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Autore: Miss Fayriteil    27/04/2012    0 recensioni
Jane potrebbe essere una donna come tante, con una bella e numerosa famiglia, ma in realtà nel suo passato si nasconde un doloroso segreto...
Questa storia l'ho scritta un po' di tempo fa... spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7.
 
 
Quella notte dormì molto male, si svegliò dopo poche ore di sonno e decise di lasciare per l’ennesima volta l’albergo, per cercare qualche famiglia bendisposta e caritatevole che la ospitasse. Diede quindi le dimissioni dal suo lavoro di cameriera un’altra volta, consegnò la chiave della sua stanza al padrone e se ne andò. I tentativi che fece nei giorni seguenti furono davvero inutili: nessuno, infatti, era disposto a prendere in casa propria una giovane sconosciuta con in più due figli piccoli a carico.
  Per giorni e giorni, Jane si vide chiudere in faccia decine di porte, da altrettanti padroni di casa più o meno contrariati. Ad esempio una volta, aveva bussato alla porta di una villetta e le aveva aperto un uomo sulla settantina dall’aria molto seccata, come se Jane avesse appena interrotto qualcosa di estremamente importante. La ragazza aveva appena iniziato a dire: «Salve signore… Ehm, mi chiamo Jane Thaisis, sono in fuga e ho due figli, mi chiedevo se…» ma prima che avesse potuto finire la frase, l’uomo con una smorfia antipatica le sbatté la porta in faccia. Jane riuscì stranamente a mantenere il controllo, trattenendosi con molta fatica dal tempestare di pugni la porta. Quindi se ne rimase per qualche secondo sulla soglia, sbattendo lentamente gli occhi e poi se ne andò, tranquillamente, così come era venuta.
  Lei non si arrese e, finalmente, quando Claudia aveva quasi due mesi, riuscì a farsi ospitare di nuovo. Questa famiglia di cognome si chiamava Carter ed era composta da madre, padre e figliolo quindicenne, un ragazzino di nome William, detto Will. Lui era un ragazzo carino di aspetto, anche se non tanto di modi, ma era così giovane che Jane lo mise immediatamente sullo stesso livello di Samuel e Heather, i due bambini dai quali la ragazza era stata ospite prima della nascita di Claudia. Quella sera stessa avrebbe scoperto quanto si era sbagliata. I signori Carter, in ogni caso, si mostrarono molto gentili e lei decise che sarebbe rimasta in quella casa per un bel po’. Sentiva il bisogno di quel po’ di sicurezza e stabilità che le mancavano da circa due mesi e quella casa sembrava fare proprio al caso suo, nonostante non fosse quel che si dice accogliente. A metterla però in allarme su ciò che la aspettava, fu la gentile e disponibile signora Carter, che quando erano nel soggiorno le disse: «Mi sembra scontato dirti che tu sei la benvenuta per tutto il tempo che vuoi qui da noi. Non preoccuparti di recare disturbo, perché noi siamo contenti se c’è la possibilità di spezzare la routine in qualche modo. E poi, i tuoi bambini sono davvero adorabili, anche se sono così piccoli e ci fa davvero molto piacere avervi in casa tutti e tre. C’è... solo un piccolo problema».
  «Che tipo di problema?» chiese con una leggera ansia Jane, che ne aveva abbastanza di problemi, piccoli o grandi che fossero.
  «No, non è niente di preoccupante, in realtà. È solo che mio figlio William a volte può essere un po’… diciamo… prepotente. Non dovrebbe darti alcun fastidio, però almeno io ti ho avvisata». Dopodiché la donna sorrise leggermente in segno di scusa e sparì imbarazzata in un’altra stanza.
  Quel giorno lei rimase molto con i bambini e passò gran parte del tempo chiusa nella stanza che la signora Carter le aveva assegnato per tutta la durata del suo soggiorno, per cercare di evitare lo sguardo di William; non capiva il motivo, ma non le piaceva, la preoccupava. Forse però, in fondo, la sua preoccupazione era causata anche da ciò che la signora Carter le aveva detto di lui.
  Quella sera, verso le undici, Jane era nella sua stanza e si stava preparando ad andare a letto. Si era appena infilata sotto le coperte, quando sentì la porta aprirsi e chiudersi, poi vide William entrare nella stanza. Decise di fare finta di niente, ma avvertiva in ogni caso lo sguardo del ragazzo trapassarle la schiena. Lo sentiva muoversi nella stanza e si accorse che si avvicinò più volte al suo letto e a quello dei due bambini, ma si costrinse a continuare ad ignorarlo, finché non sentì un soffio d’aria fredda sul collo. In quel momento decise di cambiare atteggiamento e bofonchiò, la faccia ancora affondata nel cuscino: «Will ti spiacerebbe molto chiudere la finestra, per piacere? Sto cercando di dormire».
  Lui non rispose, ma siccome lo spiffero c’era ancora, Jane comprese che la finestra non era chiusa, perciò ripeté: «Will chiudi quella dannata finestra, ti ho detto. Sono molto stanca, ho una certa voglia di dormire. Fammi questo favore, sii bravo, dai». Niente, ancora nessuna risposta. E quella fastidiosa aria fredda c’era ancora.
  A questo punto Jane, stufa, decise di intervenire con più determinazione. Perciò si mise seduta e si voltò, pronta ad alzarsi subito se fosse stato necessario, sbottando: «Accidenti, William, ti ho detto che…»
  Le parole le morirono in gola. Il suo sguardo andò dal lettino vuoto accanto al suo, dove avrebbero dovuto stare i suoi bambini, alla grande finestra, che naturalmente era aperta, davanti alla quale c’era William, voltato di spalle, rispetto a lei. Rimase pietrificata dove si trovava, ma soltanto per un piccolissimo secondo. Poi lanciò un urlo, così penetrante e terribile che avrebbe ghiacciato il sangue di chiunque nelle vene; ma William doveva essere più forte, perché voltò semplicemente la testa di circa centottanta gradi e si limitò a lanciarle uno sguardo sprezzante.
  Jane balzò in piedi e gli si avvicinò di corsa, con il cuore che le batteva in gola e con un’espressione assolutamente folle negli occhi smeraldini.
  «William, ma che cosa diavolo stai facendo? Sei diventato matto?!» strillò terrorizzata. «Rimettili dentro, subito! Cosa hai intenzione di fargli? Niente di male, suppongo. Dovrai vedertela con me, in caso contrario».
  Il ragazzo invece di obbedire o almeno rispondere, sporse un po’ più in fuori le braccia. Con le mani teneva saldamente Nicholas e Claudia per il colletto della tutina: stava minacciando di farli cadere fuori, nel cortile interno del condominio.
  «Non ti piacerebbe, non è vero?» le chiese lui con voce tremendamente calma, voltandosi finalmente a guardarla. «Vedere i tuoi due figli che si sfracellano al suolo dopo una bella caduta di almeno tre metri? Anzi forse sono addirittura quattro, non riesco a capire bene, c’è troppo buio».
  Jane impallidì di colpo e si sentì improvvisamente svenire. Dovette fare un grosso sforzo per riuscire a resistere e si aggrappò appena in tempo al davanzale della finestra. Capì subito che quel ragazzino stravagante e scontroso aveva intenzioni serie. Non stava affatto scherzando. Era pericoloso, non era il caso di farlo arrabbiare. «Ma certo che non mi piacerebbe, che domande» disse con voce ragionevole, tentando di inserire un po’ di buonsenso nella loro conversazione. «Si può sapere cosa diamine ti è saltato in mente, William?»
  In quel momento, Claudia scoppiò a piangere. Quando la sentì, Jane perse quel poco di autocontrollo che ancora le era rimasto. Si avventò ruggendo su William e tentò di afferrare i suoi bambini, ma lui si spostò in modo da impedirglielo.
  Il ragazzo, sempre con quel sorrisetto beffardo stampato in viso, le disse: «D’accordo, facciamo un patto. Diciamo che se tu accetti la ragionevole proposta che sto per farti i tuoi mocciosi, non si fanno niente, li rimetto nel loro lettino e non ne parliamo più. In caso contrario…» si concesse una piccola, malvagia pausa,  «in caso contrario, puoi dir loro addio».
  Jane si ritrovò con il cuore che le martellava furiosamente nelle orecchie, era assolutamente terrorizzata. «Accetto, accetto qualunque cosa. Chiedimi pure tutto quello che vuoi, ma non fare del male ai miei bambini!» rispose la ragazza, sempre più disperata. Lei stava implorando quel ragazzino, di questo si rendeva conto e notò la stranezza della situazione anche in un momento come quello.
  «Molto bene, allora» riprese William. «Quello che ora ti proporrò, mia cara Jane, è di fare insieme a me quello che, diciamo, ti ha permesso di avere questi due bei bambini. Per dirla con parole più garbate. Probabilmente ti sembrerà una richiesta strana, ma io vorrei comunque sapere qual è la tua risposta».
  Jane riprese il controllo della situazione, grazie all’assurdità della frase di William. Nonostante fosse molto più alto di lei, William restava un quindicenne sotto tutti gli aspetti. Scoppiò in una stridula risata priva di allegria. In realtà era ovvio che avrebbe accettato, ma la situazione era troppo pazzesca, per lei. «La mia risposta? Vuoi sapere la mia risposta ad una domanda così idiota? No, ovviamente! Ma chi ti credi di essere? Sei solamente un ragazzino. Io ho quasi dieci anni più di te, non so se ti rendi conto di questo piccolo dettaglio».
  William non rispose subito. Diede un’occhiata al cortile in basso, che si vedeva a stento nell’oscurità. Poi la guardò e disse: «Certo che è una bella altezza. Potrebbero farsi molto male. E me ne rendo conto perfettamente. So benissimo che tu sei un’adulta e io solo un ragazzo, ma che importa? Nessuno lo verrebbe a sapere, neanche i miei genitori. Hai tempo fino al tre, per assicurarmi che accetti. Dopodiché, se dici di no… Adieu, mocciosi. Uno... due…» Jane si morse le labbra in preda all’angoscia, poi fissò i suoi figli con gli occhi fuori delle orbite, il tutto in circa mezza frazione di secondo, ed urlò:«D’accordo, accetto. Ma adesso rimettili a dormire, per piacere». Non aveva pensato al fatto che, se avesse detto di no, anche se per finta, lui avrebbe potuto farli cadere per davvero.
  William, con aria estremamente soddisfatta, obbedì. «Come promesso, proposta accettata, mocciosi sani e salvi». E rimise Nicholas e Claudia, ancora in lacrime e terrorizzati, nel loro lettino.
  Jane però non era soddisfatta. Per niente. Anzi, adesso era ancora più preoccupata. Lui non aveva ancora fissato una data e la ragazza, nei giorni successivi, si trovò a sperare con tutto il cuore che se ne fosse dimenticato. Si era trovata costretta ad accettare la proposta di William, ma non ne era affatto contenta. Dal giorno seguente questi pensieri divennero un’ossessione bruciante. Non permise al ragazzino di entrare ancora nella sua camera, dove ormai passava la maggior parte del tempo, a riflettere e maledire il destino per la sua sfortuna. Si rese conto che in quel periodo, passava molto tempo a preoccuparsi del destino, del fatto che la vita fosse già comunque scritta e cose del genere. Quest’idea non le piaceva per niente. Un giorno si ritrovò a pensare “Ancora un po’ e mi metterò a credere anche agli oroscopi”. La sola idea la ripugnava. Il pensiero di non dare peso alle chiacchiere degli astrologi era sempre stato un po’ il suo vanto. Non poteva mandarlo in fumo, così semplicemente.
  Purtroppo per lei, William non si era per niente dimenticato della sua decisione e quando finalmente il ragazzino le comunicò il giorno, Jane la visse come una condanna all’ergastolo. Per alcuni spaventosi attimi, le sembrò di essere tornata nella baracca di Number One, dove era stata costretta a stare in ansia ogni giorno per qualsiasi cosa. In realtà non fu così tremendo, William non era certo come il suo ormai ex-marito, ma lei non riuscì a trovarlo piacevole, neanche per un momento. L’unico lato positivo della situazione, fu che William, a differenza di Number One, si accontentò di una volta sola.
  Anche a Jane quell’unica notte bastò, non certo in senso psicologico, ma per qualcosa di cui lei non aveva per niente voglia. Infatti, com’era prevedibile, a questo punto della storia, dopo dieci giorni la ragazza scoprì di essere incinta per la terza volta in due anni. Quella volta non se ne sorprese più di tanto, le era successo già due volte prima di quello, però cadde nella disperazione più nera. Non poteva proprio avere un terzo figlio quando non si era ancora abituata ai primi due!
  Da una parte si sentiva in dovere di dirlo ai genitori di William, ma dall’altra non ne aveva il coraggio, poiché temeva che avrebbero reagito come quelli di Eric Stevens. Non credeva che avrebbe potuto sopportare di essere cacciata da casa ancora una volta. Sarebbe stato destabilizzante per il suo amor proprio. E poi non le sarebbe sembrato onesto, lei in questo caso si sentiva la vittima, non la colpevole.
  Fortunatamente loro due furono molto comprensivi e senza che lei dicesse nulla, capirono che la colpa era del figlio e sua soltanto. Anzi, si sorpresero molto per il fatto che lei non avesse voluto parlare di ciò che le aveva fatto William. Ovviamente le assicurarono che poteva stare da loro quanto voleva, senza alcun problema e che William l’avrebbe pagata per quanto era successo; la misero in questo modo, ma nonostante tutto lei rispose che preferiva andarsene il prima possibile, anche perché non voleva vivere sotto lo stesso tetto di William, più del necessario.
  I signori Carter si mostrarono d’accordo con lei, ma espressero comunque il loro dispiacere per la sua decisione, così drastica ed anche improvvisa. Anche a Jane dispiaceva molto di essere arrivata a quella conclusione, ma alla fine era l’idea migliore che potesse avere nella sua situazione attuale. I due coniugi le diedero ragione e si mostrarono molto disponibili, ma la pregarono di farsi viva ogniqualvolta avesse avuto bisogno di qualcosa. La ragazza li ringraziò molto per la loro gentilezza e disse: «D’accordo, grazie. Mi farò sentire, se mi renderò conto di aver bisogno di parlare con degli amici».
  William, invece, ebbe la faccia tosta di non sentirsi minimamente mortificato dell’accaduto e per questo, anche, Jane arrivò ad odiarlo. Non aveva mai avuto occasione di odiare qualcuno prima d’ora, per sua fortuna e non era sicura di come si sarebbe sentita. Di certo non si sarebbe aspettata che l’odio portasse a desiderare per l’altro una morte lenta e molto dolorosa.
  Nonostante tutto, non partì subito, rimase in casa loro ancora per una settimana, all'incirca. I momenti nella sua giornata-tipo che apprezzava maggiormente erano quelli in cui William non c’era, perché era a scuola oppure in giro con i suoi amici. Alla fine, un giorno a metà settembre, Jane si preparò a lasciare per sempre quella casa bizzarra e quel ragazzino terribile.
  Inutile dire che dal giorno successivo, Jane riprese la vecchia vita e ricominciò a dormire nel brutto hotel, esattamente come nei due anni precedenti. Questa volta, però, rispetto alle altre andò molto peggio. Era completamente al verde e l’unico lavoro che le riuscì di trovare era come cameriera in un’osteria poco raccomandabile della zona che lei ormai bazzicava da circa tre anni. Nell’albergo c’era già una ragazza nuova che faceva da cameriera, perciò Jane si era ritrovata disoccupata dal suo solito lavoro. Quello che doveva svolgere adesso, invece, era un lavoro rischioso per diversi motivi e veramente mal pagato.
  Un giorno di quelli, per esempio, quando lei si era avvicinata ad uno dei vecchi tavoli nella sala da pranzo per togliere i piatti sporchi, uno degli avventori lì seduti, un uomo di circa trent’anni con la barba e i capelli molto unti e disordinati, tentò di strapparle di dosso la T-shirt per “deliziarsi delle splendide visioni delle sue grazie”. Così disse l’uomo e, se non fosse stato per il padrone del locale, che gliela tolse dalle mani appena in tempo, Jane probabilmente si sarebbe ritrovata con un altro figlio contro ogni sua volontà, se non fosse che era già incinta, oppure non avrebbe più avuto nessuna occasione di vedere i suoi figli. La paura per il suo lavoro non le passò per molto tempo, e inoltre, doveva accontentarsi di uno stipendio realmente da fame per mantenere sé e i suoi due bambini. Il padrone non era uno schiavista cattivo, ma era semplicemente povero in canna pure lui e per poter vivere decentemente, doveva fare molta economia sui salari dei suoi dipendenti, cioè Jane e altri due giovani. C’era però un lato positivo, in tutto questo: dato che a lei nell’osteria era toccato il lavoro più pesante e rischioso, il padrone aveva deciso di offrirle tutti i pasti.
  Ma questo era solo un piccolo miglioramento. Infatti Jane, nonostante tutti i suoi tentativi ed il suo inguaribile ottimismo, non riuscì neanche nella sua attività preferita: trovare qualcuno disposto ad ospitare una ragazza di venticinque anni, incinta di otto mesi e con due figli piccoli. A volte credeva di avere già sfruttato tutte le famiglie esistenti e che fossero ormai una specie in via di estinzione e perciò molto rara da trovare. Bisognava essere davvero molto fortunati per scovarne una.
  Nella sua ricerca era instancabile e, a dire la verità, quasi maniacale. Non si arrendeva mai, nemmeno quando, all’inizio di giugno, si rese conto di essere in una situazione assolutamente disperata, abbandonata in quel modo, per strada, con un figlio ormai sul punto di venire al mondo. Lei era fatta così, del resto. Non faceva parte del suo carattere, gettare la spugna. Si fermava di fronte ad ogni casa che, almeno in apparenza, era abitata e tentava di persuadere gli abitanti in questione ad ospitarla per qualche giorno. Stranamente, quando lei mostrava i suoi figli per tentare di intenerire chiunque le avesse aperto, quelli diventavano ancora più ostili e le chiudevano la porta in faccia, prima ancora che finisse di parlare.
  Nonostante il suo carattere e a causa della poca collaborazione mostrata dalle persone, Jane ormai provava  una profonda avversione nei confronti della maggior parte del genere umano. “Perché in fondo” pensava adirata un giorno, mentre se ne andava rumorosamente da una casa dove era stata appena rifiutata, “io cerco solo un po’ di aiuto per far nascere il mio bambino”.
  Jane aveva anche pensato più volte di andare in ospedale, che in fondo sarebbe stata la cosa più ovvia da fare, ma il più vicino, lì in città, era a circa trenta chilometri, senza contare quelli fuori dalla città vera e propria, che erano anche più lontani. Lei non aveva altri mezzi che le sue gambe, era quasi completamente senza soldi, era incinta di nove mesi ed aveva due bambini di quasi undici mesi e circa due anni da portarsi sempre dietro. Fare anche solo pochi chilometri in quelle condizioni era assolutamente impensabile.
 
 
  
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