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Autore: sophiove    23/04/2012    2 recensioni
Dico, ma che problemi ho stamattina?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero finalmente sotto le coperte. Non feci altro che abbandonare la testa sul cuscino, al buio, e chiudere gli occhi. Mi ritrovai a camminare sulla diagonale del campetto che ogni giorno percorrevo per il verso opposto, per entrare a scuola. Il suo colore rossiccio entrava in contrasto con il blu spento del cielo, un colore piatto che nessuna nuvola solcava. Al mio fianco lui, maglietta blu, zaino sulle spalle, mani immerse nelle tasche. Io portavo una giacchina di lana, la borsa su una spalla e con un braccio reggevo alcuni libri. Quella situazione, quei colori mi davano un senso di solitudine e protezione, come se in quel luogo potessi dire o fare o essere qualunque cosa, perché nessuno sarebbe venuto a saperlo. Ero protetta. Le nostre due anime e i nostri due corpi camminano al fianco e discutono del più o del meno, come due compagni di scuola che hanno appena finito le lezioni. Superata da poco la metà del percorso il discorso giunge alla fine. Ci fermiamo nello stesso istante e ci fissiamo negli occhi con sguardo ebete e sorrisi storti. Nella frazione di un secondo lui china il capo su di me e mi sfiora le labbra, con le sue, e torna diritto. È qualcosa si improvviso che nessuno dei due si aspettava in quel momento, ma andava in contro ai pensieri di entrambi. Mi basta un attimo, non ci penso, gli afferro la mano e lo guido a deviare il nostro percorso verso un cubo di cemento che si trova ad un lato. Arrivo là correndo, mollo la borsa e lascio cadere i libri per terra, con un balzo mi siedo sul cubo, così che i miei piedi non tocchino il terreno. Lui si piazza in piedi davanti a me, mi afferra i fianchi e io attorciglio le gambe ai suoi. Mentre stringiamo sempre più forte e le mani accarezzano capelli sconosciuti, le nostre bocche di mordono e le lingue si attorcigliano, descrivendo la danza più bella del mondo. Per un attimo un pensiero razionale si fa largo tra il fumo denso e leggero che mi appanna il cervello. Apro gli occhi e senza staccarmi da lui mi guardo intorno per controllare che nessuno stia assistendo al mio spettacolo. Nessuno. Perfetto. Apro gli occhi con uno strano nodo in gola, le gambe e le braccia e il collo in trepidazione. Guardo in penombra l’orologio sulla parete e mi accorgo che sono le sei del mattino. Davvero, non posso aver sognato una cosa del genere. Cosa diavolo significa? No, non è amore e nemmeno una cotta. Può l’amore ridursi ad uno scambio di saliva? È diverso. Non c’era amore in quei gesti, o tenerezza, no. C’era desiderio dell’altro, c’era un senso di proibito e nascosto, di protezione, di libertà. Merda. Questi pensieri mi fanno impazzire mentre aspetto che la sveglia trilli. La giornata comincia e il pensiero del sogno passa in secondo piano. Anche quando lo incontro tra la folla, nello stesso campetto rossiccio, non ci penso, al nostro incontro notturno. Beh, amore non è proprio. Salgo due rampe di scale ed entro nell’aula ancora vuota. Poggio la borsa e i libri sul mio banco e mi trascino alla finestra, sotto la quale c’è il termosifone. Scarico tutto il mio peso su quell’oggetto caldo, portando le gambe in avanti. I miei compagni cominciano ad animare la classe e la mia giornata. Lui entra, tutto infagottato, con lo sguardo basso e le mani in tasca come sempre. Imita i miei gesti: si dirige verso il suo banco, lascia cadere lo zaino e si dirige verso il termosifone, verso me. Come qualche ora prima, in una frazione di secondo, si piazza davanti a me con le gambe tese ai lati delle mie inclinate, come per bloccarmi e venirmi più vicino. Mi afferra la testa con le mani e fa come per baciarmi. Serro gli occhi. Questa volta si ferma, non mi tocca, ma come prima, torna subito diritto e si scosta. Come se nulla fosse successo si mette a guardare fuori dalla finestra, affianco a me. Giro la testa di lato e lo guardo storto senza scompormi, più che altro per convincere chiunque avesse assistito alla scena, perché non mi trovavo nel sogno. Mi guardo attorno: nessuno sembra aver notato o, se qualcuno lo ha fatto, ha ignorato la scena. Dico, ma che problemi ho stamattina?
  
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