Era il giorno
seguente già da tre ore buone, quando il ragazzo sentì la porta socchiudersi
piano piano.
Andava
l’adattamento di Jeff Buckley di Hallelujah nell’aria di quello studiolo pieno
di scaffali stracolmi di libri d’ogni sorta; oltre a tutto quel sapere
centenario giacevano anche alcuni album,la testimonianza della vita di una
famiglia felice.
La donna
ritratta nelle foto sorrideva, ma quel suo viso, oltre a trasmettere la gioia
che in quel momento era evidente provasse, trasmetteva anche una punta di
quella serietà che era solita irradiare da lei e nei suoi discorsi; era stata una
maestra e quella voglia di trasmettere il suo sapere non l’aveva più
abbandonata, anche con il cambio di lavoro.
Sì, in fondo,
lei avrebbe sempre voluto poter trasmettere quello che sapeva e che sperava
potesse aiutare tutte quelle piccole menti assetate che avevano attinto da
quella fonte.
Il ragazzino
nelle foto, invece, risultava quasi sempre con quel sorriso a trentadue denti
che da sempre l’aveva contraddistinto e che tutti gli avrebbero sempre
attribuito: quel sorriso sembrava poter portare luce nelle vite di tutti quelli
a cui veniva rivolto.
Ogni tanto
faceva capolino l’ombra di un capriccio, ma faceva parte del suo carattere ,appena
percettibilmente viziato ma fondamentalmente semplice e fanciullesco, ancora
senza la benché minima traccia dell’ombra che avrebbe più tardi crepato quello
splendido sole.
L’uomo che
stava con loro in tutte le foto, era una delle luci più brillanti che quei tre
soli: era un uomo non molto alto ma imponente, con pochi capelli che spesso e
volentieri rasava completamente, anche se in passato erano stati abbastanza
fluenti e lunghi e con un sorriso splendido, come quello di una persona che
nella sua vita aveva passato molte gioie ed altrettanti dolori ma che alla fine
sembrava realizzato e felice per la sua splendida famiglia.
Quell’uomo
sarebbe morto per un ictus pochi mesi dopo che le ultime foto fossero state
sviluppate.
Quando successe
era una domenica mezzogiorno, la famigliola pranzava come sempre insieme ai
tanti parenti ed il pranzo era quasi pronto, già dalla cucina volava pian piano
l’aroma di un buon risotto ed altre prelibatezze.
Ma i bambini,cugini
del bambino delle foto, erano troppo impegnati a giocare a terra con il padre
del piccolo, che come sempre accadeva per il suo carattere da buontempone,
faceva divertire il suo figlioletto ed i piccoli cugini di lui con giochi
infantili che riuscivano comunque a coinvolgere tutti.
La voce di chi
si stava occupando della tavola arrivò, accolta con un mugugno infastidito da
parte dei bambini che volevano continuare a giocare con quel loro zio e papà
tanto giocherellone; ma le mamme sanno essere molto persuasive e già i due
cuginetti di quel bimbo si erano rassegnati e si stavano dirigendo verso il
lavandino per lavare le mani e sedersi a tavola.
Il bambino
delle foto si alzò per ultimo, prima ancora che suo padre lo accompagnasse, in
quella che sarebbe dovuta essere una piccolissima gara tra padre e figlio per
arrivare al lavandino…ma uno dei corridori non tagliò mai la linea del
traguardo.
Il bimbo si
accorse subito che qualcosa non andava, anche se suo padre era solito fargli
degli scherzetti, al primo sentore della voce della mamma riacquistava un
minimo di serietà e poneva fine ai giochi: ma allora perché restava lì per
terra e per giunta non accennava nemmeno al mettersi seduto??
La bocca del
papà era riversa in una strana angolazione, dettaglio che nella piccola mente
del bambino sarebbe riaffiorato solo ad anni di distanza, e il braccio sinistro
era teso verso il figlio, come se cercasse un appoggio per potersi levare di
nuovo in piedi.
Il bambino si
avvicinò velocemente tenendo nelle piccole manine la grande mano del padre, che
spesso e volentieri aveva stretto anni prima quando doveva attraversare la
strada o quelle volte che giocavano insieme ed il genitore faceva roteare il
figlio per la stanza, simulando un volo; strinse quella manona e tirò con tutte
le forze che i suoi dieci anni d’età gli consentivano ma purtroppo totalmente
insufficienti per levare un uomo di più di ottanta chili di peso.
Fu solo allora
che gli astanti capirono cosa non andasse ed accorsero.
L’uomo fu
sollevato dai due cognati e poggiato sul divano e da quel momento nella mente
del bambino tutto andò estremamente veloce: i parenti agitati che provavano la
pressione e che cercavano di far reagire il malato, la zia più portata per le
emergenze che comunicava prontamente al 118 tutte le informazioni necessarie e
che li invitava ad essere più celeri possibile ed infine gli sguardi
preoccupati ed afflitti dei due cugini più grandi, mentre nei piccoli occhietti
della bambina di due anni, ultima arrivata di quella grande famiglia brillava
un’attonita sorpresa verso tutto quel trambusto, così lontano dalla tranquilla
routine della domenica a pranzo…ed infine arrivarono, quelle sirene con il loro
colore strano che il piccolo figlio del pover uomo si sarebbe ricordato anche a
distanza di anni.
Fu l'ultima
goccia, non riuscì ad andare oltre, il bambino sentiva l'impellente bisogno di
isolarsi da tutta quella ressa intorno al padre, soprattutto ora che erano
arrivati gli infermieri con quelle loro tute arancio ed i loro strani
strumenti.
Scappò via,
andò in garage per schiarirsi le idee nel silenzio e nella fredda aria di
ottobre.
Era riuscito ad
estraniarsi da tutto così bene ed aveva appena riordinato i pensieri che una
forza invisibile lo aveva costretto a tornare sui suoi passi, giusto in tempo
per vedere il padre trasportato fuori in barella... ancora non lo sapeva, ma
quella fu l'ultima volta che vide suo padre.
Piano piano il
bimbo si diresse verso la sua cameretta, si mise in ginocchio davanti al letto
come faceva a volte e con tutte le sue forze mentali cercò Dio, pregandolo e
scongiurandolo di non portargli via quel padre che, anche se ogni tanto era burbero
per le marachelle che suo figlio combinava, gli voleva il bene più grande che
ci fosse e non aveva fatto nulla per meritarsi di andarsene; pregò quindi con
tutte le forze, dando in pegno qualsiasi cosa Dio fosse disposto a prendere o
desiderasse.
Alla fine ci
mise dentro tanto di se' che fu assolutamente certo che Dio lo avrebbe
ascoltato, che anche se era successo quello che aveva visto, non lo avrebbe
privato di quel suo splendido padre, perchè Lui era buono ed il bambino era
serio quando gli aveva promesso assoluta devozione, in cambio di quel favore.
Alla fine il
bambino passò quella giornata a cercare di distrarsi con tutte le cose che di
solito lo estraniavano da tutto ciò che lo circondava, riuscendo nell'intento
di allontanare l'attenzione sui fatti del giorno, anche se spesso guardava
nervosamente la porta, in attesa del ritorno dei genitori e dei parenti, o
anche solo di qualcuno che lo rassicurasse di quanto fosse successo.
Quella notte la
mamma non tornò a casa, gli fu detto che dormiva in ospedale per far compagnia
al papà e che lui avrebbe dovuto dormire con la nonna; lui non ci fece caso e
andò prima che potè nel mondo dei sogni, quel mondo dove nessuno può farci male
e dove siamo noi gli Dei, dove siamo noi che decidiamo di tutto quello che
succede.
Il bambino non
fece sogni strani e anche se li avesse fatti, aveva sempre avuto problemi a
ricordarseli, quindi fu tutto relativamente tranquillo.
Il mattino dopo
si svegliò trafelato verso le nove: perchè era così tardi? Perchè nessuno lo
aveva svegliato, aiutato a prepararsi e portato a scuola?
Dopo la tardiva
colazione, gli fu annunciato che avrebbe potuto giocare alla play station 1 finché
la mamma non fosse tornata ed il bimbo saltò di gioia, sia per il fatto che non
poteva mai giocare tanto sia per il fatto sia associava il poter liberamente
giocare con i festeggiamenti che avrebbe fatto,saputo che il papà stava bene ed
era fuori pericolo.
Dopo circa due
ore la mamma lo raggiunse, portava gli occhiali da sole, anche se la giornata
era abbastanza nuvolosa ed aveva le guance tutte rosse.
Entrata, gli
disse di venirle vicino e quando lui le chiese del padre lei gli disse molto
pacatamente che quella notte era scivolato in un sonno tranquillo ed il mattino
dopo non si era più svegliato: la morte più bella del mondo, disse.
Quello che
successe dopo quelle parole, si sfumò come se visto attraverso un vetro
appannato: non sentiva realmente quello che tutti gli dicevano, non gli
importava nemmeno di sentirlo.
Passò davanti a
camera sua e si ricordò della sua promessa, così la rabbia lo prese ed iniziò a
maledire quel Dio che non l'aveva ascoltato, che aveva preso il suo papà e
l'aveva portato in un posto in cui lui non poteva vederlo o sentirlo in alcun
modo.
Così un
pensiero lo prese, che incrinò tutto quello che aveva pensato su quel mondo che
lo circondava: e se in realtà, un Dio non ci fosse? Perché se c'era una cosa
chiara e lampante, era che niente poteva giustificare la morte del padre, niente.
Passavano i
giorni e tutto sembrava essere sospeso, sembrava che stesse capitando ad
un'altra persona e che con quella famigliola prima felice non avesse
assolutamente niente a che fare.
Il giorno del
funerale arrivò anche troppo presto; il ragazzino si era categoricamente
rifiutato di vedere il corpo del padre sul lettino dell'ospedale, vestito come
quando doveva correre per arrivare in orario al suo lavoro di venditore in
campo di telefonia, per far sì che non fosse quella l'ultima immagine di quel
viso che tanto aveva amato.
C'era
tantissima gente, più di quanta il ragazzino ricordasse di aver mai visto nei
pressi di casa sua, e tutti erano lì per rendere omaggio a quella brava persona,
a quello che per loro aveva rappresentato quell'uomo gentile e socievole.
Sempre quel
velo d’indecifratezza e di ricordo offuscato rende impossibile al ragazzino
tutt'oggi ricordare quel giorno e quelli successivi, ma ricorda che le lacrime
erano un bene cui non poteva assurgere, non poteva mostrare debolezza quando la
mamma, quello che ora era il pilastro portante della sua infanzia, era affranta
e le sue lacrime sembravano non aver mai fine; non era mai stata una donna
volubile o facile al pianto, e ciò rendeva ancora più tragiche le sue lacrime,
donava loro un peso indescrivibile.
Il ragazzino sapeva
che ora stava a lui essere la forza che avrebbe ridato alla mamma la sua
determinazione, e se non ci fosse riuscito per diamine l'avrebbe portata avanti
lui stesso, qualunque cosa fosse successa!
Così non pianse,
nemmeno quando lanciò quel suo fiore sulla tomba che stava per essere interrata,
per dimostrare a suo padre che non si sarebbero separati per così poco.
I parenti e gli
amici scorsero via, fluendo pian piano come un fiume che cerca di riempire
completamente un letto che non potrà mai essere colmo per davvero: tutti
sussurravano frasi che sarebbero dovute essere di conforto per il ragazzino e
la madre, ma che suonavano a malapena come vacue manifestazioni di altre
presenze umane per i due.
Avvenne circa
due settimane dopo: in quel periodo il ragazzino cercava di tirare su la madre
ed ormai la vita sembrava scorrere ancora su dei binari almeno, invece che sulla
strada deragliata che sembrava aver preso.
La madre era in
un'altra stanza, impegnata a fare chissà cosa, mentre lui per prepararle una sorpresa
aveva deciso di farle trovare la tavola già preparata, così da alleggerire il
carico di lavori quotidiani, magari distraendola parzialmente dal dolore che
era come una pietra immensa che si portava appresso da quando era successo
tutto.
Finito il lavoretto
si scostò dal tavolo, in procinto di chiamare la madre per preparare da
mangiare, quando improvvisamente si rese conto di un particolare, che nella sua
sottile ma evidente presenza squarciò il torpore in cui il ragazzino si trovava
in quei giorni: aveva apparecchiato per tre.
Un vecchio
vizio, per quando il papà tornava dal lavoro, anche se carico d’impegni e di
tensione, si rilassava sulla sedia conversando con quello che era il suo mondo
di allora: la sua famiglia.
Quel posto
sarebbe sempre stato vuoto, non lo avrebbe più occupato, non avrebbe più
mangiato, non avrebbe più scherzato sulla ragazzina che piaceva al figlio, non
avrebbe più fatto battute alla moglie sul presunto far tardi intrattenendosi
con altre donne, anche se tutti sapevano che amava sua moglie come null'altro
in vita sua, ma che non avrebbe più
potuto riabbracciare, ora che era scivolato nel non essere.
Fu in quel
momento che il peso di quello che era successo cadde come un masso sulle spalle
di quel ragazzino di dieci anni, che fu costretto dal tempo a crescere prima
del dovuto.
Si rifugiò in
un angolo della cucina e, attento a non fare rumori o farsi sentire dalla madre
e lasciò che tutto quello che non aveva voluto
provare fino a quel momento fosse riversato ed espulso dalla sua anima:
sembravano anni di dolore ed erano soli quattordici giorni che l'uomo era
mancato.
Trascorsero
dieci anni, quel ragazzino ormai uomo di quasi vent'anni non sapeva ancora
spiegarsi come fossero passati, ma era così.
La
madre aveva pianto tutte le lacrime che quell'uomo aveva meritato ed ora stava
andando avanti, dopo 6 anni in cui non aveva assolutamente cercato altre storie,
un uomo gentile aveva fatto quello che il ragazzo non pensava fosse possibile:
era entrato nella vita di sua madre, senza pretendere di cambiare ma con
l'intenzione di prendersi cura di lei.
Inizialmente
c'era un velo di diffidenza nel ragazzo, derivata dal fatto che per sei anni si
era prodigato a vegliare sulla madre, anche se ovviamente c'erano litigi, come
in ogni famiglia che si vuole bene e con animi suscettibili, come quelle due
entità.
Eppure
quell'uomo era stato gentile, rispettoso verso di lei e verso quel figlio in
piena adolescenza, con tutte le lotte e le sfuriate annesse e connesse... quell'uomo
stava in disparte ed interveniva con dolcezza quando sentiva di poter perorare
una causa.
Addirittura
non si schierava sempre dalla parte della donna, supportava anzi il figlio in
alcune cose che per lui erano importanti.
Questo
insieme di cose fece sì che il figlio lasciò senza mai proferire parola in
merito, che quell'uomo gentile lo sostituisse parzialmente nell'affiancare
quella madre che era stata ed era ancora tutto il mondo del ragazzo.
In
tutti quegli anni però il ragazzo non sognò mai suo padre, mentre sua madre in
diversi episodi si mostrò felice e contenta per essere finalmente riuscita a
parlare di nuovo con lui e scambiare così opinioni su quello che era successo
da quando lui mancava. Il ragazzo ne fu ferito inizialmente, come se fosse un
fatto personale che suo padre si rifiutava di parlare con lui per qualche
motivo; con il sopraggiungere della maturità, il ragazzo semplicemente smise di
sperare e non si sognò nemmeno di incolpare il padre per un meccanismo interno
del suo cervello: insomma si rassegnò, e tutto andò meglio.
Ritorniamo
ora in quello studiolo, dove il nostro ragazzo si trova, seduto su una sedia
davanti al computer, mentre la madre era a letto da un'ora ormai.
La
giovinezza è quasi del tutto sparita dal volto del giovane uomo, con una barba
di due settimane che per capriccio si era lasciato crescere sul volto; chiunque
lo incontrava, da piccolo lo paragonava sempre al padre, il quale alla sua età
era veramente molto simile, a parte un diverso taglio degli occhi.
Ora
però il ragazzo iniziava a ricordare sempre di più la madre, soprattutto per
quei capelli neri mossi e per quegli occhi, anch'essi scurissimi, che gli
conferivano una profondità che gli altri a volte scorgevano in lui, ma che lui
si affrettava a nascondere sotto un velo di indifferenza o infantile
contentezza o tristezza, a seconda dei casi.
L'unica
traccia della sua infanzia era racchiusa in quel sorriso a trentadue denti che
sfoderava sempre nelle foto ed in alcune occasioni felici: era la testimonianza
della solarità e dell'ottimismo di quel ragazzo, che nei periodi bui veniva
assorbita da un cupo "realismo" che sovrastava tutto il resto nella
mente del ragazzo, anche se lui si sforzava sempre di far trionfare l'ottimismo,
visto che lui per primo sapeva per certo che le cose non finivano bene, le
fiabe erano belle ma nella vita di tutti i giorni se non ti salvi da solo, nessuno
lo farà per te.
Quando
sentì la porta, il ragazzo si spaventò un momento, perché non aveva sentito il
rumore del letto cigolante della madre muoversi e la sua mente volò veloce ad
un malintenzionato con cui avrebbe dovuto cercare di ragionare.
Prima
ancora di avere il tempo di vedere per intero la figura che entrava nella
stanza sentì una voce che credeva di aver dimenticato che sussurrava quella
provocazione che tanto lo infastidiva in tenera età:
"Ehi
pistolino, vedi di non fare tanto casino che la mamma dorme, non vorrai
svegliarla!"
Il
ragazzo pensò che il cuore gli si fosse fermato per un secondo, per poi tornare
a sfondargli con più vigore che mai la cassa toracica.
Era
lui. La testa pelata, il sorriso con le due capsule d'ottone ai lati della
bocca, la barba accennata, leggermente più basso del ragazzo ma di qualche
taglia più grosso, come risultato di trent'anni quasi di lavoro sulle spalle.
Il
ragazzo avanzò con un'ombra sul viso, si parò dinnanzi al genitore morto... e
gli assestò una spinta sul petto.
In
realtà non ebbe molto effetto, ma non era quello il suo intento, l’intento era
quello di scaricare tutta l’infantile frustrazione che si può riassumere in una
frase: “Perché ci hai abbandonato?”.
Il
ragazzo iniziò ad aggrapparsi a lui e sfogare la rabbia immotivata per la sua
assenza.
Alla
fine le lacrime l'ebbero vinta e lui si lasciò cullare aggrappato al collo di
suo padre, il quale lo strinse forte forte,come se con quel gesto potesse
comunicare oltre le parole,che era lì solo per lui e che non l'avrebbe mai
lasciato.
Quello
che seguì fu il dialogo che il ragazzo si era sempre sognato ma che aveva
nascosto sotto le spoglie del menefreghismo, per non essere ferito
dall'irrealizzabilità di quest'ultimo.
"Cazzo
papà ne son successe di cose da quando ci hai lasciati qui..."
"Lo
sai che non è stata una mia scelta, che non vi avrei mai e poi mai abbandonati
vero??"
"Sì
sì papà figurati non intendevo quello...”.
Con
un sorriso l'uomo disse:
"Sei
cresciuto un sacco... ancora stento a credere a quello che tu sei ora”.
"E
tu resti sempre il vecchio di sempre!!" rispose divertito il figlio, sapendo
che l'età era da sempre l'argomento in cui il padre era più suscettibile.
"Ma
tu guarda questo!! Succederà anche a te sai? E' la vita."
"Lo
so, papà..."
"Scoprirai
che per noi uomini non è per nulla così scontato come sembra, è una gran
seccatura dover invecchiare, soprattutto con un figlio come punto di
riferimento vicino"
"Ah
adesso è colpa mia papà?" replicò divertito il ragazzo
"Ma
no,cosa dici! Hai capito quello che volevo dire,non fare lo
spiritoso,sottospecie di ragazzino"
Il
figlio rispose con una risatina alla provocazione e disse di aver perfettamente
capito quello che voleva dire,ma di essere in arretrato di una decina d'anni di
prese in giro e stuzzicate.
"Ma
la mamma? Aspetta che vado a svegliarla,non vorrà perdersi questo
momento!"
Il
padre lo fermò dolcemente,mettendo la sua mano sulla spalla del figlio.
"E'
peccato svegliare una donna che dorme figliolo, lo capirai...lasciala riposare,
con lei mi faccio vivo quando ha bisogno lei,come ho sempre fatto nella mia
vita."
"Ah,
ok papà...ma senti un po', che ne dici...sì insomma...di lui?"
"Ti
riferisci all'uomo che si prende cura di lei ora?"
"Si...da
piccolo pensavo ti volesse sostituire, ma so che non è così ora che sono più
grande"
"Hai
ragione...noi due dobbiamo solo ringraziare la sorte che ora lei sia felice e
che lui la tratti come merita. So che tu le sarai sempre vicino e non avrei mai
desiderato di meno da te."
"...grazie
papà..."
Il
dialogo durò per quelle che al ragazzo sembrarono ore e ore,i due parlarono di
tutto quello che veniva loro in mente,dalle sciocchezze quotidiane alle storie
amorose del giovane, alle quali il padre commentò divertito che avrebbe tanto
voluto esserci di persona,per poter rivivere attraverso di lui quei momenti di
alti e bassi a distanze infinitesimali.
C'era
una domanda, che il ragazzo sentiva nel cuore ma che non voleva fare, forse perché
temeva la risposta o forse semplicemente perché l'emozione del momento gli
tirava un brutto scherzo.
Arrivò
infine il momento in cui l'uomo si alzò in piedi e disse:
"Bene,
il nostro tempo insieme sta finendo, tu devi tornare alla tua vita ed io...”.
"E
tu?"
Un
sorriso si dipinse sulle guance dell'uomo, che sogghignò:
"Ti
piacerebbe saperlo eh? Dovrai aspettare come tutti, chi credi di essere? Ma
guarda questo..." ma sorrideva ed il ragazzo non se la prese nemmeno,ma
accettò lo scherzo con un sorriso.
"Beh
allora ciao, papà!" e lo strinse forte, come per comunicargli tutto quello
che per vari motivi ancora non gli aveva detto.
"Ciao
bello, vedi di rigare dritto..."
e
si avviò verso la porta,strinse le mani sulla maniglia e poi si fermò:
"Ah
a proposito..." si volto e lo guardò con un amore così grande e così
profondo che il ragazzo pensò che si sarebbe rimesso a piangere,mentre
quell'uomo che lui amava sorrideva e riluceva di una strana luce.
"Non
devi nemmeno chiederti se sono orgoglioso di te...quando ti ho visto,la prima
volta,già sapevo che tu mi avresti reso fiero,come qualsiasi padre assennato
pensa. Non solo, tu hai saputo reagire alla mia assenza meglio di come mi sarei
aspettato,sei un uomo migliore di quello che pensi ed io non potrei essere più
felice e fiero di avere un figlio come te.
Io
c'ero, quando tu facevi quei passi in cui avresti voluto che io ci fossi e ci sarò,
quando farai i più grandi passi della tua vita, non ti lascerò mai.
Sii
fiero di quello che sei e di quello che sarai,perché io lo sono e lo sarò
sempre".
Pronunciata
che fu l'ultima parola, l'uomo aprì la porta dello studiolo e scomparve, risucchiato
dall'ombra che regnava in tutta la casa.
Il
ragazzo stette per un tempo indeterminato a fissare il punto dove il padre era
scomparso, più che per seguirlo con lo sguardo per riordinare le idee.
Era
stato un sogno? Eppure in studio ci si trovava già prima dell'apparizione e non
poteva essersi appisolato e non essersi accorto di essersi poi risvegliato...
Il
dibattito interno fu interrotto dalle note di una vecchia canzone, "La Mia
Signorina", di Neffa; quella canzone era il simbolo dei bei momenti
passati con il padre, il quale, pur non avendo una buona intonazione amava
canticchiarla ogni volta che erano insieme.
Una
calda lacrima di gioia scese pian piano ad inumidire la guancia del giovane, che,
sfoderato un gran sorriso, si diresse verso la sua stanza, conscio e contento, per
la prima volta in vita sua, che quella notte non avrebbe fatto sogni, ma andava
bene così: andava tutto bene.