Recensioni per
Symphony for a mayhem – in Red.
di hyperktesis

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
13/11/17, ore 14:01

Flash contest – Il tempo di un tramonto


1° Classificata
“Symphony a mayhem – in red” di aware_/sunshower

Grammatica e stile 8/10
Un verbo sbagliato e qualche ripetizione, un po’ di confusione nell’uso di “suo” e “proprio”.
Ho trovato una doppia punteggiatura: “ – ;” (il trattino è un segno d’interpunzione visibile) e manca il significato di “congedo” mentre hai messo quello di tutti gli altri.
Corretto usare il carattere speciale “È” piuttosto che il pigro E’.
Qui “il suo, di colorito, si illividisce.” rendi senziente il “colorito” con la particella “si” e questo non è possibile: il colorito non cambia colore quando vuole, è l’umore a farglielo fare.
Quando scrivi la frase che pronuncia Makoto fai questo: “Senti, Rin. Non voglio sembrarti... precipitoso. So che probabilmente penserai che sono un idiota che sta solo perdendo tempo, Ma volevo dirti, anche se so che non ti interessa Che starti vicino mi fa stare bene, che vederti sorridere mi è sempre piaciuto, e che il colore dei tuoi capelli è il mio preferito.” ed è un peccato perché con qualche puntino di sospensione non avresti fatto alcuni errori di punteggiatura in cui sei incappata spezzando la frase.
Lo stile è rapido e deciso: immediatamente si vede quello che scrivi.
La narrazione è efficace ma a volte stenta per l’uso improprio dell’accapo. Frasi come queste, ad esempio:
“Brezza e sole.
Il tempo non sapeva proprio avere tatto, empatia.”;
“Rin no.
Rin capiva perfettamente”;
“Fu strano in quel momento.
Quasi che quello stupido pensiero gli avesse…”;
ecc., esattamente come le hai scritte tu, sono efficaci e d’impatto, ma lo sarebbero di più se non andassi accapo. Va bene evidenziare alcuni concetti, ma non sempre è bene farlo isolandoli, considerando, oltretutto, che grammaticalmente sono errori veri e propri (per avere una frase è imprescindibile il verbo).
Questo per dirti che lo stile va bene, molto, e non c’è bisogno di agghindarlo, in vista del fatto che lo presenti schietto, pungente e risoluto. La semplicità unita a un’efficace sintesi dà risultati interessanti.


Caratterizzazione dei personaggi 9/10
La peculiarità di Rin è quella di saper attirare la gente. È il fulcro dei suoi amici e rivali. È fanatico, brontolone e grande atleta; ha capelli rossi, lisci e lunghi e delle piccole zanne al posto dei denti. Non è dolce ma ama i suoi amici d’infanzia.
Il tuo Rin è molto enfatizzato, distrutto dalla perdita del proprio compagno, annichilito dal dolore ed io l’ho trovato un po’ esagerato. Sì, d’accordo, Rin è esagerato di suo, ma fino a un certo punto.
Ho trovato il tuo Makoto molto Makoto! Impacciato nel cercare di non essere invadente anche quando si dichiara, lo trovo addormentato e stanco mentre tiene la mano del suo amore. Alto, occhi verdi, tenero, dolce, attento e paziente, è bravo e devoto, fa qualsiasi cosa per i propri amici. È anche bello, il più bello per me, e immagino quanto lo sia con gli occhi stanchi e la barbetta incolta.
I tuoi personaggi sono intensi. Rin di più, forse perché è il protagonista, ma Makoto lo è in pochissime battute e in una testa appoggiata a un letto.

Sviluppo della trama 9/10
Ovviamente, aver scritto cinque flash ti ha aiutato nella possibilità di avere più parole per spiegare e raccontare. È altrettanto vero, però, che più lunghi si diventa, più si rischia d’incappare in qualche errore: la dispersione genera confusione e quindi distrazione. A te non è successo, anzi, hai tirato fuori una bella storia intensa e in crescendo: c’è un incidente, una perdita, il ricordo e il risveglio.
Molto bella e interessante: è un sogno? Succede davvero? La sofferenza è troppa e allora nasce una dimensione parallela dove l’orribile non è accaduto? Chi lo sa, forse sì, forse no, forse tutto.
La trama ci porta a conoscere l’amore tra i due giovani e quanto la morte sia un incubo orribile dove si perde tutto, inesorabilmente.
Alla fine, poi, c’è la speranza. Sì, quella che ti fa credere che sia stato solo un incubo e l’elaborazione complicata di un cervello in sofferenza.
Io li immagino lì, uno appena sveglio, l’altro a confortarlo e l’amore su tutto.
Bello e significativo l’appuntamento al tramonto: hai reso onore al contest e hai scelto uno dei più bei spettacoli al mondo per far concretizzare l’amore.
Dividere il tuo racconto come una partitura è stato originale e ispirato.

Gradimento personale 10/10
Bella storia! E potrei fermarmi qui.
Oh, mi è piaciuta così tanto! La divisione in flash ti ha permesso di raccontare più cose e questo ha giocato a tuo favore.
Il racconto è bello, tenero, scritto con parole giuste inserite al posto giusto.
Il titolo è interessante ma lo avrei preferito in italiano, come in italiano avrei voluto veder scritte le partiture: del resto l’opera l’hanno inventata gli italiani e le diciture sono sempre nella nostra lingua (qualche volta in tedesco). Capisco la modernità e l’universalità dell’inglese ma quando abbiamo qualcosa da dire – che ci appartiene di diritto – con la nostra lingua, sarebbe bello dirla.
Sono soddisfatta per l’uso del “tramonto”: l’unica fra tutti a usarlo pienamente e coscientemente per farsi ispirare.

TOTALE 36/40

Nuovo recensore
05/11/17, ore 21:02

La cura profusa per la ricerca del dettaglio è mozzafiato: un labor limae che si sostanzia nelle scelte cromatiche, nella suddivisione del brano sulla falsariga di un componimento musicale, nel titolo che ne rappresenta la compiuta sintesi. Un lavoro di cesello in cui ogni elemento è perfettamente sintonico con l'altro, dando autonomo rilievo alle singole rubriche scelte – estremamente affascinante, ad esempio, è l'inaspettato “green” che irrompe nella selva di “red”: scelta che si raccorda alla funzione di congedo del paragrafo che introduce. Una chiusura dal respiro genuinamente teatrale.
L'impressione netta che lo stile restituisce è di forte mimesi con la materia del brano, in quanto non s'invola verso complesse perifrasi o dilatazioni narrative, ma si “conficca” nella mente del lettore attraverso una sequenza di proposizioni volutamente brevi: ricalca, cioè, l'atmosfera di sospensione ed improvvisa cesura avvertita da Rin. Egli, infatti, è descritto attraverso un periodare di incredibile trasparenza, capace di “marchiare a fuoco” i suoi turbamenti senza privilegiare una prospettiva distaccata, di sublime indifferenza innanzi al suo dolore: l'armonizzazione fra il contenuto dei suoi pensieri e la modalità d'espressione degli stessi origina una potente crasi di indiscutibile valore. Tale “fusione”, inoltre, non è affatto interrotta dal ricordo presentato in corsivo, anzi; il dialogo così serrato, pulsante s'inscrive perfettamente in un contesto plastico, ove l'introspezione di Rin è proiettata immediatamente sul proscenio.
“Quel nome inciso così seccamente, freddo, sterile proprio non riusciva a ricordarglielo, a comunicargli quella vita appena finita. Rin l'avrebbe sicuramente fatto scrivere diversamente, con un taglio più curvo, più dolce. Eppure era conscio che non sarebbe stato mai in grado, nonostante l'impegno, di rappresentare in qualche carattere quegli occhi, quel sorriso, quella storia.
Nessuno ne sarebbe mai stato capace. “ : da questa descrizione, ad esempio, traggo vividamente l'immagine di un Rin chino, con lo sguardo vuoto, il silenzio fragoroso e foriero del nulla in mente.
Invece, per quanto concerne il registro adoperato, esso è chiaramente improntato alla crudezza e alla forza violenta di immagini, colori ed elementi ricorrenti – la luce asfissiante (salvo quella tenue e morbida di Makoto), il sangue, il buio della penombra dell'appartamento, l'insensibilità vaporwave di Tokyo: tutto, in definitiva, concorre a suggellare la vastità dell'insignificanza che l'assenza dell'amato sprigiona e diffonde, potentemente saldata alla frustrazione disillusa tipica di fervide passioni infrante contro il muro della vacua, atona contingenza.
La trama è articolata in modo da abbracciare ogni dimensione temporale, in modo da creare una suggestiva compresenza di ricordi, apparizioni e riflessioni incardinate strettamente alla realtà. Essa, quindi, si spoglia ben presto di una eventuale rigidità che un angolo visuale esclusivo sul presente di Rin avrebbe potuto provocare: la convincente fluidificazione dei piani narrativi, invece, ha generato un organico caleidoscopio d'immagini. La storia è volutamente posta in controluce rispetto alla forza incoercibile del passato di Rin, il quale ben presto abbandona ogni velleità nel superarlo e/o rielaborarlo; nel passato, infatti, egli trova persino indizi circa il suo futuro, condannandolo ad un'insostenibile comparazione rispetto ad esso. Non a caso, difatti, le sequenze legate al ricordo del loro primo bacio e alla fallace convinzione della tangibilità di Makoto sono mimetiche di una costante esondazione del già vissuto nell'esistenza oramai inerziale di Rin, svuotata di simboli e perciò di significati.
Le riflessioni d'ampio respiro segnano il fondamentale raccordo delle sequenze narrative, caricate di percorsi interpretativi proprio a partire da esse: sto pensando, ad esempio, alla scena del “cenere muto” di Makoto, il cui omaggio è inevitabilmente paralizzato dalla soverchiante convinzione – di cui in primis si fa latore Rin stesso – dell'inanità complessiva di tale atto. “Era ora di andare”, seguendo tale scia, segna il metronomo della storia, in cui ogni particella è intimamente legata alla necessità fatale dell'abbandono, dell'attesa vuota ed indefinita.
Letta in filigrana, la trama appare fortemente sostenuta da un reticolo da cui si dipartono, come infiniti cerchi concentrici, epifenomeni della – fallita – rielaborazione del lutto da parte del giovane, il cui centro gravitazionale implode in se stesso.
Avrei gradito – ma solo per saziare il mio appetito letterario – un maggior quantitativo di ricordi, in quanto la vivida rappresentazione di uno di essi ha conferito notevole profondità al testo, gettando un fascio di luce sulla sofferenza avvertita da Rin, stratificandola ulteriormente.
Asse portante del brano è la figura prismatica di Rin, declinata in un contesto dall'accentuata porosità con il piano della persistente memoria dell'amato precocemente scomparso. Rin è colto, nel solco della massima tradizione post-moderna, in un singolo istante della sua esistenza, il quale più di tutti permette una prospettiva della sua totalità caratteriale; la correlata situazione-limite presentata, inoltre, ne sancisce il definitivo accoglimento del nichilismo e della disillusione, arricchendone le sfaccettature. La tragicità della perdita di Makoto, evidentemente, dispiega un carico di conseguenze sì facilmente prevedibili, ma non per questo di minore impatto, anzi: ciò che impone un approfondimento è proprio la “banalità” di tale dolore, come da lui introiettata. Rin, infatti, rigetta compiutamente ogni tentativo di comunicazione con l'amore scomparso, non tenendolo in esistenza mediante una serie di azioni che ne possano mitigare l'assurdità nauseante, bensì lasciandosi dissolvere in un magma indistinto di difficile lettura: appare quasi incoerente con tale atteggiamento la mancata elaborazione del suicidio, ad esempio. Una sofferenza così radicalizzata non solo cancella con un tratto di gesso l'orizzonte futuro vivibile da Rin, ma elimina ogni suo collegamento con la realtà presente, sancendone la definitiva separazione: la superficie su cui approda, però, è una distesa nullificata dalla cancellazione forzosa della matrice stessa della Significazione. L'ultima scena, in tal senso, ne rappresenta l'epitome: ciò che vivifica la materia è l'antimateria, il vuoto racchiuso in un punto infinitesimale della memoria.
Varie volte ho avuto il piacere di leggere tale storia, e in ogni occasione ne ho scalfito un bordo ulteriore, avanzando nella sua comprensione: di essa, infatti, ho sinceramente apprezzato l'impalcatura multivello, trait d'union con altre tue opere, di cui questa in esame ne rappresenta una base solidissima. Per me, aver avuto il privilegio di assistere alla curva – ripidissima – d'apprendimento della tua scrittura è incomparabile, anche poiché in tal modo sono riuscito a migliorare la mia; certo, questa non è la tua storia migliore, ma credo che essa costituisca un fondamento della tua produzione, in cui hai saputo massimizzare il tuo coraggio artistico, calibrando perfettamente lo stile sul personaggio focalizzato. Infine, l'ordine supremo che traspare dalla storia è la chiara sintesi della necessità di informare la rappresentazione plastica della realtà attraverso un prisma che non la astrattizzi, ma che ne permetta un più vivo approfondimento. Recuperando le finalità ataviche dell'arte, nell'urlo “che sa di libertà” di Rin anche il lettore ne percepisce il tremore delle corde vocali, della purificazione che non può prescindere dalla coazione a ripetere il proprio dolore.
Un fortissimo abbraccio, ancora complimenti!