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Autore: hiromi_chan    27/04/2012    2 recensioni
In un'Inghilterra di fine '800, Alice Kirkland viene assunta dal frivolo conte di Bonnefoy come istitutrice per le sue figlie, Marguerite e Amelia. Dallo scontro tra mondi diversi, Alice finirà col trovare qualcosa di inaspettato: qualcuno che riesca a vederla per com'è fatta davvero.
(FrUk; Fem!England, Fem!America, Fem!Canada)
Forse un osservatore attento avrebbe potuto intravedere la scintilla che ogni tanto le balenava negli occhi, o il forte orgoglio nascosto nel contegno quando se ne stava con il nasino per aria.
Ma fin'ora nessuno era mai riuscito a capire che tipo fosse davvero; nessuno aveva mai visto oltre, e oh, Alice ne era sicura, l'uomo che aveva davanti era l'ultimo sulla lista che ce l'avrebbe mai potuta fare.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: FACE Family/New Continental Family, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nyotalia
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Sincera, appassionata, deliziosamente suscettibile





Trama: In un'Inghilterra di fine '800, Alice Kirkland viene assunta dal frivolo conte di Bonnefoy come istitutrice per le sue figlie, Marguerite e Amelia. Dallo scontro tra mondi diversi, Alice finirà col trovare qualcosa di inaspettato: qualcuno che riesca a vederla per com'è fatta davvero.

(FrUk; Fem!England, Fem!America, Fem!Canada)


Personaggi: Fem!England (Alice Kirkland); Francia (Francis Bonnefoy); Fem!America (Amelia); Fem!Canada (Marguerite)

Note: L'atmosfera che mi ha ispirato è stata quella di “Jane Eyre”, che è uno dei miei libri preferiti; i personaggi si muovono quindi in una (specie di) Inghilterra dell' '800. Anche Heaterfield Hall è un tributo alla Tornfield Hall del romanzo.

La fiction è composta da due soli capitoli.

 

 

 

 



Parte prima

 

 

 

 

La gente in paese diceva che il conte di Bonnefoy fosse un uomo tanto raffinato da mettere in soggezione anche le personalità più inflessibili grazie alla sua sola presenza.

Tutti sapevano che la sua residenza fissa era situata in Francia, dove si mormorava vivesse in una reggia talmente lussuosa da fare concorrenza a Versailles.

A Heaterfield Hall, il castello che dominava il paese dalla collina più alta, ci abitava solo per pochi

mesi l'anno.

Questo perché, si diceva, lui la odiava, l'Inghilterra.

Nessun dubbio che il conte fosse sempre scontento quando era costretto ad emigrare fin lì per necessità improrogabili. L'aveva detto la panettiera, con una luce di pura comprensione negli occhi, più simile ad adorazione che altro. L'atteggiamento della donna non era stato una singola eccezione; sembrava infatti che tutte coloro che avevano avuto la fortuna di vedere il conte anche solo per una volta, avessero conservato di lui ricordi quantomeno...interessanti.

Gli uomini invece dicevano che aveva un diavolo per capello. Per la precisione e citando testuali parole, uno per ogni suo singolo, maledettissimo, capello biondo.

Infine i bambini lo chiamavano il “signor conte della Francia”, anche se in effetti lui conte non lo era più. La sua nobile famiglia era andata alla malora ben due generazioni prima, e i soldi con cui tirava avanti erano un lauto regalino di un parente, guarda caso inglese, che provvedeva a mantenere il povero conte come fa un protettore con la sua donzella, solo a patto che questo venisse a fargli visita per diversi mesi ogni anno.

Così anche questa volta il nobilissimo e avvenentissimo e coltissimo conte di Bonnefoy, che davvero non era più conte ma continuava a farsi chiamare in questo modo dalla gente, era tornato in Inghilterra a scontare la sua pena.

Questi retroscena le persone del paese non potevano saperli; o meglio, forse li sapevano e magari preferivano ignorarli per poter fantasticare su quella figura così romantica che pareva appena uscita dai migliori forni di Parigi.

Quindi le cose non sarebbero potute iniziare peggio di così.

Innanzitutto lei l'amava, l'Inghilterra.

Alice Kirkland, diciassette anni appena compiuti, verdi occhi inglesi e biondi capelli inglesi, accento inglese e modi da signorina inglese dabbene, amava l'Inghilterra.

E aveva sempre provato una punta di innata antipatia verso tutto ciò che era francese: da quelle stoffe, di pregevole fattura certo, ma fin troppo colorate, a quei cibi, gustosi sì, ma dal sapore stucchevole, fino a quella lingua troppo piena di fronzoli che comunque lei padroneggiava alla perfezione.

Non poteva essere altrimenti, visto che al collegio le avevano fornito l'istruzione più completa che si potesse offrire a un poverina scaricata lì dai propri fratelli come era Alice.

Dopo aver vissuto tutti i suoi anni in quella specie di istituto di carità, la ragazza aveva preferito declinare la gentile proposta della direttrice di restare come insegnante.

Alice aveva deciso di buttarsi nel mondo, mettersi alla prova e capire cosa sarebbe riuscita a combinare da sola, con le capacità acquisite fino a quel momento.

A vedere quella sua posa tranquilla, nessuno avrebbe mai potuto immaginare il carattere ardente che vi si nascondeva dietro. Forse un osservatore attento avrebbe potuto intravedere la scintilla che ogni tanto le balenava negli occhi, o il forte orgoglio nascosto nel contegno quando se ne stava con il nasino per aria.

Ma fin'ora nessuno era mai riuscito a capire che tipo fosse davvero; nessuno aveva mai visto oltre, e oh, Alice ne era sicura, l'uomo che aveva davanti era l'ultimo sulla lista che ce l'avrebbe mai potuta fare.

Quando aveva risposto all'annuncio sul giornale in cui si richiedeva la presenza di una governante per due bambine, disponibile a tempo pieno e che possedesse solide basi della lingua francese, Alice mai si sarebbe aspettata di trovarsi a lavorare proprio per il fantomatico conte di Bonnefoy.

Quella mattina, non appena ebbe scorto il magnifico profilo di Heaterfield Hall, con le sue guglie che quasi sembravano bianche tanto erano baciate dai raggi sole, Alice non aveva potuto fare a meno di informarsi su chi fosse il proprietario del castello.

Ma quest'uomo che ora aveva davanti non sembrava corrispondere poi così tanto alla descrizione che che le avevano fatto tutti quando era arrivata in paese.

Indubbiamente, francese era francese, la sua erre moscia non lasciava alcun dubbio. E bello...sì, con la sua figura slanciata, la sua barbetta curata e i penetranti occhi blu avrebbe fatto svenire molte signore, la maggior parte delle signore a dir la verità.

Ma Alice rimaneva insensibile al suo fascino; difronte a lei non c'era il principe disceso come un angelo per scegliersi una moglie tra le comuni mortali (era a quello che miravano le signore di tutte le contee dei dintorni, ciò non era affatto un segreto).

Quello era solo un uomo alto, fastidiosamente più alto di lei, cosa che la costringeva a tenere il collo un po' troppo teso per i suoi gusti.

Sembrava, questo conte, ancora abbastanza giovane, ma di certo era più vecchio di Alice, sulla trentina.

Però, tutta quella sua tanto decantata galanteria, che fine aveva fatto?

Non ce n'era traccia ora che la stava fissando con una palese perplessità, portandosi la mano sul mento, stringendo gli occhi come se la stesse valutando alla pari di una merce esposta al mercato.

“Quanti anni avreste, voi, di grazia?” fu la prima cosa che disse ad Alice.

Così, dopo averla squadrata per diversi secondi, senza nessun buon giorno, piacere di conoscerla, come sta, io mi chiamo...tra tutte le possibilità, aveva scelto proprio l'approccio più maleducato e, quello che era peggio, aveva una erre moscia davvero terribile.

“Siete sicura di avere l'età giusta per fare la governante? Mi sembrate appena poco più grande delle mie stesse figlie...quanti anni avete, dunque, mia gentile signorina?” continuò.

Magari con quel “gentile signorina” si sarebbe anche potuto salvare, se non fosse stato per come proseguì:

“Forse tredici?”

Alice serrò la mascella, lottando con tutta se stessa per non scomporsi.

Per quanto potesse essere a modo, era una ragazza dall'arrabbiatura facile, per non dire un pochino lunatica; bastava poco per metterla di cattivo umore.

Anche durante i giorni del collegio questo suo caratterino non l'aveva certo aiutata ad appianare la competizione che c'era tra tutte le ragazze. Molto spesso anzi aveva sentito che alle sue spalle la definivano acida o scorbutica.

Per questo, col tempo si era ripromessa di imparare a frenare la collera dietro una maschera di compostezza. E quella maschera non sarebbe certo caduta ora, davanti a questo conte da strapazzo! Quella soddisfazione non l'avrebbe mai data a nessuno, figurarsi a uno sconosciuto che le sembrava tutto fuorché un vero gentiluomo.

Era maleducato? Peggio per lui! Glie l'avrebbe insegnata lei l'educazione a quella sottospecie di nobile decaduto, non solo alle sue figlie.

Andarsene via indignata non avrebbe portato a nulla; non poteva proprio tirarsi indietro e mollare quell'offerta di lavoro, perché, per quanto avesse potuto sembrarle antipatico a pelle, il conte di Bonnefoy rappresentava una possibilità concreta di impiego stabile, sicuro, con vitto e alloggio pagato.

Fu in preda a questo stato d'animo particolarmente agitato che Alice parlò.

“In verità ho diciassette anni compiuti, signore...un'età più che giusta per svolgere la mansione per la quale mi sono proposta. Se fossi stata più giovane, non mi sarei mai presentata per questo colloquio”

Freddezza ed eleganza impeccabili.

Tutto il contrario dell'uomo che invece, messa da parte la punta di provocazione nella voce, rispose con un'allegria improvvisa giudicata Alice assolutamente fuori luogo.

“Veramente siete già così grande? Non l'avrei mai detto, sapete? Non è che mi volete prendere in giro?”

“Sono seria signore, lo sono sempre”

Non aveva alcuna voglia di essere morbida o condiscendente. L'unica voglia che aveva, a dirla tutta, era di pestare un piede francese con la punta del suo stivaletto, e un po' se ne vergognava; non le piaceva davvero perdere le staffe...perdere il controllo.

“Lo vedo che siete seria, signorina...forse lo siete fin troppo. State così rigida con quella schiena, suvvia!”

E detto questo, il conte si accostò di colpo a Alice, dandole un buffetto sulle piccole spalle. Senza togliere la mano da lì, le rivolse un gran sorriso che sicuramente avrebbe sciolto anche il cuore della signorina più fredda del mondo. Ma non quello di Alice.

Perché lei non era fredda, no. Solo che era un tipo difficile.

E per di più quell'uomo le aveva ormai già fatto una pessima impressione.

Rilassatevi, mia cara miss...Kirklànd, vero? Siete così tesa! Nessun imbarazzo tra di noi” disse lui, facendo scorrere con noncuranza la mano verso la schiena della ragazza.

“Infondo, la governante delle bambine vivrà qui a Heaterfield Hall, quindi avremo modo di vederci spesso, no?”

Alice non seppe dire se il conte avesse voluto suonare rassicurante o magari anche gentile; le idee però le si schiarirono di colpo quando la sua mano finì un po' troppo in basso, facendola scattare sul posto come una molla. La ragazza si trattenne dal tirare uno schiaffo a quella faccia barbuta solo perché per farlo avrebbe dovuto mettersi in punta di piedi e saltare, data la differenza d'altezza tra i due.

Mon Dieu, se gli sguardi potessero uccidere...” commentò sarcastico il conte in risposta all'espressione truce di Alice.

Oltre che sfacciato, pure maiale dunque!

“Ma su, su, vi chiedo scusa, mia gentile miss, mi è solamente scivolata la mano”

“Spero che non si verificheranno mai più occasioni per cui quella mano debba scivolare di nuovo” disse Alice, incastrando le braccia al petto per proteggersi dagli indiscreti occhi blu del suo interlocutore.

Lo stesso che per tutta risposta le sorrise, un sorriso strano, che poco aveva di cordiale; ad illuminargli lo sguardo di una sfumatura divertita c'era sicuramente una malizia per niente nascosta.

Le occasioni non si verificano, ma cher...si creano”

Malizia e un po' di insolenza, pure.

“Spero allora che nessuno abbia più voglia di creare occasioni simili”

“Parlate di voglia...?”

Il conte rimase in silenzio per un paio di secondi, come soppesando quella parola. Con una mano portata sul mento e lo sguardo rivolto chissà dove, sembrava stesse riflettendo. Alice era sicura che stesse cercando una frase ad effetto da dire per potersene poi pavoneggiare, ma se credeva che lei fosse una ragazza che si lasciava abbindolare dalle parole...

“A proposito di voglia...gli uomini sono creature volubili, sapete?” disse alla fine il conte. “Un minuto vogliono una cosa e il minuto dopo non la vogliono più, tanto che alla fine non sanno più quello che vogliono. Se le occasioni che si creano dipendono dalla voglia di un singolo e se questo singolo è volubile, non concordate con me nel ritenere giusto non sprecare ogni singola occasione?”

Per tutta risposta, Alice inarcò pesantemente le sopracciglia.

Ma dove voleva arrivare il conte? Voleva forse dire che, sei lui era malizioso e volubile e faceva solo ciò che gli andava sul momento, allora anche tutto il resto del mondo si doveva prendere le stesse libertà per forza?

E nel caso specifico, il suo possibile nuovo datore di lavoro la stava in qualche modo invitando ad accogliere con pazienza ogni suo capriccio?

Pensando alla propria personalità, l'irritazione che cresceva, Alice disse:

“Forse ciò che dite vale per gli uomini, ma non è detto che valga per le donne

“Oooh, credetemi, spesso le donne sono ben più volubili degli uomini. Lo so per...esperienza personale”

A quel punto, la ragazza decise di troncare quella strana conversazione prima che degenerasse nel racconto delle esperienze amorose di quell'uomo.

“Se è vero che un minuto si vuole una cosa e il minuto dopo non la si vuole più, come dite voi, questo dev'essere il minuto in cui so quello che voglio”

Tagliare quella mano che aveva la brutta abitudine di scivolare...era quello che avrebbe voluto dire davvero.

Invece il suo sempre presente buon senso le suggerì di dire che ciò che voleva era quel lavoro; lo desiderava sinceramente e l'avrebbe svolto con umiltà e serietà se il conte glie l'avesse permesso.

Ma Alice non fece in tempo a dire nulla, perché l'altro, approfittando del suo silenzio, le aveva sciolto una mano dall'intrico della braccia sigillate al petto e glie l'aveva baciata senza alcun preavviso.

Un gesto tanto galante quanto plateale che la agitò istintivamente.

Non perché le facesse piacere, assolutamente.

Piuttosto era la sorpresa, o forse la novità...infondo lei non aveva mai conosciuto molti altri uomini oltre i suoi fratelli, e certo nessuno di loro le aveva mai baciato la mano.

“Anche per me...questo dev'essere proprio il minuto in cui so quello che voglio” soffiò piano il conte, fissando gli occhi blu nei suoi con un'intensità tale che Alice, una volta tanto, non seppe cosa ribattere.

Un calore poco piacevole iniziò a invaderla quando si rese conto per davvero che un uomo appena conosciuto le aveva baciato la mano...un uomo che ora la osservava da molto, troppo vicino con una certa malizia, un bell'uomo che guardava proprio lei; lei, che non era mai stata guardata se non dalle ragazze del collegio o dal proprio riflesso nello specchio.

Fortunatamente il conte non si accorse del tenue rossore che aveva iniziato a chiazzare il pallido viso di Alice; doveva essere troppo impegnato a cercare di esprimersi nel modo più raffinato possibile, la ragazza ne era certa.

“Ciò che voglio è farvi conoscere le mie bambine, le vostre future pupille!” esclamò lui alla fine, con un moto d'allegria e sfoderando un'espressione piuttosto sciocca che poco avevano a che fare con un contegno elegante. “Le adorerete, non potrete evitarlo”

Alice pensò che quello fosse il viso di un padre accecato dall'amore per le proprie figlie; forse un uomo poteva mentire e fingersi quello che non era, poteva ricercare continuamente la galanteria e fare ricorso alle buone maniere...ma i lineamenti del volto non mentivano mai, e l'orgoglio di amare qualcuno si riesce difficilmente a celare.

Tuttavia era piuttosto divertente e inaspettato quel lato della personalità del conte...se non altro, sembrava adorasse con limpida sincerità le figlie. Un piccolo punto a suo favore in una marea di difetti.

Certo, non andava dimenticato come si fosse appena dimostrato frivolo, vista la rapidità che aveva nel cambiare discorso...la stessa che doveva avere nel trasferire la sua attenzione da un oggetto a un altro.

Un vero tifone, insomma, ed Alice ne ebbe la conferma quando l'uomo prese a parlare varcando la porta dello studio a grandi falcate.

“Venitemi dietro, venite...adesso le bambine saranno sicuramente nella stanza dei giochi, vi accompagno” disse, facendole strada attraverso i lunghi corridoi di Heaterfield.

Il conte camminava con passo abbastanza sostenuto e la ragazza, che era piuttosto bassina e aveva le gambe corte, si impegnò testardamente a stargli dietro senza chiedergli di rallentare, anche se questo le costava un notevole sforzo.

A un certo punto si ritrovò a correre quasi, tanto che l'ala nord del castello si ridusse a una blanda passerella da attraversare per arrivare chissà dove, mentre davanti ai suoi occhi sfilavano le ombre di quadri appesi alla pareti e di bella mobilia francese.

L'unico suono che si sentiva era quello dei passi dei due che risuonavano per i corridoi; ci sarebbe stato anche il respiro un po' affannoso di Alice, se lei non si fosse sforzata di controllarlo.

All'improvviso però la voce roca del conte di Bonnefoy ruppe il silenzio rimbalzando contro le vetrate, riempiendo lo spazio tutto intorno.

“Il colloquio di poco fa è stato illuminante, sapete. Siete strana, miss Kirklànd, mi incuriosite. Non vedo l'ora di vedere cosa combinerete...spero solo che non finiate col trasformare le mie bimbe in piccoli soldatini obbedienti”

“Volete dire che mi assumete, signore?” chiese lei, ignorando volutamente il commento sulla sua presunta rigidità.

Oui, oui...piuttosto, è già da prima che vi vedo arrossita. Non mi sembrava galante farvelo notare, ma non posso trattenermi oltre, dato che mi è sorto un dubbio...mi è venuto da pensare che le questioni siano due: o siete così felice di venire a lavorare per me da emozionarvi tanto, oppure abbiamo camminato un po' troppo alla svelta e vi siete accaldata”

“Niente di tutto questo” rispose Alice, piccata.

Lui si aprì in una breve risata che non voleva essere nulla di più di una risata, ma che lei, ormai posta sulla difensiva, interpretò come una sorta di scherno.

“Vi prendete gioco di me, signore?”

Non ce la fece proprio a trattenersi, anche se parlò più sommessamente possibile, tentando di nascondere l'irritazione e tormentandosi unghie.

Mais non! Chi sono io per prendermi gioco di una graziosa signorina?”

“Volevo solo precisare che non sono affatto accaldata, né per la camminata né tanto meno per...qualche altra ragione particolare” disse Alice.

Ma chissà perché la testa le scattò di lato, muovendosi da sola, impedendole di incontrare gli occhi blu dell'uomo.

“Ovviamente, signorina, ovviamente. Bene, di qua per favore...”

Il conte le aprì la strada verso una grande porta di legno tutto lavorato alla fine del corridoio. Dovevano dunque essere arrivati alla stanza dei giochi. Lui già aveva afferrato la maniglia, ma anziché spingerla in avanti attese per qualche secondo, mordendosi le labbra.

“Prima che incontriate direttamente le bambine, ci sono un paio di cose che vorrei dirvi” disse, voltandosi verso la ragazza.

“Niente di particolare, qualche informazione perché non siate completamente impreparata”

“Le assicuro che non sono assolutamente impreparata, signore” rimbeccò subito lei, inarcando il sopracciglio. “Letteratura, lingua straniera, calcolo, storia, ricamo...tutto quello che serve per dare una buona formazione a una ragazza è di mia competenza”

“Non ne dubito. Ma non è questo che mi preoccupa...con le mie due piccole non si tratta solo di arida istruzione libresca...non che ci sia nulla di male in una formazione simile, potete pure abbassare quel sopracciglio, ma cher...solo, si tratta...si tratta di coeur

“Di cuore?” ripeté lei, stupita. “Ma la scienza medica non rientra nel mio campo...”

“Oh...oh no!” esclamò il conte. Poi, un breve attimo di silenzio un cui la guardò allibito e infine...un'altra rista, tanto sincera e forte che si portò una mano sullo stomaco.

“No, Dieu, no...non starete parlando sul serio”

Alice strinse le labbra, incrociando le braccia al petto in quella che era una delle pose più congeniali per lei.

“Glie l'ho già detto, io sono sempre seria. Se volete spiegarmi cosa vi fa tanto ridere...” disse, dimenticandosi di velare la voce secca.

Ma forse era troppo sgarbato parlare in quel modo al proprio capo, colui che l'aveva assunta appena qualche minuto prima!

“Se volete spiegarmi, per favore, signore” aggiunse in fretta.

“Voi siete davvero...ah, lasciamo perdere per ora e non facciamo attendere troppo a lungo i due coniglietti che stanno oltre la porta”

Il conte fece un gesto sbrigativo e anche leggermente frivolo, portandosi poi le mani ai fianchi come se volesse fare le veci di una specie di insegnante.

“Dovete sapere che le mie bambine sono gemelle, ma sono molto diverse tra loro. Amelia è più vivace, forse potrà darvi qualche problemino dal punto di vista caratteriale, ma apprende in fretta ed è irresistibile. Rapportandovi a lei, capirete di che parlo”

Alice annuì, più per abitudine che per altro.

Non aveva in effetti chiaro cosa significasse trovare “irresistibile” una bambina; negli ultimi anni al collegio aveva avuto a che fare con molte delle studentesse più giovani, dato che ormai lei era tra le più grandi. Eppure non aveva mai giudicato nessuna particolarmente “irresistibile”.

“Amelia però un po' di inglese lo parla” riprese lui, “mentre Marguerite, il mio piccolo tesorino, lei non conosce nessuna parola che non sia in francese”

“Non sarà un problema, io...” tentò Alice, che voleva far intendere bene al conte di che pasta fosse fatta. Una bambina vivace e un'altra che non parlava inglese non sarebbero state la fine del mondo.

“Inoltre” la interruppe lui, “Marguerite ha la brutta abitudine di sparire spesso. Ma per questa volta saremo noi a farle una sorpresa, stia bene attenta signorina Kirklànd...perché so esattamente dove Margie si trovi adesso...”

Mentre parlava, il conte aveva inarcato sempre più la schiena e, in modo direttamente proporzionale, un ghigno divertito gli era andato crescendo sul volto. Alla fine aprì la porta con uno scatto, gridando un “buuu!”, e due corpicini rotolarono all'indietro dentro la stanza tra risate cristalline.

Erano le due figlie del conte, che evidentemente avevano origliato rimanendo attaccate alla porta. Subito una si rialzò in piedi, agitando il vestitino, e, senza degnare Alice di uno sguardo, volò verso l'uomo tendendo le braccia.

“Papàààà, ce ne hai messo di tempo” urlò in modo sguaiato direttamente nell'orecchio di lui, che l'aveva presa in braccio.

Intanto Alice aveva seguito con la coda dell'occhio anche le mosse dell'altra piccola; prima si era messa a sedere sul pavimento, lisciandosi le pieghe della gonna, poi era corsa anche lei verso il padre alzando le manine in aria. Lui l'aveva presa con l'altro braccio, issandola su con facilità, e ora tutti e tre la stavano guardando.

Un quadretto perfetto che pareva essere stato appena dipinto dalle mani esperte di un pittore...impossibile non pensare altrimenti, con quelle due bimbe avvolte in abiti color pesca pieni di trine secondo la miglior moda francese del tempo.

In confronto a lei e alla sua semplice camicetta bianca abbinata alla gonna blu scuro, erano perfette come due bamboline di porcellana.

“Ecco i miei due bon-bon preferiti in tutto il loro splendore! Signorina Kirklànd, queste sono le mie due gioie più preziose” disse il conte, ridestando Alice.

Poi alzò il braccio sinistro, dove teneva stretta la prima delle due che gli era volata incontro.

“Questa qui è Amelia”

La piccola, occhi azzurri e un fiocco legato tra i capelli biondo scuro, concesse finalmente ad Alice un'occhiata; dovette però ritenerla poco interessante perché presto rivolse la sua attenzione verso la finestra. Alice rabbrividì notando che si metteva l'indice in bocca.

“Lei invece è Marguerite” continuò il conte, muovendo il braccio destro con cui avvolgeva l'altra figlioletta.

In effetti le due si somigliavano parecchio, ma questa qui aveva un aspetto più mite, capelli color miele raccolti in due treccine e occhioni blu tanto profondi da sembrare screziati di viola. La bambina guardò Alice piegando le labbra in un'espressione dubbiosa; subito dopo si rivolse al papà, sussurrandogli piano qualcosa nell'orecchio. Lui si affrettò a risponderle, bisbigliando fitto fitto in francese. Le rivolse poi enormi sorrisi, dolci e giocosi, e la avvicinò di più a sé.

Era un po' come se si fossero estraniati per un attimo da quella stanza e fossero entrati in un mondo tutto loro, quell'uomo e la sua bambina dai capelli color miele.

In quell'atmosfera così famigliare, Alice si sentì improvvisamente di troppo.

Con una stretta al cuore, realizzò che lei tutto quello non l'aveva mai avuto, e che fare la spettatrice esterna la metteva a disagio; come succedeva sempre, del resto, quando si trovava immersa in cose che non conosceva.

Fortunatamente c'era qualcun altro che non aveva intenzione di continuare con le coccole in famiglia: Amelia, notando che le attenzioni del padre erano ora dedicate tutte alla sorellina, si era divincolata in fretta dalla sua presa e, saltando come un grillo, era arrivata ai piedi di Alice.

Aveva fatto toccare la punta delle scarpine a quella dei suoi stivaletti, ed era rimasta così a guardare il tutto per qualche attimo.

La ragazza non seppe come reagire e si limitò a sgranare gli occhi.

Forse quello era il modo che aveva la bambina per cercare di conoscerla, di confrontarsi con lei? Il suo modo magari per farla sentire accettata, parte del loro piccolo gruppetto?

Non che Alice volesse davvero entrarci, in quel gruppetto, no, era solo che...

“Signora” la appellò forte la bambina, alzando la testa con decisione e indicandola con il dito.

Lo stesso dito che prima si era tenuta in bocca. Alice si portò un po' più in dietro.

“No, Amelia, non signora, ma signorina” la corresse.

“Signora!” ripeté quella, facendole poi segno di avvicinarsi a lei.

La ragazza, un pochino a disagio, si chinò verso la bambina, portando il viso all'altezza del suo. Rimase così, a guardare il suo musetto grazioso che le si rifletteva negli occhiali. Seria una, ancora più seria l'altra, entrambe con gli occhi grandi per la curiosità, ma poi...

Amelia afferrò con forza una ciocca abbastanza corposa dei capelli di Alice e la tirò verso di lei, ridendo come una matta. Subito iniziò a correre in tondo per la stanza senza mollare neanche per un attimo i capelli della ragazza, trascinandosela dietro come una cane.

“Mi stai facendo male Amelia, fermati! Fermati, hai capito? Mi fai male! Ti pare questo il modo di comportars...AHI!” gridava lei.

E Amelia rideva.

E Alice la sgridava.

E il conte sogghignava.

E Marguerite si metteva a piangere.

E il conte scoppiava a ridere adesso, cullandosi la figlia tra le braccia, facendola volare più in alto senza muovere un solo muscolo per aiutare Alice, mentre questa si sentiva la testa esplodere e moriva per la vergogna.

Così iniziava la sua vita a Heaterfield Hall, tra una selvaggia formato lillipuziano che voleva impossessarsi del suo scalpo, la gemella che la guardava alla stregua di un topolino di campagna, e il loro padre, tale conte di Bonnefoy, che nel giro di qualche minuto l'aveva prima toccata dove non avrebbe mai dovuto e poi...

La mano di Alice ancora pizzicava, nell'esatto punto in cui lui glie l'aveva baciata.

   
 
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