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Autore: Pendragon of the Elves    02/05/2012    6 recensioni
[Dal capitolo terzo]
La signorina d'Armilly, abbandonato ogni contegno, le si avvinghiò contro, rispondendo appassionatamente all'amica. E non si curò del fatto che qualcuno potesse vederle dal finestrino della carrozza perché il suo mondo ora vorticava così velocemente attorno a quelle dolci labbra tanto che non si ricordava quasi di respirare. Perché quello che provava in quel momento, era la magica e vecchia favola che incendiava i cuori di tutte le fanciulle mentre sospiravano malinconiche guardando il tramonto da sole, era tutto ciò che ogni ragazza sognava di trovare nella propria vita e che lei aveva trovato nella persona che le era stata più vicina: quello era amore. E tutte quelle ragazze per bene che aspettavano ancora il loro principe azzurro non potevano disprezzarla poiché loro erano ancora ad attendere su un davanzale che i loro genitori la vendessero al migliore offerente e lei era lì a baciare la persona che amava. Ogni imbarazzo era ora sparito dal suo cuore e il solo rossore rimasto sul suo viso era quello della contentezza. Non voleva più vergognarsi del sentimento che provava nel petto, non voleva più celarlo ingloriosamente reprimendo la tristezza e soffrendo la solitudine: voleva solamente esprimerlo, gridarlo forte e chiaro, lasciarlo andare e lasciarsi travolgere dalla potenza di quelle emozioni. Perché non c'era nulla di male in quel piccolo, innocente,  grande amore.
Una mia personale reinterpretazione dei capitoli 98 e 99. In mezzo troverete un pezzo in più che nel libro non viene indagato... ;)
La vera storia della fuga e delle passioni di Eugenia Danglas.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Romanza

Indistinguibilmente, in modo troppo sfumato, Louise passò dal sonno profondo a una sorta di pesante dormiveglia intrisa di una stanchezza tale che non riuscì neppure a realizzare di non essere più addormentata. Era l'effetto del vino che le appesantiva le palpebre e attutiva i sensi, rinchiudendola in un tiepido magma che confondeva ogni percezione. Riusciva solo a sentire il corpo nudo di Eugenia ancora stretto contro il suo. Poi, cominciò a udire dei rumori attutiti provenire da fuori: attorno alla locanda c'era una certa agitazione. Nel suo cervello insonnolito cominciò a ronzare una preoccupazione: che le avessero già trovate?
Proprio in quel momento le sue preoccupazioni furono smentite. Accadde tutto in pochi secondi: Louise sentì dei pesanti passi sul tetto e, subito dopo, qualcosa cadde giù dalla cappa del camino dentro la loro stanza. Si tirò su a sedere di colpo: non era qualcosa, era qualcuno. E quel qualcuno era Andrea Cavalcati.
Senza pensarci due volte, invasa da un folle terrore, la sua mano corse al campanello e chiamò aiuto. Nella confusione, si svegliò anche Eugenia, alzandosi di soprassalto. I suoi occhi neri si fissarono immediatamente implacabili sul suo ex promesso sposo.
«Voi», sibilò, tradendo comunque una certa sorpresa.
«Per pietà!», urlò l'uomo senza vederle, cercando affannosamente di pulirsi gli occhi dalla fuliggine:«Per pietà, salvatemi! Non voglio farvi nulla di male!».
«Alquanto ironico detto da un assassino della vostra risma».
Andrea Cavalcanti parve riconoscere la sua voce. Pulitosi infine le palpebre dalla cenere aprì gli occhi e le guardo. «Eugenia!», esclamò stupefatto.
«Che volete, Cavalcanti?», la mano di lei pendeva ancora terribilmente sulla corda del campanello.
«No, ve ne prego: non chiamate aiuto! Salvatemi, sono inseguito!».
«Troppo tardi per della feccia come voi», disse sprezzante Eugenia, «salgono». In quel momento, infatti, avevano cominciato a sentirsi dei passi concitati per le scale.
Ma Andrea Cavalcanti, da ex galeotto che era, non intendeva darsi per vinto fino alla fine. Veloce come il lampo, estrasse dai meandri della giacca un coltello e lo puntò contro le giovani.
«Ora voi mi nasconderete in qualche angolo e mi aiuterete a fuggire. Se non direte nulla avrete salva la vita!».
Louise si lasciò sfuggire un gemito. Eugenia mantenne invece il sangue freddo.
Proprio in quel momento, si udì la voce di un gendarme da fuori la porta:«è qui dentro!». Poi, dei forti colpi: qualcuno, da fuori, stava cercando di sfondare i cardini.
Louise, vedendo l'espressione terrorizzata del giovane, fu presa da uno slancio, non del tutto di pietà, ma terrorizzato, perché sperava solo di riuscire a sfuggire al criminale:«Fuggite dunque!», strillò disperata, con una certa nota d'isteria nella voce che tradiva il suo terrore.
«Oppure uccidetevi», propose beffardamente Eugenia con lo stesso tono col quale avrebbe consigliato dei dolci agli ospiti, del tutto indifferente al coltello puntato contro la sua persona, «potreste fuggire alla ghigliottina e avrete salvo l'onore: sempre che ne abbiate mai posseduto alcuno».
Andrea fremette e la guardò con astio: ormai si vedeva perduto. Poi, mentre faceva scorrere lo sguardo su di loro, un sorriso di disprezzo si delineò sul suo volto sfigurato dalla follia e dal terrore:«E voi? Che fine ha fatto il vostro pudore? Se qualcuno ha perso l'onore oggi, quella siete voi, signorina Danglas».
Solo in quel momento Louise realizzò che erano entrambe nude. Con un moto di terrore, cercò di coprirsi con le lenzuola, tremando di disgusto. Eugenia, invece, fremente di rabbia, continuava a esporre fieramente al criminale il suo seno nudo in segno di sfida, semplicemente per fargli credere che le sue parole la turbassero.
«Dopotutto», continuò Cavalcanti con lascivia, «sembra che il mio matrimonio voi l'abbiate già consumato…». Louise ebbe un moto di disgusto quando gli occhi del uomo si posarono su di lei. Si portò velocemente una mano al collo, ormai troppo tardi per impedirgli di notare i segni dei baci che le labbra di Eugenia le aveva lasciato la notte prima.
Il sorriso di Cavalcanti si fece -se possibile- ancora più sgradevole di fronte alla disperazione della ragazza:«Ma non preoccuparti, Eugenia», disse poi, rivolto alla giovane bruna, «Non sfuggirò alla ghigliottina, no… ma queste saranno le mie ultime parole prima dell'esecuzione!» disse accennando ai loro corpi nudi.
In quel momento, i gendarmi riuscirono ad irrompere nella stanza e si lanciarono su Andrea Cavalcanti, immobilizzandolo. Quando lo portarono via, stava ancora ridendo.

Le due giovani furono lasciate in balia dei curiosi. Il ronzio dei commenti che fioccavano indiscretamente da ogni dove risultava quasi assordante per le orecchie. Immediatamente successive all'arresto di Andrea Cavalcanti, avevano cominciato a circolare strane voci su di loro, come se più eccitante dell'arresto di un assassino evaso fosse stato il loro ritrovamento nella stanza, come fosse più interessante accanirsi sulle povere vittime che sul criminale.
Alla fine, erano state costrette a fare le valigie in quattro a quattr'otto e a lasciare ingloriosamente la loro stanza e la locanda. Mentre uscivano dall'osteria furono immediatamente attorniate da una folla di curiosi, una marea umana che bisbigliava concitata. Louise, col capo chino, trascinava la sua valigia con le lacrime agli occhi. Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto invece Eugenia (ormai privata del suo travestimento e in vesti da donna) che avanzava rigida verso la carrozza con uno sguardo che, se soltanto essa l'avesse alzato dalla polvere della strada, avrebbe fatto zittire perfino le cicale.
Salirono in fretta nella carrozza e ordinarono seccamente al cocchiere di partire.
Louise si sedette rigidamente sul sedile, le mani che si tormentavano a vicenda poggiate in grembo, con capo chino per nascondere la lacrime di vergogna. Eugenia dall'altra parte teneva i pugni serrati e fremeva per la rabbia, non solo di vederle entrambe umiliate, ma di veder svanire le speranze della loro fuga sotto i propri occhi increduli. Se mai aveva detestato Andrea Cavalcanti, ora lo odiava con tutto il suo cuore e non poteva fare a meno di sperare che la ghigliottina non fosse che l'ultima della sue pene. Ma non esternò questi suoi funesti pensieri all'amica per non turbarla. D'altronde, la signorina d'Armilly pareva sconvolta già per conto suo: ora che era perfettamente lucida si ricordava perfettamente gli avvenimenti della sera prima e si accorgeva completamente dell'onta riservatale da Cavalcanti. E non solo a lei, anche alla cara Eugenia che, figlia di uno stimato banchiere, vedeva la sua fama rovinata. La sua reputazione le importava ben poco in confronto a quella dell'amica e, interpretando il suo silenzio alle triste luce dei suoi pensieri, credette che ella le serbasse del rancore. Dopotutto, la sera prima ella aveva bevuto più di lei, poteva essersi pentita di quello che aveva fatto: il fatto che lei, invece, non se ne vergognasse la rendeva ancora più spregevole ai suoi stessi occhi. Quella che meritava infamia era lei, non la figlia di Danglas. Alla fine, non riuscì più a tollerarlo, e scoppiò a dirotto  in un gran pianto.
«Louise, che avete? Perché piangete?», chiese premurosamente Eugenia.
«Mi chiedete perché piango?», singhiozzò Louise, senza più contegno, «come fate a non capire! ciò che è appena successo…».
«Povera amica mia, è naturale che siate turbata ma non dovrete preoccuparvi oltre: Cavalcanti avrà presto quello che si merita. La giustizia lo punirà anche per la minaccia che vi ha fatta».
«Non è per questo che piango…».
«Per cosa allora? perché siete così infelice? Non riesco a capire…».
«Non riuscite a capire?», strillò Louise, «quello che è accaduto ieri sera… segnerà la fine della vostra buona reputazione ed è tutta una mia colpa! Eugenia, capirò se mi odierete: ne avreste tutto il diritto!».
«Louise, che dite!», esclamò Eugenia, sconvolta, «pensate che ieri… sia stato un errore?».
«Perché è successo tutto questo?! Mi perdoni, Eugenia: ho rovinato tutto!».
La signorina Danglas non poté più reggere lo struggente dolore dell'amica e non poteva lasciare che fraintendesse oltre. Le prese il volto tra le mani e la baciò con passione sulle labbra. Quando si discostò, vide il volto rigato di lacrime di Louise che la guardava senza proferir parola: erano solo i suoi occhi a parlare, esprimendo tutta la sua confusione. La baciò nuovamente, se possibile, ancora con maggiore ardore, prima di staccarsi di nuovo da lei.
«Oh, Louise…», mormorò dolcemente, «pensate ancora che sia stato un errore?».
«Io…»
Eugenia la strinse tra le braccia:«Io vi ho detto che vi amo, non vi ho mai odiata per questo e mai lo farò: la cosa che mi fa soffrire è che voi non crediate alle parole del mio cuore, perché è stato questo mio cuore ieri sera a parlarvi come sta facendo ora, mia amica adorata, ma voi sembrate non sentirlo! Quale dolore mi provocate in petto!».
«Ma io… ho rovinato la vostra fuga… ho rovinato tutto…».
«No, Louise, non è vero! Non dite così…».
E, vedendo che la giovane stava per ricominciare a piangere, chiese, «Ditemelo, Louise, voi mi amate?».
La giovane, ricacciò indietro le lacrime ed enunciò con voce tremante:«Sì, Eugenia, io… vi amo».
«Allora non c'è problema», sorrise Eugenia, «perché io vi amo dal profondo del cuore e non mi interessa cosa dirà la gente: noi proseguiremo per la nostra strada per conto nostro. Non l'abbiamo forse detto all'inizio del nostro viaggio, "al diavolo il costume"?».
Lo sguardo che Louise le riservò, era così innamorato e carico di riconoscenza che la signorina Danglas, senza riuscire a contenersi, la strinse forte a se, come aveva fatto la sera prima. Poi, ridendo gioiosamente si sporse dal finestrino e gridò al cocchiere un ordine:«Non andiamo più a Parigi! Invertite la marcia! Svelto abbiamo fretta, noi!».
«Fretta per cosa?», domandò rincuorata Louise.
«Di vivere la mia vita con te, Louise, ovunque vorremo e come vorremo: che il mondo dica quello che vuole, non potrà biasimare due persone felici».
«Oh, Eugenia, voi mi riempite il cuore di gioia!».
Lo disse con una tale ed autentica contentezza che la signorina Danglas si commosse:«E voi riempirete la mia vita di felicità!». E, presole il volto tra le mani, la baciò nuovamente con infinita dolcezza.
La signorina d'Armilly, abbandonato ogni contegno, le si avvinghiò contro, rispondendo appassionatamente all'amica. E non si curò del fatto che qualcuno potesse vederle dal finestrino della carrozza perché il suo mondo ora vorticava così velocemente attorno a quelle dolci labbra tanto che non si ricordava quasi di respirare. Perché quello che provava in quel momento, era la magica e vecchia favola che incendiava i cuori di tutte le fanciulle mentre sospiravano malinconiche guardando il tramonto da sole, era tutto ciò che ogni ragazza sognava di trovare nella propria vita e che lei aveva trovato nella persona che le era stata più vicina: quello era amore. E tutte quelle ragazze per bene che aspettavano ancora il loro principe azzurro non potevano disprezzarla poiché loro erano ancora ad attendere su un davanzale che i loro genitori la vendessero al migliore offerente e lei era lì a baciare la persona che amava. Ogni imbarazzo era ora sparito dal suo cuore e il solo rossore rimasto sul suo viso era quello della contentezza. Non voleva più vergognarsi del sentimento che provava nel petto, non voleva più celarlo ingloriosamente reprimendo la tristezza e soffrendo la solitudine: voleva solamente esprimerlo, gridarlo forte e chiaro, lasciarlo andare e lasciarsi travolgere dalla potenza di quelle emozioni. Perché non c'era nulla di male in quel piccolo, innocente,  grande amore.




                                                        



Fine

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Salve a tutti quelli che hanno avuto il coraggio di avventurarsi fino a qui!
Non ho molte parole da spendere su quest'ultimo capitolo. Chi ha letto il libro avrà sicuramente notato che questa è la re-interpretazione del capitolo 99, dove Andrea Cavalcanti fa la sua comparsa in scena. Il giovane, fuggendo dai gendarmi, si getta nella cappa del camino della stanza delle due ragazze (che, ripeto, dormivano nello stesso letto... >_>). Ho cambiato i dialoghi e il punto di vista che, nell'originale opera di Dumas, è quello di Cavalcanti in fuga mentre qui rimane sempre principalmente su Louise, solamente nel ultimissimo pezzo si sposta su Eugenia.
Spero riusciate anche qui a cogliere il pathos e le gioie e le sofferenze di questo piccolo, innocente, grande amore, rinchiuso come un uccellino in gabbia in un mondo ostile e omofobo che, purtroppo, non è troppo diverso da quello in cui viviamo. Dedico questo racconto a tutte la coppie omosessuali (ma in particolare quelle lesbiche) che lottano ancora per esprimere il loro amore.
Qui questa storia finisce ed il resto è silenzio.
Un grazie a tutti quelli che hanno letto questa fanfiction!

Un ringraziamento speciale a Branka, (per il supporto) e ad Hamber of the Elves, che non hanno mai mancato di recensire i precedenti capitoli.

Pendragon of the Elves


P.S.: (non possiedo i diritti per il conte di Montecristo, scritto dal grandissimo Dumas, e neanche per l'immagine che appartiene alla fantastica Kechake (Deviantart): è stato anche pensando a questa immagine che ho deciso di scrivere questa storia)
  
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