo per la giovane età, il secondo per la breve durata della sua reggenza. Sono figure tragiche, che verranno schiacciate dagli eventi più grandi di loro, pedine su di una scacchiera ben più complessa di quello che sembrava all'inizio. Si trovano a dover percorrere un cammino già tracciato, senza avere il potere di deviare dal tragitto.
Vorrei rassicurare Takeko: anche oggigiorno le donne devono correre come pazze a destra e a manca (ci servirebbe una giornata di quarantotto ore, altroché!) e che ancora oggi ci sono uomini che reputano le donne inferiori, che parlano aprendo la bocca solo per il gusto di darle fiato (spesso senza avere neppure un timbro gradevole) e che devono mostrarsi superiori a tutti i costi (ah, la tragicomica fragilità dell'ego di certi maschietti travalica il tempo e lo spazio, ahiloro.).
Il nostro Serizawa-san è bello spocchioso, com'è giusto che sia: se non è l'antagonista, il suo ruolo gli si avvicina, e di molto anche. Scommetto che la nostra cara Takeko se lo ritroverà tra i piedi ancora, e ancora, e ancora. Concludo con un sospiro sospirosissimo nei confronti di Hijikata Toshizo, accodandomi ai palpiti del cuore di Takeko; la quale saprà pure maneggiare la naginata, ma, sotto sotto, è pur sempre una donna, e quando un maschietto è bello bello in modo assurdo come Hijikata-san, è un miracolo che la nostra eroina abbia mantenuto i nervi saldi e non gli abbia fatto la doccia, col tè.
Ho un unico appunto sulla figura dei kami; nella tua nota scrivi:
Nello shintoismo sono gli antenati, verso cui si indirizzano le preghiere e le offerte. Nell’antica Roma avevamo, parimenti, i Lari.
Ora, il busillis è che i kami non sono solo gli antenati dell'Imperatore, ma gli antenati dell'Imperatore rientrano tra i kami.
Lo so, sembra uno scioglilingua, ma lo shintoismo è una religione molto vicina ai culti animisti: si venera sia una divinità (il sole, la luna, il mare, il vento, le stelle), sia gli spiriti che l'occhio umano non riesce a cogliere (quello delle risaie, quello della goccia d'acqua che cade, dell'acqua del tale ruscello o della tale fonte; molti dei quali kami si manifestano, alle volte, come fantasmi, tirando scherzi da prete ai poveri malcapitati che hanno la sventura di incappare in loro).
È vero che l'imperatore discende direttamente dal mitico Jinmu Tenno, nipote della dea Amaterasu-o-mikami (mica pizza e fichi), ed è altresì vero che per noi occidentali, abituati al sistema del pantheon greco, è complicato comprendere la linea di confine tra una personificazione della natura ed uno spirito; tuttavia, solo alcune personalità molto importanti sono assurte al livello di divinità (e calzante è il paragone con i Lari della cultura romana), un po' come Romolo divenne un dio dopo la sua morte. Gli Imperatori furono divinizzati, ma gli dei dell'antica Roma non erano le uniche divinità del pantheon (anzi!).
Diciamo che, se è vero che tutti i giapponesi onorano i propri morti, gli antenati dell'Imperatore occupano una sorta di gradino più alto all'interno della scala gerarchica dei kami (sì, esiste, così come esiste una distinzione tra i kami ultraterreni e quelli terreni, ma è meglio fermarsi qui, ché questo non vuol essere un trattato storico/religioso, quanto una precisazione utile per correggere il tiro.).
Mi affaccerò anche per il terzo capitolo, appena riuscirò a ritagliarmi un angolo di pace tutto per me; sono curiosa di conoscere quale sarà il ruolo di Takeko presso la principessa Chikako, e qualcosa mi dice che non dovrà solo pettinarle i capelli con l'olio di camelia o allietare le sue ore col suono della biwa o leggendole delle poesie. Credo proprio di no, sbaglio?
Alla prossima!!
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