Ciao,
avevo adocchiato questa storia da un po' e ho approfittato del ponte per passare a dare un'occhiata.
Non mi ha attratta solo l'introduzione in cui parli di un disagio psicologico comune ma non per questo banale, ma anche per l'ambientazione. Lo ammetto: non mi ricordo com'era la vita prima dei social, forse perché sono cresciuta in un mondo in cui sono entrati a poco a poco.
Oltre a sentire un moto di solidarietà per Anita - perché vivere queste situazioni tutti i giorni deve essere un inferno - non ho potuto provare disprezzo per quei bulli che, forti del branco, si credono grandi e divertenti.
Invece risultano solo tristi e patetici.
"Si crede di potersi abituare a certe situazioni, ma è una bugia, non ci si abitua mai ad essere trattati da schifo, si spera sempre che gli altri comprendano il male che stanno commettendo e si redimano, invano."
Penso che questa frase racchiuda il senso di tutta la storia che vuoi scrivere. No, al dolore non ci si abituata perché, chissà come, è sempre capace di raggiungere nuove vette.
Anche se non avessi letto l'introduzione, la differenza tra Stefano e i suoi compari è palese. Lui non la ferisce con i gesti, cerca di infilarsi con le parole nelle crepe della corazza traballante che la ragazza indossa.
Nota di merito per Giovanna che, sebbene all'inizio non mi avesse fatto una buona impressione, almeno si accorge che c'è un problema. I suoi colleghi - e mi vengono i brividi a pensare che le scuole siano zeppe di questi elementi - credono che siano solo ragazzate, una di cui preoccuparsi.
Arrivando alla fine, credo che sia naturale che Anita, isolata nella vita reale, cerchi un rifugio nel mondo virtuale. È comprensibile ma anche molto pericoloso, perché c'è il rischio di perdere di vista la ragione e attribuire a una persona che si nasconde dietro lo schermo più valore, fiducia e affetto di quanto in realtà abbia.
Ci vediamo al prossimo capitolo,
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