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Autore: Kiary92    07/05/2012    0 recensioni
Questa storia non l'ho scritta io, ma ho avuto il consenso di postarla.
***
La luna illuminava il cielo, facendo luccicare sia la pistola modello Beretta nella destra che la katana che teneva nella sinistra, sporca di sangue.
Il demone gracchiò - Non uccidermi. Ti darò tutto ciò che vorrai -
- Buffo.... - commentò l’altro - Voi demoni vi sforzate di parlare solo quando non avete più scampo -
Visto che la tattica della corruzione non aveva funzionato, il rospone passò alle minacce - Io servo un padrone molto più potente di .... -
- Dicono tutti così. - sbuffò il ragazzo, mentre due spari interrompevano il monologo del mostro.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’intera sala si bloccò. Tutti fissarono il ragazzo. Nessuno parlò.
- Tu sei matto, ragazzino. Sparisci - gli rispose il colosso. Era alto almeno due metri e doveva pesare almeno il doppio del ragazzo, ma quest’ ultimo non retrocesse, anzi.
Con uno scatto fulmineo che la maggior parte delle persone colsero come un macchia confusa Paolo percorse i tre metri che lo separavano dal gigante e lo colpì con un pugno atomico dritto allo stomaco. L’ uomo indietreggiò boccheggiando.
- Forse adesso mi prenderai sul serio - commentò.
L’ armadio semovente gli si scagliò addosso. Lui lo schivò senza fatica. - Sei lento. Non colpiresti una roccia nemmeno se ce l’ avessi davanti. Forse ti servono gli occhiali - lo sbeffeggiò.
Urlando come un ossesso la massa di muscoli cercò di afferrarlo, ma l’ ex Agente lo colpì con una veloce raffica di pugni.
- Puoi fare meglio di così. o forse no - lo provocò il ragazzo.
L’ uomo cercò di schiacciarlo, ma Hunter gli rifilò un ginocchiata sullo sterno, lo colpì con un manrovescio e gli falciò le gambe con un calcio, buttandolo a terra. Cocciutamente lui si rialzò. Il pugno diretto al volto del ragazzo venne prontamente intercettato. Con una torsione Paolo spedì nuovamente l’ avversario al tappeto. Con uno sforzo titanico si rialzò di nuovo, caricando il moro e sferrando una raffica di pugni.
Con consumata abilità Hunter evitò tutti i colpi tranne l’ ultimo, che bloccò afferrando il polso del gigante. Lentamente e senza alcuno sforzo glielo torse. Un millisecondo prima di spezzarglielo lo mollò, roteò su sé stesso volteggiando in aria e lo colpì con un devastante calcio rotante sullo zigomo.
Il colosso volò oltre il ring e atterrò sopra un tavolino, polverizzandolo e spendendo ovunque pezzi di vetro, schegge di legno e bevande varie. Per un secondo si mosse, cercando di rialzarsi. Poi si arrese e svenne.
Tranquillamente, come se non avesse appena steso centocinquanta chili di muscoli in quaranta secondi, Paolo scese dal palco e tornò da Elena. La ignorò e si rivolse al licantropo - Hai qualcosa da dire?-
Lui e i suoi compagni svanirono in meno di dieci secondi.
Sogghignando si girò verso la ragazza. - Mi ridai la giacca?-
Senza una parola gliela restituì. Nell’ ambiente il silenzio era così denso che sembrava liquido.
- Meglio andare. Oserei dire di aver dato abbastanza spettacolo per oggi -
Seguiti dal silenzio stupefatto che ancora aleggiava i due uscirono dall’ Arena. La ragazza ancora non riusciva a proferir verbo. Lo seguì meccanicamente. Parlò solo dopo un po’. - Dove siamo?- chiese, accorgendosi di non conoscere quella zona di Verona.
Lui sorrise - Questo è Ponte Pietra, una meraviglia dell’ architettura romana. è in piedi dalla fondazione della città -
- Interessante, ma perché siamo venuti fin qui?-
- Volevo farti vedere una cosa. Guardati attorno -
Lei obbedì. La prima cosa che le saltò all’ occhio erano le molte luci che brillavano sulle colline nello sfondo, ancora coperte di alberi. Poi il suo sguardo vagò sul fiume, illuminato dalla luce dei lampioni. Non vide nulla di particolarmente interessante. - Cosa dovrei vedere?- - Solamente la città. Non riesci a capire? Forse no. La verità è che il nostro lavoro ci chiude gli occhi, Elena. o forse è l’ essere umano che è fatto così. Non riusciamo a goderci la vita semplicemente per quello che è. Non riusciamo ad apprezzare la semplice bellezza. Qui intorno la città vive, piange, ma noi ci ricordiamo che è così solo quando salviamo la vita di un’ innocente o quando non riusciamo a farlo - Scoppiò a ridere. - Scusami, sto divagando. Ti ho portato qui perché la città di notte mi piace, e volevo mostrartela -
Elena lo fissò, sbalordita. Paolo era una continua fonte di sorprese. Non si era immaginata nemmeno in sogno che potesse dire cose del genere. Guardò di nuovo il panorama, ma con occhi diversi. - Hai ragione. è bellissima - mormorò. Il ragazzo sorrise, e lei non poté che sorridere a sua volta. Rimasero a lungo, vicini, ad ammirare la città, che sotto il loro sguardo pulsava, scorreva.... viveva.
 
 
Stavano percorrendo Corso Porta Nuova, diretti al parcheggio in cui Paolo aveva lasciato l’ auto. Elena faticava a stargli dietro. - Paolo, rallenta!-
Lui la guardò, sorpreso. - Scusa, è tanto che non cammino con qualcuno. Mi sono dimenticato che non tutti reggono il mio passo - Rallentò un attimo.
Con più calma ripresero a camminare. Ora che non doveva usare tutto il fiato che aveva per stare al passo la ragazza decise che le dovesse spiegare alcune cose. - Come hai fatto a stendere quel mostro?- chiese, riferendosi all’ episodio dell’ Arena.
Tentò di eludere la domanda con grazia. - Non l’ hai visto? Alla Chuck Norris!-
- Non insultare la mia intelligenza. Eri il miglior Doppio Zero dalla Sede, questo lo sanno tutti, ma c’è una bella differenza tra uccidere demoni armato e con una squadra alle spalle e sconfiggere un licantropo di un quintale e mezzo a suon di calci! Come fai ad essere così forte?-
Lui si bloccò. Preoccupata, cercò i suoi occhi. Ma ciò che vide furono due pozzi pieni di dolore. - Mi dispiace, ma non sono pronto a parlarne. Non ancora. Tu non conosci la sofferenza dei Doppio Zero. Ancora non sai cosa significa esserlo. E ora che ti ho conosciuto, preferirei che non lo scoprissi - Lei indietreggiò, l’ amarezza nella sua voce l’ aveva colpita con la stessa forza di un pugno. - C’ è troppo sangue sulle mie mani. Sangue di persone che potevano, dovevano essere salvate. Persone come tuo padre -
- Non è stata colpa tua - cercò di consolarlo. - Io ti ho perdonato... -
- Ma io non mi sono perdonato - esclamò lui. - Io potevo salvarlo! E non l’ ho fatto! Ora vivrò nel rimorso non solo di aver spento una vita, ma di averla anche rovinata a te!- si interruppe. - Non sono un’ eroe, Elena. So che molti lo pensano, che tu lo pensi, ma non lo sono. Non avrei mai voluto essere un’ Agente. Se potessi dimenticherei tutto quello che so e tornerei a casa mia. Voglio rivedere mio padre, mia madre, mio fratello e perfino quella rompi anima di mia sorella... -
- E allora perché non lo fai? Perché non torni da loro?- gli chiese, arrabbiata.
- Perché non posso dimenticare. Ormai so che cosa succede. Come potrei vivere in pace sapendo che, se mi ritirassi, ancora più persone che posso aiutare moriranno. Ci sarebbe ancora più sangue.... Il mio destino è segnato. Finché vivrò sarò un Agente. Almeno qui - concluse, portandosi una mano petto.
La ragazza lo abbracciò. Stupito, cercò di liberarsi, ma con poca convinzione. - Paolo, è proprio per questo che sei un’ eroe - gli disse, tenendolo stretto. - Perché combatti anche se non vuoi. Perché preferiresti mille volte rimanere a casa, ma ogni volta che c’è bisogno di te sei in prima linea, a rischiare la vita per una causa in cui credi - si staccò, guardandolo negli occhi con tale intensità da costringerlo ad abbassare lo sguardo. Gli appoggiò la mano sulla guancia. - Tu sei un’ eroe, Paolo. Lo so. Non permettere ai sensi di colpa di distruggerti -
Lui non parlò subito. Le afferrò la mano e gliela strinse. - Grazie, Elena. Ma ci vorrà ancora tempo perché possa sentirmi pronto a raccontarti il mio passato. Alcuni ricordi sono troppo dolorosi -
Lei voleva dirgli che non voleva altro che liberarlo da quel dolore, ma si trattenne.
- Cosa mi prende? Perché mi lascio andare in questo modo?-
- Capisco - rispose.
Lui non disse nulla, la sua mano era ancora stretta attorno a quella di lei. Rendendosi improvvisamente conto di quello che stava facendo la lasciò andare.
- E’ meglio che ci muoviamo - disse, nascondendo il suo imbarazzo.
Ripresero a camminare, fianco a fianco. Raggiunsero la macchina e si sedettero, in silenzio. Paolo era ancora stupito del suo comportamento.
- Devo essere malato. Perché le ho detto quelle cose? Devo controllarmi -
L’ Audi partì con un rombo. Il ragazzo la mise in strada, mentre i suoi pensieri ancora vagavano sulla conversazione di poco prima.
Poco distante una figura osservava la scena dal tetto di un’ edificio. Portava un lungo cappotto bianco, i suoi capelli avevano lo stesso colore del fuoco. Gli occhi erano in ombra, ma brillavano nell’ oscurità come due tizzoni ardenti. Sorrise, rivelando canini affilati. - Il gioco si fa interessante -

Provincia di Verona, 1 Febbraio 2010, ore 6.03
Elena si stiracchiò languidamente, cercando di emergere dal sonno. Come al solito, le arrivò l’ odore di caffè. Sbuffando si diresse in cucina.
- Buongiorno - la salutò Paolo, intento a tagliare due fette dalla torta casereccia. - Dormito bene?-
La ragazza mugugnò qualcosa di incomprensibile. Si sedette. Una tazza di caffè si materializzò sotto il suo naso.
- Non mi sembri in gran forma - commentò. - Non riesci a dormire?-
Non l’ avrebbe mai ammesso, ma la verità era che da quando erano andati all’ Arena cercava di svegliarsi prima di lui per sorprenderlo mentre dormiva. Finora non aveva avuto molto successo.
- Tu come fai a essere sempre sveglio? Non dormi mai?-
- Solo quando ho voglia - rispose lui, e non riuscì a capire se era serio o no. Borbottando bevve un paio di sorsi.
- Non dovresti sforzarti in questo modo. Ti fai solo del male - le disse.
La mancanza di sonno evidentemente non aiutava il buonumore. - Ma taci. Non sei mica mio padre -
Seguì un lungo silenzio. - Scusa -
- Non fa niente - rispose lui.
Un altro paio di sorsi aiutarono l’ Agente a levarsi il sonno di dosso e a schiarirsi la mente. - Allora che si fa oggi?-
- Non ho niente in programma. Tu cosa vuoi fare?-
- Mi sento un po’ giù di forma. Mi piacerebbe una piccola seduta d’allenamento -
- Si può fare - disse Paolo, finendo la sua fetta di torta con due morsi.
Pochi minuti dopo i due erano in un vasto ambiente illuminato da vari faretti. - Questa è la mia cantina. Se vuoi fare un po’ di allenamento questo è il posto giusto - Indicò una porta laterale. - Puoi cambiarti lì. Ci sono degli armadietti, ma non so se ci sono vestiti adatti -
- Come mai hai costruito un posto del genere?-
- Ogni tanto il Capo mi manda dei potenziali Agenti e mi chiede di testarne le capacità. Ovviamente li massacro ogni volta, ma continuano ad arrivarne. Così, per evitare di rompere qualcosa, ho riadattato lo scantinato a palestra -
La ragazza sparì dietro la porta. Aprì un paio di armadietti a caso, ma la maggior parte dei vestiti era troppo grande per lei. Sospirò - Perché tutti gli Agenti sono degli armadi? Beh, tutti tranne Paolo. Eppure ha la forza di un leone -
La mora si fermò a riflettere sull’ inspiegabile forza fisica dell’ ex Doppio Zero. Di sicuro non era un licantropo, non era previsto che i non- umani potessero entrare nell’ organizzazione e comunque sarebbe apparso nella scheda. Né era un mezzo vampiro, se ne sarebbe accorta. In effetti le storie sulla sua attività di Agente mettevano sempre in evidenza la sua straordinaria abilità, non aveva mai sentito dire che fosse particolarmente forte....
No, doveva essere successo qualcosa prima che smettesse di lavorare per la Sede, e forse la stessa cosa che lo aveva convinto a lasciare l’organizzazione. - Ma cosa?- si chiese.
Relegò la domanda in un angolo del cervello. Quando sarebbe stato il momento Paolo le avrebbe spiegato tutto. Ritornò ad aprire gli armadietti. Alla fine trovò un paio di pantaloni e una maglietta a maniche corte, rigorosamente nera, che le andavano piuttosto bene. Soddisfatta uscì dallo spogliatoio e trovò il ragazzo già pronto, vestito come lei. Mentre lo guardava si accorse che non era “pompato”, i muscoli non erano gonfi, anche se erano evidenti. Era strano, le aveva dato sempre l’ impressione di essere un tipo robusto, ma in realtà aveva il fisico atletico e le spalle larghe di un nuotatore, non di un lottatore....
Si riscosse quando lui la guardò. - Stai benissimo - le disse, senza malizia.
La ragazza arrossì violentemente. - Grazie -
- Non ti avrò mica messo in imbarazzo? Ti ho solo fatto un complimento - rise lui.
- Certo che no!- protestò lei, diventando ancora più rossa.
- Ho capito - disse lui, sghignazzando. - Cominciamo?-
La suoneria del cellulare rimbombò nella stanza. Con due passi Paolo raggiunse il giubbotto abbandonato su una panca e rispose. - Capo?-
- Hunter, so che in questo momento non sei molto felice di sentirmi... -
- Non si preoccupi, Capo. La situazione è sotto controllo. Mi permetta di scusarmi. Ho reagito in maniera esagerata -
Il direttore sospirò. - Sono contento di sentirtelo dire. Temevo di aver perso un valido alleato -
- Cosa la porta a chiamarmi?-
- C’ è un demone di classe C che sta dando un po’ di problemi ai miei uomini -
- Mi ha chiamato per questo? Potrei offendermi -
- Il demone sta devastando Piazza Erbe. Stiamo cercando di isolarlo, ma dobbiamo anche evacuare i civili. Se raggiungi la zona ci dai una mano eviteremo molte vittime -
Paolo fece un paio di conti. Ci avrebbe messo una quindicina di minuti ad arrivare in zona, se gli Agenti avevano sgomberato la strada e portato via le persone. - Arrivo - disse, interrompendo la telefonata.
- Che succede?- gli chiese Elena.
Paolo afferrò katane, pistole e pugnale. - C’è del lavoro da fare - rispose.
Paolo guidò in maniera molto sportiva, sorpassando quelli che andavano troppo piano, ossia tutti. In venti minuti era sul lato nord di piazza Erbe. La zona era deserta come il giorno in cui era stato attaccato, ma non altrettanto silenziosa. Urla terrorizzate e profondi ruggiti risuonavano nel Centro Storico.
- Situazione - disse il ragazzo al primo Agente che vide. Elena quasi non lo riconobbe. Era sparita la luce che di solito gli brillava negli occhi, era sparito il suo sorriso. Era tornato l’ Agente Speciale 0011, Hunter.
- Siamo riusciti a portare in salvo tutti i civili, ma il demone è ancora fuori controllo -
Paolo diede una rapida occhiata alla piazza. Individuò subito il mostro, una sorta di gorilla rossiccio con gambe ridicolmente piccole e braccia esageratamente grandi, che stava urlando in mezzo ai banchetti.
- Non ho tempo da perdere per queste cazzate - sbuffò - Dammi quel fucile - disse all’ Agente, indicando il grosso fucile a pompa che portava.
- Come?- disse quest’ ultimo.
- Dammi quel cazzo di fucile, Agente!- esclamò.
Vedendo che esitava glielo strappò letteralmente dalle mani, mirando al gorilla. Per un momento rimase immobile, prendendo la mira, poi premette il grilletto.
Il proiettile percorse roteando la linea che Hunter aveva stabilito, conficcandosi nella spalla del demone.
L’ urlo scimmiesco della creatura infernale fu così forte da frantumare un paio di finestre.
- Bel colpo - si complimentò l’ Agente.
- L’ ho mancato - ribatté l’ ex Doppio Zero - Miravo alla testa -
Elena lo guardò stupefatta. L’ aveva mancata si e no di un paio di centimetri.
- State indietro - disse, estraendo le katane.
Il grosso gorilla aveva individuato il terzetto e si stava dirigendo verso di loro urlando. Il ragazzo gli corse incontro. Quando mancavano un paio di metri all’ impatto si bloccò, mettendosi a gambe larghe e mulinando le lame in un doppio fendente diretto alle costole del mostro. Colto alla sprovvista quest’ ultimo non riuscì ad evitare che le lame affilate lo colpissero, aprendo due profondi squarci sanguinanti. Il ragazzo fu rapido a evitare un brutale manrovescio, scivolando sotto il braccio teso. Rinfoderate le spade ed estratte le pistole gli sparò due colpi all’ ascella , ma la resistenza soprannaturale del demone lo salvò. Paolo si buttò in mezzo ai banchetti continuando a sparare, ferendo più volte il suo avversario al petto e alle braccia. Con un balzo felino arrivò in cima al monumento, una specie di cappella stilizzata - non aveva mai capito cosa fosse - per poi saltare all’ indietro per sfuggire ad un pugno che crepò la pietra. Furioso, il demone lo seguì. L’ ex Agente prese la mira, mentre saltava il gorilla demoniaco non poteva evitare facilmente le pallottole.
Una serie di click gli annunciò che aveva finito i proiettili. E gli ricordò che, nella fretta, si era dimenticato i caricatori di riserva. Imprecando in una mezza dozzina di lingue Paolo eseguì una fenomenale giravolta aerea, sfruttando il successivo pugno del demone come appoggio. Atterrò sul selciato con le pistole nella fondina e le mani sulle else della katane. Stufo di tutta la situazione decise di chiudere la partita. Si girò di scatto, evitò l’ ennesimo pugno, recise i tendini del braccio sinistro del gorilla con un fendente. Il braccio, che stava per essere appoggiato a terra, non resse il peso del mostro e cedette. Il demone fu abbastanza veloce da usare l’ altro braccio per reggersi, ma la testa si era abbassata pericolosamente. Con un lampo d’ acciaio Paolo calò le katane sul collo esposto.
La testa del demone cadde per terra un secondo prima che il corpo crollasse.
Il ragazzo ripulì la lame sporche di sangue sulla pelliccia rossiccia del gorilla, mentre un squadra di Agenti armati fino ai denti irrompeva nella piazza. Ignorandoli ritornò dall’ Agente. - Riferisca al Capo che la situazione è sotto controllo -
Si rivolse alla ragazza. - Andiamo?- Lei annuì.
Salirono in macchina e tornarono a casa. Una volta rientrati Paolo era tornato quello di sempre.
- Ti va ancora di fare quel piccolo allenamento?- le chiese.
La ragazza non poté nascondere la sua sorpresa. - Non sei stanco?-
- Chi, io? Quattro giorni fa ho ucciso un demone classe A da solo. Avversari del genere me li mangio a colazione con latte e panbiscotto. Ma se hai paura di farti male... -
- Certo che no! è che un Agente normale... -
- Io non sono normale - la interruppe lui.
Lei si zittì. Quella era un’ affermazione che non poteva negare.


Una decina di minuti più tardi i due si trovavano nella palestra, pronti per l’ allenamento.
- Cominciamo?- le chiese.
Lei annuì e partì all’ attacco.
L’ ex Agente dovette ammettere che Elena era molto brava. Aveva ereditato dal padre una forza e una velocità di gran lunga superiori a quella di un normale umano, anche se inferiori a quelle di un vero vampiro o mezzo vampiro. Tuttavia compensava con un’ abilità nelle arti marziali che solo un maestro possedeva, combinata con una certa creatività che la portava a inventare nuove mosse in grado di confondere anche il più esperto combattente.
Dal canto suo l’ aspirante Doppio Zero paté avere un’ assaggio della leggendaria abilità dell’ Agente Speciale 0011. Sapeva che possedeva una forza mostruosa e un velocità accecante, e l’ aveva visto in azione abbastanza da capire fin dove poteva spingersi. Ma sperimentare sulla propria pelle cosa voleva dire affrontarlo era un esperienza sconvolgente. Sembrava intoccabile. Sgusciava sotto i colpi come un serpente, bloccava pugni che potevano trapassare l’ acciaio come se fossero la manate di un bambino. Non attaccò mai, si limitò a difendersi, compito che richiedeva una certa fatica. Dopo una mezz’ora era sudato e aveva il fiatone, ma Elena era distrutta. Faceva fatica persino a muoversi.
- Meglio che ci fermiamo - le disse - Non sei più in grado di combattere -
Lei si limitò a fare si con la testa, non aveva abbastanza fiato per rispondere a parole. Il ragazzo le cedette l’ uso della doccia, si sarebbe lavato dopo. Mentre si rilassava sotto il getto d’acqua calda la ragazza ripensò all’ allenamento. Si era divertita, nonostante tutto. Era stato interessante confrontarsi con Paolo, le dava un’ idea di cosa fosse necessario per essere un Doppio Zero. - Però lui non vuole che lo diventi - ricordò, mentre le sue parole le rimbombavano nella mente - Tu non conosci la sofferenza dei Doppio Zero -
- Cosa voleva dire?- si domandò la mora, mentre l’ acqua le scorreva sul viso.
Il ricordo dell’ allenamento le aleggiò nel cervello, facendole rivedere ogni colpo sferrato e ogni singolo movimento del ragazzo. Rivide la sua maglietta, fradicia di sudore, che si incollava al corpo, lasciando intravedere il fisico scolpito....
Si strappò ai suoi sogni ad occhi aperti - Ma che sto facendo?-
Turbata, cercò di calmare il cuore che batteva forte. - è il mio maestro. Il mio maestro e il mio amico. Nient’altro - si ripeté, cercando di convincersi.
Ma ormai non ne era più tanto sicura.
  
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