Basta che duri per sempre ~
prompt: #065, street scene
Je cache mon cœur
sous ma carapace
J’ai bien trop peur
qu’il ne se lasse, qu’il ne se casse
J’ai lu dans le
journal, écrit en lettres capitales
‘Un monstre
à Paris’
«Devi promettermi una cosa.»
Quando l’angelo gli siede vicino, il mostro solleva gli occhi rossi e sorride. Gli ha detto di chiamarsi Lucille, ma per lui sarà sempre l’angelo.
È notte e loro sono nel vicolo dietro il teatro, là dove si sono conosciuti. Lo spettacolo è andato bene. Piove come la prima notte, e lui ha portato con sé quella che l’angelo chiama chitarra, perché gli piace che la musica si mescoli al suono delle gocce che cadono dal cielo. Sì, è un mondo grande e pieno di immagini e parole misteriose – eppure, da quando l’angelo è con lui, il mostro non ne ha più paura.
«Promettimi che non canterai mai più questa canzone. Mai.»
Il mostro la guarda sconvolto. Dove ha sbagliato? I begli occhi dell’angelo, però, si socchiudono in un sorriso, mentre le sue mani così piccole e lisce giocano con la lunga sciarpa che gli ha regalato – lei dice così: che non gli serve più per nascondersi, che è diventata semplicemente un regalo. Un qualcosa che li unisce.
«Tu non sei un mostro, Francœur.»
Francœur sorride.
Solo con l’angelo gli capita così spesso di sorridere. È una delle tante cose che ancora non riesce a capire, ma, dopotutto, ora ne ha tutto il tempo.
Lucille gli solleva dagli occhi la maschera di scena e lo sfiora con le labbra. Poi chiude gli occhi e comincia a cantare su una musica nuova.
Pourquoi pas, pourquoi
pas, pourquoi pas
Il suffit que ça
dure, que ça dure, que ça dure
Un jour, deux jours,
trois jours
Que ça dure
toujours
[ 235 parole ]
Nota: Appena finito di
guardare – finalmente! – la versione inglese di Un monstre
à Paris, dopo aver inveito per circa un
quarto d’ora contro la mancata traduzione in italiano di questo gioiellino
ahimè sconosciuto in patria (EDIT dicembre 2012: il doppiaggio è da dimenticare, ma sono felice di poter finalmente cancellare questa riga), mi sono precipitata sulla mia fida lista di
prompt perché era doveroso scrivere una
Francœur/Lucille. Non
intendo spargere amore per il furry, badate bene, ma Francœur – pur essendo una pulce gigante –
è così... così umano.
E li adoro insieme, li adoro come li ho adorati subitissimo,
fin dall’anteprima de La Seine che da sola è bastata a convincermi a
superare il mio vecchio astio per il francese (!).
Il momento che ho scelto di rappresentare è
successivo all’epilogo, ma riprende il contrasto tra la canzone composta
dal ‘mostro’ nel vicolo, l’omonima Un monstre à Paris
appunto, e quella finale cantata da lui e Lucille nel
teatro L’Oiseau Rare, Un p’tit baiser. Da queste derivano le lyric
in incipit e chiusura e anche il titolo.
Non rimpiango niente. ♥