Dici bene, cara kamony, non è sempre facile scrivere: le parole si consumano e stanno male insieme, a volte come abiti portati troppo, dai colori che non s’accordano più fra loro.
Ci imponiamo regole - rime, metriche, versi corti - e ci sorprendiamo a fare fatica nel seguirle. Ma le regole, paradossalmente, come nella vita, ci liberano dallo sbandamento in una strada senza i margini delimitati. E seguirle può essere “molto stimolante”.
Anche leggere non è sempre facile. A volte leggendo si fa violenza a chi scrive, perché si capiscono fischi per fiaschi.
Mi piace l’architettura di questa poesia: come un crescendo di versi che vanno allungandosi e articolandosi, con la virgola che spezza e rallenta l’ultimo.
Facile il primo verso. Ma ho sempre avuto un'istintiva repulsione per le cose facili, le strade in discesa, le vite automatiche.
E nel secondo verso si scopre, troppo tardi - o non è mai troppo tardi? -, che in questo viaggio veloce qualcosa si perde, qualcosa muore: giornate, parti di noi… Eppure c’è del bello nel giorno che muore, nel sole che si spenge, nell'emozione che cede il posto al sonno. Tutto suggerisce il donarsi.
L’ultimo verso è pesante, inesorabile, nella sua banalità, nel suo essere tautologico: ciò che era non è più.
Forse c’è da disperarsi nel cercare di afferrare invano qualcosa che è impossibile recuperare.
O forse c'è da sentirsi liberati da ogni condizionamento del passato.
Tutto, come sempre, dipende da noi.
Ma intanto la vita vola via.
Anche se le tue 14 parole l’hanno un po' rallentata, invitandomi alla meditazione.
Un abbraccio. |