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Autore: Darik    09/04/2012    0 recensioni
Una minaccia cresce dall'interno, strane forze e motivi particolari si muovono nell'ombra, e i buoni dovranno affidarsi a chi non immaginano.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Apparenze'
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2° Capitolo

Gli assalitori della dottoressa Akagi si guardarono per un attimo.

Poi si disposero intorno alla creatura, che rimase immobile a osservarli, senza muovere un muscolo. Anzi, sembrava proprio che volesse farsi circondare.

Quando la accerchiarono, con una sola occhiata, Takamichi ordinò l’attacco: Kotaro e Takane sprigionarono le loro ombre; gli inugami avvolsero il mostro nero bloccandolo in una morsa, le maschere invece piombarono su di esso, avvolgendolo come in una cappa.

Mana tirò fuori le sue pistole e sparò a raffica, Kaede fece lo stesso con una pioggia di shurinken e anche Takamichi, con i suoi pugni a distanza.

I proiettili e i pugni speciali provocarono una grande nuvola di fumo che coprì tutto.

Cessato il fuoco, rimasero in attesa e mentre il fumo si diradava e per prudenza si allontanarono.

Non fu sufficiente, perché dal fumo emerse qualcosa, un oggetto nero estremamente lungo e sottile, che prima si mosse a destra e sinistra per colpire Takane e Kotaro, scagliandoli via, poi prese in pieno stomaco Mana e la spinse fino a farla sbattere contro un muro.

Dalla sommità dell’oggetto si formò una mano enorme, nera, che si avvolse intorno al corpo della ragazza e strinse fino a maciullarla: una cascata di sangue colò tra quelle grandi dita.

“Mancano due minuti all’apertura del portale!”, esclamò Yue.

“Proteggete la torre a qualunque costo!”, ordinò Takamichi.

Fece per muoversi, ma dal lungo oggetto partirono degli spuntoni che rapidissimi lo infilzarono, per poi ruotare su se stessi a grande velocità, riducendolo in mille pezzi.

Diradatosi completamente il fumo, la misteriosa creatura riapparve, mentre con calma si toglieva di dosso le ombre scagliate dai nemici, come se fossero state delle coperte.

Toccando il suolo, tali ombre si dissolsero, mentre l’oggetto che aveva massacrato Mana e Takamichi era il braccio del mostro.

Kaede ritornò all’attacco, suddividendosi in dieci copie, e anche Kotaro e Takane ne approfittarono, mescolandosi tra le copie in modo che le coprissero.

Il loro nemico, allora, saltò verso l’alto: prima chiuse le braccia sul petto, e quando le aprì da esso furono sparate delle sfere nere che quando toccarono il pavimento si trasformarono in venti copie più piccole del mostro.

Tre delle copie, muovendosi ad una velocità tale da scomparire alla vista, si materializzarono dietro a Kaede e i suoi due compagni, falciandoli con un paio di pugni e riducendoli a brandelli.

Le restanti si avventarono su Yue, Nodoka e Asakura, intente a proteggere la torre, e le divorarono.

Rimasto solo, il mostro si guardò intorno, richiamò le sue copie che trasformandosi in una sorta di fulmini neri rientrarono nel suo petto.

Si accorse che i resti dei nemici sconfitti stavano cominciando a muoversi, alcuni si rigeneravano, allora l’essere alzò un braccio, un vortice si creò dal nulla, sollevò quei pezzi di corpi e li fece convergere verso la sua mano, davanti alla quale si creò un piccolo buco nero che assorbì il tutto.

Proprio allora, in mezzo al laboratorio si aprì un altro vortice, molto più grosso e di colore azzurro, che si pose in orizzontale vicino alla torre.

Il mostro si avvicinò e lo esaminò: il nuovo vortice, visto da fuori, aveva una forma a imbuto e si restringeva fino a sparire, ma al suo interno si estendeva una vera e propria galleria, abbastanza larga perché ci passasse tutta la torre AM.


Sentì una sorta di scarica elettrica attraversarle il corpo, Konoka lentamente aprì gli occhi e le parve di percepire per pochi attimi un intenso odore di bruciato.

Non ricordava cosa fosse successo, ma quando la sua mano toccò quella che riconobbe essere una spada, gli ultimi eventi tornarono nella sua mente in un lampo.

“SETSUNA! NO!!”

Si mise a sedere con uno scatto, la fronte le doleva ma non gliene importò.

“Setsuna! Setsy! Dove sei?”, gridò guardando davanti a sé freneticamente, e capendo di essere nella sua stanza, al palazzo dei Konoe.

“Girati, presto”, le disse una voce impassibile, proprio dietro di lei.

“P-professoressa Ayanami?!”

La donna era inginocchiata affianco a Setsuna, stesa per terra, e teneva una mano sul suo addome.

“Setsy!!”

“Ho usato una sostanza refrigerante per bloccare l’emorragia, ma ci vuole il tuo potere curativo”.

Subito Konoka agì, mise le mani sulla sua amica del cuore, ci fu un lampo e la ferita scomparve.

“Al risveglio si sentirà debole, ma starà comunque bene”, spiegò Ayanami.

Konoka mise la testa di Setsuna sulle sue ginocchia e le accarezzò i capelli. “Ne sono felice. Ma un momento, professoressa, che succede qui? Che ci fa in casa mia? E Asuna? Perché ci ha attaccate?”

“Quella non era Asuna. L’ho sistemata, e non ti dico come perché resteresti disgustata. Non ho tempo per spiegarti, comunque prendi questo”. Le mise in mano una piccola fiala piena di un liquido blu. “Usalo per far riprendere tuo padre. Dovete andarvene subito da questo palazzo, scegliete un luogo sconosciuto, così il nemico ci metterà più tempo per individuarvi. Inoltre dovete informare il preside del Mahora che tutti quelli tornati dall’Islanda sono in realtà delle copie. Comunque non credo siano più un problema”.

“Eh?”

Improvvisamente, una sorta di portale si materializzò davanti a loro.

Ayanami si mise in piedi e lo guardò.

“Sono sicura che la mia padrona ha fatto la sua parte. Ora tocca a me”, e dicendo questo, l’insegnante estrasse qualcosa da una tasca.

Konoka si strinse con forza a Setsuna, che parve ridestarsi. Lady… lady Konoka, cosa è…”

L’altra le mise un dito sulla bocca. “E’ meglio non fare domande. Andiamo da mio padre”.

Lentamente si rialzarono, Setsuna si accorse dell’insegnante. “La professoressa Ayanami?! Un momento… che sta succedendo qui? Asuna dov’è?”

“Setsy, non insistere, fidati di me. Se fai come ti dico, ti farò un bel regalo”.

“Eh?”

Approfittando della sorpresa e dell’imbarazzo dell’amica, Konoka riuscì a farla uscire dalla stanza per dirigersi verso quella di Eishun.

“Vedrai che il mio regalo ti piacerà”, continuò Konoka sorridendo, “un bel massaggio intensivo su tutto il corpo!”

“Che cosa?!”

“Sono sicura che ti serve. Così non perderai più sangue dal naso, come adesso”.


Da uno dei due grandi portali, uscì la torre, sostenuta da Asakura, Yue, Nodoka e Sakura, mentre gli altri loro compagni avevano formato un cerchio protettivo intorno ad esse e all’oggetto.

La torre non avrebbe mai potuto essere trasportata così da persone normali, ma loro non lo erano.

Il luogo in cui si trovavano, era un’enorme grotta, piena di figure che indossavano un saio nero con cappuccio.

“Meraviglioso! Meraviglioso!”, applaudì Eva Ushiromiya apparendo sopra una pedana.

“Manca pochissimo alla realizzazione del mio progetto. Finalmente! Ma dov’è Asuna con quella Konoe?”

Dal secondo portale venne fuori Asuna con sulle spalle Konoka, priva di sensi.

“Perfetto! Bravi i miei servi! Quanto ci vorrà per completare il tutto?”

“Due ore al massimo, padrona”, rispose uno degli incappucciati.

“Ottimo! Sbrigatevi a preparare tutto, non vedo l’ora di ascendere!”

Aprendo il suo ventaglio per coprire un ghigno quasi demoniaco, la donna se ne andò, lasciando i suoi servi che cominciavano i preparativi.

Due degli incappucciati presero in consegna Konoka dalle mani di Asuna, mentre quest’ultima, e i suoi otto compagni del Mahora, indossarono anche loro un saio nero e si mescolarono agli altri servitori di Eva.

La torre fu nuovamente sollevata e portata via, dentro un cunicolo scavato nella roccia.

In mezzo a tutto quel via vai d’incappucciati, Nodoka con calma si avviò anche lei dentro il cunicolo, seguita qualche minuto dopo da Asuna.

Le due camminavano distanziate, il cunicolo era buio, illuminato solo da due fila di torce sistemate sulle pareti.

Ogni tanto appariva qualche incappucciato, che si disinteressava di loro.

Quando vide un anfratto abbastanza grosso in una parete, Nodoka ci s’infilò e Asuna, dopo aver controllato se c’era via libera, vi entrò anch’essa.

“Tutto come programmato?”, domandò Nodoka.

“Sì, Konoka e Sakurazaki sono al sicuro”.

“Per il momento. Non sappiamo di quali mezzi disponga questo nemico, ma saranno sicuramente imponenti, quindi dobbiamo agire per forza qui”.

“Dobbiamo attaccare adesso?”

Nodoka scosse la testa. “No, abbiamo due ore, sfruttiamole per trovare i nostri compagni e più informazioni possibili. Dobbiamo… urgh!”

Nodoka si portò una mano al ventre, una smorfia di dolore le attraversò il viso.

“Tutto bene?”, domandò Asuna mettendole le mani sulle spalle. La sua espressione era imperturbabile, ma la voce tradiva una punta di preoccupazione.

“Sì… come temevo, senza il collare, alla fine se n’è accorto… quel maledetto. Comunque muoviamoci, posso farcela”.

Uscirono dall’anfratto e proseguirono lungo il cunicolo.

A un certo punto trovarono tre diramazioni che si aprivano sulla parete destra.

“Proseguiamo o cambiamo strada?”, chiese Asuna.

“Un momento…”

Nodoka si concentrò intensamente, alzò una mano verso le tre nuove vie, corrugò la fronte: “La prima a sinistra. In questo luogo, i miei sensi trovano tutto strano, ma in quella direzione c’è qualcosa di familiare”.

Rapidamente le due s’inoltrarono nel nuovo cunicolo, e camminando per alcuni minuti al buio, arrivarono in un altro luogo spazioso, ancora una grotta, piena di quelle che sembravano celle scavate nella roccia.

L’illuminazione proveniva ancora da torce, e c’era pure un altro ingresso, una scala a chiocciola che saliva fino a scomparire nel muro.

“Cerchiamoli, presto”, ordinò Nodoka.

Cominciarono a controllare dentro le celle.

“Eccoli”, disse infine Asuna indicando con la mano.

L’altra la affiancò, e quando vide, fece un’espressione mista di rabbia e dispiacere: in quella cella c’erano i loro compagni Asuna, Takamichi, Yue, Nodoka, Asakura, Kotaro, e gli altri, trasformati in statue di metallo lucente, come acciaio, bloccati nelle pose di chi cerca di difendersi o prova una sofferenza atroce. Erano quasi ammassati l’uno sull’altro, simili agli oggetti abbandonati in una soffitta. Sulla testa di Sakura c’era pure Kamo.

La cella non era chiusa a chiave, le due ragazze entrarono, Asuna accarezzò il volto dell’altra se stessa, Nodoka contemplò quelle statue. “E’ un incantesimo del tutto diverso da quelli che conosco. Tutta la magia che permea questo posto è diversa. Ha colpito persino Kagurazaka, nonostante la sua immunità. Una cosa che m’inquieta assai”.

“Ora che facciamo? Siamo solo noi contro un nemico dalle potenzialità sconosciute ma immense. Forse dovremmo chiamare rinforzi”, propose la seconda Asuna.

“Quanto tempo ci metterebbero? Troppo. E’ vero che abbiamo preso precauzioni, ma questa magia è così strana che…”, Nodoka si strinse tra le braccia, “…mi mette i brividi. A me, capisci? Sarebbe solo uno spreco di forze. Inoltre, dubito che questo posto si trovi sulle cartine stradali. Da sole, potremmo fare molto di più. Io… arghh!”

Nodoka crollò a terra, il corpo avvolto da piccole scariche energetiche.

Asuna si chinò su di lei per aiutarla, le tolse il cappuccio e si trovò di fronte il volto di Shinobu.

“L’incantesimo di mimetizzazione è stato danneggiato”, constatò preoccupata.

“E… andrà… sempre… peggio… Maledizione! Se le mie condizioni sono queste… sarà già tanto se avremo una sola occasione per risolvere tutto!”.

Lentamente, Shinobu si rimise in piedi. “Ora sto meglio. Ma se mi venisse un altro attacco, sarebbe un guaio. Troviamo un posto sicuro, poi voi continuerete il giro, per raccogliere più informazioni possibili”.

“E’ sicura?”

“Sì, andiamo ora”.

Lasciate le celle, risalirono lungo la scala a chiocciola, ritrovandosi davanti ad un muro, Asuna lo contemplò, poi premette un angolo al centro e il muro iniziò a spostarsi di lato.

Finirono in un salone pieno di scaffali con molti libri, e c’erano anche alcuni incappucciati, che stavano togliendo la polvere e che si voltarono verso di loro.

Le due ragazze fecero finta di niente, Asuna toccò un quadretto contenente il meccanismo di apertura e il muro si richiuse. Fatto questo se ne andarono, e gli altri incappucciati ripresero le loro attività.

“Per fortuna questi tizi sembrano incapaci di decisioni autonome, se prima non gli ordini qualcosa”, commentò Shinobu.

Inoltrandosi per alcuni corridoi, Shinobu prese a tremare, Asuna, mostrando lieve apprensione, controllò le varie porte, ne scelse una, girò la maniglia ma era chiusa a chiave. Allora con una lieve spallata la aprì, entrò nella stanza con la sua compagna e poi chiuse la porta.

Erano in una stanza da letto matrimoniale con baldacchino e bagno, Shinobu fu fatta sdraiare da Asuna, che le rimase affianco.

“Lei sta sempre peggio, padrona”.

“Il dolore va e viene. Vai a cercare informazioni piuttosto”.

“Non mi sembra prudente”.

“Ti ho dato un ordine. Esegui!”

“Allora lei, almeno, ricorra al suo aiuto. Metta da parte l’orgoglio”.

Shinobu squadrò Asuna.


Asuna uscì dalla stanza e si guardò in giro: via libera.

“Ah, finalmente, non ne potevo più”, commentò una voce dietro la porta.

“Zitta!”, ordinò Shinobu.


Nel suo girovagare, Asuna controllò molte stanze, ce n'erano parecchie da letto, bagni, piccoli salotti, studi.

Ogni stanza era perfettamente arredata e ordinata ma deserta.

Scrutò fuori da una finestra: erano in una villa circondata da un grosso parco, con giardini e persino un labirinto.

“Dai, Sakutaro, andiamo a giocare!”, esclamò una voce di bambina.

“Uryu, Maria, ti sei appena svegliata. Dovresti mangiare un po’. Uryu, uryu”.

“Dopo, ora voglio giocare”.

Asuna seguì le voci, intercettò anche il rumore dei loro passi, poi sentì una porta aprirsi e chiudersi, infine silenzio.

La ragazza percorse il corridoio, fino ad arrivare a un punto morto: davanti a lei c’era solo una porta, tutto intorno nude pareti.

Girò la maniglia, entrò e si ritrovò in un luogo completamente diverso: la casa non c’era più, davanti a sé, a perdita d’occhio si vedeva solo un immenso campo fiorito, il cielo era di un magnifico azzurro, il sole emanava un calore piacevole, l’aria era frizzante; sembrava davvero un piccolo paradiso.

Sorpresa, la ragazza avanzò con cautela, finché non sentì ancora quelle due voci di bambini.

In lontananza vide una piccola collina, la raggiunse, poi si buttò a terra e strisciando ne raggiunse la sommità: a qualche decina di metri c’erano due bambini, un maschio e una femmina, che giocavano allegramente rincorrendosi.

Il piccolo aveva un costume da leoncino.

“Sakutaro, andiamo al gazebo, ti mostrerò un nuovo gioco con le mani. Sei contento che te lo mostri?”

“Uryu! Sì, Sakutaro è sempre contento delle cose belle fatte da Maria”.

“E allora andiamo! Evviva!”

I due corsero via, Asuna scrutò i loro volti.

Fu a quel punto che la sua espressione imperturbabile ebbe un sussulto.


La porta si aprì, e l’anziana Chiyo entrò nella stanza.

Si guardò attorno e proprio allora un piccolo oggetto le cadde addosso.

“Yeah! Muori, vecchiaccia!”

La donna urlò, cadde a terra, guardò terrorizzata chi l’aveva assalita, e allora al terrore si sostituì la sorpresa: si trattava di una bambola, con un dolce sorriso sul volto, ma nella mano aveva una spada lunghissima e molto spessa.

“Chi… chi sei?”

“Dirò una banalità, ma sono la tua morte!”, rispose la bambola iniziando a sghignazzare.

Finché non fu colpita in pieno da un cuscino.

“Stupida. Dobbiamo essere discrete”, la rimproverò Shinobu scendendo da sopra il baldacchino.

“E tu chi sei?”, domandò Chiyo.

“Silenzio, vecchia. Faccio io le domande, quindi sei tu che devi dirmi chi sei!”

“S-sono la governante di questa villa”.

“Ah bene, sarai preziosa per avere qualche informazione. Arghh!”

Shinobu si accasciò.

“No! Odio apparire debole, specie davanti agli altri”, pensò.

“S-si sente bene?”

Chiyo fece per avvicinarsi, ma la bambola le piazzò la punta della spada davanti al viso. “Cosa credi di fare?”

“Vorrei aiutarla”.

“Non mi serve il tuo aiuto”, rispose la ragazza rimettendosi in piedi.

“Ma… ma cosa sta succedendo al suo volto?!”

Shinobu andò nel bagno di quella stanza e si specchiò: il suo viso si era riempito di crepe, come un oggetto che sta per frantumarsi. Alla fine, proprio questo accadde: la sua pelle cadde a pezzi, compresa quella che stava sotto i vestiti.

La ragazza, annoiata, schioccò le dita e i frammenti si dissolsero.

Si guardò nuovamente allo specchio: “Sapevo che sarebbe successo, ma non così presto. In ogni caso, bentornata Evangeline MacDowell”.

 

  
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