Storie originali > Drammatico
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You’re in the wrong place, my friend, you better leave! (Ultimo aggiornamento)
Cambiato titolo. Di nuovo. Questa volta preso dal testo di "Desolation Row" di Bob Dylan. Io però ho usufruito della versione dei My Chemical Romance, sorry my dear.
Questa serie parla di gente distrutta - pazza, persa, senza chance. E' la gente con cui abbiamo tutti i giorni a che fare: a volte ci fa ribrezzo, altre pena. A volte tentiamo di approcciarci a loro.
Sono soli.
Siamo noi.
Siamo soli.
Buona lettura.
[ Autore: beesp ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 8 ]
[ Rating generale: Giallo ] [ Generi principali: Introspettivo ]  
[ Aggiornata: 13/09/11 ] [ Completa? - No ]

Sorridi alla morte (Ultimo aggiornamento)
Varie donne e ragazze. Tante motivazioni. Un unico destino.
[ Autore: Black.Mamba_MaF ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 3 ]
[ Rating generale: Giallo ] [ Generi principali: Triste, Malinconico, Drammatico ]  
[ Aggiornata: 01/01/11 ] [ Completa? - No ]

come lo zucchero nel caffe (Ultimo aggiornamento)




Questa sono io a 15 anni: sono piuttosto bassina, 1,57 .Ho un viso rotondo ,con carnagione bianca ,un po’ rosata, soprattutto sulle guance. Gli occhi uno strano incrocio grigio verde. Da non far capire esattamente il loro reale colore, cambiano come la luna.
Sono io a guardare le cose con un altro occhi? E a scorgerle diverse ogni volta che le guardo ?Oppure sono esse, che cambiano davvero… Come tante altre cose, anche questa, resta avvolta, in un alone di mistero. Il mio naso, piccolo, rispetto al viso, un po’ all’insù, con una macchiolina rosa sulla punta, perfettamente tonda.
Scendendo , sotto il naso, c’è una fossettina , a forma di lacrima, come una goccia , che tiene il labbro superiore, leggermente rialzato, visto di profilo.
I contorni delle labbra un po’ più rosa, rispetto al viso si confonderebbero, sino a sembrare un tutt’uno. Anche se le linee lisce non lo permetterebbero. Questa sono io: Milena. La mia bocca è piccola rispetto agli occhi ,che sembrano tagliati sul volto. Che sono solita tenere bassi.
Sono sempre distratti , svagati, un po’ da bimba , come se fossero stati dipinti con dei colori pastello. Usciti da un quadro fiammingo, hanno un’immagine statica e un po’ sbiadita.
Capita sempre più di rado, ora , che emani tali lampi di gioia, ma quando capita, coinvolgo tutti ,in una fortissima carica emotiva. Il mento è la parte più dolce e sensibile che ho, di me. Non mi piace sottovalutarmi per farmi tirare su dalla gente che mi circonda, perché ho da sempre la giusta misura delle cose, nel vedere , nel percepire , nel parlare…e … il giusto senso di ciò che valgo.
Milù ama la cioccolata, e la panna sulle fragole.
I miei capelli ,invece, non sono mai stati allo stesso modo .
Mai sempre gli stessi; da piccola ero una bambola dai capelli biondi, e boccolosi, a 16 anni chiari, ora invece castana , a tratti direi biondina, ricciolina dai capelli di media lunghezza. Incorniciano il viso rendendolo più vivace, vibrante, di un dipinto pieno di colori caldi, o solo per nasconderlo. Mi pare di assomigliare ad un angelo, a tratti e a momenti ad una creatura quasi tentatrice e perfida , capace di fare tanto male. Capace di suscitare protezione , amore, passione, diffidenza.
E’ da un anno che non vedo mia mamma, ormai.
Mi raccontava che quando nacqui io aveva così tanti soldi, che non gli bastavano nemmeno per comprare la culla! Lo diceva con ironia, amaramente! Ora capivo perché i miei primi vestiti erano quelli di un bimbo più grande di me, che a differenza mia ,però, era molto ricco. Fu così che mi trovai con coperte e vestitini tutti di colore, celeste che è un bellissimo colore, per l’amor di Dio , ma tutti mi scambiavano per un maschietto.. ! Ma pensandoci bene ora, dopo una vita da donna, sebbene non ancora conclusa. Mi sarebbe piaciuto sembrare tale il più possibile, ed invece ho dovuto presto accettare la mia reale sessualità, e adattarmici , vestirne gli abiti, con tutti gli annessi e connessi del caso. Ma nonostante tutto, quello che è stata la mia povertà, devo ritenermi ancora “fortunata”.Perché il cibo non mi è mai mancato. E mia madre faceva la cameriera presso la casa di quella persona, tanto ricca quanto arrogante, e meschina, quale era il Sign. Mancuso. Da allora iniziai a pensare che non ero all’altezza. Che il Signore mi desse troppo, e che dovevo essere più umile ,perché mia madre per me faceva tanti sacrifici. Mia madre decise di andarsene via. Appena si presentò la possibilità, di un posto più sicuro per lei, e per me .Lei era una ragazza madre. Rimasta incinta da un figlio di papà !.. anzi “ quel “figlio di papà.. poi seppi essere, in seguito: il figlio del Signor Mancuso. Giacomo Mancuso, stupido rampollo di famiglia colta e ricca, che aveva come passatempo preferito il molestare donne povere o ingenue ,quale era mia madre . In verità ,mia madre si illudeva di poter restare con lui , dopo aver avuto me. Ma non fu così .E’ una prerogativa di alcuni uomini,infatti, fuggire .Quando la situazione diventa difficile da gestire. O solo quando non gli và. Uno di questi era proprio mio padre. Prima che nascessi io mia madre viveva a Bologna .Sono siciliana io; di mamma siciliana e padre calabrese. Mio nonno insegnava filologia romanza all’Università di Bologna , facoltà di Lettere e Filosofia . Mia nonna esercita la professione di psicologa. Mirella, la loro unica figlia, tenuta nell’oro e negli agi. Quando decisero di prendersi una vacanza a casa di amici, successe il guaio. Perché fu lì che la ragazza si innamorò, pazzamente del figlio Giacomo, e perse talmente la testa ,che non potè non darsi completam
mente a quell’immaturo. Che pur nella sua codardìa la amò veramente, ma di quell’amore debole; infantilmente sincero di chi si illude, di poter conoscere da solo il mondo .Ma poi scopre che glielo faranno conoscere papà e mamma e che non potrà che vederlo solo con gli occhi loro. Molto probabilmente questo mio modo di vivere la vita e i sentimenti con impeto adolescenziale l’ho ereditato è scritto nei miei geni, eredità dei miei genitori.

Mi sembra di soffocare dal caldo, è luglio , non c’è lui. E’andato via e son sola qui, a cercare di trascorrere questi pomeriggi caldi, che paiono interminabili. Vorrei andarmene via per cercare di dimenticare ma non posso farlo .Lo dimostra la lacerante solitudine che mi circonda. Come fai a dimenticare se non hai qualcuno accanto che ti dà una mano ad uscire fuori. Giaccio come un vaso di fiori abbandonato. Solo una irresistibile curiosità mi spingeva all’uomo della biblioteca .Cioè di fargli leggere ciò che avevo scritto un anno fa. Quella voce non l’ho dimenticata ancora. Assieme a quella di mia madre , è una voce calda bassa, mi accarezza l’anima e il cuore .Mi riscalda le fredde mani se ho freddo e mi culla se ho bisogno d’amore e affetto. Il solo ricordo.. ma allora mi tormentava e mi perseguitava.
Mi pare però , ho l’impressione di essere cresciuta troppo in fretta. Forse i discorsi di mia madre , i suoi ragionamenti ossessivi, nella loro assurdità ripetitiva. Era una donna molto sola, frustrata, , forse anche lei avrebbe voluto fuggire dalla sua vita quando era giovane, ma poi non lo ha potuto fare . Ma il ricordo di mia nonna , quello non lo vorrei cancellare mai dal mio cuore, lei c’è, e vive ancora dentro di me. Più viva di me. Ma forse un po’ tutte , noi donne , abbagliate da un qualche amore e sconfitte dal suo abbandono, vogliamo fuggire . Ad un certo punto… scappare lontano. Siamo state forse delle boe di libertà per certi marinai che cercano delle sirene ,e che anziché restare stregati dal loro canto ammaliante, e dal fascino prepotente, e dal loro sguardo leggendariamente abbagliante , trovato delle piccole e indifese boe di libertà.
E a noi, cessato il sogno, resta di tornare alla nostra vita di tutti i giorni, piccole cenerentole abbandonate. E tutto torna sempre peggio.
Gran parte della mia vita è trascorsa invece, con quella donna che io credevo essermi familiare.
Ma l’affetto che provavo per lei si trasformò presto in pietà. Eppure vedevo in lei un certo sforzo di amarmi ma in realtà mi rifiutava , mi allontanava perché assomigliavo sempre di più a lui. E un errore si può forse dimenticare, celare sotto mentite spoglie di un sogno mai realizzato, di un dolore mai dimenticato, ma gli errori tornano sempre soprattutto quando tornano a sottolineare la nostra incapacità.
Ogni scusa era buona per farmi arrivare pesanti ceffoni e urlando univa degli insulti. Ero un errore; l’avevo capito .Basta! Presto iniziai a non mangiare più , credevo che alimentarmi fosse un sovrappiù , più lo stomaco mi brontolava più ero felice.
La mia infanzia trascorreva così in un mare di risentimenti, preoccupazioni e pettegolezzi della gente… Trascorse né troppo lenta, né troppo veloce , chiusa in una stanza. Il televisore fu il mio più grande e primo amico . Nè mi conveniva pensare o ragionare preferivo sognare e per farlo mi allontanavo sempre più dalla vita e dalle persone. I pomeriggi mi estraniavo dai miei compagni e aspettavo la cena. Mia madre tornava a casa sempre più tardi ed io mi fabbricavo nella mente situazioni morbose dove lei era l’unica protagonista; vedevo lei vittima di situazioni pericolose, temevo che qualcuno la sequestrasse, che le facessero del male. Come se fossi io la madre e lei lo sa figlia. Temevo che le succedesse qualcosa di brutto , che qualcuno la rapisse , che le facessero del male. Le immagini di quello che lei era sono rimaste impresse nella mia mente ;la scoprivo stanca dall’immagine che rifletteva il vetro di lei, mi presentava agli occhi il volto di una donna stranamente serena che trasmetteva una grande paca
tezza. Era ambiguo per me quel suo strano modo di comportarsi; mi aspettavo che sarebbe accaduto qualcosa di strano. Ma vedevo la sua bellezza che sfioriva a causa della stanchezza. Mi piaceva tanto mia madre che era davvero bella con quei suoi capelli neri lisci sulla pelle bianca ed il suo viso poco appariscente al contrario del mio. Gli occhi grandi e neri comunicavano una grande voglia di sognare . Il fisico era molto alto e bello. L’unica cosa che ho preso da lei è il seno, che è il massimo della femminilità di una donna giovanissima. Sembra quello della Primavera di Botticelli. L’adoravo fisicamente e mi ritenevo fortunata per essere la figlia di una donna tanto bella. Mi faceva inoltre tanto piacere sentirla muoversi come un gatto per casa, parlare, discutere al telefono e vedere come simulava un atteggiamento sereno e tranquillo. Io sapevo della sua fragilità, di quanto i problemi nella sua testa divenissero insormontabili e che quando si imponevano alla sua mente costituivano un ostacolo alla sua felicità , quindi cercava di allontanarli. Si sentiva tanto tanto sola. C’era una lettera che giungeva a lei una volta ogni tanto, poi un po’ più spesso, poi un po’ più di rado, poi non arrivò più.
Era di sua cugina, le scriveva di uscire dal suo silenzio,di farsi sentire e di non chiudersi. Lei non rispondeva ma non buttava via quelle lettere. Io le leggevo di nascosto. Io immagino che mia madre soffrisse le pene dell’inferno, la vita con lei aveva più di un debito , lei reagiva soffrendo e alle volte senza nascondere il suo dolore. Mi picchiava se non facevo i compiti, si era trasformata in una donna violenta e chiusa. O se le sporcavo il pavimento..
Si era dimenticata che ero una bambina ,ma è spesso la reazione di chi è debole prendersela con chi è più debole. Io dovevo capire che non era perfetta.. che poteva sbagliare.. con me. Ed io…..che ancora una volta non potevo fare nulla ma prima o poi avrei dovuto abbandonare quel mondo chiuso quando l’età della fanciullezza fu interrotta dalla mia nuova vita da donna che iniziò all’età di 10 anni. Era la prova che ero cresciuta diversamente dalle mie coetanee non solo psicologicamente ma pure fisicamente .

Ero in piscina, ci andavo una volta a settimana, di più non me lo potevo permettere, aveva problemi alla colonna vertebrale ed ero molto magra.. Da qui mille commenti e risatine: “ Ma non mangi? Cha hai? Sicura di stare bene? L’altra metà l’hai lasciata a casa?”.
Avrei potuto parlare, spiegare di me ma non mi piaceva parlare di me agli altri.
Avrei potuto , anch’io come gli altri buttare fuori la parte falsa di me tanto per farmi vedere uguale agli altri ma , ma non facevo così; preferivo ritirarmi in disparte. Lei era diversa: si chiamava Lidia e aveva 17 anni, frequentava tanti ragazzi e fu la mia prima amica. Fu causale il nostra primo incontro, mi chiese di prestarle la cuffia per i capelli, io fui velocissima nel porgergliela. Mi ero quasi innamorata dei suoi occhi e delle sue mani..
Vissi il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza come il peggiore della mia vita.
Credevo che Dio ce l’avesse con me, voleva farmi cambiare, morire dall’umiliazione e dalla vergogna per il mio nuovo corpo e soprattutto per togliere il disturbo a mia madre. La vivevo come una malattia perché mi sentivo sola. Ogni parola mi ricordava la mia “malattia”, volevo morire perchè l’idea di crescere, di diventare un essere sessuato, che servisse ad un altro per dare piacere e riceverne uno a me ancora sconosciuto mi faceva una terribile paura. Avrei voluto nascondere a mia madre tutto. Ma ciò che mi dava sofferenza era che non ne parlavo con mia madre e quando lei capì o scoprì che ero diventata una donna mi rimproverò e mi trattò immediatamente come una donna, usando parole e frasi prima di allora a me totalmente sconosciute. Io pure quella volta dovevo capire. Poi la vidi sempre più distaccata nei miei confronti e da ciò pensai che “crescere” voleva dire in realtà restare da soli, senza affetto.

L’inizio dell’adolescenza fu per me l’inizio di una nuova e diversa solitudine che consisteva nella prima timida poi sempre più ossessiva ricerca di affetto da qualsiasi parte esso provenisse.
Così al vuoto affettivo di mio padre si unì quello di mia madre, vissuto ancor di più come una ferita lacerante. Mio padre in fondo non c’era mai stato, mia madre invece se ne era andata con la mente a vivere in un altro mondo. Quando non hai mai avuto qualcosa percepisci il senso imbarazzante della mancanza, quando l’hai perduta percepisci invece il dolore della perdita . Spostai l’interesse della mia vita non più verso gli oggetti, come poteva essere un televisore ma su me stessa, sul mio corpo cambiato, anch’esso perduto che doveva tornare mio.
A quel punto nasceva in me il bisogno di sapere, di scoprire che fu molto più forte della vergogna.
Dovevo assolutamente parlare con qualcuno ma c’era solo mia madre. Con lei non volevo e ne approfittai del dialogo appena iniziato con Lidia. Avevo uno sconfinato bisogno di certezze e di sicurezze, anche se non mi avrebbe tranquillizzata mi avrebbe dato una spiegazione, perché avevo bisogno di una pur piccola e inutile sicurezza. Fu forte l’emozione nel raccontare a lei quello che mi stava accadendo ma non imbarazzante perché stranamente di lei non avevo paura .La sua prima espressione fu di meraviglia, poi mi abbracciò .Mi disse che stavo per diventare donna, come tutte le altre .Mi disse che di anomalo non c’era nulla e che la mia “malattia” era necessaria ed indispensabile nella vita di una donna. Mi fidavo di lei perché era tranquilla e perché sapevo che era così come lei diceva. Stavo diventando una donna e ora lo sapevo, ne ero perfettamente cosciente.
E che mia madre poverina non accettava che io stessi crescendo e staccandomi da lei e abbandonarla forse come le aveva fatto mio padre. Quello era l’anno della mia seconda media . E a me piaceva molto studiare. Mi dava soddisfazione anche quando non primeggiavo . Iniziai a sognare di andarmene via da quel posto, andare lontano, via ma per il momento mi interessava di più notare l’effetto che il mio corpo sortiva sui miei coetanei, sbalorditivo quasi, direi forse per le mie rotondità. Lidia mi aiutava in questo scopo facendomi frequentare dei ragazzi, mia madre, invece, mi osservava dal buoi dei suoi silenzi senza fiatare come si fa con il bel paesaggio di una cartolina.

II cap: “Gli uomini tornano, forse è vero non tutti tutti…”Forse è tornato quando tu non c’eri!”.

Lidia aveva 17 anni e si stava diplomando perché voleva fare la maestra d’asilo. Ricordo bene la sua figura esile e molto magra. Occhi azzurrissimi con mille riccioli castani che le andavano spesso sulla fronte e lei tirava indietro, era come mia madre e mia sorella. In quel periodo lei fu tutto per me . Per me era l’esempio della femminilità incarnata e fatta persona perché era dolcissima in viso e di una rara tenerezza perché stava con me non perché quel modo di fare tanto delicato non era un modo di essere ma la sua vera indole .La sua vivacità incredibile riempiva le mia giornate che prima di quei momenti non aveva conosciuto il calore dell’allegria. Il suo carattere , invece, era mite e si manifestava in generosità e garbatezza ; i suoi vestiti ,se li volevo, divennero pure i miei. Arrivò a prestarmi tutto; i suoi orecchini, fermagli anelli bellissimi ed era disposta a darmi pure la sua casa.
Ma nel contempo al momento giusto era tanto ambiziosa e forte e quei tratti li aveva ereditati dalla madre , che aveva solo lei come figlia e i genitori a Lidia le permettevano tutto perché le volevano tanto bene. Ma non per questo era viziata ma ambiziosa e onesta. E per questo credevo che mia madre forse non me ne voleva abbastanza. Ma la sua era una possessività che celava un profondo egoismo in sé, più che altruismo…Lidia è la persona che alla quale un giorno potrò dire grazie per essere stata io me stessa, quello che sono diventata e che continuo ad essere. Era una dea lei per me ed io per lei avrei fatto qualsiasi cosa. Ma iniziai a pensare che lei si comportasse così con me perché nella mia diversità avvertisse un senso di pietà .Ma in quel periodo neppure mi sfiorava . Se non era proprio pena di certo qualcosa di simile che
la spingeva a donarmi il suo affetto. Sapeva tutto e lo disse un giorno che sapeva che non avevo un padre e che mia madre ed io eravamo tanto sole. Si accorgeva se avevo sempre lo stesso abito vecchio e malconcio e se le mie scarpe erano mal ridotte e provvedeva regalarmi sempre qualcosa ed io accettavo perché le veniva dal cuore quel dono. Non mi disprezzava , né mi umiliava come fa tanta gente al suo posto. Qualche volta mi prestava qualche abito suo e si dimenticava… di farselo restituire. Alle volte me ne confezionava uno lei perchè era una bravissima sarta. Più passava il tempo e più le volevo bene e mi ci affezionavo non per i suoi doni.. anzi li accettavo proprio perché le volevo bene. Alcune delle cose che mi regalava erano tanto belle che non ne avevo viste mai di più raffinate. Ma per il suo tatto, per la sua gentilezza raffinata. In una sola parola per come lei sola era fatta; per il suo non offendere mai e per il suo modo squisito di rivolgersi al prossimo. Lei metteva in atto l’”ama il prossimo tuo come te stesso”. Nella sua fiducia nella vita. Lei capiva sempre e comprendeva la mia situazione. Nessuno mai mi capì più di lei. Da subito tra me e lei ci fu qualcosa di molto forte ed iniziò ad invitarmi a casa sua sempre più spesso. Arrivò al punto di telefonare a mia madre per dirle che ero sempre sola e che le avrebbe fatto piacere la mia presenza. Mia madre , come al solito, non disse mai nulla , ed io finì per essere a casa sua sempre più spesso, a tal punto che quella sembrava la mia casa: “Milena vieni che sono sola a casa e ci divertiamo come matte! Questo mi diceva, nonostante lei non fosse da sola, nonostante ci divertissimo come due matte. Lei mi voleva lì e non c’era una spiegazione che si potesse comunicare con le parole, erano sensazioni che si avvertivano quando eravamo insieme.
Il mio 13esimo compleanno fu lei a festeggiarmelo. Invitò a tale scopo tutti i suoi amici che erano pure i miei. Appartenevano alle migliori famiglie ma non per questo snob perchè avevano una tale maturità da non fare caso a come ti vestitivi e a i soldi che avevi perché sapevano che non erano le cose a fare la differenza. Ti guardavano negli occhi perché a loro importava conoscerti dal di dentro e non gli importava la forma di ciò che dicevi ma il contenuto. Inoltre non ti deridevano né ti sottolineavano quando eri in un momento di difficoltà ma anzi erano indifferenti perché avevano fiducia nella mia maturità ed autocritica e così me facendo me ne conferivano tanta. Quell’ambiente mi fece crescere mentre mia madre si allontanava sempre più da me più di quanto già non lo fosse. Quell’anno si dimenticò il giorno del mio compleanno . A parte questo tutto in quell’anno fu perfetto. Il giorno del suo diploma fu bellissimo. Io avevo la testa ad altro e lei faceva i compiti per me. Era l’anno della mia prima cotta che si chiamava Marco. Ricordo i suoi lineamenti, i suoi baci, la sua bocca. Furono le prime carezze e coccole che mai si possono nascondere dietro quelle con quelle del’altro amore. Eppure mi illudevo che lui ci tenesse davvero a me ma a Lidia quello non piacque da subito. Diceva di lasciarlo perdere, di non calcolarlo ,ma senza odio, né aggressività , di allontanarlo e basta. Io ero talmente lusingata dal modo in cui mi guardava e ammirava che veramente non le davo retta soprattutto quando mi rimproverava a raffica. Lei, seduta sul letto, una gamba piegata e l’altra a terra mi guardava tutta mentre mi truccavo allo specchio, osservava e non parlava perché sapeva che sarebbe stato per me una delusione. Sentivo il mio cuore che quando lo vedeva iniziava a battere forte, quasi mi scoppiava il petto e quando mi baciava mi faceva venire i brividi. Quando camminavo con lui tutte me lo guardavano perché era stupendo e ora che sto scrivendo di lui mi vengono i brividi a ricordarlo. A renderlo tanto bello e particolare erano i suoi lineamenti da bambino , anche se già era uomo. Avrei voluto essere da subito sua , non per le sue insistenze o pretese ma perché ero certa che mi amasse e il mio corpo quasi per diritto dell’amore gli spettasse, ma lui mi disse che voleva sposarmi. Corsi a dirlo a Lidia, che si spaventò. Ma capì perché pensavo: in fondo se mi vuole è normale che mi voglia sposare!? Alle mie insistenze sulla sua sincerità mi mollò uno schiaffo e poi si mise a ridere; mi disse di aspettare sette giorni e che se era vero amore mi avrebbe amata ancor di più, metteva in dubbio che l’amassi io in realtà. Questo mi faceva capire ,ma in realtà lei non
lo pensava. Lo capì quando il latin lover mi lasciò per Brigitte; un’inglesina in vacanza alla quale disse di amarla e di volerla sposare. E tra di noi finì tutto, come se nulla fosse iniziato mai. E Lidia mi fece capire quanto fosse importante il primo amore per una ragazza, con animo dolce e naturalezza che facevano trasparire una tale bontà impossibile per chi non ce l’abbia innata. Il suo animo puro . Un giorno la baciai, era tanto fragile quanto bella, sentivo che l’amavo. E dormimmo abbracciate tutta la notte, l’una accanto all’altra e riusciva a farmi credere di non aver mai sofferto quando invece lei soffrì tanto a causa proprio di Marco che l’aveva illusa e poi abbandonata quando la loro storia era divenuta complicata da gestire. Allora avevo 13 anni e pensai di essermela scampata, così celavo l’amarezza nel cuore di quella perdita che lasciava tanta incertezza. Iniziai ad accorgermi in quel periodo di tutti quelli che fossero vestiti di nero . E a ravvisare nei loro visi ogni sottile preoccupazione. Qualcosa mi turbava e non sapevo spiegarmi “cosa”.Fino a quando……….
La favola della mia amicizia ben presto ebbe un triste epilogo non solo per me ma per tutti quelli che come me l’amavano. Perché l’incertezza che aveva lasciato il mio amore per Marco fu occupata dal dolore della scoperta del suo tumore al fegato. Lo stupore e lo sbalordimento che lei ne fosse al corrente prima ancora di conoscermi; mi spiegai quelle visite mediche lei spiegava con futili malesseri . L’avrei dovuto capire che c’era qualcosa di strano ,lei lottava per vivere con freschezza ed il sorriso sulle labbra. Fu come se la sua vita svanisse con la sua. Come se la sua persona giorno dopo giorno si svuotasse. Il suo viso era grigio pallido quando la vidi l’ultima volta. Le guance erano sfiorite e gli occhi piccoli, le labbra il colore dei lillà che lei conservava nel suo diario. Io ho conservato lei ,allo stesso modo, come se fosse un fiore, nella busta opaca del mio cuore. Quella mattina mi fecero entrare per prima nella sua stanza , era a casa perché mai più niente le avrebbero potuto fare in ospedale. Lidia aveva chiesto di me, quella mattina quasi svenivo dal dolore. Tutto sapeva di fradicio, di marcio, come il suo corpo che sembrava destinato a perdersi. “ Ciao Lidia, come stai stamattina?” .Le dissi io appena la vidi. “Sei venuta a piangere sul mio letto di morte? Alza i tacchi e vattene”. Era la prima volta che si rivolgeva così a me. Iniziai a balbettare, la mia bocca sapeva emanare solo quegli strani suoni. Poi mi arresi e stetti zitta, come pietrificata . Ogni volta che parlavo emettevo quegli strani suoni. “Ti faccio pena, vero?”.
Quella volta ebbi il coraggio di dire: “No , non è vero!”
“Dai, non dirmi che ti piaccio, con questo bel visino a rappresentare la morte che è dentro di me!Hai pietà , terrore o cos’altro?”. Feci finta di sistemare il fermaglio nei capelli e aprì la serranda per guardare fuori . M a dovevo pur nascondere in qualche modo le lacrime che mi grondava il mio viso contratto dal dolore. Mi sentivo un nodo alla gola che non mi permetteva di parlare. Così mi stetti a guardare fuori. Sentivo lo stesso il respiro affannoso, una voce e sapevo che era lui perché in quella stanza non c’era nessuno all’infuori di lei. Altrimenti non l’avrei conosciuta. Non riconobbi più Lidia, “Se hai intenzione di compiangermi o di lamentarti, vattene! Cosa fai qui? “.
Mi voltai d’improvviso per guardarla di nuovo. Speravo che fosse un sogno, che mai potesse succedermi quello che mi era capitato, che non fosse possibile. A 13 anni con il viso stravolto, le occhiaie di mesi di insonnia. Imbottita di pillole per dormire, la guardai con gli occhi di chi spera di svegliarsi da un momento all’altro di svegliarsi dall’incubo .Quando la rividi ancora, quando vidi le sue mani scheletrite, mi odiai perché non potevo fare nulla per aiutarla. Non potevo fare nulla proprio quando lei aveva bisogno di me per la prima volta. E quell’univa volta io non potevo aiutarla. Lidia mi conosceva troppo bene, pure che ero molto emotiva e non potevo stare senza parlarne. Mi voltai e la vidi più colorita; uno schizzo roseo ora era sul suo volto. Mi avevano avvertito che poteva succedere, e pure dei suoi sbalzi d’umore. D’un tratto gli occhi le si riempirono di lacrime, le mani le tremavano, stava in silenzio , mi guardava, non riusciva a parlare. Lidia, quella lì era proprio Lidia. Sembrava un'altra ed invece era proprio lei; con gli stessi occhi da guerriera ma senza la loro solita vitalità fulminea, avevano perso il lampo di vitalità e i capelli erano coperti da un foulard, l’unico elementi una qualche vivacità in quella cornice mortuaria. Ma io la vedevo bellissima . Come non l’avevo mai vista. L’amavo più di me stessa in quel momento e fu solo per amore se scappai e mi buttai ai piedi del suo letto e chiusi i pugni stringendo con i pugni il copriletto bianco. Lei ancora non disse nulla ma le lacrime iniziarono a gocciolarle, sino a raggiungere le sue braccia, piangemmo sommessamente. Restammo fermi così, alzai lo sguardo e ritorno bianca come prima ,ove i contorni delle labbra erano grigi, quasi violacei. “Milena non so cosa mi stia accadendo, so solo che non mi sento me stessa .Sono sempre più fragile, qualcosa di più forte di me decide al mio posto e mi sta trascinando via con esso; questo è il tumore. Non tornerò più come prima e mai più nulla esisterà per me né ci sarà una nuova vita per me. Neppure quest’aria ci sarà per me che per voi respirare è tanto normale sarà per me. Tutto finisce, sta finendo, come una bottiglia vuota”. Lidia ha amato tanto, mi ha amata tanto e questo è la cosa più importante. Chi ama tanto non muore mai perché lascia un’impronta indelebile nel cuore di chi ha amato. Lei ha vissuto e continua a vivere e la prova ne sono le pagine di questo romanzo che ne propagheranno e custodiranno il suo ricordo. “Lidia tu per e non morirai mai!” “Fatti coraggio Milena , anche se non mi vedrai più su questa terra io continuerò a vivere con te , ti seguirò e sarò al tuo fianco . Se solo potessi vivere ancora qualche giorno in più.. ma lo sai che devi continuare da sola!” Era lei che mi faceva coraggio perché lo sapeva che era più difficile vivere e soffrire che morire. Mi fece giurare di non odiare mai nessuno e di accettare la diversità delle persone che è il frutto del loro vissuto, di arricchirmi di essa , non avere paura ma conoscere e andare incontro alla vita con speranza e fiducia sempre accese. Glielo giurai. Mi accorsi come ancora non avevo fatto di quanto fosse magra. Com’era angosciata e pensavo che quella non fosse più la mia Lidia. Feci attenzione a non farle male, anche se desideravo portarla via con me, per sempre quel po’ di vita che c’era dentro di me. Restammo ferme, abbracciate a quell’ultimo soffio di vita. Mentre le sue mani gelide mi accarezzavano il viso. Mentre la morte me la portava via io rimasi accanto al suo letto .In quella stanza, mentre il tempo se ne andava inesorabilmente, come se ne andò via lei che scomparve nel nulla. Con lei sparì la mia poca voglia di continuare a vivere. Ma il dono della vita non è un’acquisizione , a volte per merito come pensano o credono tanti ma un dono bellissimo che ci viene dato giorno dopo giorno e a me spettava continuare ad esistere. Anche senza di lei, mio malgrado, dovevo continuare!





























III cap: :” Cerco di notte in ogni stella un tuo riflesso, ma tutto questo a me non basta adesso cresco”. L.Pausini.


Dopo la morte di Lidia iniziai ad assumere psicofarmaci , a dire il vero erano gli altri a darmeli. Dicevano che ne avevo bisogno . Mi fecero dormire di continuo per tre mesi, dovevo dormire, perché dovevo riposare. Prima mi fecero dormire per tre mesi, ingrassai, dimagrii nuovamente poi ricaddi e iniziai nuovamente a prendere delle pastiglie più delle gocce. Erano Lorans, Haldoll e Serenase. Mi portarono da diversi specialisti .Il primo era uno psichiatra nominato nel suo ambito, fu quello che mi trovò malissimo e iniziò con una dose massiccia di farmaci. Quando iniziai a non poter più camminare né muovermi, mi portarono da un neurologo che mi ridusse i farmaci e pian piano iniziai una cura di flebo per disintossicarmi. Poi mi portarono da uno specialista per ragazzi tossicodipendenti che mi diagnosticò una “depressione maggiore” e un farmaco ottimo e di nuova generazione con bassissimi effetti collaterali; il Seroquel . E poi la fase acuta che mi fu curata in un centro di salute mentale . Mia madre , che all’inizio era sofferente iniziò a pensare che la morte avesse contagiato pure me e non faceva nulla per allontanarla da quella casa. Nonostante i miei sforzi non riuscivo a vedere il suo sorriso, la delicatezza del suo volto, i suoi capelli ma a tratti si sostituiva l’ultima Lidia, quella che si avvicinava alla morte. Ora ero diventata un'altra Milena, non più quella che Lidia conosceva , dimagrita perché erano schifezze quelle che mangiavo .In quei sei mesi ho rivissuto il mio incontro con Lidia che pareva solo un sogno l’averla conosciuta, un incontro magico e mi sentivo privilegiata per averla conosciuta.
Mia madre quando tornava da lavoro si comportava normalmente; apriva le serrande, ed io la cacciavo, mi preparava da mangiare, ed io glielo lasciava .Ma un giorno svenni ma c’era lei. A 27 anni avevo capito che il periodo dell’adolescenza per me era finito, che la serenità è come un bel regalo che a lungo andare si rovina se non te la sai mantenere , così non sopportai che tutto fosse finito. Le mie giornate in ospedale trascorrevano quasi tutte uguali, ricordo che era inverno, e che anzi era più bello dai vetri dell’ospedale assistere alle prime piogge invernali, la natura cambiava la sua stagione ed io potevo ,avendo più tempo assistere a tutto. D’altronde da lì dentro potevo osservare tutto dal di fuori, avevo ristabilito i ritmi giusti di ogni cosa; ora potevo fare tutto quello che mi era consentito, solo quello che mi era concesso. Non potevo scegliere null’altro .Le giornate trascorrevano scandite dalle visite in infermeria per la terapia, che mi toccava assumere ad orario 3 volte al giorno. Gli infermieri si alternavano giorno e notte fra di loro , noi pazienti li conoscevamo tutti ormai ed erano a noi familiari ormai perché la nostra vita si svolgeva proprio attorno a loro , alle loro entrate ed uscite .A noi ,che indossavamo sempre il pigiama ,parevano in abiti nuovi ed eleganti .chi più chi meno, portandoci un cencio della vita che c’era fuori, epifania di un ritorno fuori , alla vita fuori dall’ospedale. Mi iniziò però a succedere un fatto strano; non ero più la spettatrice della vita e delle persone che mi circondavano ma ero io a farle entrare in scena quando mi accorgevo di loro. Notavo certa gente non quando entrava nella mia vita ma solo quando io me ne accorgevo.
Quando arrivai in clinica mi si avvicinò una ragazza alta di costituzione normale , con la parte inferiore del corpo più grassa; di costituzione “ a pera” e dal seno cadente . Si chiamava Adriana, aveva dei capelli lisci e alle spalle , li portava con una riga in mezzo , le scendevano senza frangia , mi sorrideva e mi chiese il mio nome. Era curiosa e ansiosa di sapere il motivo per cui mi trovassi lì. “ Tentai di fuggire di casa” e mi hanno portato qui”.Le risposi.
“Pure io , solo che io mi sono barricata dentro la mia porta con un armadio a muro”.
Mio padre li ha chiamati.”
La osservai bene e ora notavo un viso troppo lungo e un rosario attaccato al collo di legno.” Sei fidanzata?” Mi chiese subito.” No ,lo ero però”.”E l’hai lasciato tu?”
Mi chiese con una strana curiosità:” Ci siamo lasciati”.Non volevo dare spiegazioni.
Poi notai un uomo sulla quarantina che disse subito di essere sposato, ricordo che era bassino, con forse troppa confidenza nei confronti di Adriana , si chiamava Giuseppe e parlava sempre della prossima venuta della moglie , di quando sarebbe arrivato l’orario della visita della moglie, di quello che gli avrebbe portato. “Io sono qui perché bevo invece. Sono venuto qui perché sono alcolizzato, sono arrivato a bere al mattino, appena sveglio e questo mi ha fatto venire tanta paura!”
“Pure tu con il TSO?” Mi chiese la strana ragazza dal rosario attaccato al collo”.
“Si anch’io, le dissi , trattamento sanitario obbligatorio”.” C’era il dottore Raffa quando sei arrivata? Ti ha ricoverato lui?” “Si c’era lui”.Arrossì un po’ in volto, per la vergogna di quella strana domanda. “ E’ bella vero?” Disse Adriana a Giuseppe. “Si è bella veramente”.”Come dici? Le chiesi un po’ preoccupata”. “Dicevo che sei bella!”.Rimasi un po’ imbarazzata per quell’affermazione, ed emozionata. Io non mi sono mai sentita bella , ero emozionata perché a dirmelo erano sempre persone molto molto belle. E me ne meravigliavo sempre; come fosse ogni volta la prima volta.
C’erano altre persone che mi guardavano ma non parlavano .Non notavo ancora quello che nel giro di pochi giorni mi avrebbero riferito, che stava succedendo al mio arrivo.
Poi si avvicinò un infermiere che mi mostrò la camera mia, dovevano tenermi “sotto controllo” prima , quindi era singola, perché potevo essere “pericolosa”.
Mi dovetti togliere tutto; orologio, cellulare, fermagli, ogni cosa, mi dissero che dovevo togliermi gli abiti e indossare il pigiama che mia mamma mi aveva portato.
Quando mi sedetti a mangiare un boccone Adriana era lì sempre , Giuseppe e dai corridoi intravidi un uomo sulla cinquantina, alto, abbastanza grasso , con un pancione, e delle bretelle che glieli tenevano su.
Si avvicinò invece una ragazza – bambina dal corpo esile e il viso smunto ed i capelli corti, faceva degli strani movimenti con la bocca e la bocca emetteva dei suoni che parevano appartenere ad uno strano animale impaurito dalla gente.
Teneva il corpo chino su sé stesso e la schiena inarcata pure chiusa in una vestaglia pulita e colorata. “ Come ti chiami?”
“Milena” le risposi. “Io Concetta” mi disse con un filo di voce.
Adriana prese per mano una donna piccola e sulla quarantina ma con un viso dolcissimo. “ E’ bella Francesca!” Mi disse Adriana. “Si è bella, bellissima!” .Le dovetti rispondere perché aspettava una risposta da me.
Quell’isolamento forzato da ogni tipo di vita sociale al di fuori mi permise di vivere una vita al di dentro di me, che avevo dimenticato, di pensare.. dimenticare o cercare di farlo. Gli infermieri entravano incuriositi nella mia stanza. Li vedevo parlare fra di loro, mi riferì un’infermiera di me. Erano tutti commossi e inteneriti da quell’angelo biondo ,dagli occhi a mandorla , verdi che li guardavano con timidezza. Alcuni di loro si sentivano provocati dai miei atteggiamenti , tanto da andare in estasi quasi, ogni volta che mi intravedevano nella stanza. Tanto da aiutarmi nelle cose che ad altri erano proibite, come parlare al cellulare. Mi riferirono inoltre che il un medico fosse completamente andato. Io non ci volevo credere. Fino a quando ad uno dei miei colloqui mi accorsi che completamente affascinato da me . Mi stava ad ascoltare con grande interesse . Mi capiva molto. Poi mi disse una sua collega che da quando ero arrivata io in quei corridoi, avesse mollato la ragazza, che era una dottoressa del reparto, perché tutti lo sapevano, non faceva altro che pensare a me, alla mia storia, alla mia vita e si era perduto per me. E che avesse iniziato a bere. Da allora capì che non troppa differenza ci dovesse essere fra i matti e i medici.
Mentre alcuni pazienti arrivavo e altri appena dimessi tornavano noi parlavamo con gli infermieri che nonostante tutto mi aiutavano a parlare al cellulare qualche istante in più o a ottenere un caffè . Bevanda rigorosamente vietata a chi avesse le nostre patologie, ma che alcuni consigliavano addirittura perché ci rendeva soddisfatti, ed influiva indirettamente e positivamente sul nostro umore. Perché il problema ci dissero che fosse proprio il nostro umore. La “depressione “era una patologia direttamente correlata all’umore.
Dopo un po’ arrivò una paziente “schizofrenica” ; Elisabetta di 19 anni, la più piccola di tutte. Dai capelli lunghi , ricci e neri e gli occhi neri. Dormiva molto e divenne subito amica di quasi tutti, tranne di quello alto e grasso che fumava troppo per i suoi gusti.
Ricordo Marco, un campagnolo dalle guance rosse che parlava di una tipa conosciuta lì anni addietro bellissima e che di tanto in tanto si faceva ricoverare per sperare di rivederla.
Le mie visite psichiatriche vertevano attorno al letto di Lidia, la mia storia d’amore, quindi il mio ragazzo e la mia idea “folle”( almeno lì dentro non mi sentivo fuori posto) di andarmene di casa e cercarmi un lavoro lontano da mia madre che invece credeva fosse il delirio causatomi dal dolore per la perdita di Lidia e poi dai miei amori. Mentre un giorno mi accorsi di Gemma , una donna piccolina bionda, sulla cinquantina con un sorriso intelligente e la sua presenza di volontaria, non sempre gradita da parte degli infermieri e dei medici che non accettavano sempre la sua presenza.
Adriana, invece,la depressa con base biologica, che presiedeva le visite con mia madre era sempre più contraddittoria e i suoi atteggiamenti aggressivi, soprattutto quando iniziò ad insinuare che una donna ricoverata lì fosse l’amante di un infermiere che passava da lei la notte e che la stessa, invece, diceva lo stesso di lei.
Le stava accadendo qualcosa che lì dentro chiamavano la sua “patologia”.
Soprattutto la vedevo sempre più nella sua fede molto forte quando andavamo la domenica in cappella per assistere alla messa di Padre Lo Balbo. Che mi veniva a trovare sempre più spesso , con il quale mi confessavo spesso e che ebbe il permesso di portarmi la comunione ogni volta che lo voleva, dimostrandomi un ‘amicizia troppo affettuosa. Adriana , dopo le sue dimissioni, dopo l’ennesima lite con il padre, divorziato dalla madre, che voleva portarla in Germania con sé tornò all’alba, parlando tedesco e con una strana missione da compiere: “Denunciare tutte le sgualdrine dell’ospedale.. e farsi chiamare non più Adriana , ma Elisabetta che era il nome della ragazza schizofrenica.
Così fu legata per un po’ di tempo al suo letto ed io non entrai più da lei, in quanto tra quelle “sgualdrine” scoprì presto che c’ero pure io!!
Lo scoprì quando mi gridò nel corridoio :” Tu sei qui non per la morte di Lidia ma per l’amore che hai provato per l’uomo di Roma!”.
Continuai a dormire, facendo finta che non esistesse .
Dormivo senza però avere sogni fra il tepore dei termosifoni accesi che emanavano troppo calore e le visite e le terapie e gli infermieri che vivevano la loro vita fuori, fatta di famiglia e amici e noi lì dentro sempre più soli provavamo ad immaginare da quello che ci portavano loro come fosse la vita fuori da lì.


Fu quando tornai a casa che Gemma ,la volontaria, mi convinse ad uscire, era come mai io l’avevo conosciuta, passeggiavamo a braccetto per le vie del centro di Milano. Passammo dalle vetrine di due negozi di Milano e mi comprai due abiti stupendi.
Provai di vivere di “ nascosto” alla gente, quelli che mi lanciavano risatine ora erano lontanissimi da me, quelli che avevano fatto di tutto per superarmi nella mia corsa verso la realizzazione ora si erano accorti che io nella mia lentezza e nella mia larva di progettualità li avevo superati addirittura, in umanità, in quanto io ero morta con chi era morta, non avevo barato mai per arrivare per prima. Ero rinata principessa e non solo non ero scomparsa, come taluni credevano alludendo con le loro frecciatine . Io vivevo ,non perfetta come prima forse e senza illusioni. Erano partiti tutti da me e ora per me io sola esistevo.









IIICAP: I personaggi di una storia non sono frutto di una creazione : nulla compare per caso, ma sono loro che bussano , prima piano poi un po’ più forte e mi fanno capire che mi hanno scelta, per essere raccontati e vogliono che io lo faccia bene; esattamente come loro desiderano. La scrittura è un po’ come accade quando ti cerca un figlio, tu credi di agire da solo, decidendo tu stesso. Che la razionalità tua guidi le tue scelte , invece è lui che si ha scelto e ti ha cercato per essere tuo figlio.

Mi dedicavo alla scuola sempre più, ero rimasta indietro ma non volevo buttare via altro tempo, continuavo a lottare con quei richiami dall’aldilà mentre seguivo le sempre più frequenti assenze di mia madre.
Era si un’assidua lavoratrice ma… non solo quello!
Ora so dove e con chi andava alle feste. Cosa faceva durante le gite . Amici a casa non ne portava ma fuori ne aveva diversi ,ma le telefonate anonime chiarirono chi fosse il suo amante fisso e lei cosa era: la sgualdrina del capo.
Eppure mi stupiva sapere che lei che era una poverina, una ragazza sola con una figlia, fosse riuscita a diventare l’amante fissa di un uomo tanto potente ed intelligente ,per questo iniziai a stimarla molto e ad avere fiducia in lei. Iniziò a portare a casa delle grosse somme di denaro con il quale iniziammo a comprarci la casa , l’auto nuova gioielli di ogni tipo, e le nostre uscite nei ristoranti più costosi di Milano, erano sempre più frequenti, per sfoggiare i nostri abiti firmati e le scarpe altissime e preziose.
Mia madre era una donna di potere, spregiudicata che senza farsi problemi aveva iniziato a vivere nel modo che più le era confacente; aveva cancellato dalla sua mente il dissidio giusto-non giusto, morale e amorale che attanaglia spesso la vita di noi donne regalandosi attimi di puro godimento e di puro piacere circondata ormai da un lusso niente male. Ora era veramente felice, non c’era più un ‘ombra nel suo viso ,io invece trascorrevo i miei pomeriggi sui libri e non avevo più amici. Non avere un uomo, inoltre mi offendeva molto perché non potevo misurare senza un uomo il livello di bellezza che avevo. Non potevo studiare e non pensare ad un ragazzo. Mi contentavo di masturbarmi. Ma desideravo un uomo che desiderasse il mio corpo ardentemente .E iniziai a vestire i panni della femme –fatale e mia madre anziché dire qualcosa mi prestava i suoi. Mia madre conobbe un altro uomo nel frattempo. E questo volle subito presentarmelo : Gilbert!Si presentò davanti casa un uomo di quarant’anni con un viso moro e lineamenti esotici. Colpiva invece l’altezza smisurata , direi gigantesca, sfiorava i due metri. Mi piacque la sua cravatta nera. Ma ero presa dal suo fisico e dalla sua altezza decisamente affascinante a 43 anni era il massimo che avessi mai potuto vedere in giro.
La sua aria pareva disinteressata e distratta, guardava tutto superficialmente inspirando fortemente la sigaretta. Mi piacque da matti, ero a disagio e imbarazzata da morire e non potevo restare indifferente di fronte a tanta bellezza . Mi ricordava Antonio Banderas ma era molto ,molto di più.
Ero troppo presa dalla sua figura enorme, gigantesca e dalle sue gambe accavallate e cercavo di indovinare più cose possibili sul suo conto e sulla sua vita perché ero tanto imbarazzata ed emozionata ed eccitata che senza volerlo cercavo di provocarlo. Lui pareva aver intuito il linguaggio del mio corpo ed iniziò a sfoggiare i suo accento francese a dir poco eccitante ed il suo respiro caldo sul bicchiere di wiscky mi fece salire la temperatura del mio corpo già in preda ad un orgasmo. Lui continuava ad essere dolce e ad esibire una voce calda e terribilmente sexy. Poi un po’ per gioco o per scherzo, iniziò a chiamarmi “Bebè”. E da quel momento io per lui fui “Bebè”! Iniziò per il caldo a sbottonarsi la camicia di seta e si slacciò la cravatta facendola cadere a terra con un gesto sofisticato e preciso quanto veloce. Mi trovavo per la prima volta davanti ad un uomo non comune, quello che più colpiva era il suo imperdonabile sex –appeal e accanto a quel pezzo di uomo qualsiasi donna risvegliava la parte più sexy di sé e sarebbe diventata una bomba esplosiva , un mix incandescente di sensualità e dolcezza come in fondo lui era. Percepivo in quegli istanti l’immensità della sicurezza del fascino che era sicuro di esercitare e le donne non potevano stancarsi di guardarlo e riguardarlo più volte senza mai stancarsi, perché c’era in lui qualcosa di ammaliante. Quando iniziò a spogliarmi con gli occhi sfoggiando il suo inconfondibile sorriso iniziammo ad assomigliarci tutti e tre per il desiderio che provavamo per lui. E a mia madre non la infastidiva affatto. Dopo aver parlato dei suoi viaggi e dei suoi passatempi preferiti si congedarono. Rimasero a parlare nel salone fino a tardi. Ripensai a quanto mia madre mi aveva detto, che erano diventati soci in azienda ma il vino mi aveva fatto male. Giunta in camera per la forte emozione mi sciacquai il viso e ancora gocciolante telefonai a Natascia per raccontarle tutto quanto e le descrissi per filo e per segno per mostro di sensualità fattosi carne e ossa in quel corpo muscoloso e statuario. In una sola parola: FANTASTICOOOOOOOOOOOOOOO!
Piangevo mentre glielo dicevo, fra le lacrime fregandomene pure del vestito che stropicciavo buttandomi sul letto poi sul pavimento costato ben 529 euro! E le scarpe di Gucci volate via! Ero impazzita. La mia mente era diventata un contenitore di immagini ; del suo naso perfetto e di quel sorriso pazzesco.
Guardandomi di sfuggita allo specchio mi vidi il viso sciolto di rimmel mischiato alle lacrime . Mi sfilai con calma le calze a rete, le riposi sulla sedia , mi tirai giù con calma la lampo del vestito che cadde a terra e guardai quel corpo nudo allo specchio. Mi infilai la camicia da notte e intravidi un freddo gelido, così iniziai a scaldarmi con uno scaldino lasciatomi da mia madre.
Non avrei voluto provare tutto quell’interesse per quell’uomo. Soprattutto quando li sentii insieme dalla camera da letto. Fui gelosa di lei, perché poteva possedere quell’uomo. Continuai a pensarli insieme, e non me ne rendevo conto.


CAP IV:
Un grande desiderio di tutti è quello di essere amati quando si ama e non essere derisi dei propri sentimenti. Una donna deve uscire dal guscio protettivo dell’affetto del padre e di diventare una donna votata all’amore.
Mi aspettavo che mia mamma mi comunicasse prima o poi di voler andare a vivere con Girard , ma non così presto come invece accadde! Mi disse” Ti sarai accorta della passione che ci unisce, ci piacciamo molto e avrai tu stessa visto quanto è affascinante .”Vorrei che durasse per sempre tra noi ma è difficile tenersi un uomo così, temo di non riuscire a stargli dietro”.” Ma scusa con il tuo lavoro come farai? Proprio ora che avevamo raggiunto una tranquillità economica !”. “Cercherò in tutti i modi farmi affidare la sede di Roma”.”Ma quale scusa addurai per chiedere il trasferimento al tuo capo?” “ Niente scuse la verità!”Voleva andare a vivere con lui a Roma ,il più presto possibile e mi gelò il cuore, perché dovevo lasciare Milano. Credetti che avesse perduto il cervello, ed ebbi paura per la nostra sicurezza economica ,ma ero minorenne, e dovevo seguirla.








 Era una piccola e bella casa nella zona del Colosseo in via dei Santissimi 4; era tutto ben arredato ed il suo buon gusto si rifletteva sull’arredamento. Sentivo il suo fascino anche negli oggetti da lui scelti. La casa non era molto spaziosa ma per due persone andava bene, soprattutto se innamorati come loro. Quindi ci trasferimmo e portammo tutte le nostre cose, tranne l’arredamento che rimase a Milano. Mi inquietò un po’il suo prevedibile passato da latin lover che esibiva in un album fotografico dove erano contenute le immagini delle sue numerose ex. Il suo burrascoso passato sentimentale alimentava la curiosità verso quell’uomo. Presto iniziammo a frequentare le feste all’ambasciata araba e quando rincasavamo facevano l’amore tutte le notti. Spesso dimenticavano la porta della stanza semiaperta ed io curiosa sentivo e vedevo .Una volta li vidi entrambi tutti nudi, l’uno di fronte all’altra, nella penombra della camera da letto riuscivo a distinguere perfettamente i loro corpi per gli spiragli di luce che la tapparella semiaperta lasciava passare. La pelle di lui era mora e la individuai il suo corpo più per i movimenti che per il colore della pelle che si confondeva con la penombra. Non avevo mai visto prima di allora mia madre fare sesso ne era incuriosita. La scena di per sé era molto eccitante; i loro corpi erano l’uno di fronte all’altra lui le stuzzicava i capezzoli con esperta maestria, lei invece massaggiava il pene adagio, con movimenti circolari ,lenti .Lui le sussurrava parole in diverse lingue,non capivo cosa le dicesse. Rimasero delle ore a massaggiarsi delicatamente senza fretta, sino a quando le mise la testa all’indietro le diede un bacio appassionato lasciandola senza respiro, mentre mia madre gli apriva le gambe e lui si sdraiò su di lei tenendole ben aperte le gambe. Ora le era dentro lo capì dal sussulto che fece il corpo di lei e dal loro ansimare. Lei si aggrappò a quelle spalle immense per assecondare meglio i movimenti del bacino di lui che ora lenti ora più forti li univano in un groviglio di piacere non esibito ma reale, e fu quando lei gli mostrò la sua incredibile eccitazione che lui si aiutò facendo leva sulle sue gambe per favorire una penetrazione più profonda aiutandosi con le mani cercava di darle più piacere possibile ; eccitatissimo da fare paura aveva cambiato il tono di voce che gli era diventata più profonda e grave. Da delicato era passato a tenerle il sedere ora aprendola il più possibile davanti a sé e ad ogni colpo affondarle completamente dentro. Lei era profondamente stimolata da quel piacere non percepiva neppure i colpi ma un piacere voluttuoso che la inondava ogni volta che lo aveva tutto dentro . Era la sinuosità del movimento che mi catturava . Andavano su e giù. Fu allora che lui la cambiò di posizione in continuazione facendole assaporare tutto il piacere possibile e immaginabile. Fu come se lei iniziò a sentire male dal piacere e degli strani rumore bagnati inondarono la stanza . Quando il fuoco esplose e le grida di piacere si fecero per me troppo imbarazzanti , scappai via, trascinandomi la camicia da notte. Quella scena così esplicita e coinvolgente mi aveva imbarazzata , spaventata ed emozionata. L’immagine di quei due corpi abbandonati a quel piacere immenso e il profumo esilarante del corpo sudato di lui asciutto, muscoloso, virile, delle sue gambe agili, scattanti, nervose, che raggiungevano il bagno mi fece quasi svenire dall’emozione mentre accaldata cercai in tutti i modi di calmarmi ma per un bel po’ di tempo senza alcun risultato. Non avevo mai assistito prima di allora a nulla di più coinvolgente ed entusiasmante.


Trascorsero così 15 giorni a spettinarci i sensi .A me parevano 15 anni; quanti la mia età, per la curiosità. Quando lo vedevo non potevo non pensare a quelle scene di sesso erotiche e accattivanti e provavo attrazione imbarazzo, lui , invece provava pure imbarazzo nei miei riguardi e a tratti pareva turbato dalla mia ingenuità ma che lui ragazze come me ne poteva avere tante , bello . colto e affascinante com’era.


V cap: Moi Bebè.
In quei giorni presi a girare e a visitare Roma; la mia solitudine non mi infastidiva, anzi, mi permetteva di pensare solo a me e di scoprire la città in tutte le sue bellezze e attrattive monumentali. Ma fu Roma di notte a farmi a farmi girare la testa. Trovavo sempre amici nuovi e nuove cose da fare.
Ma quando meno me lo aspettavo compariva nei miei pensieri lui, la sua vita alta, slanciata, avvolta nel suo lungo cappotto di cachemire nero . Per consolarmi e supplire alla mia mancanza acquistavo tanta roba; vestiti, scarpe, cappotti, un po’ di tutto e questo mi dava la fiducia in me stessa.
In certi momenti sentivo che mi piaceva troppo e veramente volevo allontanare mia madre da lui, magari facendogli vedere i difetti che aveva o solo smascherando la sua malvagità.
Così mi accontentavo , nell’attesa di piacergli, per placare il mio desiderio di vanità , di vivere tra le sue cose e curiosarci. Un pomeriggio che mia madre non c’era , lo lasciai davanti la tv, era un canale arabo, uscii per non restare a casa ma mentre ero fuori iniziò a piovere a dirotto. Quella pioggia addosso unita al desiderio che provavo per lui mi diede il coraggio, quello scaturito dall’umiliazione di una ragazza già donna che vuole fare suo un uomo.
E’ questo un coraggio tutto particolare, quello scaturito dall’umiliazione, che ti dà tanta forza per continuare a lottare.
Ricordando le facce della gente, le espressioni , il dolore, la delusione e l’enorme, insuperabile tristezza che vedo nei visi delle persone e la mia stessa riflessa nello specchio, credo che l’Inferno sia questo.
Perché non accettavo che un mistero tanto grande mi sfuggisse così, che un uomo così mi sfuggisse.
Però non potevo neppure subire un rifiuto da parte sua perchè la delusione per me sarebbe stata troppo grossa e non avrei ottenuto niente esponendomi così tanto .La migliore soluzione sarebbe stata di fare esporre lui, per fare ciò dovevo essere dura come una roccia. E sentivo dentro di me che ce l’avrei fatta ma dovevo saper giocare le carte giuste.
Volevo che fosse mio a tutti i costi .\

Ad un certo punto provai l’immancabile sensazione che prima o poi provano tutti, prima o poi ti senti preso da un vertice che ti spinge verso una direzione, non sai perché, non sai come ,ma sai che è quella la tua strada . Si chiama destino. Mi prese un irresistibile desiderio di vivergli accanto , e di spiarlo in tutti i momenti; quando faceva la doccia per esempio; il suo sedere perfetto, la sua collana d’oro al collo, la sua bocca, il suo profumo pregnante sulle lenzuola, seguivo le sue tracce ovunque come un cucciolo impaurito che segue l’odore della sua mamma .
Esisteva ormai solo lui per me.. e lui mi fece capire che non mi era indifferente e che aveva una gran voglia di portarmi a letto. Continuai ad uscire con gli amici, a girare per la città e a comperare tante cose, non tornavo a casa neanche a pranzo e lei neppure mi chiedeva dove fossi andata e quando entravo in un locale mi osservavano tutti per gli abiti bellissimi che avevo addosso. Le mie giornate trascorrevano camminando per le strade di Roma , per via del Corso, la gente che camminava pareva magica . Soprattutto ora che erra Natale; tutto era magico. Nell’osservare la felicità degli altri mi piaceva lasciarmi contagiare da essa . Da allora come ogni anno aspettavo l’avvento del Natale; felice che forse sarebbe capitato qualcosa di meraviglioso . Fui lontana sia dal luogo dov’ero, sia dalle persone che avevo intorno. Sentivo gli schiamazzi dei bimbi con il naso appiccicato al vetro delle vetrine di dolci e panettoni sfacciatamente esibiti dai pasticceri e provai a pensare a me da bimba e dimenticai Milena triste di quando aveva 16 anni. Poi fui attratta e disturbata allo stesso modo da un povero mendicante della zona, che era lì a sessant’anni a chiedere a me l’elemosina. Vidi il suo viso buio ed i suoi abiti leggeri, le sue mani ghiacciate nello sfiorare le mie che gli porgevo 100.00 euro ,io con quei soldi avrei comprato qualcosa di inutile, un altro vestito da appendere a tutti gli altri. Il bambino che gli era accanto era esile, nei suoi occhi c’era tanto freddo e rabbia che dovetti distogliere lo sguardo subito. La donna che era con lui mi baciò la mano per riconoscenza lanciai un ultima occhiata al giocattolo rotto col quale giocava il bimbo e pensai che se ne avesse avuto uno nuovo sarebbe stato molto meglio, così lo portai con me e gliene comprai uno nuovo e bello. Lo resi felice .Iniziò a piovere e infilai le mani nella pelliccia bianca . Continuai a camminare ma più velocemente ma i capelli si bagnarono completamente; mi fermai a camminare sotto un portico e mi distrasse il complimento di un ragazzo molto carino , era affianco a me ed aveva dei capelli biondi bellissimi, lunghi come i miei da essere raccolti con un elastico. Lo notai subito perché era vestito di giallo, mi guardo pure ma torno subito ai suoi pensieri e restammo entrambi ad osservai la gente che si caricava l’auto di regali troppo costosi ed inutili.. Quando iniziò a farsi buio pensai di dirigermi a casa prendendo un taxi, con il comodo ,tanto nessuno mi aspettava. Fui abbagliata dal buio .Fui abbagliata dalle luci e dai lampioni che come ogni sera stavano per accendersi alla stessa ora. Allungai il passo e con i tacchi difficoltosamente mi misi in mezzo alla strada ma non si accorse di me e proseguì , un uomo mi seguiva ed era quello di prima, quel ragazzo biondo. Mi sentivo seguita da lui, quasi iniziava a rincorrermi ed io correvo più che potevo , con il rischio di prendermi un malanno sotto quella pioggia. Sotto quell’acquazzone quel ragazzo era sempre dietro di me e le forze sotto quel diluvio iniziarono a mancarmi. E mi fermai sotto un portico determinando la fine del rincorrersi di quei passi. Chiusi gli occhi e mi chiusi nella mia pelliccia cercando con tutta me stessa di esorcizzare la paura. Pensai che tutto fosse una mia paura e che non era accaduto nullo di quello che io temevo. Ma me lo trovai davanti tutto bagnato di pioggia con i capelli grondanti pioggia. Abbandonò quell’espressione tirata a causa del freddo dell’acqua bagnata sul corpo causata dalla pioggia e con una smorfia sul viso mi disse: “ Se lei si spostasse un attimo potrei riuscire ad infilare la chiave nella serratura della porta di casa mia ed evitare un po’ d’acqua ma ormai non cambia nulla , lasci perdere per favore! A quel punto mi sentii sollevata per quanto di sbagliato avevo pensato e mi vergognai perché poteva essersi accorto delle mie paure.
“Se continua a stare lì sotto si prenderà un raffreddore, questa è casa mia, se non ha paura di me, se vuole, potrebbe anche farci un saltino, le do la mia carta d’identità, se vuole le chiamo un taxi. “Non gli risposi, ma entrai con lui, mentre chiamava l’ascensore, da quel momento non so spiegare cosa mi successe perché mi ritrovai nell’appartamento di uno sconosciuto del quale però mi fidavo ed il telefonino che squillava .Lessi sopra il nome “Mamma”. C’era un buon tepore, il caldo delle coperte , di un caminetto acceso. Mi spiegò che ero svenuta a causa della paura e del freddo, ecco perché non mi ricordavo di tutto. Entrò in quella stanza in accappatoio , mentre io ero nuda sotto quelle coperte calde, non riuscivo a pensare ma solo a percepire ed elaborare senza logica ma solo con una elaborazioni delle sensazioni che l’ambiente mi forniva. “Ti ho spogliata perché sono un medico e mi permetto di farlo se è necessario, è il mio lavoro. Capii perché mi ero tanto fidata di lui. Non per ingenuità ma per intelligenza! Ti ho messo i vestiti ad asciugare, puoi fare quello che vuoi; hai un computer , il telefono per chiamare i tuoi. “Non ci siamo neppure presentati noi”. “Io sono Milena, non è che sono sprovveduta ma di solito esco per i fatti miei e so quello che faccio.. tutto qui!” .Era biondo, con i capelli ricci, la barba bionda ,gli occhi azzurri. “ Non sei italiano vero? Hai un accento spagnolo, sei spagnolo?!”
“Si sono qui da poco tempo, ci sono arrivato con mio padre e frequento un master qui a Roma , alla Sapienza. E le posso assicurare che Lei signorina non si cura a dovere! E’ un po’ sciupata e stressata, non conduce una vita regolare( pasti, sonno ecc ecc). Potrebbe essere? O mi sbaglio? Aveva ragione:”Si è vero, diciamo che mi cibo poco, ma più di questo l’amore…!” Non mi vergognai quando per rispondere al cellulare mi cadde il lenzuolo a terra esibendo il mio seno. Lui mi guardò il viso e mi disse che amava i cani e dipingere , in fondo non c’è niente di più bello al mondo che dedicarsi a ciò che non esige sforzo alcuno , ma solo un po’ di passione e di tempo. “ Io mi devo cercare un hobby! Per ora vivo con mia madre ed il suo amante: Girard! Ed il mio problema è lui… mi piace! Poi stop, tutto normale. Io vivo qui per una smania di indipendenza; voglia di “fuggire” da cosa non lo so. Se vuoi ti faccio assaggiare il pane di mais riscaldato al forno. Mi tolsi dal letto , a gambe scoperte con il mio slip trasparente. “Lo sai che sei proprio bella?”. “ Tu mi sfotti! L’ho capito ormai! “Assolutamente no!” “Io ho 32 anni e non vado prendere in giro le ragazzine ingenue come te!” .”Ti do del cognac, perché ho solo questo, ma te ne do pochissimo, i single come me non vanno a fare la spesa ogni giorno , perché nessuno gliela consuma .Continuammo a parlare delle cose sue . Conobbi meglio quella persona sconosciuta cercando di recuperare la forze perdute . “Dormi piccolina!” E’ meglio!”
Non si sdraiò accanto a me né provò a baciarmi. Ma sentivo il suo fuoco e la sua sensualità era enormi per una ragazzina come me .
Per Natale Girard e mia mamma se ne andarono ed io pensai per tutto il tempo a questo misterioso ragazzo conosciuto per caso o per emergenza. Ma non lo rividi più.
Fu per me una vera e propria tortura!











Cap VI Pablo:

Pablo mi chiamò presto sul cellulare per invitarmi a cena a casa sua ed io accettai perché mi piaceva l’idea di una cenetta romantica con lui. Eppure quando arrivai davanti a lui mi sono sentita un po’ imbarazzata, perché lo conoscevo poco e mi fidavo solo del mio istinto.
Preparò una spigola al cartoccio secondo la cucina spagnola, davvero deliziosa, mangiai avidamente e bevvi il vino bianco buonissimo che mi aveva preparato.
Dopo cena il ghiaccio si ruppe un po’ , soprattutto quando ci rilassammo davanti al televisore, era bello stare con lui. Mi sentivo a mio agio e protetta, avevo sempre avuto bisogno di protezione perché mio padre mi era mancato e lo capivo quando in quel momento quando Pablo riempiva lo spazio bianco del mio cuore.
A metà pasto mi rovesciai accidentalmente il viso addosso .Mentre mi toglievo l’abito Pablo inzuppava il vino con tovaglioli di carta ed io rimasi con slip reggiseno e reggicalze davanti a lui! Mi sdraiai disinvoltamente sul divano ; mi accesi una sigaretta e intravidi lo intravidi sempre più turbato dalla mia nudità. Dopo 15 minuti di silenzio, il tempo di mettere un cd, mi disse”Così i due piccioncini ti hanno lasciata da sola! Ma bravi… se la staranno spassando in questo momento!”.”Mi manca Girard sai, il suo profumo pungente mischiato all’odore di sigaretta, i suoi libri scritti in tutte quelle lingue incomprensibili..ma è la sua personalità , il suo carisma , la sua inusuale intelligenza che mi affascina.”; e’ quanto di più pericoloso ti poteva succedere sai, ti capisco alla perfezione, quando una persona ti piace per la sua intelligenza non te la scordi mai.. perché è come è veramente che ti piace. E ti pia
[ Autore: mary77 ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 1 ]
[ Rating generale: Arancione ] [ Generi principali: Commedia ]  
[ Aggiornata: 25/07/10 ] [ Completa? - Sì ]

THETA NIGRUM (Ultimo aggiornamento)

Tutti vogliono andare in paradiso, ma nessuno vuole morire.
Joe Louis
[ Autore: TigerEyes ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Giallo ] [ Generi principali: Drammatico, Sovrannaturale, Storico ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Piangi, sfogati ma poi ricomincia a sorridere. (Ultimo aggiornamento)
Ho creato questa serie solo per un pò di ordine.
[ Autore: Miu_Ana ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Verde ] [ Generi principali: Generale ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Drabble, Flash e Shot - Quello che può scorticarti il cuore. (Ultimo aggiornamento)
Una raccolta di flash e Shot super-ultra-mega-giga drammatiche e malinconiche, quasi tutte ispirate a fatti reali altri per raccontare in terza persona qualcosa che doveva venir fuori. Spero le leggerete e magari, recensirete.
[ Autore: NaomyK ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Verde ] [ Generi principali: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Life, last act (Ultimo aggiornamento)
Riflessioni con tema centrale le inutili vite sprecate dalla guerra e dal terrorismo

[ Autore: Phantom Soldier ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 1 ]
[ Rating generale: Verde ] [ Generi principali: Drammatico ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Le Favole di Alice (Ultimo aggiornamento)
Storie personali, con personaggi del tutto inventati.
[ Autore: Fiore del deserto ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 1 ]
[ Rating generale: Giallo ] [ Generi principali: Fluff, Malinconico ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Os três demônios do Rio (Ultimo aggiornamento)
Tre personaggi provenienti da tre parti del vecchio continente, che finiranno per incontrarsi e rimettere insieme i pezzi delle loro esistenze: Cass, un greco con un passato violento alle spalle; Sid, un irlandese che da credente praticante è diventato un assassino con la passione sfrenata per il sangue; Antonio, un italiano ricercato dalla mafia e che ha un conto in sospeso con una donna di facili costumi, non poi così "diversa" da lui.
Si ritroveranno tutti e tre fra le vie malfamate di Rio de Janeiro, e poco per volta racconteranno le loro storie e il cammino che li ha resi, fino alla fine, os demônios do Rio.
[ Autore: yuki013 ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Rosso ] [ Generi principali: Drammatico, Sentimentale, Slice of life ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

I pensieri di M. (Ultimo aggiornamento)
M. è una ragazza nata con una bizzarra malattia, apparentemente risoltasi in una patologia più lieve ma che egualmente l'ha costretta a numerosi interventi nel corso della sua vita e che tutt'ora la costringe ad una vita diversa da quella che lei vorrebbe.

[ Autore: Moriel91 ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Giallo ] [ Generi principali: Triste, Introspettivo ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Quando l'istante s'incolla al vetro (Ultimo aggiornamento)
"Bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso."
Tutto quello che esce senza preavviso finisce qui, che delle volte le cose devono uscire e allora tocca appiccicarle da qualche parte.
[ Autore: ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 1 ]
[ Rating generale: Arancione ] [ Generi principali: Malinconico, Drammatico, Introspettivo ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Come il sole che muore (Ultimo aggiornamento)
Raccolta di tutte quelle storie che hanno come protagonisti Max O'Quinn ed Ivan Pereyra Torres.
- Storia madre: Mio dolce principe.
Sono presenti:
- Finali alternativi
- Alternative Universes
- Past!Max
- Past!Ivan
- Future!Ivan
- Pagine di diario
- Lettere
- Challenge, fra cui:
• Thirty days otp
• Thirty days oc
• 1 sentence
[ Autore: ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Arancione ] [ Generi principali: Romantico, Drammatico, Angst ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

tutti hanno un segreto, puoi dirmi quale è il mio? (Ultimo aggiornamento)
tutti hanno un segreto, puoi dirmi quale è il mio?
"Puoi dirmi cosa avresti trovato? te lo dirò se lo custodirai prometto di non mentire."
"Bè, ho il dolore, le lacrime, non posso nasconderlo, ma prima o poi tutto scompare."
[ Autore: Standing ovation ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Verde ] [ Generi principali: Drammatico ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]

Winter. (Ultimo aggiornamento)
Ognuno di loro, ha dentro l'inverno.
[ Autore: ] [ Categoria: Storie originali > Drammatico ] [ Storie: 0 ]
[ Rating generale: Arancione ] [ Generi principali: Drammatico ]  
[ Aggiornata: 00/00/00 ] [ Completa? - No ]


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