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Autore: Aleena    04/04/2012    4 recensioni
Un uomo metà roccia, metà angelo.
Una donna dalla vita infranta.
Due realtà contrastanti, due mondi intrappolati in un'unico corpo.
Scritta per il contesto “Il cielo e… il viaggiatore” - classificata settima.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kyrie Eleison'
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 «Sono fiorite le margherite. La primavera sta arrivando» disse l’uomo-angelo aprendo le braccia, sul volto un sorriso leggero, etereo.
Che affermazione stupida la sua! Come poteva un fiore essere indice di una stagione? Impossibile… no, ingannevole: illusorio come quel sole splendente, come quel cielo azzurro che lo sovrastava con il suo impalpabile peso. Sarebbe bastata una gelata tardiva per far morire quegli intrepidi fiori che s’affacciavano fra l’erba con quell’eccessiva sicurezza, quasi con una sorta di fatale superiorità; e come per loro, nulla più di una tempesta, un semplice piccolo temporale avrebbe potuto distruggere quel cielo così sfrontatamente sicuro di sé.
«Basterebbe un sasso, e forse un giorno sarò io a tirarlo» disse l’uomo-angelo e sorrise ancora, distogliendo lo sguardo dal mondo per portarlo verso l’Oltre e ammirarne la grandezza.
La città nel cielo era immensa, circondata da torri e colline che digradavano dolcemente in valli impervie e poi in alte vette, la cui cima doveva arrivare a toccare la luna stessa. Promontori s’ergevano elevati e immateriali contro il nulla inconsistente di quel cielo troppo greve, formazioni di roccia che un vento poteva tramutare in ruscelli e poi in alberi, perfino in fantastica fauna.
Era questo il mondo dell’uomo-angelo, la terra che tanto faticosamente si era creata e nella quale risiedeva, imperatore incontrastato e unico abitante; una terra cangiante come mutevoli erano i suoi umori, simile all’uomo-angelo pur tuttavia estranea, inesplorata. Ieri era foresta, oggi prateria, domani chissà, forse oceano e forse deserto. O entrambi, che differenza poteva fare?
«C’è un’intera vita qui» sussurrò al nulla e si mise a correre senza una meta, senza una ragione, senza un pensiero. Dimentico delle margherite, immemore dell’uomo-roccia. 

 Sophia piangeva in silenzio, soffocando i singhiozzi nella calda imbottitura del suo giaccone da passeggio; non voleva svegliarlo tanto più di quanto volesse realmente accudirlo e questo accresceva il suo dolore.
Silenziosamente richiuse la porta dietro si sé senza voltarsi e vi poggiò la schiena, rovinandovi contro con la troppa violenza che potrebbe tradire una grande stanchezza. Non era così eppure Sophia non l’avrebbe ammesso con nessuno, neppure con se stessa.
Il giorno prima sua sorella era venuta a far loro visita e l’aveva trovata dimagrita; si era preoccupata inutilmente e i risultati di quella sua agitazione riempivano ora il frigorifero altresì desolato. La verità era che Sophia non aveva né la voglia né il tempo di mettersi a cucinare: ogni sera usciva alle sei di casa e faceva tappa in quel ristorantino fuori mano che Samael aveva amato così tanto, si sedeva al tavolo più caotico e consumava lentamente il piatto che il cuoco decideva di farle servire.
Cosa importa quel che mangio?Aveva risposto una sera ad una cameriera un po’ confusa Tutto per me ha lo stesso sapore, quindi perché scegliere? La ragazza se n’era andata con un’alzata di spalle e da quel giorno nessuno le aveva più chiesto nulla.  A Sophia stava bene così, il silenzio le era congegnale: agognava l’anonimato che solo in mezzo al caos può esistere e ogni sera quel rituale le concedeva la sua ora d’aria. Senza questo sarebbe uscita di senno.

 

 L’uomo-angelo chiuse le mani a pugno e prese fiato, inspirando ozono e aria talmente rarefatta da non essere di alcun aiuto alla sue respirazione – un processo divenuto d’altrui competenza da quando la sua trasformazione s’era posta in essere. Chiuse gli occhi e lasciò la propria vita in mano all’uomo-roccia con un sorriso prima di gettarsi nel vuoto.
Giù, giù, sempre più a fondo, sempre più velocemente, attraverso banchi di cumulonembi che gli si attaccavano alle spalle nude simili a piume; e poi ancora in fondo, verso il luogo in cui gli uomini-umani si affannavano come api attorno al fiore in putrescenza ch’era il mondo. A cinquecento metri dal suolo planò, virando su ali di nubi nuovamente verso il cielo freddo e terso e su, su, ancora più su, oltre le nuvole, oltre il mondo e fino allo scuro confine del firmamento dove giacque, sereno, in attesa.

 

 Sophia si concesse poco meno di un minuto di follia prima di staccare la schiena dalla porta con una mossa brusca e dirigersi nel piccolo bagno del pianterreno. Si lavò la faccia con mosse veloci e precise e tamponò gli occhi con dell’acqua ghiacciata nella speranza si sgonfiassero presto: non voleva farsi vedere da lui in quello stato.

 

 Il tempo del mondo nel cielo era infinito, un intervallo instabile intercalato solo dalla venuta dell’uomo-roccia. Costui era di indole stantia, una macchia di immobile nulla al centro del dinamico universo in cui l’uomo-angelo si dilettava a correre, mai stanco.
Le battaglie fra l’uomo-roccia e l’uomo-angelo erano epiche, scontri di forza e volontà che vedevano sconfitto talvolta l’uno, talvolta l’altro: e quando era l’uomo-angelo a vincere c’era sempre un momento di puro vuoto, di estasi e libertà che pervadeva quel suo mondo così intimamente da togliergli il fiato; allora tutto rimaneva sospeso in un istante perfetto, fermo nell’attesa di un balzo , di un volo che anelava compiere e che l’uomo-roccia gli precludeva, attirandolo bruscamente a sé. Allora lottavano e poteva ripetersi all’infinito quell’istante di vittoria o abbattersi sul mondo la sconfitta, nube nera a densa che bloccava il tutto, sfocandone la superficie come un vetro ondulato e tagliandolo fuori. Era allora che la natura dell’uomo-roccia lo richiamava a sé, imprigionandolo in quel carcere che era il suo corpo.

 

 Il frigorifero mandava un odore acre e pungente che fece arricciare il naso di Sophia. Sul fondo, ben nascosto dalle gelide pareti di plastica, un limone s’era sfatto, inquinando i suoi vicini con quella piccola secrezione verde.
«’fanculo» borbottò Sophia, portandosi di corsa la mano alla bocca e guardandosi intorno.
Non c’era nessuno.
«Stupida, stupida, stupida donna che sei» sussurro all’aria Sophia quindi estrasse dapprima una teglia e poi l’altra, entrambe coperte da uno strato abbondante di pellicola trasparente.

 

 Quando l’uomo-roccia vinceva, il mondo sfocava e il peso di quel corpo ormai inservibile tornava a gravare sull’anima libera dell’uomo-angelo assieme alla coscienza di se. Rapidi dunque sopraggiungevano i ricordi a torturare la sua mente e il suo spirito e allora l’uomo ricordava il suo nome e quello di loro; ricordava la sensazione dell’erba fra le dita dei piedi e del vento sul corpo, l’emozione del peso di lui ed il profumo dei capelli di lei. Dunque si voltava verso il comodino a guardare quella foto e il suo spirito non reggeva: ricordava ogni cosa mentre la sua natura divina svaniva, sostituita da quella mortale e sofferente dell’uomo-roccia. Allora urlava tutta la frustrazione che aveva nel cuore fino a che lei non sopraggiungeva e lo sollevava, cantando dall’ago della siringa una canzone di oblio che si scioglieva nelle vene e lo faceva tornare ad essere l’uomo-angelo, libero dalla paralisi del suo corpo e nuovamente immerso in un mondo frenetico e meraviglioso.
Quando l’uomo-roccia veniva. Si, quando l’uomo roccia veniva e si portava via una parte di lui, la parte migliore, la parte sana…

 

 Sophia chiuse lo sportello del microonde sulle porzioni di lasagna e crema di funghi che sua sorella le aveva fornito. Impostò il timer e si mise a cercare nei cassetti forchetta, coltello e cucchiaio pregando, in cuor suo, di trovarlo sveglio e lucido quella sera.
Preparava un pasto liquido ed uno solido a causa di questa sua speranza, nell’attesa di tornare a consumarli veramente assieme – un sogno che, lo sapeva, diveniva ogni giorno sempre meno realizzabile.
Un trillo. Con delicatezza Sophia estrasse i contenitori ormai caldi e li posò sul vassoio verde acido che l’aveva così colpito durante la scelta dei regali di nozze. Caricandosi il peso della cena di Samael, Sophia si dispose a lasciare la cucina.

 

 L’uomo-roccia era arrivato. Indossava il sudario dei morti, che gli copriva il volto fino alle cosce, fasciandolo tanto da nasconderne i tratti; ma l’uomo-angelo sapeva chi era così allungò la mano fra le nubi e ne estrasse una lama corta e opaca. Oltre il velo di tessuto l’uomo-roccia sorrise, inchinandosi. Iniziava la lotta.

 

 Sophia mise il piede sul gradino delle scale con un misto di fretta e timore. Erano quasi le otto e doveva fare in fretta, vestirsi ed andare. Lontano da tutta quella follia, lui l’attendeva.

 

 «Lasciami qui» sussurrò l’uomo-angelo, chiudendo moncherini di ali attorno al suo corpo efebico come uno scudo.
«Sei sempre qui. Non puoi andartene, lo sai. Non potrai andartene mai. E loro ti attendono»
«Loro? Lei. Lui è morto e lo sai»
«Lui c’è, c’è sempre stato e sempre ci sarà, nonostante tu desideri altro»
«Io lo rivoglio!»
«È per questo che fuggi?»
«Io non fuggo, io sono bloccato, come te»
«Tu fuggi, viaggi lontano da me, da loro, da tutti. Viaggi nel tuo cielo e in esso ti perdi.»
«Io…»
«Tu devi venire con me, da lui. Da Sasha. Da tuo figlio»
«Sasha è morto.» disse l’uomo-angelo, trovando la forza di rialzarsi. Partì all’attacco dell’uomo-roccia caricando un unico, profondo colpo. Sorridendo, il suo avversario si mosse per riceverlo.

 

 Sophia era ferma al centro di due fuochi gemelli: dinnanzi a se la porta della camera di Samael, alle sue spalle l’uscio della stanza di Sasha. Per un attimo – e come ogni sera – la sua decisione vacillò. Nella gola aveva il sapore acre delle lacrime.

 

 «Devi venire con me» sussurrava soave la voce dell’uomo-roccia mentre la sua lama calava, falciandogli le ali.

 

 La sera dell’incidente Sophia era in casa, intenta a preparare una cena elaborata per il suo rientro. Avrebbe voluto festeggiare, prenotare in quel ristornate elegante nel quale Samael le aveva chiesto di sposarlo, ma Sasha è nuovamente in ospedale e Sophia preferisce festeggiare tutti assieme, una famiglia di nuovo riunita.
Ha rimandato una riunione importante per tornare a casa e preparare quei piatti che, ancora non lo sa, nella frenesia del momento finiranno per bruciarsi sulla fiamma.  Ancora non ci pensa, ancora non sa:  nella testa ripassa i tutoli degli articoli che domani manderà in stampa e quelli che archivierà. L’aereo di Samael era atterrato meno di un’ora prima ma Sophia non lo attende almeno per altri venti minuti: era stato Samael ad offrirsi di andare a prendere Sasha in ospedale e il traffico sulla settima è un inferno a quest’ora…
Venti minuti. Trenta. Quarantacinque. Allo scoccare dell’ora il trillo allegro del telefono la desta dalla conversazione mentale che sta avendo con la sua tanto giovane quanto sciocca assistente. S’asciuga le mani sul grembiule verde – curioso come ricordi ogni minimo particolare – e con voce allegra sussurra il suo «Pronto?» al telefono, sicura che Samael starà per avvertirla di un ingorgo o d’un incidente che l’hanno rallentato.
È un incidente quello che le comunicano ma non da Samael arriva la telefonata, bensì dall’Ospedale della contea.
Si precipita in macchina dimenticandosi perfino di spegnere i fornelli e di chiudere le luci; accosta la porta alle sue spalle e, dalla macchina, chiama sua sorella perché vada in casa a chiudere il gas, evitandole di trovarsi senza casa.
L’intero tragitto è speso in preghiere rivolte ad un cielo scuro che mal si intravvede oltre la luce delle insegne al neon e dei lampioni. Supplica e spera e piange senza rendersene conto; continua a farlo mentre attraversa l’area di parcheggio ed ancora mentre l’infermiera le indica lo studio del dottore, verso il quale si precipita.
«Si sieda, prego» esordisce l’uomo, un omino basso e scheletrico di qualche anno più vecchio di lei. Ha una voce cavernosa, cupa e stanca, che le fa temere il peggio.
«Come…» esordisce Sophia, ma si blocca. Qualcosa in lei brama notizie, qualcos’altro vorrebbe che questo momento di sospensione non finisca mai, che ci sia ancora speranza, ancora futuro.
«Suo figlio è stabile. Abbiamo dovuto mandarlo in dialisi ma sta bene. È ancora sotto shock e credo che farebbe bene ad andare da lui il prima possibile. Non potrà portarlo a casa per questa notte e, credo, neanche per la prossima. Il medico del torno di notte lo sta visitando ora.» snocciola, preciso e compito, sistemandosi su per il naso sottile degli occhialetti cerchiati di corno. Sophia non parla, prendendo fiato e tornando a preoccuparsi quasi allo stesso momento.
«E Samael?» domanda infine, con voce bassa. Il medico tace, sfoglia una cartella e ne estrae una lastra. Sophia guarda il nome che c’è stampato sopra e tira un sospiro di sollievo: non è quello di suo marito.
«Questa è la distorsione della colonna vertebrale che abbiamo supposto suo marito abbia.» esordisce il medico, riabbassando il foglio nero e guardando la donna sconvolta in volto «potremmo esserne certi fra mezz’ora, quando il laboratorio avrà finito di processare la sua. In ogni caso i dubbi in merito sono pochi. Ho visitato io stesso suo marito.»
«Cosa… cosa vuol dire? È in pericolo di vita?»
«No. Nessuna vertebra cervicale è stata danneggiata ma alcune del…»
«La prego, non si metta a snocciolare termini medici. Mi dica solo cosa… cosa vuol dire.»
«L’urto ha danneggiato la colonna, producendo dei danni alla parte inferiore del corpo. Danni permanenti.»
«Gesù, non vorrà dire.. mio marito potrà camminare di nuovo, mi dica che…»
«No, signora, mi spiace. È un danno irreversibile, questo.»
«Ma lui… viaggia, è il suo lavoro. Gira il mondo per affari e senza le gambe… come potrà prendere navi o aerei, come potrà salire su… oddio, ti prego, no, ti prego…»
«Potrà fare tutto quello che vorrà, signora. La riabilitazione sarà seguita sotto tutti gli aspetti, anche quello psicologico. Ed una volta che si sarà ripreso…»
Da qui la mente di Sophia vacilla, si perde in un nero ovattato privo di emozioni nel quale un po’ di luce riemerge, trascinata dalla voce di Sasha. Sta bene e Sophia lo abbraccia, simula felicità e, trattenendo le lacrime, racconta che il papà starà bene, che lui starà bene e che tutto andrà bene, ripetendo questa parola – bene, bene, bene – per un numero di volte che le pare infinito, finendo per convincere anche sé stessa.
Ma nulla è andato bene.
Sasha ha bisogno di un trapianto, le sue condizioni si sono aggravate e ormai la sua casa è quella stanza d’ospedale verso la quale Sophia si dirige ogni sera dopo la cena; Samael ha rifiutato ogni aiuto e vive chiuso in camera loro, perso in un mondo che è lontano dal suo dolore. Ogni tanto suo marito è cosciente, la saluta e la bacia, riconoscendola; altre volte è qualcun altro, un essere che vive del dolore, che crede di aver perso ogni cosa, perfino la speranza; spesso se ne sta disteso a fissare la porta per ore, perdendosi in essa.
Come sta facendo Sophia ora, ferma sulla soglia.

 

 «Sasha è vivo, e se solo tu ascoltassi tua moglie…» sussurrava l’uomo-roccia.
«Vivo? Sei pazzo, come Sophia. Come tutti. Io c’ero e so. Lui è morto e Sophia lo vuole indietro, vuole che io ci creda e che diventi pazzo come lei! Come tutti voi! Ma io non cedo, io non voglio!» L’uomo-angelo urlò il suo furore e si scagliò sull’avversario, inciampando in rocce di nuvole e affondando in depressioni di nembi. L’uomo-roccia rise ancora e sollevò le braccia, accogliendolo nel suo freddo, oscuro abbraccio: ma l’uomo-angelo non sarebbe caduto stavolta. Aveva un piano e voleva attuarlo.

 

 Sophia allunga le dita, abbassa la maniglia di appena un palmo.

 

 Quando il corpo che non può viaggiare riapre gli occhi c’è la luce dell’uomo-angelo ad illuminarli: una luce folle, una scintilla irragionevole. L’uomo-roccia grida il furore per l’inganno dell’altro e tenta di resistere ma viene schiacciato, spazzato via come una nube di fumo dal vento. L’uomo-angelo si guarda intorno, storcendo le labbra per la fatica di abitare quell’involucro così pensante, così inutile: mugugnando allunga un braccio tonico verso il primo cassetto, quello che Samael riempiva di depliant di compagnie aeree e che, l’uomo-angelo lo sa, nasconde un doppio fondo del quale l’uomo-roccia non ha mai parlato a nessuno. Sotto al legno, il metallo gelido dell’arma riluce del rossore delle insegne al neon oltre la finestra: un colore invitante, carico di presagi.
L’uomo-angelo muove il braccio con maggior sicurezza ora, come se il peso maggiore fosse un incentivo: sente il culmine arrivare, il momento tanto atteso.
Sta per riunire la famiglia.

 

 A volte Sophia pensa di avere due mariti: l’uno è quello calmo, il mite padre di famiglia che ha sposato in una mattinata d’inverno nella chiesetta che fa angolo con la tredicesima, l’altro è quello tormentato, l’uomo che crede di aver ucciso il loro bambino, quello sicuro che vi sia una città nel cielo dipinto sulla porta, quell’uscio dal vetro appena irregolare che Sophia aveva scelto per il meraviglioso paesaggio che v’era disegnato, una veduta bucolica di un lago in una giornata di primavera…

 

 Saranno ancora insieme. Lui, Sophia e Sasha. Come dovrebbero essere, come è giusto. Si, come è giusto. Per sempre insieme in quel mondo perfetto e vero che ha creato per loro proprio lì, nell’ingannevole superficie di vetro che ricopre la porta, in quel paesaggio appena abbozzato, fra le valli ed il fiume e poi su, nel cielo in cui volano uccelli che forse sono aironi e forse draghi. Verso la città nelle nuvole.

 

 … esplode. Schegge di vetro le cadono addosso spinte dall’urto della detonazione, ferendole le braccia ed il volto. Sophia trattiene il respiro, rantola e urla lasciando cadere a terra il vassoio, la minestra bollente che le ferisce le gambe. I piccoli dolori la fanno soffrire, acutizzati e ingigantiti da quel dolore talmente grande da essere dimenticato.  Poi il suo cuore si rompe e Sophia cade a terra, senza vita.

 

 Il suo cielo si è infranto, esploso in una miriade di schegge di sogno; ma è solo un’illusione, la più grande, l’ultima. Se l’uomo-roccia fosse ancora vivo piangerebbe, di certo convinto d’aver commesso un atto indicibile: ma l’uomo-roccia è un pazzo, convinto di avere ancora un figlio, una famiglia, una vita. L’uomo-angelo conosce la verità, l’uomo-angelo sa: questo è il modo che li farà stare insieme ancora, come se nulla fosse successo.
Piano la mano muore verso il cuore, la canna della pistola ancora calda che gli brucia la pelle: l’uomo-angelo chiude gli occhi e sorride – un sorriso folle, carico di una gioia malsana e pura ad un tempo – e sullo schermo delle palpebre socchiuse il cielo sulla porta torna intatto e perfetto, si anima di colori e vita, di prati dove le margherite non preannunciano alcunché e di climi sempre miti; crescono alberi, sorgono case, si ergono colli.
Sinuosa, una strada si allunga.
Lui, Sasha e Sophia sono su una macchina che viaggia verso il cielo.
 


 

Piccolo spazio-me: Giusto per chiarezza, darò una piccola spiegazione :) 
Innanzitutto, il contest era incentrato sul binomio "il cielo e... il viaggiatore". 
Ho inteso la figura del viaggiatore in senso lato: da una parte c’è il viaggiatore/uomo-roccia, ossia il Samael che per lavoro girava il mondo; dall’altra il viaggiatore/uomo-angelo, ossia il pazzo, quello che viaggia fra le ombre della pazzia e le luci della ragione.
Il cielo… bhe, l’idea che l’ossessione di Samael per la libertà fosse incatenata alla porta di vetro come lui era incatenato al letto mi piaceva :)
Samael è un nome d’angelo, scelto appositamente.
Spero vi sia piaciuto :) vi incollo il risultato ottenuto al contest, specificando che il cambio temporale è stato volutamente inserito come tale in quel preciso punto - lo so che probabilmente vi suonerà strano, ma mi piace particolamente, lì.

 
Settimo Classificato:
Releeshahn - Samael
 


Grammatica, sintassi, ortografia e lessico: 6 / 10 
La prima parte della storia è narrata al passato, mentre la seconda passa al presente senza una ragione. E questo purtroppo ha abbassato parecchio il punteggio. Ci sono altri piccoli errori di battitura e le virgole sono un po’ da rivedere. 

Sviluppo della trama: 10 / 10 
Le due situazioni sono alternate molto bene. Non si crea confusione, sebbene in principio non sia chiaro cosa lega i due personaggi e le loro vicende. 

Caratterizzazione dei personaggi: 10 / 10 
Fantastico il conflitto tra l’uomo-angelo e l’uomo-roccia, anche questi due pseudonimi sono azzeccati. Hai scelto una situazione mentale difficile per il protagonista, ma sei riuscita a renderla molto bene. Brava! 

Espressività: 9 / 10 
Gli scontri fra l’uomo-angelo e l’uomo-roccia sono molto coinvolgenti. E l’espediente della doppia narrazione è molto efficace, passando da momenti di tensione/azione a momenti di calma, anch’essi tesi, ma in modo diverso. 

Originalità: 9 / 10 
Un testo senza dubbio originale, il mondo in cui si muove l’uomo-angelo e il modo in cui si ricollega alla realtà sono ben pensati. 

Attinenza al tema e ai parametri posti: 10 / 10 
Niente da dire, i parametri sono stati rispettati. 

Valutazione finale: 54 / 60 
Una storia particolare che tocca il tema del senso di colpa e delle pesanti conseguenze. Con un finale che lascia l’amaro in bocca. 
  
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