Sangue.
Tanto sangue.
Troppo sangue.
C’è sangue ovunque.
Sangue sui vecchi, sangue sui
giovani, sangue sulle donne, sangue sugli uomini.
Sangue su chi vive. Sangue su chi
è già morto.
Sangue sulla terra, sul mare, nel
cielo. Il cielo color vaniglia sanguina copioso, ferito al cuore.
Tramonto? Il sole che muore?
Potrebbe darsi, in fondo cosa c’è che non muore a questo mondo?
Tutto può morire, ma tu sei la
cosa più cara che ho. Quindi non morirai, sta tranquilla.
Bugia. Morta anche lei. E in
fondo cosa c’è che non muore a questo mondo?
Plic, plic ed ancora plic.
Il sangue fa un rumore buffo,
quando cade. Il sangue fa un rumore stupido, quando cade.
Cade dalle sue braccia, scende
caldo a fiotti, sembra non finire mai.
Sa benissimo che finirà.
Illudersi è umano e lui, per fortuna, umano lo è ancora. Almeno per un altro
po’.
Plic, plic ed ancora plic.
Bambini. Pelle liscia che
sanguina, si lacera, geme, si contorce. Non fa differenza.
Che siano bambini, non fa
differenza.
Piccoli? Indifesi? Innocenti? Nessuno
lo è davvero. E in fondo cosa c’è che non muore a questo mondo?
Sanguinano anche i fiori,
strappati con tutte le radici.
Sono piccoli?
Sono indifesi?
O, peggio, sono innocenti?
Tanto peggio per loro.
Fulmine.
Fiori… sanguinano i fiori? Certo
che no, che stupido. Ma poi diventa improvvisamente tardi per una risposta.
Plic, plic ed ancora un
maledettissimo plic.
Il sangue dei fiori è solo acqua
e non fa differenza. Se anche sanguinassero, nessuno lo saprebbe.
Dunque, i fiori non sanguinano.
Eh già… i fiori non sanguinano…
allora perché lui li vede rossi anch’essi?
Perché li vede sanguinare?
Anche loro?
Non esistevano altri colori?
Azzurro del cielo, verde del
mare, giallo della terra?
Non più.
I colori sono morti. E in fondo
cosa c’è che non muore a questo mondo?
Apre le braccia, ultimo gesto.
Cristo in croce. Croce di capelli rossi.
Capelli rossi che imprigionano le
sue membra.
Abbraccio.
Morire in un caldo abbraccio.
Morire soffocato da un raggelante abbraccio.
Sotto di lui, il mondo che ha
cercato di salvare. Invano.
Mondo.
Ne guarda il limite, l’orizzonte,
il confine naturale delle cose che rende questo piccolo atomo dell’Universo
tanto prezioso e tanto utile.
Quante vite ci sono?
Tante.
Troppe.
Quante vite già non ci sono?
Tante.
Troppe.
Mondo.
Scappa, sfugge, sgattaiola,
evade. Veloce come sempre il mondo. E invece niente è come sempre.
Povero bambino ricco, povero Ryan
Shirogane, lo volevi davvero salvare questo mondo?
Davvero pensavi che, se tu avessi messo assieme tre dati in
un computer, lo avresti davvero salvato?
Un giorno, ti sei alzato dal tuo letto. Ti sei alzato dalle
tue coperte di seta bianca. Hai guardato una finestra. Hai visto il marcio,
oltre la siepe di rose del tuo giardino. Hai visto il male, oltre le statue di
marmo bianco. Magari, ti sei detto che ci potevi provare tu davvero. Davvero,
potevi essere quello giusto, no? Ti sei raccontato che non avevi niente di meno
degli altri. Anzi… eri ricco, tenevi tra le mani giocattolini da migliaia di
dollari. Eri intelligente, eri anni avanti rispetto agli altri che arrancavano
dietro le equazioni che tu scarabocchiavi per divertimento. Eri anche bello, e
questo non guasta mai. No? Hai fatto il grande salto. Hai fatto quello che
gli altri non avevano fatto. Ti sei preso una croce sulle spalle, una croce
inumana e sei andato avanti, gloriandoti del tuo riflesso in uno specchio,
sentendoti superiore perché quel mondo lo volevi salvare, perché
camminavi un passo in avanti rispetto a tutti. Hai sacrificato tutto con una
dolorosa smorfia sul volto abbronzato, dicendoti che andava fatto. Perché
andava fatto?, adesso ti chiedi.
Non fare l’eroe. Dillo almeno a te stesso,
ammettilo che è sempre stato tutto un bel giochetto. Hai aperto un bar per
gioco, hai disegnato medaglioni per gioco, ti sei iniettato un dna felino per
gioco, hai amato una bella ragazza fulva per gioco.
La tua vita intera è stata un
gioco, un gioco per il diletto delle tue perle azzurre di occhi.
Fingere di essere superiore e non
esserlo affatto.
Ogni cosa ci rientrava
perfettamente.
Fino a sette anni fa…
A tradimento, hanno cambiato
gioco.
Ti hanno tolto la tutina rossa da
superuomo.
Te l’eri ricamata addosso pezzo
dopo pezzo.
E tu ancora ci credevi che lo
potevi salvare questo mondo.
Invece strappato come un’unghia
incarnita il tuo bel sogno.
Era tempo sprecato. Ed era anche
l’ultimo appello.
Perché arrivano gli alieni.
Si dicono anche loro… e perché
noi non potremmo?
Te li gettano all’aria i tre dati
in un computer.
Davvero superiori, loro?
Sì… non sei nulla davvero.
Ed allora vorresti avere avuto
più tempo, più voglia, più coraggio. Inutile, ancora dannatamente inutile.
Come tutto, in questa piccola
vita, in questo piccolo mondo infimo e stupido.
Cazzo, però, almeno la parte
dell’eroe l’hai provata a fare. Ci hai provato a fare qualcosa.
Conterà qualcosa, no?
Ti possono risparmiare almeno il
plic, plic ed ancora un fottuto plic nel cervello?
Almeno come povero risarcimento?
Ma non lo fanno. Ovvio. Non
interessa. Martella il plic, plic, plic come una goccia su una roccia.
Goccia che apre la pietra.
Anche lei era una piccola goccia,
anche lei rossa. Lei, rossa come sangue.
Sangue che è vita. Lei che era
vita. La sua.
Sangue rosso. Ma anche sangue
nero. Sangue blu di chi si illudeva di essere importante.
Ride al cielo, ride al mare, ride
alla terra, stridio su superficie liscia.
Anche lui era importante.
Ed ecco a voi, Ryan Shirogane…
Entrare da porte riservate.
Alloggiare in stanze riservate. Percorrere corridoi riservati.
Superare cordoni di velluto,
morbidi come la pelle di un bambino. Rossi, come la pelle di un bambino che
sanguina.
Unica garanzia richiesta. Sangue.
Suo.
Diverso.
Blu.
Shirogane, Ryan Shirogane. Il mio
nome è Ryan Shirogane. Nice to
meet you, too.
Plic, plic ed ancora plic.
Guarda il braccio, dove la lama è
scesa nella carne. Brucia. Sangue.
Rosso.
Rosso negli occhi, rosso sulle
mani, rosso… dentro… ovunque lo ha già detto?
Scoppia ancora a ridere. Il
coltello non è sceso fino in fondo, non ha trovato l’ostacolo dell’osso.
Semplice, non ha avuto più tempo,
voglia e coraggio. E chissà quante altre scuse.
Non sa fare nemmeno questo, Ryan
Shirogane. Nemmeno morire.
Morire, come tutte le cose.
Non sa morire, senza nemmeno
smettere di sentire il plic, plic ed ancora plic nella testa.
Per convincersi che è ancora
vivo. Per tenersi legato con un filo piccolissimo a questa terra.
Plic, plic ed ancora plic. Ancora
tre plic tutti uguali, ancora tre secondi tutti uguali.
Non ha salvato il mondo e non sa
nemmeno rassegnarsi a morire.
Non ha salvato lei e non
sa nemmeno obbligarsi a morire.
Quando lei morì, c’era pochissimo
sangue.
Chissà, magari avevano pulito
tutto.
Chi sarà stato?
Kyle?
Lory?
O peggio Mark?
Il Cavaliere Blu è Mark. Mark è
il Cavaliere Blu. Io non sono il Cavaliere blu.
Anche se sono biondo, ho gli
occhi azzurri e mi piace vestirmi di blu.
Anche lui ha il sangue blu?
Sarà stato Mark a pulire il suo
sangue?
Non ci vuole pensare e ci pensa.
Aveva gli occhi chiusi. Era stesa
su un divano, sembrava dormisse.
Dolce Aurora, bella addormentata, lo aspettavi un
principe azzurro?
No, che non lo aspettavi.
Principe azzurro, Cavaliere blu…
sempre lì siamo, no?
Lei. Principessa addormentata in
una foresta di spine.
Spine che fanno sanguinare le
mani, strette convulsamente per aprirsi un varco.
Spine che non si spezzeranno mai,
checché lui ci provi per anni ad aprirsi un varco.
E poi diventa vecchio, le forze
vanno via, il sangue perso è troppo ed impregna il resto del mondo.
Facendo sparire tutti i colori.
Capelli rossi su un cuscino
cremisi, rosso su rosso.
Rosso come ciliegia, rosso come
l’autunno, rosso come… e che altro non c’è di rosso?
Tutto rosso, e lui toro
impazzito.
Fece tutto a pezzi in quella stanza.
E non c’era nemmeno una goccia di
sangue. Avevano pulito tutto?
Cercò l’alieno, lo trovò, lo
uccise. O no? Ed è di nuovo tardi per la risposta.
L’alieno passò prima da Kyle, poi
da Lory, poi da Pam e Mina, infine da Paddy e Mark.
Dimenticò qualcuno?
Sì.
Lui.
Era il pezzo forte.
Il finale ad effetto.
Volevano pensarci personalmente,
ma poi lo lasciarono perdere.
Sapevano che ci avrebbe pensato
da solo, senza il loro aiuto.
E si fidavano di lui, avrebbe
fatto sicuramente bene.
Plic, plic ed ancora plic.
Urla e ride.
Li urla che si sono fidati
troppo.
Lo sente ancora il plic, plic e
plic, legame dannato con la vita.
Non arriva ancora il ronzio acuto
della morte.
Dovevano pensarci loro,
personalmente. Come li avevano promesso.
Ma gli alieni non sono bravi a
mantenere le promesse, non come gli umani che si svenano per cercare di
mantenerle e puntualmente non lo fanno. Ma almeno loro ci provano, ma almeno
lui ci ha provato. Non ha diritto ad un povero risarcimento? Per averci provato?
Non è bravo a mantenere le
promesse nemmeno l’alieno con i lunghissimi capelli biondi, gli occhi azzurri e
l’abito blu, che è uguale a lui.
Quello che ha ucciso tutti gli
altri.
Si limita a guardarlo schifato,
seduto a cavalcioni sul cornicione del palazzo di fronte. L’espressione
annoiata.
Sei pronto a saltare?
Annuisce e dice che almeno questo
lo sa fare.
E allora fallo, no? Muoviti, non
ho tutta la giornata.
D’accordo, d’accordo, ma ce
l’avrà ancora un minuto, almeno per averci provato una volta a salvare questo
mondo?
No che non ce l‘hai, sei
esattamente come tutti gli altri. Buttati giù e liberaci tutti della tua
presenza.
Tutti, chi?
Guarda giù, diavoli rossi
ghignano dal precipizio. Sei pronto a saltare?
Giusto tutti loro. Attendono che
li liberi della sua presenza.
Non guarda su. Ha paura. Paura di
riconoscere qualcuno.
Paura del luogo dove non arriverà
mai.
Paura di vedere e non
sapersene staccare.
Paura che ci sia anche lì del
rosso.
Calmati, non c’è nessuno lassù
per te.
Certo che c’è qualcuno. I suoi
genitori. E poi… Kyle, Lory, Pam, Mina, Paddy. Lei.
Sa che c’è lei, e sa che sorride,
ed è rossa, rossa come una fragola con la panna. Rossa come il fuoco. Rossa
come l’inferno.
Rossa come il sangue.
Perché non gliel’hanno fatto
vedere quel sangue? Il suo sangue? E se non era rosso?
Deve sapere se era rosso, prima
di andarsene.
Era rosso, sta tranquillo. Muoviti. Insomma che
cosa aspetti?
Già, che cosa aspetta? Nulla e
tutto in realtà.
Qualcuno che urli e lo trattenga.
Anche se coloro che potrebbero farlo sono o lassù, o laggiù.
Ma è ancora umano in fondo,
almeno per un altro po’. Ed egoisticamente spera che siano tutti laggiù,
esattamente come lui.
Perché anche loro ci hanno
provato, come lui.
Perché anche lei ci ha
provato, come lui.
In che cosa lei è diversa da lui?
In che cosa lei è superiore a lui?
Lui.
Che sarà lui?
Un angelo o un diavolo? Se lo
chiede un altro po’ ed indugia sul precipizio.
Ed ancora non salta, ancora se ne
sta fermo.
Intanto è un po’ più di tempo, un
po’ più di voglia, un po’ più di coraggio.
Cerca la risposta nel cielo
vaniglia. Cerca la risposta nel mare lontano. Cerca la risposta nella terra
vicina.
E non la trova. Chiaramente, come
era prevedibile e come già sapeva.
Plic, plic ed ancora plic.
Certo che questo plic è proprio
odioso. Gli ha fatto venire un mal di testa atroce.
Meno male che tra poco non ce
l’avrà più una testa.
Gli angeli ce l’hanno una testa?
E i diavoli?
Ce l’avrà ancora una testa?
Mentre cerca la risposta, è già
troppo tardi per una risposta.
L’alieno biondo alla fine lo fa.
In fondo, è intelligente. In
fondo, è anche bello e questo non guasta mai. In fondo, forse è anche ricco.
In fondo, non si sono mai davvero
fidati di lui.
Lo spinge giù. Era un piccolo
passo. Piccolissimo, come il filo che unisce un plic, un altro plic e
l’ennesimo plic.
Cade dal grattacielo su cui si
era arrampicato solo cinque ore prima.
Arrampicato, scappato, scivolato
via dalla vita per morire.
Ruzzola, aspettando il suolo e il
suo fragore.
Farà male?
L’alieno lo guarda, sogghigna.
Certo che farà male.
Non se lo ricordava così
l’alieno.
Così abbronzato, con i capelli
così corti e così biondi, con gli occhi così celesti.
Alieno… estraneo, altro, diverso,
sconosciuto.
Non lui… non sé stesso… questo è
un alieno.
Lui… sé stesso… questo è Ryan
Shirogane.
Eppure, adesso sembrano così
uguali…
Un attimo… passa una vita, arriva
la morte.
Passa una vita, la sua. Lei era
la vita, la sua.
Si blocca. Nella mente, il cuore
ancora no. Il cuore sa aspettare, sa aspettare per bloccarsi.
Blocca una frase. La stringe, cerca di ascoltarla, mentre il vento fischia nelle sue orecchie, mentre l’alieno biondo seguita a ridere, mentre i diavoli esultano, mentre gli angeli tacciono.
Sai, Ryan, ora che è tutto finito, voglio davvero
fare le cose per bene. Sai che faccio? Mi sposo! Non sei felice per me?
Sorride. La mente si sblocca. Ed
è già troppo tardi per una risposta.
Terra troppo vicina.
Luce azzurrina. Artificiale.
Notizie vaghe, confuse,
indifferenti.
Voce di mezzobusto sempre uguale.
Pesce rosso in una boccia di
vetro sporco.
Sigaretta che sfrigola in
posacenere scheggiato. Rossetto rosso su di essa.
Labbra schioccano. Rosse, coperte
da capelli rossi. Unghie rosse mangiucchiate.
Non esistevano altri colori?
Voce vicina, ma lontana.
Voce conosciuta, ma ignota.
Voce di sempre.
Del sempre di sette anni, cinque
mesi e dieci giorni prima.
Voce da marito.
“Hai sentito, Strawberry, Ryan
Shirogane si è suicidato la scorsa settimana… lo sapevi?”.
No lacrime. No sussulto. No
dolore. No rabbia. No urla. No grida. No rimpianto. No ricordo.
“Davvero Mark? Comunque me lo aspettavo… era ormai da più
di sette anni che era impazzito… non venne neanche al nostro matrimonio,
ricordi? Ebbe la prima crisi qualche giorno prima… lo avevano rinchiuso in una
clinica psichiatrica, poveretto… che c’è per cena? Non dirmi che hai fatto di
nuovo il riso bianco!”.
Le servirà ancora molto per
capire.
E forse nemmeno capirà mai tutto.
Ma tu l’aspetterai, no?
Non potresti fare altro.
L’aspetterai con espressione
annoiata, come sempre.
E le chiederai, volutamente
enigmatico… are you ready to jump?
Tanto, Strawberry non conosce una
parola di inglese.