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Autore: Jaded_Mars    29/03/2012    2 recensioni
Un insolito incontro nelle pazze strade della pazza New York.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era stata una di quelle giornate del cazzo passate al lavoro perennemente di corsa da un capo all’altro dell’ufficio, tra scatoloni da sistemare e chiamate al telefono con taccuino in mano,  alla costante ricerca di contatti impossibili da trovare ma che il capo esigeva comunque, come sempre, come se lei fosse una maga in grado di sfoderare dati dal cappello al posto del consueto coniglio.

Tutto il giorno attaccata alla scrivania e l’unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata quella di risistemare l’ufficio per togliere dalla vista tutto quel ciarpame che si era accumulato sulle mensole e sul pavimento con la stessa rapidità con cui la pianta del fagiolo magico era nata e cresciuta in una singola notte. Ecco, i fogli e le cartacce spuntavano dal nulla ma si accatastavano ovunque, e per una che non sopportava il disordine era una cosa molto difficile da accettare. Ogni minuto aveva l’istinto di andare a ripulire tutto, ma si tratteneva, tanto non era affar suo, non fosse mai stato che buttasse via qualcosa che per il suo capo era prezioso, meglio evitare una sua sfuriata per niente. Certo, quello non era proprio il singolo pensiero che aveva avuto, perché in realtà c’era un piccolo particolare che l’aveva tirata su di morale, finalmente era venerdì, quel tanto agognato giorno della settimana in cui tutto terminava e finalmente poteva dedicarsi solo a se stessa. Avere quella consapevolezza era un po’ come riuscire a vedere la luce in fondo al tunnel che le consentiva di trovare un’ancora di salvezza. In particolare dal momento in cui aveva stabilito con le sue amiche che avrebbero festeggiato il giorno di San Patrizio insieme, aveva una ragione in più per aspettare che scoccassero le cinque e scappare via dall’ufficio. Era dall’ora di pranzo che meditava sul genere di travestimento che sarebbe stato il più adeguato per il giorno successivo ed aveva concluso che si sarebbe semplicemente presa solo un bel cappello verde smeraldo, il suo colore preferito.

Stava temporeggiando su una bozza di un testo che doveva scrivere per una pubblicazione imminente quando all’improvviso era squillato il telefono della sua scrivania, una cosa piuttosto inusuale, visto che aveva il cellulare. Rispose perplessa, incuriosita su chi potesse essere, e con disappunto scoprì che era il suo capo “Alex, fammi un favore, la governante mi ha detto che il mio cane su in casa è irrequieto, me lo porteresti a fare quattro passi al Central Park? Poverino il mio piccolo, ha bisogno di muoversi.” Quella richiesta esposta in modo così gentile e suadente in realtà non era altro che un ordine bello e buono. “Ma certo lo faccio volentieri!” rispose lei a denti stretti. Ceeeeerto volentierissimo, come no, non aspettava altro che quel momento arrivasse. Si alzò raccogliendo le sue cose, spegnendo il computer su cui stava lavorando perché aveva deciso che non sarebbe tornata più in ufficio, dopotutto mancavano solo venti minuti alla scadenza del suo turno e non aveva intenzione di rimetterci più piede. Se la sarebbe presa comoda con quel famoso giro, e che problema c’era? Giacché lo doveva fare, tanto valeva che lo facesse bene. Si alzò, prese la borsa e corse verso il diciassettesimo piano, dove abitava il suo capo. Percorse il corridoio mal illuminato che si addiceva più a una casa di malaffare che a un condominio da appartamenti da milioni di dollari per poi suonare al campanello di casa, dove venne accolta da una domestica impanicata che non riusciva a tenere a bada un misero barboncino “Domino! Stai tranquillo su!” gli intimò mentre la bestiola le saltava sulle gambe gioiosamente, felice di vederla. Gli legò il guinzaglio al collare e lo trascinò fuori casa, sotto lo sguardo colmo di gratitudine della povera governante. Domino era di taglia media, ma era un devasto unico. Appena mise la zampa in strada iniziò a tirare il guinzaglio come un invasato, costringendo la ragazza a tirarlo come se lo stesse per strozzare  per evitare che andasse sotto le macchine 'Ci manca solo che accoppo il gioiellino del capo e siamo a posto'. Era un cane irrequieto e viziato, della peggior specie quasi, ma era anche cosi' tanto tenero e peluchoso che gli si poteva perdonare quasi tutto quando ti guardava con quegli occhioni lucidi e grandi quasi stesse implorando un po' di coccole. Stava cercando di immaginarsi la scena di lei che si faceva tirare da un batuffolo del genere, doveva essere piuttosto ridicola da vedere, soprattutto se paragonata a tutte le persone distinte che si aggiravano con cani enormi quali labrador o pastori tedeschi che al confronto erano angeli. Dopo un po' che camminava a zonzo senza meta tra le stradine contorte e sterrate del parco, il cane si fermò improvvisamente davanti ad un ponticello di legno, di quelli innumerevoli che c'erano al Central Park, e la guardo' come se stesse aspettando qualcosa. "Che c'e' Domino?" gli domandò la ragazza, prima di capire l'ovvietà di quello sguardo implorante "OK ho capito ti lascio libero..." lo slego' e lo fece andare un po’ da solo in giro, era insolitamente tranquillo ma questo la rendeva contenta almeno poteva passeggiare guardandosi attorno. Era una bella giornata di primavera e faceva un caldo anomalo, tipico di quelle giornate di maggio in cui era così bello fare una gita al mare per rilassarsi. C’era gente ovunque, che correva e si teneva in allenamento da brava salutista, oppure altri che bivaccavano sull’erba sotto il sole a parlare. Avrebbe voluto anche lei stare lì a riposare e pensare ai fatti suoi anziché restare chiusa in ufficio per tutto il giorno, con quella sgradevole sensazione che la maggior parte della vita le passasse davanti senza che potesse viverla appieno. In mezzo a tutta quella gente aveva notato una chitarra abbandonata sul prato, accanto ad un giubbotto di pelle scamosciata beige. Era piuttosto insolito, lei non avrebbe mai abbandonato nulla lì, figuriamoci una giacca e una chitarra, va bene la fiducia nel prossimo ma così era esagerato. Proprio mentre si era fermata ad osservare incuriosita quegli oggetti incustoditi vide sfrecciare davanti a sé Domino, che aveva improvvisamente ripreso energia e vivacità dal nulla e si stava dirigendo proprio verso di loro, evidentemente non era stata l’unica a notarli. Un pensiero orrendo attraversò rapido la mente della ragazza “Oh no ti prego…” e iniziò a inseguire quel batuffolo peloso richiamandolo attraverso il prato prima che combinasse l’irreparabile.  Quando lo raggiunse lo trovò intento ad annusare la giacca con grande interesse, come se avesse trovato l’oro. “Maledetto!” imprecò scherzosamente verso la bestiola, riacciuffandola e rimettendogli il guinzaglio al collo per evitare che sfuggisse di nuovo al suo controllo. “Sei contento adesso? Eh? Ti piace l’odore? Magari è di una bella persona, che ne dici?”  disse al cane arruffandogli le orecchie mentre ancora era intento ad ispezionare la giacca.

“Beh speriamo di sì.” La ragazza sentì una voce alle  sue spalle e si alzò di scatto, sentendosi imbarazzata quasi l’avessero sorpresa a rubare.

“Scusi non volevo fare niente, giuro! Mi è solo sfuggito il cane!” si giustificò immediatamente senza badare nemmeno a chi avesse davanti. Si accorse che aveva sbagliato a dargli del lei, non era affatto un signore ma un bel ragazzo con una nuvola di capelli biondi, due occhi azzurri come il cielo e un sorriso così bello che avrebbe rallegrato anche la peggiore delle giornate.  

“Sì ti ho vista correre urlando dietro questa saetta…” si chinò a dare una grattata dietro le orecchie del cane che in meno di un secondo si accoccolò ai piedi del ragazzo in attesa di ricevere coccole più cospicue. “a dire la verità credo ti abbiano notato tutti…come si chiama?”. Magnifico! Aveva fatto una figura eccezionale, chissà che pensava ora di lei, un’incapace ambulante sicuramente.

“Domino” fece pacatamente mentre guardava il ragazzo divertirsi a giocare col cane, rispondeva ad ogni ordine che gli dava, ci sapeva fare meglio di lei, decisamente. Non sapeva cosa avesse quel biondo di speciale, ma emanava un’aria di familiarità pazzesca, la rendeva tranquilla e a suo agio come se lo conoscesse da sempre. Ora che lo osservava meglio notava che aveva dei capelli bellissimi, cotonati e gonfi come li aveva sempre voluti anche lei senza mai riuscirci propriamente bene, non sapeva cosa avesse l’aria di New York ma c’era qualcosa che le impediva di avere i suoi bei capelli mossi come li aveva a casa.

“Bel nome! Insolito…bella scelta!” le disse alzando leggermente la testa, guardandola dal basso mentre continuava ad accarezzare la pancia del cane.  Aveva su una t-shirt slavata con uno scollo a V coperto da una sciarpa leggera rosa con dei fili d’argento e un paio di jeans strappati, ma il top erano le converse spaiate che portava ai piedi:una rosa e una lilla. Una persona normale si sarebbe domandata da dove sbucava un tipo del genere, sembrava uscito diretto dagli anni ’80 e sembrava così fuori luogo adesso che era il 2012 ed erano passati oramai trent’anni. Eppure lei adorava tutto di quell’abbigliamento, amava qualsiasi cosa fosse legato a quel periodo. Se avesse avuto solo un po’ più di coraggio anche lei sarebbe andata in giro vestita in quel modo.

“Vero, ma non l’ho deciso io.” Il ragazzo la guardò sorpreso, come se non se l’aspettasse “Non è mio il cane, è del mio capo, io lo porto solo a passeggio” si affrettò ad aggiungere lei per giustificarsi. In quel momento suonò il telefono, le era arrivato un messaggio che la salvò un po’ dall’imbarazzo di trovarsi con quel bel ragazzo e un cane che aveva iniziato di nuovo a fare le bizze. Lesse con scarsa attenzione l’sms e ripose in tasca il cellulare. “Mi sa che ora devo andare, devo riportarlo a casa.” Disse con un accenno di dispiacere nel tono di voce. “Scusa ancora se si è precipitato qui ad annusare la tua roba…”

“Jon.”

“Cosa?” chiese lei confusa.

“Jon. È il mio nome.”chiarì lui tranquillamente, concludendo il tutto con un altro sorriso splendido. Sembrava troppo bello per essere vero e lì davanti a lei.

“Oh certo… certo, che stupida!” e si diede una manata in fronte mentre con l’altra trattenne Domino che stava per scapparle via verso chissà quale meta che aveva adocchiato, magari uno scoiattolo che girovagava lì nei dintorni.

“Tu invece?”

“Io? Alex…” rispose lasciando in sospeso la parola, stava per completarla ma si trattenne, non le piaceva il suo nome. Sperava che quell’indugio sull’ultima sillaba gli fosse sfuggita ma così non fu “Alex come? Alexa? Alexandra? Alexis?” era carino con quell’espressione concentrata sottolineata da una ruga d’espressione sulla fronte, dava l’impressione che gli interessasse sul serio.

“Quasi, ma nessuno è giusto. Alexandria, purtroppo.” Si vergognava tremendamente di quel nome bizzarro che le avevano affibbiato i suoi genitori, ma con sua grande sorpresa il biondo la guardò come se fosse matta.

“Perché purtroppo? Scherzi vero? È bellissimo!” di nuovo quel sorriso, e di nuovo la sensazione che fosse sincero e che stesse dicendo quelle parole seriamente, sembrava quasi che ci credesse a quello che diceva, e forse era davvero così. Una cosa era certa, l’aveva fatta arrossire.

“Beh…grazie…” disse debolmente. Il telefono squillò di nuovo e questa volta non fu proprio possibile  ignorarlo, “E’ il mio capo, mi richiama all’ordine, devo portarlo a casa.” Si scusò. Avrebbe tanto voluto restare a parlare lì con lui ma non poteva.

“Tranquilla.” Fece lui comprensivo. “Ci vediamo presto Alexandria!” quel tono sicuro aveva più l’aria di una promessa che di un semplice saluto, come se lui fosse sicuro al cento per cento che si sarebbero davvero rivisti, anche se era una cosa del tutto impossibile in una città enorme come quella senza almeno un numero di telefono a cui mandare un sms. Esistevano anche i computer, certo, ma non era il caso di dirgli “Hey posso aggiungerti su Facebook?” nemmeno lo conosceva!

“Ok!” gli rispose semplicemente lei, trascinata dall’entusiasmo e dalla positività del biondo. Un po’ ci sperava anche se le chances che accadesse davvero erano una su un milione. Ma se ne infischiò, ci voleva credere per quella volta, tanto, che male avrebbe fatto? Si incamminò verso l’uscita del parco riflettendo a quanto le avesse cambiato la giornata quell’incontro. Ripensò a quel bellissimo ragazzo gentile sbucato dal nulla, quasi avesse preso la macchina del tempo e si fosse teletrasportato lì dal passato. Ripensò alla pace che le aveva trasmesso e alla piacevole sensazione di fiducia che le dava, come il ragazzo della porta accanto che conosceva da anni e col quale aveva condiviso innumerevoli ore di chiacchiere sotto il portico di casa. Mentre era ferma al semaforo Domino le abbaiò contro, richiamando la sua attenzione. Lei gli diede un piccolo buffetto sulla testolina prima di attraversare sorridendo agli altri pedoni.
Era felice e nemmeno sapeva davvero perché. 

***
Salve! Ebbene che cosa sia nemmeno io lo so, lo scopriremo solo vivendo!
Spero solo che abbia un senso logico compiuto alla fin della fiera. 
Per di più è la prima storia sui Bon Jovi (o su Bon Jovi devo ancora capirlo pure io) che scrivo nonostante ne avessi un'altra in mente un po' più strutturata, ma si sa l'ispirazione non si comanda! 
Chiedo venia per ogni riga di orrore che produrrò. 
Ringrazio già chi leggerà ovviamente!
Alla prossima!
Mars


 

   
 
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