“Bad fellows”, cattive compagnie. Quelle di ragazzacci vagabondi e giovanotti nobili soli e sperduti per le strade di una città buia, e quelle di due capi criminali che confabulano nell’ombra con lo scagnozzo dei Signori mafiosi della città, decidendo a mezza voce la sorte di un lupo solitario, soppesando con la bilancia del mercenario o del politico quanto vale la singola vita di una persona senza affetti, senza memoria e senza passato rispetto alla sicurezza di tutte le altre creature della stessa specie. Domande non da poco, che seguiranno i personaggi per tutta la prima parte della storia.
Cattivi compagni: un titolo paradossale perchè in realtà il conoscere o confidarsi con altri uomini-lupo è ciò che, in questo capitolo, salva le sorti di due personaggi, Andrej e Sasha. Il primo si consiglia di nascosto con due uomini-lupo più anziani ed esperti per capire cosa fare con la delicata situazione del lupo bianco; mentre il secondo, un nobilotto cresciuto nella bambagia e da poco al corrente della sua nuova natura, evita di morire di fame o di venire derubato, ucciso o catturato dal primo malintenzionato di turno grazie all’incontro con due giovani della sua stessa età, che però si rivelano essere molto più esperti sia nell’arte gestire e nascondere i poteri e i problemi inestricabilmente connessi alla propria natura semi-lupina, sia nel navigare le ingiustizie e le difficoltà ai margini della società umana.
Nel primo capitolo abbiamo conosciuto Sereb, il lupo puro e scevro da compromessi, e Andrej, il ragazzo che reprime il più possibile la sua natura ferina pur di collaborare con le organizzazioni mafiose che detengono il potere nella società umana, anche a costo di catturare lupi per ottenere favori con il capo e scalare la gerarchia della drudzina.
Questi due personaggi sono un po’ gli estremi dell’atteggiamento che tutti i vulkulaki assumono nei confronti della società degli uomini: o fanno parte di quei poteri criminali che decretano tramite violenza e affari sporchi il destino della Russia (e spesso i vulkulaki che fanno parte di queste organizzazioni si trovano ai vertici di esse, come ad esempio Raisa e Lukas, probabilmente perchè alcune caratteristiche tipiche del lupo consentono loro di scalare facilmente i vertici di una società criminale basata da un lato sul rispetto delle gerarchie, dall’altro sull’affermazione del singolo attraverso la forza e la violenza; Andrej è un po’ l’eccezione che conferma la regola, perchè non solo è un vulkulaki, non solo è un criminale mafioso, ma è pure l’unico vulkulaki mafioso sfigato, che i suoi compagni di drudzina sopportano solo perchè va a letto col boss idiota e prepotente. Andrej lo amo perchè è un caso disperato, il tipo di personaggio a cui continua a piovere addosso senza che lui impari a portarsi dietro l’ombrello, lol), oppure sono emarginati e in fuga, impegnati a sopravvivere e a non farsi catturare. Il secondo caso, scopriamo, avviene soprattutto se si tratta di stranieri, ragazzi poveri senza contatti alle sfere alte (o che queste sfere le hanno infastidite e da cui quindi cercano di scappare-ehm ehm Ilyas e Aisha ehm ehm-), o giovani anche ricchi che però non hanno parenti in vita con lo stesso dono/condanna, e che quindi si ritrovano sbandati e spaesati fino a che non trovano un loro simile che ha la gentilezza di spiegare loro la situazione e di prenderli sotto la propria ala.
Come in un romanzo di formazione tardo ottocentesco, il giovane Sasha, sprovveduto e ingenuo, vaga per le strade di una città ostile e complicata, dopo un evento che gli ha cambiato la vita, in attesa di un incontro che lo farà di nuovo, si spera in modo migliore. È troppo sorpreso dal rovesciamento improvviso della sua sorte per capire davvero quanto la sua situazione sia tragica, e tutti i rischi che sta correndo. Troppo meravigliato, di fronte al gelo una città che credeva di conoscere e gli si rivela estranea, per cedere alla disperazione. Cammina spaesato come in un sogno, evidentemente spaventato e allo stesso tempo inconsapevole dei rischi come solo i ragazzi cresciuti in famiglie ricche sanno essere; e improvvisamente incontra due giovani di diversa estrazione sociale che gli faranno scoprire un po’ di cose sul mondo in cui vive e su stesso. Gli apriranno gli occhi sui pericoli di una città che per i ricchi è solo un luogo in cui abitare o da cui andar via, ma per i poveri e i fuggiaschi è un mostro labirintico e ingordo, che può divorarti o renderti immune per sempre al suo veleno, perchè dietro ogni vicolo si celano rischi mortali o ghiotte occasioni, e bisogna essere al tempo stesso molto scaltri per evitare i primi, e molto coraggiosi per cogliere le seconde. Sasha non è nessuna delle due cose, ma Ilyas è entrambi, Aisha ha dovuto imparare ad esserlo. E sono disposti (più o meno) ad aiutare Sasha ad adattarsi al suo nuovo status di reietto dell società, a patto che Sasha sfrutti le sue conosci e se di famiglia e il suo passato da nobilotto per aprire loro porte in locali super-extra-riservati, in cui a quanto pare alloggia gente con cui Ilyas e Aisha hanno conti in sospeso. Non ho l’olfatto sopraffino degli uomini-lupo ma posso lo stesso fiutare odore di guai lontano un miglio. Anche Sasha lo sente, e forse per questo identifica Ilyas e Aisha come bad fellows, cattivi compagni che lo porteranno a correre grossi rischi. Ma sono anche le uniche compagnie che lo sventurato ex-nobile può permettersi al momento, due mezzi-lupi come lui che però sanno più di lui cosa comporti questa condizione. Due vagabondi misteriosi, dall’umorismo caustico e lo sprezzo delle regole da un lato, un giovane nobile ingenuo e ciarliero dall’altro. Ho amato tutti i dettagli del loro primo incontro. Ho amato il fatto che assistiamo a questo incontro tramite lo sguardo Aisha, più riflessiva e meno caustica di Ilyas, ma meno ingenua di Sasha, più scaltra di lui per quanto riguarda il modo in cui funziona il mondo. A differenza di Sasha, Aisha non è palese nelle emozioni che prova. A differenza di Ilyas, non ha seppellito ogni speranza sotto un corroborante e rabbioso cinismo. Amo il suo personaggio, è probabilmente il mio personaggio femminile preferito per ora. La bambina piangente dello spin-off è cresciuta. Anni di fuga, probabilmente, povertà, traumi, anni passati a nascondersi e ad avere come unico riferimento il fratello Ilyas. Sicuramente Aisha ama molto suo fratello, essendo il giovane la sua unica famiglia, ma mi piace come non sempre gli dia retta, soprattutto quando Ilyas si dimostra particolarmente stronzo col primo poveretto che gli capita accanto. Non che Ilyas non abbia motivi per sputare veleno contro un mondo che ha cercato in tutti i modi di schiacciarlo, eh, ma apprezzo il fatto che Aisha, pur essendo cauta e diffidente quanto e più del fratello, ma non è diventata insensibile alle sventure del prossimo. È cresciuta fidandosi e affidandosi solo ad Ilyas, ma nel suo animo c’è spazio anche per l’empatia verso altre persone che soffrono la loro stessa solitudine ed emarginazione, ma lo dimostra in modo cauto, nei piccoli gesti, non con grandi proclami o estroversi slanci d’affetto. In sostanza, è uno di quei personaggi disincantati perchè sanno come gira il mondo, ma non cinici perchè continuano comunque a impegnarsi nel loro piccolo perchè il mondo giri un po’ meno di merda. Quei personaggi che fanno la cosa giusta non perchè credano di avere una missione, di poter o dover cambiare il mondo o essere artefici di una svolta positiva nella storia, ma semplicemente perchè a loro viene naturale, perchè qualcosa nel loro animo e nella loro sensibilità si ribella al pensiero di ignorare la sofferenza altrui come se niente fosse, soprattutto quando la vita gliela sbatte a un palmo dal proprio naso. Eppure Aisha non è una ragazza classicamente “dolce”, anzi è scostante, introversa, amara, indurita da tutto il male di cui è stata sia vittima che testimone, da una vita randagia ai margini, dal razzismo che si trova a sperimentare quotidianamente sulla propria pelle per via della sua carnagione scura e del suo aspetto non slavo, dai meccanismi malati della società che lei e il fratello hanno dovuto imparare a navigare per sopravvivere, dalla rabbia repressa di Ilyas che lei non può evitare di provare per riflesso. Però lo dimostra in modo diverso. Forse era troppo piccola, quando la vita sua e di Ilyas fu sconvolta, per portarsi sulla schiena come macigni affilati i traumi del passato come fa Ilyas. Se li porta dietro lo stesso, ma in modo diverso, sotto forme di fantasmi, vaghe memorie quasi invisibili e inafferrabili che l’accompagnano come ombre, presenze naturali a cui è talmente abituata che non pensa più a loro e allo stesso tempo non ha la minima idea di cosa voglia dire vivere senza di essi (a differenza del fratello, che invece i tempi felici se li ricorda in modo molto più nitido.)
La vita di Ilyas e Aisha è obiettivamente una lunga e travagliata storia dell’orrore, con fin troppe similitudini a tragedie che tutt’ora avvengono in molte parti del mondo, ma la prima impressione che si ha di loro e della loro vita durante il primo incontro con Sasha ha un qualcosa di romantico, affascinante, da romanzo d’avventura ottocentesco (di nuovo). Due ragazzi stranieri e misteriosi che vagano da soli in una città desolata, un fratello e una sorella che hanno vagato da soli contro il mondo sin da quando erano bambini, due “stranieri” della più bassa estrazione sociale che fuggono da alcuni membri più importanti dell’elite che li vogliono catturare per motivi sconosciuti, due paria che in invece di rassegnarsi escogitano un piano per infilarsi nella tana del lupo, tra le fauci di quegli stessi nobili che li stanno cercando, per depistarli o forse vendicarsi. È tutto molto Romantico nel senso del termine con la R maiuscola. Posso capire perchè Sasha, questione pratiche a parte, si sia sentiva attratto/incuriosito da questo duo, pur essendo psicologicamente, socialmente e fisicamente il loro opposto.
Poi oh, ho un debole per le storie in cui “solitario non per scelta ma per circostanze esterne incontra altro solitario che invece lo è ANCHE per scelta e che vorrebbe rimanere tale, tante grazie, ma succede un imprevisto e la trama che si complica costringe i due personaggi a condividere il cammino e niente, ora sono best friend forte anche se si staccherebbero la testa a morsi a ogni piè’ sospinto.” Questo per dire che aspetto la (riluttante) bromance tra Ilyas e Sasha almeno quanto il nascere della storia d’amore tra il russo e Aisha. Ho un debole anche per i legami che iniziano come accordi reciprocamente vantaggiosi e finiscono per diventare riluttanti amicizie. “Non ti sopporto ma abbiamo rischiato la vita insieme più di una volta quindi mi sa che siamo obbligati a diventare bromance per contratto, poi ormai mia sorella ha deciso che sei parte della famiglia quindi ci tocca continuare a salvarci la pelle a vicenda”
In generale, mi piace come stai caratterizzando le dinamiche tra vulkulaki in questa storia- metà dettate da convenienza e/o necessità, metà da un sincero senso di comunanza e “branco” che si instaura tra simili.
Ho grandi aspettative per il trio di moschettieri mancati e riluttanti composto da Ilyas-Aisha-Sasha, perchè comunque la giri ci sono i presupposti per dinamiche interessanti da esplorare.
Passando all’altra combriccola dei confabulatori: ma Andrej come ha conosciuto Raisa e Lukas? Mi interessa il tipo di rapporto che ha con questi due vulkulaki molto più importanti di lui nelle gerarchie sia lupine che umani. Con Lukas sembra che ci sia più cameratismo, e anche della protettività di Lukas verso Andrej, ma quest’ultimo sembra provare più ammirazione e rispetto (sconfinante nella venerazione) per Raisa, che è più fredda e distante, ma meno disposta a risolvere le situazioni con la pura violenza e più propensa a nobili slanci di solidarietà per il povero Sereb, anche se comunque rimane una donna che si fa guidare più dalla razionalità che dall’emotività (ed è giusto che sia così, visto la posizione che ricopre). Lukas è un mercenario, protettivo dei “suoi” ma fondamentalmente cinico per quanto riguarda gli affari col mondo esterno. Raisa invece trasuda energia di un leader, misteriosa ma affidabile, razionale ma disposta ad accettare, capire e consolare gli slanci emotivi dei membri più giovani e inesperti.
Le combriccole, nuove e vecchie, sono il filo rosso che lega questo capitolo, che attraverso il formarsi di nuove dinamiche tra personaggi, e lo svelarsi di altre, illustra quanto possano essere vari e diversi i legami che si instaurano tra gli uomini-lupo nella società umana, e il modo in cui suddetti uomini-lupo si adattano a vivere in essa.
Infatti, se andando avanti nella storia verrà mostrato come gli uomini-lupo tendano a far branco tra di loro o perlomeno a provarci, essi non vivono quotidianamente raggruppati sotto un unico clan o in unico branco, a quanto sembra. C’è un Clan che comanda su tutti e al cui capo tutti devono obbedire ma di cui non tutti i vulkulaki fanno parte- un po’ come accade per l’organizzazione mafiosa che sembra governare la Russia nella tua storia. La società degli umani e quella dei vulkulaki sono opposte ma in un certo senso speculari.
Questo secondo capitolo mostra infatti come esista, almeno teoricamente, una solidarietà tra implicita tra i vulkulaki, un codice d’onore non detto per cui va bene uccidere o tradire gli umani se sono nemici o se semplicemente fa comodo farlo, perchè la società post-apocalittica in cui i tuoi personaggi funziona così, una società in cui homo homini lupus è un detto che funziona molto più per descrivere le dinamiche della società degli uomini che quelle tra i lupi. Gli esseri umani sono “lupi” nel senso dispregiativo del termine, e i tuoi lupi sono “umani” nel senso umanistico del termine. Uccidere o essere anche solo complici di un’uccisione di un altro uomo-lupo è infatti visto da molti personaggi come qualcosa di impensabile, indecente, che bisogna cercare di evitare anche in guerra o nelle faide tra organizzazioni criminali. Tant’è che membri o capi d organizzazioni criminali diverse come Raisa, Lukas e Andrej si incontrano a confabulare tra loro perchè la lealtà tra vulkulaki, e la sorte di un loro simile, vale più dei giochi di potere tra le drudzine. Forse più che di onore si tratta di empatia, di quel senso di unione e solidarietà che si crea istintivamente tra chi condivide la stessa diversità, dono e fardello al tempo stesso.
Dico che si tratta di empatia e non onore perchè Lukas e Ilyas, due personaggi che hanno un modo di pensare molto da lupo, sono titubanti a dare l’aiuto a degli sconosciuti come rispettivamente sono per loro Sereb e Sasha, perchè non vedono il punto di rischiare la sicurezza propria e dei loro affetti/di persone che conoscono per gente verso cui non hanno nessun obbligo. Questo non è perchè Ilyas e Lukas siano necessariamente lupi solitari, come Sereb, ma perchè è hanno un’idea di branco molto ristretta ed esclusiva. Per loro non basta avere in comune il sangue di lupo o qualche simile potere magico- bisogna essere famiglia di sangue (nel caso di Ilyas, che ha perso tutta la sua famiglia e si aggrappa ad Aisha come a un’ancora di salvezza che lo tenga attaccato alla vita) o avere un passato condiviso, far parte della stessa gerarchia armata o avere le stesse persone come affetti o punti di riferimento (nel caso di Lukas). Per l’uno e per l’altro, prima di venir considerati parte del branco bisogna aver vissuto insieme determinate esperienze che legano le persone le une alle altre quanto è più del sangue. Ironico che sia Ilyas sia Lukas siano entrambi uomini-lupo molto “lupini”, nell’orgoglio, nei modi di fare e percepire il pericolo e, nel caso di Ilyas, persino nelle movenze, eppure per nessuno di loro due basta essere mezzi lupi per meritare aiuto e compassione. Probabilmente perchè, per esperienze di vita, entrambi hanno imparato che gli stronzi esistono sia tra i lupi sia tra gli umani, quindi non basta essere una di queste due cose per avere un “pass” per il loro affetto. Sasha invece non ha idea di come siano complesse e stratificate le gerarchie dei vulkulaki e ingenuamente che crede che basti dire “sono come voi” per diventare tutti amici. Aisha, invece, che se ho capito bene non ha conosciuto altri vulkulaki eccetto se stessa, il fratello e la madre morta, sente subito un moto di vicinanza misto a curiosità verso Sasha, un ragazzo diversissimo da lei per carattere ed estrazione sociale che però, come lei, è SIA lupo CHE umano e non vuole rifiutare nessuna di queste due nature. Ho amato l’ultima frase del PoV di Aisha in cui lei afferma questo concetto sulla propria identità, sul fatto che possa essere entrambe le nature senza rinnegarne nessuna. È una dichiarazione di amor proprio e di orgoglio ancor poù potente proprio perchè viene fatta da Aisha, un personaggio che ha vissuto determinate cose nel suo passato che avrebbero potuta portarla a vergognarsi della sua parte di lupo o a rifiutare quella umana.
Andrej invece, che è molto meno in contatto con la sua natura vulkulaki, prova un tanto vago quanto urgente desiderio di salvare o perlomeno non nuocere a nessun suo simile, il che è curioso. Ma anche coerente in un certo senso, nel modo contorto in cui lo è Andrej: il ragazzo mezzo-lupo che non avrebbe avuto problemi a uccidere un lupo, cosa che metaforicamente rappresenta il suo non aver accettato quella parte di se’, prova un generico e astratto senso di comunanza con gli altri vulkulaki che è più forte di quello che provano i vulkulaki che hanno accettato la propria doppia natura e trovato il proprio branco, proprio perchè lui è mancante sotto questi due aspetti. Se, nella mente di Andrej, essere per metà lupo è una condanna, allora tutti i vulkulaki condividono lo stesso fardello e gli stessi dolori, per cui devono aiutarsi a vicenda, indipendentemente dal lato umano per cui parteggiano. Se non hai il tuo branco, o sei inserito in un contesto sociale che non solo non ti valorizza ma ti disprezza, e da cui tuttavia non sai staccarti, il senso di appartenenza lo senti non verso queste persone, ma verso qualcosa o qualcuno di astratto che potrebbe essere “come te ma meglio di te”. Che poi quando Andrej si trova concretamente ad aver a che fare con Sereb o altri vulkulaki più “lupi”, apriti cielo, non ce la fa a farcela. Alla fine il dilemma della situazione Andrej-Sereb, che poi è anche il dilemma dell’incontro/scontro tra Sasha e Ilyas&Aisha è: si intende per “un tuo simile”? Andrej avrebbe catturati un vero lupo ma non può sopportare di fare del male a un altro vulkulaki. Per Sereb questa è incomprensibile incoerenza. Per Ilyas, Sasha non è come loro perchè li separano etnia ed estrazione sociale. Per Aisha sì perchè, aldilà delle differenze, il giovane russo e i due fratelli condividono qualcosa di più profonde delle differenze di tipo sociale of etnico, e questa cosa è l’essenza stessa della loro natura. Andrej crede lui e Sereb appartengano alla stessa categoria perchè sono entrambi vulkulaki. Sereb sostiene che lui è Andrej siano diversi in modo inconciliabile perchè lui ha rinnegato la sua parte umana, Andrej quella lupina. Andrej percepisce che il lupo bianco Sereb sia “come lui” non solo perchè sono entrambi vulkulaki ma anche perchè Andrej come Sereb si sente in gabbia, anche se forse solo inconsciamente. Sereb pensa che lui e Andrej NON siano nelle stesse situazione perchè, se permette, solo uno dei due è davvero in gabbia- l’altro ha contribuito a rinchiudercelo. Raisa pensa che Sereb vada salvato o almeno aiutato perchè è uno di loro. Lukas ritiene che vada eliminato perchè è un pericolo, e che su di lui non vadano spesi troppi scrupoli di coscienza perchè mon è parte del branco.
Ma qual è il branco? I vulkulaki che conducono il tuo stesso dono/condanna, anche se non ti sono amici, o gli uomini con cui condividi il pane e le battaglie ogni giorno? Lupi sconosciuti o solo quelli che conosci? E se dovessi mettere in pericolo uno dei tuoi per salvare un tuo simile che però è un estraneo, lo faresti? È giusto farlo? Quando’ è he il desiderio di proteggere i membri del tuo branco da tutto e da tutti smette di essere protettività e diventa paranoia? Quand è che dare la priorità ai tuoi affetti piuttosto che agli estranei diventa crudeltà gratuita? E quand è invece che il desiderio di aiutare qualcuno senza averne i mezzi diventa stupidità? Dov è il limite entro cui il sacrificio smette di essere nobiltà d’animo e diventa masochismo?
Ps (scritto dopo aver letto la risposta alla tua recensione e alla storia breve Vivi) grazie grazie grazie per la risposta alla recensione! Mi fa davvero piacere parlare con gli autori delle loro storie e sono contenta se riesco a comunicare il mio entusiasmo di lettrice a chi quella storia l’ha scritta, perchè comunque credo sia giusto “ripagare” in un certo senso gli sforzi che chi scrive per passione fa per coltivare questo hobby, regalando ai lettori avventure e personaggi senz’altro tornaconto che la gioia di scrivere una storia fatta bene, con una trama intricata, un buono stile e dei personaggi tridimensionali. È una cosa che richiede molta cura e determinazione, quindi è giusto che chi commenta si impegni a dare la giusta attenzione a ciò che scritto. A volte ho paura di esagerare e scrivere troppo con le recensioni, magari proiettando nei personaggi tratti psicologici che non erano voluti dagli autori/autrici. Mi fa piacere se mi scrivi che non è così e che la mia interpretazione di Andrej è azzeccata. Merito tuo che hai creato un personaggio che si fa subito “sentire” dal primo capitolo; anche se non riveli subito tutta la sua storia, il flusso dei suoi pensieri avvolge presto il lettore in un mare di contraddizioni psicologiche che però coesistono con un senso. Ilyas è un personaggio più criptico, anche con se stesso, però il meccanismo è lo stesso: il tono che usi per descriverlo attraverso gli occhi degli altri delinea subito il tipo di personaggi, e il tono caustico, rabbioso e conciso conferma l’essenza del personaggio pur senza rivelarne subito tutto il passato nei dettagli. Tra parentesi, apprezzo la scelta di non aver reso Ilyas e Aisha esplicitamente “angstosi” come Andrej, perchè, visto che i traumi dei due fratelli sono tra gli argomenti più delicati di questa storia, e, per fare in modo che non risultino gratuiti, certi argomenti è meglio trattarli senza eccessi di “angst”, almeno nei primi capitoli, senza indorare la pillola ma neanche diluirla troppo in litri di melodramma che sembrano voler costringere il lettore a capire la gravità di situazioni di cui CHIUNQUE abbia un minimo di empatia capirebbe la situazione Insomma, l’angst lo preferisco per le situazioni in cui il disagio è più che altro psicologico, oppure nei momenti di catarsi, in cui il personaggio inizia il proprio percorso di guarigione interiore e così facendo si ritrova a dover rivivere il dolore per superarlo, quando per la prima volta si interfaccia DAVVERO con il proprio trauma dopo averci convissuto per anni cercando di ignorarlo. Da questo punto di vista, penso che Ilyas e Aisha siano scritti nel modo in cui piacciono a me, almeno per quanto ho letto (mi sono portata avanti nelle ultime sere e ho quasi finito di leggere la storia principale fin dove è stata aggiornata-mi mancano sei o sette capitoli corti su Wattpad, che dovrebbero corrispondere più o meno alla metà su efp).
Ilyas e Aisha mi piacciono perchè è evidente sia la loro sofferenza sia il modo in cui la reprimono- e se da un lato è evidente quanto questo reprimere il dolore e non parlare del loro passato li penalizzi, soprattutto nel creare nuove relazioni e rapporti umani, perchè creano una bolla in cui solo loro si capiscono (perchè solo loro si conoscono), dall’altro è letteralmente l’unico modo che avevano di sopravvivere. Ci sono dolori che ti rendono difficile uscire dall’auto-commiserazione, e traumi che invece ti COSTRINGONO a evitarla a tutti i costi per sopravvivere, anche a costo di reprimere tutto e perciò rischiare di non guarire mai del tutto da essi, perchè riflettere a lungo su quanto accaduto da un lato li porterebbe ad elaborare certe cose, e quindi forse a iniziare a sanare certe ferite, ma dall’altro lato potrebbero rischiare di annegare nelle implicazioni del loro stesso passato, nel dolore che ha causato in loro e che hanno cercato di reprimere per tutti questi anni proprio per evitare di venir sommersi da essi.. Il cervello stesso reprime o nasconde alcune cose, a volte, per permetterci di continuare a vivere. Di trovare la forza e la volontà di guardare avanti dopo tutto quello che avevano passato. Azzeccatissimo il fatto che la storia in cui viene narrata la traumatica fine dell’infanzia di questi due personaggi sia chiamata paradossalmente “Vivi”. Ma si può vivere davvero scappando per sempre, nascondendosi sia dai nemici, che dal proprio dolore? L’animale braccato che sopravvive a stento sta davvero vivendo al massimo le sue potenzialità? L’arrivo di Sasha nel microcosmo di Ilyas e Aisha è anche simbolico: il primo elemento esterno, ma buono, che rompe inavvertitamente e sconvolge senza cattive intenzioni la bolla in cui i due fratelli sopravvivono legati tra di loro e inaccessibili al mondo. Una gabbia che un po’ i traumi hanno costruito attorno a loro, e un po’ si sono costruiti addosso da soli o a vicenda, per paura di venir feriti di nuovo, o che il mondo togliesse loro l’unica persona per cui vivere/a cui aggrapparsi.
Parlando della Russia: non ho mai studiato la lingua (nonostante da bambina avessi amici che parlavano russo in casa coi genitori), ma ho sempre avuto un amore per gli scrittori di questa terra, e un’attrazione per i romanzi e le storie che qui (o, meglio, lì) sono ambientate. Un mio sogno è fare la Transiberiana, non mi ricordo da dove è partita quest’ossessione, però so che collezionavo tutti i resoconti di giornalisti che avevano intrapreso questo viaggio (avevo una serie di libretti in fila, tutti resoconti di viaggio intitolati “Transmongolica e Transiberiana”) e ci fantasticavo spesso su creando storie e personaggi.
Mio padre conosce molto bene la Russia, e quand’ero ragazzina me ne spiegava la Storia e le contraddizioni, e così facendo mi ha spinto a leggere molti dei grandi romanzi della letteratura russa durante gli anni del Liceo. Poi, più recentemente, studiando arte e soprattutto teatro in università mi sono confrontata con l’importanza che nel Novecento hanno avuto pittori, intellettuali e drammaturghi russi nel riformare, arricchire e talvolta stravolgere queste discipline.
E la cultura popolare e folkloristica russa è altrettanto ricca e interessante di quella “ufficiale”, ma penso che tu lo sappia proprio bene visto che stai scrivendo una storia basandoti su una delle tante leggende che la compongono!
Comunque i romanzi (così come i film) ambientati in Russia (anche scritto da autori di altre nazionalità e/o in altre lingue) hanno sempre quel tocco in più, qualcosa di magico e impalpabile che cattura e mette in soggezione. Credo sia perchè il paesaggio che viene descritto/ripreso rende tutto più simile a una ballata epica, a un qualcosa di ancestrale che ti spinge a confrontarti con le ridotte dimensioni dell’essere umano di fronte alla sconfinate sa della Terra e della Natura. E si sa che dal desiderio di sconfiggere la propria piccolezza, nascono il bisogno umano di fare arte, e quello di cercare risposte alle grandi domande esistenziali della vita. E accanto a tutto ciò, a tutta questa bellezza e cultura, ci sono le contraddizioni, le disuguaglianze di un Paese che per quanto abbia cambiato spesso il proprio regime non è mai riuscito a sanare le proprie ingiustizie, una tendenza al potere assoluto che ha cambiato spesso nome e modo di operare senza mai abbandonare il proprio dispotismo. E le guerre, le differenze etniche di popolazioni che convivono da secoli in una convivenza spesso sofferta, il capitolo nero dei gulag, di cui l’Occidente è venuto a conoscenza tardi e forse mai troppo approfonditamente....è impossibile pensare al freddo e alla durezza di certi paesaggi russi senza pensare alla tragedia che spesso ha pervaso la Storia (con la S maiuscola) di questo Paese. In sostanza, penso che non avresti potuto trovare un Paese più adatto in cui ambientare la tua storia che unisce antiche leggende a un’atmosfera post-apocalittica, in cui il freddo che s’infila nelle ossa si confonde con la diffidenza strisciante che permea tutti i rapporti umani, e la sconfinatezza gelida della Siberia sembra lo specchio dei tempi desolati che corrono. E i vulkulaki, creature per metà animali puri e selvatici e per metà esseri umani mafiosi e corrotti, si aggirano in questa Terra composta solo di fredde città grigie apparentemente senz’anima, e immensa natura (quasi) incontaminata che a un occhio interno appare altrettanto fredda e crudele, anche se forse d’una crudeltà di tipo diverso.
...questa volta ho *davvero* scritto troppo e a vanvera (si dilegua in una nuvola di fumo e nevischio siberiano). |