(Segnalazione indirizzata all'amministrazione per l'inserimento della storia tra le scelte) È da tanto che ho aggiunto questa storia tra i preferiti. È da tanto che l’ho letta e tante volte l’ho riletta. E, a costo di rendere banale il commento, che è stupenda penso si debba dire. Stupenda perché ogni frase, ogni immagine, ogni tassello che la costituisce, e poi ognuno di questi in rapporto con il resto, con la storia nel suo complesso, secondo me costituisce e racchiude una piccola poesia. Sono tanti livelli, tanti significati che vanno ad intersecarsi e che formano un’impalcatura perfetta. Un piccolo gioiello. E non intendo bella soltanto a leggersi: se “compito” dell’autore come di ogni artista o aspirante tale è, attraverso il proprio stile, incanalare un sentimento, trasmetterlo sotto pelle, per così dire, direi che questo piccolo componimento lo fa e lo fa divinamente. Che poi è la cosa più importante di tutte. Personalmente, posso dire che ogni volta che la rileggo, sento questo scambio osmotico tra la parola e la percezione mia di lettrice. Entra nel cuore, nell’animo.
Adoro Mordred e adoro il modo in cui l’hai reso, reinterpretato. Credo non sia facile dipingere con poche righe incisive un’intera realtà, un’atmosfera particolare, e per giunta farlo attraverso gli occhi di un bambino (mi riferisco alla prima parte della storia). Invece, in questo caso la resa non poteva essere migliore: si sente la voce, la percezione, l’angolo visuale del bambino, tra le parole. Un bambino solo che sente la distanza di chi lo osserva, che sente quella patina di disprezzo, che non ne coglie il motivo – e in questo è molto, molto vicino ad una percezione nostra, secondo alla mentalità attuale –, un motivo che non può essere una sua colpa. Una percezione che sente diffusa intorno a sé e che qualche anno avanti gli farà dire
erano i preti di corte che rimproveravano suo padre per la sua nascita, ancor più per non averlo allontanato debitamente. Un re dovrebbe dare il buon esempio, dicono.
Scacciando il proprio figlio, dicono. Uomini di chiesa. Le loro parole non hanno più valore del fango sotto gli zoccoli del suo cavallo.
E, giuro, per questa riflessione l’avrei baciato. Riflessione che poi è così vicina al nostro sentire… Così tremendamente assurdo, che si condanni qualcuno per aver avuto un figlio fuori del matrimonio – come se non fosse una creatura, un bambino, un ragazzo come tutti gli altri – facendo assurdamente pesare la “colpa” sul piccolo che colpa non ha, e non si condanni invece il gesto di abbandonare un innocente. Nascondere la colpa. Abbandonando un piccolino. Anzi, la cosa è addirittura autorizzata con nonchalance come opzione da preferire alla prima, come “dare il buon (?) esempio”! E questo lo sentiamo noi e lo sente il personaggio che parla.
Ho sempre avuto, in generale, la convinzione che il personaggio di Mordred (almeno, stando alle nostre categorie mentali) tenda a rifuggire alle semplificazioni – da notare, stranamente, che parlo di quello che è noto universalmente come il “cattivo ragazzo” per eccellenza del ciclo bretone!) –: ecco, io tendo più a leggerlo come personaggio “sfasato temporalmente”, portatore di un modo di rapportarsi a ciò che all’epoca era considerato importante così avulso dal suo tempo.
Vedasi ad esempio la sua considerazione di quel che dicono i preti a proposito dei figli illegittimi. Non sente l’autorità della figura ecclesiastica, non sente il timore reverenziale verso la figura in quanto tale, buone o cattive che siano le sue parole (può essere un abito sacerdotale così come poteva essere una corona o un qualunque altro “simbolo”): lui sente l’atrocità del pensiero portato avanti da quella persona. Poco importa poi se questo è nobile o prete o contadino: ha sparato un’atrocità, punto, e non c’è abito o oro che tenga. Ecco, è in questi piccoli accorgimenti che si sente il suo essere un po’ al di fuori del suo mondo, come una voce super partes, non direttamente plasmata da quella mentalità. Una mente che usa categorie differenti, schiettamente *sue*, nel muoversi in quel mondo. Un atteggiamento che lo rende più affine ad una mentalità moderna, che rende il suo modo di vedere le cose attuale, vicino a noi, quasi avveniristico rispetto ai suoi tempi. Ecco, in questa storia lui è presentato in questo modo, e trovo sia una rilettura molto interessante, confacente al personaggio. Forse è stato anche questo a farmelo sentire così vicino, chissà. Può sembrare un po’ un anacronismo, messo su piano, ma non lo è affatto: trovo sia piuttosto una percezione tremendamente interessante, capace di ampliare l’angolo visuale.
Ci sarebbero decine e decine di frasi da citare, poi, e ognuna meriterebbe un commento approfondito, perché l’intrecciarsi dei piani è così intenso e complesso che tutto contribuisce a reggere l’impalcatura. A plasmare sillaba dopo sillaba il significato – o meglio, l’intrecciarsi di significati, di temi, alcuni appena accennati anche solo con una parole o un’impressioni, altri su cui invece la penna si sofferma – è piuttosto una somma di tanti significati.
E il significato complessivo che fa da tetto è terribilmente struggente. Nulla è trascurabile. E davvero, ci sono momenti in cui ci si avvicina davvero alla commozione. C’è un crescendo, una malinconia pacata che conduce verso l’inesorabile finale. È come se la tragedia fosse già nell’aria, latente, sin dalle prime parole.
Il tema antenati/posteri forse non è originale, ma capace di offrire infiniti spunti, ed è originale – e dolorosamente intenso – il modo in cui è stato tradotto. Forse il pensiero di recare gloria ai padri ed essere ricordati dai posteri era l’ultimo filo conduttore che rendeva Mordred legato in qualche modo al suo mondo, che lo rendeva figlio del suo tempo: venuto tragicamente a mancare quello, esplode il conflitto incolmabile. Anche qui lo trovo deliziosamente “moderno”: la sua prima discesa in battaglia è stata sufficiente a ribaltare la sua iniziale visione: combattere non per la gloria dei padri o la gloria futura, ma per la difesa della sua terra, della gente che vive e lavora. Meraviglioso. C’è una frase, a questo proposito, alla fine:
Noi siamo il sangue che abbiamo versato, non quello che ci scorre nelle vene.
Ed ecco, anche qui l’ho amato, sul serio.
Forse a garantire la sua permanenza in vita, la presenza di quei legami sottili, era proprio Galahad, figura delicatissima e amata che emerge attraverso la prospettiva del protagonista. Lui era il tramite, era la sintesi compiuta di tutto ciò che per Mordred vi era di bello. Personalmente, il loro rapporto l’ho inteso come amore, come qualcosa che va molto, molto oltre un semplice sentimento d’amicizia tra due compagni d’arme. C’è un affetto che emerge quasi sublimato, che si fa sentire leggero, eppure incide. Forse non “amore” nel senso ristretto del termine, ma “amore” nella più completa accezione, direi di sì.
E stupenda in tal senso anche la metafora dei capelli biondi di Galahad, che al sole diventano rossi. Biondo il Galahad reale, calato nel suo mondo e obbediente alle sue regole, il Galahad che tutti vedono e a loro modo idealizzano; rosso il Galahad che è centro e fulcro della vita di Mordred, di tutte le implicazioni positive ad essa connesse. E lui che forse smette davvero di respirare nello stesso istante in cui Galahad ha smesso di respirare. Una corrispondenza bellissima e terribile al tempo stesso.
Non so dire se un’implicazione amorosa vera e propria tenderebbe ad aggiungere o togliere a questa poesia, ma quando penso alla scena con loro tra i cespugli due insieme alle ragazze il giorno di festa, ecco, tendo a leggere anche questa come una proiezione del forte sentimento di Mordred per Galahad. Che in realtà cerca la mano del compagno steso al suo fianco. Ecco, forse se a questo punto la voce narrante avesse presentato direttamente, che so, un bacio tra i due (non che non mi sarebbe spiaciuto… Specifichiamo! <3), forse l’effetto non sarebbe stato altrettanto intenso. Chissà se davvero, una volta congedate le due ragazze, rimasti soli loro due, una scintilla nell’aria non abbia davvero reso concreto l’incendio. Incendio, alchimia fra loro che in realtà esiste e pre-esiste, indipendentemente poi dalla sua realizzazione concreta.
Potrei davvero continuare all’infinito – e in effetti temo di aver continuato all’infinito XD Perdonami se ho steso un papiro, forse anche vagamente disorganico…^^
Concludo però dicendo che secondo me questa è una stupenda storia d’amore, profonda e delicata, che merita di stare tra le Storie Scelte per la meravigliosa corrispondenza tra lo stile adoperato, la bellezza delle parole scelte e il sentimento che veicola. Le sensazioni che regala al lettore. Personalmente, io quel brivido l’ho sentito; e penso sia questo il momento preciso in cui la parola scritta si fa arte, si fa poesia. |