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Autore: Learning    07/04/2012    0 recensioni
-Sono le due, finalmente.- grida Matteo dall'ombra che fa quella grande casa azzurrina. È estate, fa un caldo torrido, l'erba è assetata e tutti in questo momento vorrebbero di sicuro un bel ghiacciolo fresco. Quello azzurro, magari.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter One,
“Mi sono persa nei tuoi occhi, cavolo.”
 



-Sono le due, finalmente.- grida Matteo dall'ombra che fa quella grande casa azzurrina. È estate, fa un caldo torrido, l'erba è assetata e tutti in questo momento vorrebbero di sicuro un bel ghiacciolo fresco. Quello azzurro, magari.
Il ragazzo dal fisico asciutto corre verso di noi, tenendo gli occhi socchiusi perchè la luce lo sta accecando. -Cominciamo?- domanda al ragazzo più alto ma decisamente meno robusto, con gli occhi ridotti a fessure e un curioso cappellino verde con la visiera. Quello accenna ad un sì e Isa mi prende per mano per dirigerci al campo di pallavolo lì sotto, dopo il prato e di fianco alla possente chiesa gotica. Io e Isa ci conosciamo da cinque anni ormai, circa da gennaio del duemilasei. Non sono una che si ricorda le date, non so nemmeno il mio numero di cellulare, però mi ricordo che era una giornata calda anche quella. Io ero seduta sulla panchina del parco ad aspettare mia cugina Beatrice che, come al solito, aveva fatto tardi. Sono stata per l'intero pomeriggio con Isa, una bella ragazza bionda con due occhi azzurrissimi, a parlare sulla panchina. E prima di tornare a casa ci siamo scambiate il numero di telefono, sebbene io non lo sapessi a memoria perciò dovetti cercare sulla rubrica la voce “io”.Dopo quella sonora figura del cavolo, abbiamo iniziato a frequentarci e bam!, eccoci migliori amiche.
Matteo corre tra me e Isa e ci sussurra all'orecchio che dobbiamo far cantare la sigla ai bambini. Una miriade di bambini seduti davanti a noi. Che aspettano solo di consumare questa estate per il meglio, giocando, ridendo e divertendosi fino a esaurimento-forze. Non c'è nemmeno un filo di vento. Cavolo!, quanto mi farebbe bene ora. Rivolgo uno sguardo d'intesa alla mia migliore amica e lei afferra il microfono e parte la base e tutti i bambini cantano con una faccia da “sono stato obbligato, non guardarmi così!” e io sono costretta a fare la solita rompipalle e ad infilare il microfono tra la gola del bambino con la maglietta della Juventus e il foglio con le parole dell'inno. Mamma mia, è l'inno più brutto che avessi mai sentito. Ma anche questo, mio malgrado, è Grest. Quel divertimento più libero di un campo estivo e attivo per quella miriade di faccette annoiate e quella cosa decisamente più stancante per noi, ragazzi che superano la soglia dei quattordici anni. Ma ci piace, nonostante sia faticoso.
Comunque, finito l'inno mi avvicino a Matteo, che fa il coordinatore della situazione. Mi dice che devo portare la squadra verde in cima al campo. Sbuffo. Cavolo!, ma proprio fin su là!? Richiamo con dei gesti un gruppetto di bambini e bambine e m'incammino; svoltiamo l'angolo della chiesa e mi trovo davanti mio fratello Edoardo e un altro ragazzo, alto quanto basta, con due spicchi di cioccolato al posto degli occhi e i capelli ricci che risaltano il suo viso. -Ehi ciao sister!- mi dice Edo e io lo saluto con la mano. -Questo è Nicolas, un mio amico.- guardo in faccia il ragazzo e gli stringo la mano. Mi dice che posso chiamarlo Nico, se voglio.
M'ha impressionato quel tipo lì, i suoi occhi mi sono rimasti impressi nella mente e ora non riesco più a toglierli. Me lo rivedo come in un flashback, che mi saluta porgendomi la mano. Una mano calda, cavolo.
Adoro le mani calde.

***

-Domani usciamo!- mi ordina Isa, senza darmi nemmeno il tempo di protestare. È più o meno una settimana che non esco più sola con la mia migliore amica, tempo troppo lungo per tutte e due, decisamente. Le accenno ad un sì sofferente, recitando la parte della vittima. Ci piace scherzare. Ovunque, sempre, in qualsiasi contesto.
-A che ora ce ne andiamo da questo mondo infame, signora Contessa di Quel Paese?- la prendo in giro. -Non parlare forbito cara, che non ti riesce.- sta al gioco. La saluto con il solito bacetto sulla guancia e ci diamo appuntamento per l'indomani alle dieci e mezza per andare a fare shopping, mangiare un panino da Burger-King (evvai!) e passeggiare fino a sera inoltrata.
Torno a casa; sono le sei e mezza di pomeriggio e il sole, come di consueto in estate, è ancora alto in cielo e non ha la minima idea di congedarsi. Suono il campanello e sento da dentro le mura della mia abitazione mio fratello che urla “Nicoo! Vai tu ad apriree!”. Molto probabilmente si starà facendo una doccia, se la fa sempre a quest'ora. Sento una voce maschile che si chiede chi sia e rispondo prontamente “Sono io!” come mi è solito fare, ma dato che ad aprirmi è uno sconosciuto mi accorgo di dover dire il mio nome. Perfect!, un'altra figura del piffero.
Spingo il cancello grigio e mi fiondo in cucina perchè ho una leggera fame; mi volto per versarmi l'acqua e mi accorgo che c'è Nico che mi sta fissando. Scioccata faccio due passi in dietro e cerco di stare calma e di comportarmi il più naturale possibile, ovviamente con scarsi risultati. Non so perchè faccio così, ma mi sento in soggezione, ecco tutto. Accenno ad un saluto e lui si scusa subito dicendomi che non voleva spaventarmi e tutte quelle balle lì. Perdonami, ma mi sono persa nei tuoi occhi cavolo. Un'altra volta.
  
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