Anche questa poesia, come la poesia precedente, può dare adito a qualche dubbio di interpretazione.
Quello che mi viene in mente stavolta è che il castello non è che una metafora dell’anima di chi scrive (o dell’anima amata?). Me lo fanno pensare il verso finale (“mi prendo cura di te”) e l’altrimenti eccessiva semplicità del contenuto.
Si ha quasi paura ad entrare dentro, per via dell’oscurità restia ad illuminarsi alla luce primaverile, e per via dell’apparente vuotezza.
Ma c’è sempre una finestra, aperta, invitante, se la si riesce a distinguere fra tutte le finestre cadute in disgrazia.
Entrare e “prendersi cura” sono due azioni l’una legata all’altra. |