Recensioni per
Il volto dell'angelo
di Kiki S

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 0


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Nuovo recensore
01/05/18, ore 22:15

Come succede sempre nei tuoi racconti brevi, la narrazione è così coinvolgente che si arriva dritti e spediti fino alla fine. Nonostante gli argomenti che tratti di solito non siano per niente leggeri, il tuo stile è scorrevolissimo e non si fa nessuna fatica ad andare avanti, fino in fondo. Le parole e i pensieri si srotolano naturalmente, senza fatica, ed è veramente un piacere seguirli riga dopo riga.
Mi è piaciuta molto l’organizzazione del racconto, separato come vengono separati gli organi donati. E ognuno di questi è rappresentato da un giovane “ricevente”, che viene inquadrato per un attimo, tratteggiato con descrizioni che non sono troppo lunghe ma danno un’idea ben precisa della personalità e del carattere del personaggio. Ognuno ha dietro una storia diversa, una vita diversa, un’età diversa, un carattere diverso, una famiglia diversa. Peter, il primo, riceverà dall’angelo un cuore, ma è lui stesso un angelo. Un bimbo biondo con gli occhi azzurri che regredisce nell’età proporzionalmente alla preoccupazione della madre. Quando lei lo raggiunge all’ospedale per stargli vicino durante la sospirata operazione, ha dieci anni, quando lui ha paura ne ha 4, poi scende a 2 quando le stringe la mano ma ridiventa un adulto consapevole prima di entrare nella sala operatoria, cosciente che accanto a lui ci sarà suo padre a proteggerlo. In questa parte non è tanto Peter il protagonista quanto il dolore, la preoccupazione e la speranza di sua madre, già provata nella vita dalla morte del marito. Lei non può fare altro che aggrapparsi alla speranza e pregare Dio.
Nikolaus ha 15 anni ed è ormai cosciente di ciò che gli succede, di quello che ha e che gli impedisce di vivere la sua vita come tutti i suoi coetanei. Nella mente di Nikolaus possiamo entrare, non lo vediamo attraverso il filtro della madre (anche se compare brevemente, ma solo vista da lui). Ha pensieri maturi, ormai adolescente comincia a pensare come un adulto, pure se è assorbito dagli eroi dei libri che legge. Nikolaus non soltanto odia la sua malattia perché gli ha compromesso la vita che ha vissuto finora, ma la odia perché potrebbe non consentirgli di morire come i suoi eroi. Ora però un angelo lo ha aiutato e anche lui può salvarsi dall’apnea, diventando forte come gli eroi che sogna e che vorrebbe imitare. Bella quella parte in cui dici che finalmente il futuro può srotolarglisi davanti come un tappeto rosso per un ospite speciale. La speranza, che forse prima non c’era, o magari era celata dal malessere della sua malattia, si scatena tutta insieme e la sua mente comincia a fantasticare, pensando a tutto ciò che finora non ha potuto fare e che finalmente farà perché il fiato non gli mancherà più e non rischierà di morire soffocato. Si sente la sua gioia, che in parte viene però adombrata dal timore che l’operazione possa non riuscire, condannandolo ad una vita-non vita. Questo accenno di tristezza sembra però anche dovuto ad un residuo di rassegnazione, perché la vita che ha dovuto vivere finora è stata limitata e Nikolaus quasi non riesce a credere alla novità, ad adattarsi al fatto che grazie al donatore, i suoi problemi spariranno. Ho sorriso quando hai scritto che al momento dell’intervento “trattiene il respiro”.
Sofia in questa storia non è una bambina, o almeno non nel senso classico del termine, ma un colore. È attraverso i colori che vive, che si esprime, e nel momento in cui tutto diventa bianco e nero, anche lei si trasforma in un’ombra. Sofia è piccola, anche lei viene narrata attraverso le parole della madre, che ci spiega qual è la sua malattia e qual è l’organo di cui ha bisogno per poter continuare a vivere. Anzi, per poter tornare a vivere nei suoi colori brillanti, emergendo dal giallo pallido che la soffoca. Greta, come la madre di Peter, prega Dio e spera, ringraziando (pure se solo per un istante) l’angelo che con la sua morte ha salvato la sua piccola.
L’ultimo capitolo (o paragrafo) secondo me è quello in cui hai dato il meglio di te. Forse perché le tre storie precedenti hanno un lieto fine? Non lo so ma mi sono saliti i brividi non appena ho letto le prime righe, dove la madre dell’angelo siede al buio sul pavimento. Stringendosi le ginocchia e quasi si culla, distrutta da un dolore inconsolabile (dentro è “ghiacciata”), come se le avessero strappato il cuore dal petto e lo avessero gettato via. Tiene tra le dita la foto dell’angelo. Non è importante vederne il volto. Gli angeli sono buoni e sono invisibili. Ci sono, anche se non si mostrano. Anche se rimangono anonimi e fanno del bene donando i loro organi.
Il dolore di Cecilia è davvero palpabile e forse ancora più coinvolgente perché la morte del figlio è una morte stupida, improvvisa e inaspettata, caratteristiche che la rendono inaccettabile. Il “solito” pirata della strada, che investe un bambino e lo uccide. Un guidatore magari in preda ai fumi dell’alcol o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Mi piace quando pensa che il mondo gira nel verso sbagliato, che è pieno di cose ingiuste. Ingiuste e inspiegabili e per questo ancora più terribili. Forse Cecilia credeva che avrebbe potuto riconsolarsi della perdita donando gli organi del figlio, facendo del bene, salvando altri bambini che rischiavano una morte o una non-vita. Invece il dolore è troppo grande e anche se si aggrappa a questa consapevolezza con le unghie, non è sufficiente a consolarla, a farla emergere dal dolore. In fondo neppure le importa di sapere chi è stato salvato, quanti bambini con la morte di suo figlio sono tornati a vivere. Il suo dolore è così immenso che è in grado di contenere la sofferenza di tutte le madri del mondo che, come lei, continueranno a chiedersi fino alla fine: perché?