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Autore: niji    29/04/2012    4 recensioni
Gackt incontra Mana per la strada dopo tanto tempo, i due si salutano e ognuno va per la sua strada. Questo incontro però riporta alla mente tanti ricordi di quando i due lavoravano assieme.
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Niente di che, solo una promessa mantenuta dopo tanto tempo. In realtà dovevo scrivere questa storia l’anno scorso, ma… come si suol dire, meglio tardi che mai! Dedicata ad Angela, che mi fornisce sempre ispirazioni, e mi perdona se ci metto secoli a tradurle in ff. ^_-
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gackt si stiracchiò pigramente nell’acqua calda. Era da poco passata mezzanotte, e finalmente riusciva a trovare un momento per rilassarsi e levarsi di dosso la stanchezza della lunga giornata. Lunga era dir poco, era uscito di casa alle 6.00 del mattino ed era tornato dopo mezzanotte. Ultimamente finiva sempre così. Dopo una breve pausa erano iniziati di nuovo gli impegni: preparare le nuove canzoni, appuntamenti con i fotografi per i nuovi servizi pubblicitari e in più studiare la parte per il telefilm che avrebbe iniziato a girare di lì a poco.
 
Sospirò. Era talmente stanco che rischiava di addormentarsi lì. Si stiracchiò un’altra volta, si alzò in piedi ed uscì dalla vasca. Si fermò davanti allo specchio per pettinare i lunghi capelli fradici mentre lasciava che le gocce d’acqua scendessero lungo il corpo. Ormai erano diventati lunghissimi, come richiesto per la parte di Uesugi Kenshin. Dopo tanti anni che li teneva corti, faceva fatica a riabituarsi.
Già. Era dai tempi dei Malice Mizer che non li teneva così lunghi.
 
I tempi dei Malice Mizer… ultimamente si era ritrovato spesso a ripensarvi. Anche in quella stessa sera, dopo l’incontro fatto al semaforo.
 
Avvolto nel morbido accappatoio uscì dal bagno e si diresse in cucina, sul tavolo c’era ancora la bottiglia di vino bianco della sera prima. Mentre ne sorseggiava qualche sorso si avvicinò alla finestra, osservando il panorama notturno.
 
Quella sera, tornando a casa in macchina aveva rivisto Mana. Era fermo al grande incrocio di Shibuya, lo aveva scorto mentre si fermava davanti al semaforo rosso. Lo aveva notato subito in mezzo alla gente, anche Mana si era accorto di lui e, dopo un momento di esitazione, aveva accennato un saluto con la testa mentre iniziava ad attraversare la strada.
Camminava velocemente tra la folla avvolto nel suo cappottino nero, borsa sulla spalla, i capelli lunghi che spuntavano dall’immancabile cappello. Era sempre uguale, dopotutto. Da quanto tempo non si vedevano?
 
A pensarci adesso pareva così strano, per tanto tempo erano stati così vicini, avevano diviso praticamente tutto. E poi era tutto finito all’improvviso. Per anni non si erano più incontrati, se non di sfuggita, come quella sera o in altre rare occasioni.
Si staccò dalla finestra, ripose il bicchiere vuoto sul tavolo e uscì dalla cucina. In salotto, si fermò davanti alla grande libreria dove teneva le copie di tutti il materiale prodotto con i gruppi nei quali aveva suonato. Assorto nei ricordi passò la mano sul dorso dei cd: Bel Air, au revoir, Le ciel … sorrise ricordando le manie francesi di Mana.
 
Quel ragazzo era capitato nella sua vita all’improvviso, e l’aveva cambiata del tutto. Una lunga telefonata combinata con l’aiuto di un amico comune, e poi il loro primo incontro: una notte intera a parlare di musica per scoprire di averne la stessa concezione.
E poi giorni e giorni di progetti e discussioni, a costruire una realtà fatta di note e poesia, tanto bella quanto instabile e fragile.
 
Prese dallo scaffale uno dei tanti libri fotografici, "merveilles", e incominciò a sfogliarlo. Immagini a colori e in bianco e nero, scenografie, costumi: ogni foto un ricordo, e tante sensazioni e stati d’animo riportati a galla da un pizzico di nostalgia. Rammentava bene quei giorni: le prove estenuanti alla ricerca di una perfezione che sembrava impossibile raggiungere, l’ossessione nel curare ogni dettaglio, l’ansia mentre si preparavano nei camerini e infine l’emozione dello spettacolo, l’applauso del pubblico che ricompensava ogni fatica.
A quel tempo, era la sua quotidianità. Quelle immagini, i costumi e trucco erano le sue abitudini. Eppure ora, riguardandole dopo tanti anni, parevano così estranee.
 
Quanto sembrava lontano, adesso, quell’angelo nero dagli artigli lunghissimi e il viso sfregiato.
 
Continuò a girare le pagine, perso nei ricordi. Rivide se stesso, seduto al pianoforte, Kami sorridente alla sua batteria, Közi che si accomodava  il suo abito da gentiluomo, Yu~ki immortalato mentre ritoccava il trucco, infine la loro dama bionda nel suo lungo abito azzurro.
Aveva davvero un bel viso Mana, lineamenti delicati, pelle candida e labbra carnose come le bambole francesi che gli piacevano tanto. E un po’ davvero vi assomigliava, a quelle bambole, quando si arricciava i lunghi capelli, o truccava le palpebre per dare l’illusione degli occhi grandi occidentali. Gli piaceva giocare il ruolo della donna, sopra il palco, e ci riusciva dannatamente bene.
Il loro fan service ne era derivato quasi spontaneamente. Inizialmente era solo accennato, fatto di ammiccamenti, carezze date distrattamente mentre si sfioravano cambiando posto sul palco, uno sguardo di sottecchi, un bacio nascosto dalle piume di un ventaglio.
Poi qualcosa era cambiato.
 
“Cosa non fareste per far arrapare le fan!" aveva commentato un amico durante le prove di Illuminati.
 
Sorrise a quel ricordo. C’era stato un momento, nello studio della coreografia di quel pezzo, nel quale sarebbe potuto accadere di tutto, tanto sul palco quanto nel video.
 
Ci avevano pensato a lungo, tutti e cinque seduti attorno ad un tavolo pieno di lattine di birra e sacchetti di salatini. Közi, Yu~ki e Kami parlavano di violenza e sangue, sparando idee che sfidavano la censura, quasi dovessero girare un film horror; lui e Mana cercavano un modo di interagire tra loro, ma ogni proposta pareva sbagliata. Il chitarrista non era mai contento, tutto gli sembrava troppo volgare.
E poi, finalmente, l’idea.
“Tu in un letto sopra un’attrice con i capelli biondi come i miei, il suo viso si deve vedere solo di sfuggita, chi guarda deve chiedersi se sono io. E poi io, disteso tipo sul pavimento con sopra un’attrice pettinata come te, e anche il suo viso verrà inquadrato poco. Abbastanza poco da indurre gli spettatori a chiedersi se sei tu, ma abbastanza da suggerire la risposta”.
“Ma non fate prima a farlo direttamente voi due?” aveva ridacchiato Yu~ki  aprendo l’ennesima lattina.
“Nahh, non possiamo scadere così” era stata la risposta di Mana.
 
Gackt aveva sorriso. Era sempre stato quello il loro fan service: accostare immagini, indurre sensazioni, promettere e non dare. Uno stuzzicare continuo. Tutto era teatrale, studiato, il pubblico andava provocato, ma poi lasciato sospeso a cercare nella fantasia ogni possibile risposta.
 
Si ritrovò a ridacchiare tra sé, ripose il libro e si diresse in camera da letto. Spense la luce, lasciò cadere l’accappatoio sul pavimento e si infilò sotto le coperte. Si stiracchiò ancora, era bello sentire i muscoli della schiena rilassarsi, mentre le morbide lenzuola gli accarezzavano la pelle.
Chiuse gli occhi, ripensando alle foto che aveva appena guardato. Quante immagini riaffioravano nella sua mente.
 
Mana nel suo camerino, il viso coperto di fondotinta chiarissimo, le labbra e il profilo degli occhi ridisegnati, mentre si allacciava gli stivali lucidi prima di andare in scena.
Oppure senza trucco, con l’immancabile cappello e gli occhiali da sole, che beveva Jack Daniel's in qualche fumoso locale di Shibuya.
Steso sul pavimento dello studio ricoperto di spartiti, con gli occhi gonfi dal sonno mentre rincorre chissà quali accordi nella sua mente.
 
E poi… quella lunga sera a casa sua, mentre nella stessa stanza di dedicavano a cose diverse, la radio rimasta accesa in sottofondo dopo il notiziario. Talmente assorti non se ne erano nemmeno accorti subito… poi all’improvviso avevano alzato la testa di scatto nello stesso momento. Era una loro canzone… alla radio!
Immobili per un momento, guardandosi increduli negli occhi, per poi scoppiare a ridere e abbracciarsi. Un momento di euforia, e poi si erano leggermente allontanati l’uno dall’altro senza sciogliere davvero l’abbraccio.
Aveva guardato a lungo il suo viso, accarezzandone le guance e sfiorando la bocca con il dorso delle dita. Non aveva resistito, e aveva posato le labbra sulle sue. Mana inizialmente era rimasto impassibile, poi le aveva dischiuse leggermente, come invitandolo a continuare. Allora si era lasciato andare, lo aveva baciato per ore, forse per tutta la notte, sullo scomodo divano del salotto dove poi si erano addormentati abbracciati.
 
Mana gli piaceva, non si era mai davvero innamorato di lui. Amava il  suo modo di fare musica, amava fondere la sua voce con il suono della sua chitarra, amava la sua immagine affascinante e ambigua. Amava le sue capacità, ma non lui.
 
Eppure per un breve periodo si erano davvero avvicinati tantissimo, quando dividevano troppe emozioni per rimanere davvero due estranei. E tanti giorni nei quali trascorrevano assieme la maggior parte del tempo libero a parlare di tutto, non solo di musica.
E poi, il viaggio a Parigi, la città dei suoi sogni; era così eccitato mentre lo organizzava nei minimi dettagli, cercando di incastrare impegni e tempo libero.
Lo aveva visto sotto una luce diversa nelle settimane trascorse in quella città, tra set fotografici e sogni. Quanto era tenero, mentre guardava a bocca aperta gli archi di Notre Dame e le sue grandi vetrate…
Tutti ricordi di quel breve periodo, a dire il vero, racchiudevano una certa dolcezza.
Le ore trascorse nei musei, ad ammirare i dipinti fino ad ora visti solo sui libri. Fermarsi a guardare le architetture caratteristiche della città, i balconi in ferro battuto, le facciate, le finestre delle mansarde che spuntavano dai tetti. E camminare per ore lungo le strade solo per la soddisfazione di farlo e di essere lì, fermarsi a guardare le vetrine, ad ascoltare il suono della lingua francese, così diversa dalla loro. E alla sera, cenare in qualche ristorante nascosto e rimanerci fino a tardi a bere vino e fumare guardando la gente passare.
Stringersi sotto le coperte nel buio della loro piccola camera d’albergo, mentre le luci della città sempre sveglia filtravano attraverso le tende scostate. Dolci ricordi di sensazioni e memorie rimaste impresse nella mente e sulla pelle.
 
“Un giorno suoneremo in questa città” gli aveva sentito dire una sera, mentre con i gomiti appoggiati alla balaustra del terrazzino guardava il panorama notturno di luci brillanti. Pareva più che altro una promessa fatta a se stesso. “Sarà certamente così” gli aveva risposto, chiedendosi se sarebbe davvero accaduto.
E in effetti anni dopo Mana aveva avuto la sua soddisfazione di suonare a Parigi, ma il destino aveva voluto che i Malice Mizer si fossero sciolti molto prima.
 
“Non posso più lavorare con te”.
 
Gackt riaprì gli occhi, mentre ricordava quelle parole pronunciate in fretta.
 
“Non posso più lavorare con te, devi andartene. Chiamerò i ragazzi, il manager e tutti gli altri, ne parleremo assieme.”
Era rimasto in silenzio, colpito ma non sorpreso. In fondo se lo erano già detto tante volte, sottointeso in molte discussioni.
Avevano iniziato quel viaggio nella stesa squadra, ma non avevano davvero camminato assieme. Percorrere la stessa strada, mano nella mano, è diverso dall’usarsi a vicenda per ottenere lo stesso risultato. Inevitabilmente si arriva allo scontro: troppi galli nello stesso pollaio, troppe insoddisfazioni personali nascoste dietro a divergenze artistiche. E arriva il momento in cui ognuno deve prendere la sua strada.
E da quel giorno le loro vite si erano separate, e non aveva più avuto che fare con lui.
 
Quanti ricordi gli erano rimasti, però.
 
Era strano Mana, una personalità complessa piena di contraddizioni.
Seguiva la moda gotica, vestiva spesso di nero, smalto scuro sulle unghie, accessori con perle e croci. La sua casa però era luminosa: tende candide ricamate davanti a finestre con gli infissi bianchi, lampadari sempre accesi e piante in ogni angolo. 
Particolare nel modo di fare quanto nel  modo di essere. A volte incredibilmente duro, a volte altrettanto dolce.
“Sei qualcosa di speciale” gli aveva detto una volta mentre fumava sul terrazzino del suo appartamento, avvolto nelle prime luci del mattino “sei forte e affidabile come un uomo, ma allo stesso tempo delicato come una donna”. Mana lo aveva guardato per un momento con uno sguardo indecifrabile, poi aveva sorriso. “Credo sia la cosa più bella mi sia stata detta” aveva risposto.
 
Dopo tanti anni, ricordava ancora quel sorriso, forse il più bello gli avesse mai visto.
Sorrise nel buio, mentre si addormentava.
 
“Credo sia la cosa più bella mi sia stata detta”… Probabilmente era vero, qualche anno dopo lo aveva sentito ripetere quella frase in un’intervista dicendo fosse il più bel complimento mai ricevuto.
 
Chissà se pensava ancora a lui.
  
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