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RedDiablo
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RedDiablo
Titolo
storia: Requiem per una
Magnolia
Fandom: Kuroshitsuji
Coppia
protagonista+terzo incomodo:
UndertakerFinnian+Bard
Rating: Arancione
Avvertimenti: Shonen-ai, Angst, One-shot
Introduzione: Se un assassino perdesse
l’unica luce della sua
vita, a chi si appellerebbe per ottenere aiuto? Di certo, non ai santi.
In
questo caso… quanto sarebbe alto il prezzo imposto dal
diavolo?
Una
magnolia congiunse i destini di un uccisore, un ragazzo e un becchino;
i suoi
petali registrarono una storia di sangue.
Aspettami,
Finnian. Tornerò prestissimo.
Eventuali
note dell'autore: questa è
una fic tripartita in pentagrammi, cori e sinfonie. Ad ognuno di questi
corrisponde un personaggio, rispettivamente Finnian, Bard e Undertaker,
che
stabilisce il punto di vista della narrazione: se
c’è quindi il coro, la
prospettiva sarà quella di Bard e così via. I
titoli dei capitoli sono slegati
dal contenuto del brano: sono semplicemente oggetti caratteristici del
personaggio su cui è focalizzato il pezzo.
Side-story
di “Mille Gocce di Sangue”, ma da questa slegata. I
fatti, comunque, si
collocano nel periodo che Undertaker passa in attesa
dell’arrivo del Corvo e
del Rubino. Della storia principale riprende lo schema di capitoli
brevi
(all’incirca una flash-fic a brano), il linguaggio onirico e
l’ambientazione
nebulosa.
Altre
NdA sono presenti alla fine della fic per evitare spoiler<3
Requiem
per una Magnolia
Primo
Atto
Di
intrighi e di sogni
La
pioggia quel
giorno si abbatté sulla grande magnolia, spogliandola di
tutti i suoi fiori con
la ferocia di una donna invidiosa.
L’ultimo
bocciolo cadde su una guancia di uguale candore, e lì si
posò come un bacio.
Delle
dita forti
e sottili afferrarono un petalo e lo fecero dondolare davanti agli
occhi
azzurri, vacui e spenti.
Due
figure
distorte dalla pioggia e dal buio osservavano silenti il ragazzo
catatonico.
Il
frastuono
della tempesta smorzò la voce dell’uomo che
parlò per primo.
«Devo
chiederti
un favore.»
Primo
Pentagramma – Fioraio
«Questo
è stato il tuo sogno?»
L’unghia
nera affossò lievemente il labbro scarno mentre
Undertaker rifletteva.
«Davvero
inconsueto.»
Il
sole mattutino si spezzettava in mille filamenti dorati
sulla chioma bionda del giovane seduto all’altro lato del
catafalco.
«Lo
faccio da una settimana» considerò il ragazzo,
sprimacciando il mazzo di gigli che teneva tra le mani. «E mi
sembra di
annegare, quando lo faccio.»
La
spropositata tesa del cilindro coprì l’espressione
pallida del becchino quando questo reiterò:
«Annegare?»
Il
fioraio annuì, aggiungendo una rosa rossa alla composizione
candida. Trovava disadorni gli abbinamenti floreali monocromatici, per
questo
aggiungeva sempre un particolare di un colore diverso da quello
predominante
nel mazzo.
«E’
strano, perché nel mio sogno c’è solo
la pioggia, non ci
sono mari o laghi» rifletté, battendo le palpebre
sugli occhi cerulei, grandi
come quelli di un bambino.
«Mi
chiedi troppo, Finnian» gorgheggiò aspro
Undertaker,
aprendo il viso emaciato in un ghigno. «Il mio compito
è scavare fosse e riempirle.
Dovrei essere uno psicologo per sondare la mente umana.»
Il
ragazzo voltò il mazzo perché Undertaker potesse
esprimere il suo giudizio a riguardo. La profusione di fiori venne
accettata
con un cenno del capo.
Quella
notte di bufera si era rivelata estremamente
proficua, non solo per i clienti aumentati grazie alla rottura
dell’argine del
fiume: la magnolia gli aveva procurato un ottimo assistente.
Finnian
si lasciò sfuggire un sospiro sui petali immacolati.
Aspettami,
Finnian. Tornerò a prenderti prestissimo.
Bard
gli aveva detto così, l’ultima volta che si erano
visti, l’aveva ragliato con la sua voce rauca per il troppo
fumare.
Non
voleva che le parole del fratello si realizzassero così
presto. Gli piaceva quell’impresa di pompe funebri, gli
piaceva quel mestiere
così malvisto, gli piaceva il becchino stesso.
Sperava
che Bard non tornasse mai più a prenderlo.
Primo
Coro -
Assassino
«Non
era questo quello che volevo!»
Il
suo interlocutore lo fissò con glaciale sarcasmo, come
una pantera che deride un insetto.
«Ho
esaudito la vostra richiesta, signore.»
«Hai
fatto solo il tuo interesse!»
Pur
essendo un uomo imponente, difficilmente Bard della
Corporazione Ovest si lasciava andare alla rabbia. Ma quel giorno,
tutto in lui
venne incenerito dalla collera; perfino il mite acquamarina delle iridi
parve
diventare un fiume di lava.
«Di
cosa vi lamentate? Finnian è salvo, in buona
salute…
esattamente come avevate chiesto» enumerò
l’altro, sadicamente serafico.
«Non
è così che lo volevo!»
«Allora
avreste dovuto essere più preciso nelle disposizioni
iniziali» la malvagità con cui il suo lugubre
interlocutore si faceva beffe di
lui gli tramutò il sangue in tizzoni ardenti.
«Non
diventerà un burattino!» esplose.
Due
iridi malevole scintillarono nella penombra da cui
strisciò fuori il sibilo dell’uomo:
«Se
strapperete i fili che lo legano a me, Finnian tornerà a
quella notte di pioggia.»
«Voglia
il cielo che sia così» sbottò Bard,
uscendo in
fretta dalla stanza.
Prima
Sinfonia -
Becchino
I
capelli argentei scivolarono sul petto scoperto del
giovane quando l’uomo si chinò ad auscultare il
suo cuore. Un battito furioso
ed irregolare come il volo di un uccellino spaventato rispose alla sua
preoccupazione.
«Mi
stai ostacolando ancora, Bard» notò, incolore,
passando
le mani ceree sul corpo in iperventilazione del ragazzo.
«Vuoi
vedere quanto sono disposto a lottare per lui?»
sogghignò. Le unghie scure tracciarono segni quasi
invisibili sulla pelle
chiara e sudata che si contorceva sotto di lui.
«Allora
resta a guardare» flautò mellifluo.
«Non
che lui possa fare molto altro, dal posto in cui si
trova ora» sottolineò pignola una bambola annodata
in un drappeggio di trine
lise.
«Non
sottovalutare la sua determinazione» la riprese un
burattino vestito da soldato. «Finnian ci ha
dimostrato…»
Una
terza pupattola, più grossa delle altre, costrinse i
compagni a tacere: Undertaker si stava preparando
all’operazione.
Secondo
Pentagramma - Giglio
Ebbe
di nuovo quella sgradevole sensazione, e sgranchì un braccio
per allontanarla.
Ogni
tanto i suoi muscoli si muovevano a rilento, come se
dovessero farsi strada nell’acqua anziché
nell’aria.
A
quel disagio si accompagnava una lieve difficoltà
respiratoria, che gli impediva sia di inalare che di espirare. Entrambi
i
disturbi si volatilizzavano dopo qualche secondo, ma lo sgradevole
ricordo si
attardava nel suo corpo, nascondendosi tra le ossa e i tendini.
Ruotò
le spalle e torse il busto, nel tentativo di strizzare
fuori quel fastidio come avrebbe fatto con l’acqua sporca da
uno straccio.
«Non
hai ancora completato la corona funebre?»
Il
peso dell’uomo gli gravò sulla testa quando il
becchino
vi appoggiò sopra il mento. Le maniche scure della tunica
andarono a
sovrapporsi davanti al mento del ragazzo.
«Per
fortuna Madama Red è molto più paziente adesso di
quando era in vita…» scherzò Undertaker
con il suo umorismo macabro.
Finnian
annuì, nascondendo dietro i crisantemi rossi il viso
del medesimo colore.
Doveva
essersi accorto dell’effetto che aveva su di lui. Finnian
era trasparente come un ruscello di montagna, per cui era impensabile
che
potesse nascondere qualcosa allo scaltro becchino.
«Sei
ancora turbato per il sogno?» Undertaker gli pose la
domanda facendogli passare l’unghia nera sul collo, seguendo
la mediana di uno
sgozzatore.
Finnian
scosse la testa e sprofondò ulteriormente il viso
nei fiori.
«Sto
bene» garantì.
Gli
bastava che il becchino svolazzasse attorno a lui con il
fruscio della sua veste di carbone e le sue risate discordanti per
essere
contento.
Non
riusciva a capire perché quella mattina fosse tanto
turbato.
Aveva
ancora la sensazione che qualcuno sarebbe venuto ad
interrompere quella luttuosa quotidianità passata tra i
feretri.
Qualcuno
chiamato Bard, che aveva una voce grattata dalla
raucedine, o forse dal troppo amore per le sigarette.
Ma
perché uno sconosciuto sarebbe dovuto venire fin
lì per
prenderlo?
I
sogni lasciavano davvero delle bizzarre sensazioni
ancorate alla pelle.
Secondo
Coro -
Pugnale
Il
cuore si rattrappì e si stirò provocandogli il
massimo
dolore possibile.
Non
aveva strappato Finnian dagli artigli della natura per
consegnarlo nelle grinfie del diavolo.
Non
aveva invocato aiuto per vederlo ridotto in quello
stato.
Si
guardò intorno, alla ricerca di un oggetto sufficientemente
pesante per distruggere il vetro davanti a sé.
Una
mano adunca gli artigliò la spalla, trafiggendogli la
carne con le unghie rapaci. Bard soffocò a stento un grido
tra i denti
digrignati.
«Voi
della Corporazione Ovest dovreste limitarvi al vostro
lavoro, e non intromettervi in quello altrui»
consigliò una voce spettrale.
L’artiglio incuneato nella sua spalla lo costrinse a
voltarsi, in una posizione
inginocchiata e umiliante. «Omicidi architettati in modo da
sembrare catastrofi
naturali: è questo il vostro compito.»
«Non
si tratta di lavoro. Finnian è mio fratello» gli
ricordò a labbra strette Bard, strattonando via da
sé quelle unghie uncinate. Quattro
grosse gocce di sangue si gonfiarono nei punti in cui gli artigli si
erano
conficcati, per poi colare con indolenza sulla camicia scura.
«Quanta
ipocrisia» lo schernì l’uomo, scuotendo
il capo. «Avete
passato la vita ad uccidere il prossimo simulando
incidenti… e ora non riuscite ad accettare che vostro
fratello sia deceduto in
una disgrazia naturale?»
«Non
è morto» latrò Bard, premendo una mano
sui graffi
sanguinanti. «Non ancora.»
«Morirà,
se sarete così cocciuto…»
Il
loro dialogo fu interrotto da un rumore gorgogliante e
ovattato, lo stesso di un corpo che si muove nell’acqua.
«Oh,
ma che fortuna!» gioì falsamente l’uomo,
rovesciando la
testa in una risata senza gioia. «Potrete assistere al
risveglio della mia
creatura!»
L’essere
si mosse ancora, producendo quel suono
terrificante.
Bard
lo fissò, gli occhi sgranati e il cuore pietrificato.
Non
sarebbe fuggito. Non di nuovo.
Seconda
Sinfonia
- Croce
Non
gli avrebbe permesso di vincere.
Bard
era stato utile solo per creare l’occasione propizia
all’avvio
del suo piano sublime.
Era
inammissibile che un simile inetto potesse intaccare la
riuscita della sua ricerca.
Le
bambole attorno a lui assistettero in un silenzio
rispettoso.
L’uomo
si affannò sul corpo madido del giovane steso sul
catafalco: doveva regolarizzare la pressione sanguigna, schizzata alle
stelle, e
sedare il suo cuore prima che scoppiasse.
Maledizione.
Lui
era un becchino, specializzato nel rendere confortevole
il viaggio di sola andata verso le lande
dell’aldilà. Non si era mai
preoccupato della via di ritorno.
Non
sapeva come convincere una persona sull’orlo della
sincope a compiere un passo indietro: lui era sempre stato quello che,
sull’orlo del baratro, assestava la spinta finale per potersi
occupare del
corredo funebre.
Ma
in quel caso doveva tentare, o tutti i suoi sforzi
sarebbero svaniti con il tracollo di quel piccolo corpo che si dimenava
in
preda agli spasmi.
I
burattini sgranarono gli occhi di vetro, in attesa del
seguito.
Terzo
Pentagramma - Rosa
La
corona di fiori scarlatti rendeva onore a quella che era
stata una delle donne più eleganti della nobiltà
nell’ultimo ventennio.
Finnian
osservò il proprio lavoro, soddisfatto.
Il
sorriso era tornato ad appropriarsi del suo volto, man
mano che l’ansia lasciata dal sogno e dagli strani malesseri
evaporava.
Undertaker
stesso sembrava aver gradito il suo operato, e le
sue strane lodi scompagnate erano state la migliore ricompensa.
Non
capiva proprio perché quella mattina avesse avuto la
netta impressione che qualcuno sarebbe venuto a separarlo dal becchino.
Non
ricordava nemmeno il nome della sua angoscia. Rammentava
solo la lontana eco di una voce arrochita.
Finnian
si strinse nelle spalle esili, e tornò al suo lavoro
fischiettando.
I
sogni erano davvero incomprensibili.
Meglio
lasciarli agli psicoanalisti.
Si
arrotolò le maniche e riprese a comporre mazzi di fiori.
Secondo
Atto
Di
verità e di sangue
Anche
se si erano trasferiti in quella città grigia di
inquinamento, la campagna soleggiata in cui erano nati splendeva nei
lineamenti
del fratello.
Era
l’unica cosa che considerasse davvero bella in un mondo
che si avviava verso la decomposizione.
«Non
dovresti fumare così tanto. Ti fa male alla gola.»
Sembrava
proprio un gattino impaurito quando si preoccupava
per lui.
«Al
contrario, rende la mia voce unica. Così non te la
potrai scordare» aveva scherzato Bard. Il suo fratellino era
così ingenuo che
avrebbe creduto a qualunque frottola, se ben recitata.
E
così candido da riuscire a spiazzarlo e commuoverlo con
pochissime parole.
Non
le avrebbe credute, se pronunciate da altri. Ma Finnian
era l’unica persona al mondo a non essersi immersa nel lago
dell’ipocrisia:
ogni sua frase era lavata da qualunque falsità.
«Non
potrei mai dimenticarmi qualcosa di te. Ti voglio
troppo bene.»
Terzo
Coro -
Siringa
Bard
non traeva piacere dal suo lavoro. Non godeva nel
vedere la gente arrancare nel tentativo di salvarsi dalla frana che lui
stesso
aveva provocato o raspare ai vetri della macchina che inspiegabilmente
era
finita fuori strada.
Semplicemente,
era nato con quel talento, e lo sfruttava per
sopravvivere. Soprattutto, lo usava per prendersi cura del suo
fratellino
minore.
Non
importava quante croci avrebbe calpestato o quanti
loculi avrebbe riempito: Finnian valeva ogni goccia di sangue
sacrificata.
Per
questo non aveva accettato che la natura volesse
riprenderselo così prematuramente.
Forse
la verde signora era adirata con lui per essere stata
la sua involontaria complice in una serie troppo lunga di crimini, e
aveva
deciso di colpirlo nel suo unico punto debole: un albero si era
schiantato sul
suo fratellino, distruggendogli la spina dorsale.
Non
aveva nemmeno pensato di rivolgersi agli angeli o ai
santi: non avrebbero mai dato ascolto ad un peccatore impenitente come
lui.
Aveva chiesto aiuto al demonio peggiore che conoscesse.
Avrebbe
dovuto capire subito che il diavolo sorrideva solo
per nascondere il marciume dell’anima. Ma suo fratello stava
morendo, e l’unica
cosa di cui gli importava era che quell’uomo poteva aiutarlo.
Non
era quello
che si aspettava.
Credeva
che
quell’individuo avrebbe richiesto il pagamento da lui, magari
assegnandogli una
serie di obiettivi da eliminare. Mai avrebbe immaginato che il prezzo
richiesto
da quel malvagio fosse la stessa vita che stava salvando.
«Finnian…»
chiamò, mentre la creatura si dibatteva nel suo
liquido amniotico, all’interno dell’enorme cilindro
di vetro.
Riportare
in
vita chi è morto, infondere la forza di un dio in un
involucro umano.
Creare
la
macchina da guerra definitiva.
Questo
era il
progetto insensato di quel malefico uomo.
E
Finnian, il
suo innocente fratellino, sarebbe stato la cavia e la prova
sperimentale di
quella pazzia.
Bard
osservò con trasecolato orrore l’essere che
stendeva
gli arti all’interno della sua gabbia cristallina, che
caricava all’indietro un
pugno e lo abbatteva con tutta la sua forza sulla parete di fronte a
sé. Il
vetro lanciò un acuto stridio, soffocato dallo scroscio di
fluidi proteici che
si riversò all’esterno con estrema violenza.
La
creatura rimase rannicchiata sul fondo della sua
prigione, appallottolata sulle proprie gambe per contenere il calore
mentre l’aria
fredda gli congelava i residui di liquido sulla pelle. Poi
afferrò i bordi
scheggiati del vetro spezzato: copiosi ruscelli cremisi sgorgarono
dalle sue
dita, ma l’essere non emise neppure uno sbuffo. Si
issò sulle gambe malferme e
mosse qualche passo incerto prima di trovare un equilibrio.
Uscì
quindi dalla teca in frantumi, scrollando le mani che
ancora rigettavano sangue. L’essere teneva il viso basso per
monitorare lo
spostamento dei piedi nei passi, perciò Bard non
poté scorgerne l’espressione.
Un
bagliore argenteo lo avvisò che l’uomo sepolcrale
era
uscito allo scoperto: le luci al neon di quel laboratorio facevano
apparire la
sua chioma quasi opalescente.
«Vivo
e felice» Undertaker si spogliò del mantello per
avvolgerlo attorno ai fianchi nudi e bagnati della sua creazione.
«Non è forse
questo ciò che desideravate?» afferrò
tra le dita di ferro il volto minuto del
ragazzo e lo sollevò verso la luce.
Bard
riconobbe in quegli zaffiri spenti l’ombra degli occhi
azzurri che si illuminavano alle sue battute, estrasse il ricordo dei
capelli
di grano dalle ciocche fradice appiccicate al volto, ma non
riuscì a paragonare
il sorriso solare del fratello con quello cadaverico della sua
imitazione.
«Voi
mi avete portato un corpo ad un passo dalla morte, e io
l’ho ricondotto in questo mondo» si compiacque il
becchino, girando attorno al
suo esperimento per fissarlo meglio. «Come
richiesto.»
«Finnian…»
sussurrò di nuovo Bard, incapace di articolare
altro.
I
segni dello schianto dell’albero erano ancora visibili: i
rami avevano scavato spessi sfregi sull’addome del ragazzo,
ed i punti di
sutura stringevano i lembi di pelle slavata che Undertaker aveva dovuto
ricucire.
Finnian
lo studiò con i grandi occhi spalancati ed il
sorriso immancabile sulle labbra.
Bard
non lo vide raccogliere la lunga lama di vetro, e non
lo vide arrivare.
La
punta insanguinata forò il suo polmone destro e
sbucò
sulla schiena; l’organo ferito vomitò una cascata
di sangue denso e scuro sulla
mano del giovane, chiusa ad impugnare l’arma improvvisata. La
linfa vitale dei
due fratelli si mescolò in un unico rigagnolo che
strisciò sul polso del più
giovane per poi gocciolare sul pavimento asettico.
«Chi
è lei?» chiese Finnian, senza perdere il sorriso.
«Oh,
forse me ne ero scordato» Undertaker si finse
amareggiato nel rivelare: «Sono stato costretto a manipolare
la sua memoria. Credo
che attualmente… lui ricordi solo di essere stato il mio
aiutante» ghignò,
predatorio. «Temo che voi siate stato rimosso. I fratelli non
sono utili per uno
strumento di precisione.»
Bard
non rispose alle illazioni del becchino: mosse
faticosamente un passo in avanti, pestando la pozza del suo stesso
sangue.
Finnian piegò il braccio per permettergli di avvicinarsi,
serafico nella sua
apatia.
«Sembra
che io debba andare…» gorgogliò Bard.
Bolle
vermiglie schiumarono sulle sue labbra mentre parlava: «Mi
dispiace, Finnian.
Non posso restare oltre. Ma non preoccuparti»
l’espressione intontita e serena
del giovane non mutò minimamente quando l’uomo lo
abbracciò.
La
voce rauca gli solleticò il collo ancora umido quando
Bard terminò:
«Aspettami,
Finnian. Tornerò a prenderti prestissimo.»
Questa
volta fu Undertaker ad accorgersi troppo tardi del
susseguirsi degli eventi: l’assassino infilò
rapido una mano nel tascapane
sulla coscia, strinse qualcosa nel pugno e lo diresse al collo di
Finnian. Il
ragazzo batté appena le palpebre quando la siringa gli
perforò la carne sotto
la mandibola.
«Andrò
prima io, così potrò indicarti il
sentiero» lo
rassicurò Bard, stringendolo fraterno come facevano da
bambini. «Non potrò
accompagnarti fino in fondo, però, perché tu
andrai in un posto molto più alto
rispetto a dove sarò buttato io» si
allontanò per guardare il fratello, ancora
immobile nonostante la siringa penzolante dal collo.
«Perdonami, Finnian. Non
avrei mai dovuto ridurti ad un morto vivente.»
Le
gambe gli cedettero, e le ginocchia affondarono nel
sangue colato a terra.
Udì
il tonfo del suo corpo che cadeva come un boato
sommesso. Le membra si ibernarono, le palpebre scesero sugli occhi, un
ultima
stilla di sangue venne sputata fuori.
La
morte fu crudele con lui nell’ultimo istante. Dopo tanti
anni di fedele servizio, Bard si aspettava un trattamento di riguardo
da quella
vecchia megera.
L’estremo
torpore non lo rapì abbastanza in fretta da
soffocare le ultime parole del fratello.
«Undertaker,
chi è quel signore?»
Terza
Sinfonia -
Epigrafe
Considerava
Bard un uomo fondamentalmente debole. Muscoloso ed
esperto nel suo mestiere, ma con il cuore di cristallo: aveva trasfuso
tutta la
sua forza d’animo nel fratello mingherlino, denutrendo il
proprio spirito
affinché l’altro potesse irrobustire il suo.
Erano
simili gentilezze che portavano ad una tragica fine.
Lo testimoniava il corpo ormai rigido dell’uomo, rovesciato
in un lago cremisi.
Proprio
per quella debolezza che si era autoinflitto, non lo
credeva capace di avvelenare il consanguineo pur di strapparlo dal
demonio cui
lui stesso lo aveva consegnato.
La
pelle del giovane riluceva di sudore, il cuore
sbatacchiava contro le costole nel tentativo di non soccombere alle
tossine in circolo,
la bocca spalancata cercava ossigeno e vita.
Lo
aveva riportato indietro una volta, poteva farlo una
seconda.
Le
marionette improvvisarono una piramide oscillante per
osservare le manovre del becchino.
Videro
passare fiale e boccette, siringhe e lacci
emostatici, tamponi e becher pieni di liquidi sconosciuti. Ad ogni
tentativo,
il volto di Undertaker si rilassava o si tendeva in base alle reazioni
del
corpo guizzante steso sul catafalco.
Passarono
minuti che parvero ore, e ore lunghe come
settimane prima che la respirazione del giovane si regolarizzasse. Il
petto
tornò ad alzarsi e abbassarsi con un ritmo calmo e
rilassato, gli occhi vitrei
si chiusero per la stanchezza e il sudore si raggelò sulla
pelle non più scossa
dagli spasmi.
Il
sogghigno di Undertaker fu particolarmente perfido: la scienza
aveva trionfato sui legami di sangue, l’ossessione e la
bramosia avevano
schiacciato l’affetto fraterno. Poteva quasi percepire il
risentimento di Bard
dal girone d’inferno in cui era stato relegato.
Sollevò
il ragazzo tra le braccia e lo adagiò nel luogo
più
adatto al riposo di un morto due volte: il raso del rivestimento
frusciò quando
Finnian venne depositato nella bara.
«Chissà
se mi chiederà ancora chi eri» soppesò,
scrutando il
viso dormiente del giovane.
«Non
credo avverrà» si allontanò dal feretro
e si strinse
nelle spalle. «Probabilmente, avrà dimenticato
perfino di averti ucciso»
ridacchiò sadico, poggiandosi al bancone. «Bard, credevi davvero di essere più
forte della morte? Credevi davvero
che ti avrei permesso di
portarlo con te?»
E
rise…
Ultimo
atto
Di
echi e di lacrime
Aveva
deciso che
la sua cavia sarebbe stata quel ragazzo da quando lo aveva visto
insieme a suo
fratello.
Bard
era venuto
nel suo negozio per consegnargli un cadavere, e il consanguineo lo
aveva
seguito trotterellando.
Il
piccolo non
aveva notato le casse da morto, l’odore di sangue o
l’aria tenebrosa del
locale.
Era
rimasto
fuori e aveva esclamato, additando un narciso:
«Guarda,
Bard!
E’ arrivata la primavera!»
L’omicida
aveva
raggiunto il fratellino per rimirare assieme a lui quel fiore.
Finnian
non si
era curato del fatto che il narciso sbocciasse sulle zolle smosse di
una tomba
fresca, e che affondasse le sue radici nel cuore del disgraziato
sepolto lì
sotto.
Un
ragazzo che
vedeva una goccia di vita nel mare della morte.
Sarebbe
stato
meraviglioso trasformarlo in un ossimoro, facendolo diventare colui che
porta
un lume di morte nel sole della vita.
La
magnolia era
stata provvidenziale: si era schiantata esattamente sul fragile dorso
del
giovane, sfracellandolo.
Dopo
averlo
ricomposto, aveva modificato i suoi ricordi in modo che rimuovesse
l’immagine
del fratello: non avrebbe permesso a quel giovane di allontanarsi, ora
che lo
aveva finalmente in suo potere.
Si
era divertito
a fargli sognare i suoi giorni da aiutante nella bottega, mentre
riposava
sospeso nella soluzione acquosa; riteneva di essere stato
particolarmente abile
nell’avergli ritagliato il ruolo di fioraio, e
nell’aver intessuto un affetto
ambiguo tra se stesso e il giovane.
Finnian
credeva
di essere un orfano salvato dal becchino, cui era devoto e fedele, e di
aver
vissuto i suoi giorni in quell’impresa di pompe funebri
intrecciando ghirlande
mortuarie.
Tutto
il resto
era stato cancellato.
Ultimo
Pentagramma - Crisantemo
La
calura sottile di marzo frizzava nell’aria.
Finnian
inspirò a pieni polmoni, lieto dell’arrivo della
bella stagione e della fine del suo malessere.
Undertaker
era stato molto premuroso con lui: non gli aveva
permesso di sforzarsi troppo, sebbene il ragazzo scalpitasse per
tornare al
lavoro.
Immaginava
quanto il suo riposo gravasse sulle spalle del
becchino, poiché, senza di lui, era costretto a fare tutto
da solo. Le bambole
che sedevano in un angolo del negozio non avrebbero di certo composto i
mazzi
per i funerali.
Quello
era il suo primo giorno di libertà da quando una
strana malattia lo aveva colpito. Stando alle parole di Undertaker,
aveva
contratto un virus tipico di febbraio, che si era mostrato
particolarmente
virulento per via della sua natura cagionevole.
Passeggiò
allegro per le strade illuminate dal sole,
canticchiando a mezza voce. Il becchino aveva insistito
affinché non si
mettesse subito al lavoro, per cui gli aveva concesso un giorno di
festa.
Era
felice: aveva un pomeriggio di tutto riposo davanti, la
primavera scintillava, e Undertaker aveva dimostrato interessamento nei
suoi
confronti.
Quell’ultima
cosa lo rallegrava più di tutte le altre: vedere
l’uomo oscuro diventare ogni giorno più tenero
nutriva la sua illusione di
essere ricambiato.
Eppure
c’era qualcosa che guastava quel quadro gradevole. Aveva
la sensazione di aver dimenticato qualcosa.
Si
bloccò all’improvviso.
La
strada era sbarrata da una grande magnolia, spezzata a
metà. I fiori erano sparsi a terra, strappati da una bufera
aggressiva.
Il
suo cuore si gettò nei piedi, come se provasse paura per
quell’albero fracassato; i palmi divennero umidi di sudore, e
il respiro si
arrampicò con fatica nella trachea.
Mosse
un passo indietro, e sentì la schiena bruciare. Per un
attimo, nella sua mente lampeggiò l’immagine di
quel tronco da un’altra
prospettiva: vedeva le radici divelte, le schegge conficcate nella
propria
schiena, un fiore caduto gli danzava davanti agli occhi…
Portò
una mano alla guancia, in cui un punto non più grande
di un petalo aveva preso a scottare.
Un’eco
roca gli rimbombò nella testa, una voce che stormiva una
tristezza infinita.
Finnian
si tappò le orecchie, cercando di arginare quel
diluvio di sensazioni caotiche. Quel suono greve gli crivellava il
cuore: in
quella nota raschiata, c’era qualcosa che non avrebbe dovuto
dimenticare...
La
risonanza rauca si fece sempre più forte, sempre
più
martellante, fino a che non distinse una promessa, nel tuono raspato.
Tornerò
a prenderti
prestissimo.
Ma
chi? Chi doveva venirlo a prendere?
Staccò
le mani dalle orecchie, ed inorridì nel passarle
sotto gli occhi: per un istante le vide ricoperte di sangue, imbrattate
di una
vita che non era la sua.
Le
intrecciò tra loro mimando il gesto di lavarle, con
sempre maggiore foga.
Non
bastava. Non sarebbe bastata tutta l’acqua del mondo per
mondarle.
Una
lacrima cadde dai suoi occhi e si infranse sulle nocche
contratte.
Perché
quella voce lo faceva piangere come se fosse
scomparso qualcosa di importante?
Come
se fosse … morto qualcuno?
Una
seconda lacrima seguì la prima, e un'altra ancora.
Fregò
di nuovo le mani, irrorandole di pianto. Solo in quel
modo avrebbe potuto rimuovere l’invisibile sudiciume che
gravava sui suoi
palmi.
E
pianse, pianse, pianse.
Pianse
per la magnolia sradicata, per la tristezza di quella
voce arrochita e senza corpo che gli spaccava il cuore.
E
per il vuoto, pesante come una lapide, che carbonizzava la
sua anima.
Ultima
Sinfonia
- Epitaffio
«E’
di nuovo addormentato?»
«Undertaker
preferisce tenerlo sotto sedativi finché non
sarà sicuro di avere di nuovo il controllo della sua
mente.»
«Quindi
la morte di Bard l’ha sconvolto?»
«Sì,
anche se non ricorda di essere un fratricida, né di
aver mai avuto un fratello.»
«Un
desiderio scientifico ha primeggiato su un affetto
sincero.»
«Cosa
sognerà?»
Le
marionette si voltarono verso la più piccola che aveva
appena espresso quel dubbio.
«Un
negozio senza bambole parlanti» rispose la prima.
«Un
padrone di cui essere innamorato» precisò la
seconda.
«Una
normale vita da fioraio» completò la terza.
«Quello
che sognava anche prima del suo risveglio»
brontolò
la quarta.
Un
mugugno sofferente si levò dalla bara in cui era steso il
giovane. I burattini si arrampicarono sul bordo del feretro per vedere
cosa
turbasse il sonno forzato del ragazzo.
Finnian
era raggomitolato su un fianco, una piccola
processione di lacrime procedeva spedita sulle sue guance, le mani si
affaticavano a lavarsi vicendevolmente. E uggiolava piano, come un
cucciolo
ferito, biascicando suoni incomprensibili.
«Cosa
sta sognando?» chiese di nuovo la minore.
Le
altre sospirarono prima di rispondere:
«L’eco
di un fratello.»
«La
sporcizia del sangue.»
«Il
fantasma di una vita perduta.»
«L’ombra
di una morte evitata. »
«Un
vuoto che non colmerà mai.»
Un
burattino si levò il cappello e mormorò, mesto:
«Riposa
in pace, Finnian. Non svegliarti assieme a questo
corpo morto e rinato.»
E
stettero lì, ad osservare il giovane che si lamentava
sommessamente.
Solo
una frase scivolò fuori dalle labbra umide di pianto:
«Non
volevo…»
Vieni
a prendermi,
chiunque
tu sia.
E’
così vuoto, qui…
NdA:
dato il feticismo per i parallelismi,
ne è presente uno tra le due scene che vedono Finnian e la
magnolia: nella
prima Finnian, morendo, raccoglie il fiore che gli è caduto
sul viso e, quando
la rivede nel proprio sogno, la stessa gota prende a bruciare.
I
metodi di
Undertaker per manipolare Finnian sono stati volontariamente taciuti
per
mantenere segrete le arti oscure del becchino e dei suoi anditi
tenebrosi.
La
prima parte
della fanfic è quasi labirintica per trasmettere il senso di
confusione e
soffocamento creato da questa situazione assurda: un assassino che
lotta per la
vita, un becchino che gioca con la vita ed un ragazzo che non sa quale
sia la
sua vita.
L’ultima
parte è
un po’ freudiana: Finnian ha rimosso i ricordi mnemonici del
fratello per via
delle alterazioni di Undertaker, ma il suo subconscio non ha
dimenticato le
sensazioni provate con Bard, prima di tutte la voce arrochita del
fratello.
E
poi… ci sono
altri parallelismi e significati nascosti, ma non desidero spiegarli
tutti:
preferisco che il lettore tragga le sue conclusioni da sé,
altrimenti questo
sarebbe un saggio, e non una narrazione<3
Ciò
detto, la
fic e le note si possono dire concluse.
Spero
che,
nonostante il carattere fosco, si sia rivelata una lettura
gradevole<3
Alla
prossima :D
Red<3