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Autore: kloe2004    01/12/2006    3 recensioni
Cosa succederebbe se Grissom scegliesse di portare Sara ad una conferenza con lui una settimana a Santa Monica?? Leggete e recensite!! GRAZIE!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sara Sidle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIAGGIO A SANTA MONICA!!



L’ufficio quella notte era abbastanza tranquillo, non c’erano casi da risolvere, o meglio, quelli che c’erano erano già stati risolti. Grissom era nel proprio ufficio a catalogare degli insetti quando gli arrivò una telefonata di Ted Jhonson, direttore delle conferenze della comunità scientifica del nord America.

Ted: “Salve dottor Grissom, sono Ted Jhonson, la chiamo per avvertirla che lei è stato scelto per tenere una conferenza di entomologia in una delle giornate della conferenza. Ho chiamato perché devo sapere se lei verrà e così potrò spiegarle meglio il programma”

Gil: “sì certo che mi interessa. Sarei felice di venire anche perché in questo periodo qui c’è mancanza di lavoro… un vero e proprio mortorio…”

Ted: “Allora meglio che mai visto che la durata delle conferenze è di una settimana dal 23 al 30 Marzo! La sua conferenza si terrà il terzo giorno e soggiornerà all’albergo di Santa Monica per tutto il tempo”

Gil: “Bene non le resta che mandarmi il biglietto dell’aereo e suppongo che ci vedremo lì all’arrivo”

Ted: “aspetti signor Grissom non mi ha ancora detto chi intende portare con lei!”

Gil: “ come? Posso portare qualcuno con me?”

Ted: “Sì, mi scusi non l’avevo avvertito!”

Gil: “Bé… posso richiamarla o le serve saperlo ora?”

Ted: “Mi servirebbe subito, al massimo, visto che è stato avvertito ora, posso aspettare un paio di ore, ma non di più…”

Gil: “grazie tante, allora ci risentiamo tra un paio di ore e le farò sapere il nome…”

Ted: “A dopo!”



Grissom attaccò il telefono e pensò a chi poteva portare con sé: le alternative erano due.

- Greg. Grissom non sapeva se sarebbe stata una buona idea portare Greg con sé. Pensava che al 99 % Greg avrebbe passato la maggior parte del tempo a snobbare le conferenze ed a correre dietro alle ragazze. No, decisamente non era una buona idea.

- Sara. Questa sarebbe stata decisamente un ottimo agente da portare alla conferenza, sarebbe stata attenta a tutto ciò che gli altri dicevano ma non sapeva se avrebbe accettato dopo l’ultima litigata. Gli sembrava un incubo; lui gli aveva affidato un caso che poi si era scoperto essere la fotocopia di ciò che era accaduto a Sara da piccola: erano presenti tutti gli elementi; la bambina stuprata dal padre e i fratelli maltrattati, la madre che infine spara al marito per salvare i figli dalla violenza del padre. Quando lui si era accorto che Sara poteva essere troppo emotivamente coinvolta gli aveva tolto il caso e lo aveva affidato alla squadra di Cathrine che aveva arrestato la madre e affidato i figli agli assistenti sociali. Sara era impazzita: gli aveva urlato contro che lui era un insensibile, che non la capiva e che se continuava così avrebbe lasciato Las Vegas per tornare a lavorare a San Francisco.



Grissom prese una decisione: o Sara sarebbe venuta con lui a Santa Monica o lui ci sarebbe andato da solo.

Sara si trovava nella breack- room con Greg aspettando che arrivasse Grissom a dare gli incarichi della giornata. Già Grissom! Non si parlavano da una settimana e lei aveva l’impressione di aver rovinato il rapporto che avevano costruito insieme da sei anni a quella parte. Certo non era il rapporto che lei si era aspettata da lui, ma l’amicizia era già meglio di niente… Sara decise di non pensarci più, Grissom aveva sbagliato e stavolta lei era sempre più decisa a non scusarsi per prima: adesso basta prendersi sempre la colpa, soprattutto quando non era sua!

Grissom arrivò nella breack – room interrompendo i pensieri di Sara e annunciando a lei e Greg che, se volevano, potevano andare a casa anche subito e se ci fossero state chiamate per un caso gli avrebbe avvisati. Greg colse l’occasione al volo, salutò Sara dandole un amichevole bacio sulla guancia e in cinque minuti era già nello spogliatoio a cambiarsi per andare a casa. Sara rimase nel salottino a finire di bere il suo caffé quando si accorse che Grissom era ancora nella stanza intento a fissarla.



Sara: “Grissom cosa c’è?”

Grissom: “Volevo parlarti…”

Sara: “Di ciò che è successo una settimana fa?” Gil non si aspettava una domanda così diretta; pensava che prima o poi quell’argomento andava affrontato ma oggi non gli sembrava proprio la giornata adatta, così decise di lasciare a lei la decisione e lui l’avrebbe assecondata; finché si parlava di lavoro non c’erano problemi…

Grissom: “Non esattamente, però se vuoi ne possiamo parlare… decidi tu”

Sara: “Preferirei di no, se non ti dispiace… se non è per quello allora di cosa mi volevi parlare?”

Grissom: “Ehm… Volevo chiederti se ti andava di venire con… con me a Santa Monica per una conferenza che durerà una settimana… sarebbe una buona occasione lavorativa per te”

Sara: “….”

Grissom: “Sara mi dispiace metterti fretta ma devo dargli una risposta entro un paio di ore…” La sudorazione di Gil era arrivata a dei livelli che lui non avrebbe creduto possibili. Stare accanto a lei gli faceva sempre quell’effetto ed era soprattutto per questo che ultimamente evitava ogni contatto fisico con lei. Ad un tratto Sara riprese a parlare con una voce flebile, come se non fosse del tutto convinta di ciò che si stava apprestando a dire;

Sara: “và bene…verrò con te ma sia chiaro che lo faccio solo perché penso che sarà un ottima esperienza lavorativa”

Grissom: “ti ringrazio allora ti farò avere il programma della settimana; partiremo fra 2 giorni”

Sara: “va bene… dove ci ritroviamo per partire?”

Grissom: “Ci troviamo qui al dipartimento alle otto di mattina”

Grissom uscì dalla saletta e, mentre stava per chiudere la porta decise di rimanere per qualche secondo ad osservare Sara che, lentamente, ritirava le gambe in grembo e si preparava per fare una telefonata. Incuriosito Grissom tese gli orecchi e si mise attentamente in ascolto: Sara: “Buonasera, scusi l’ora, sono Sara Sidle, volevo sapere se la macchina che ho portato ad accomodare è pronta...”….. “ah… grazie comunque… arrivederci” Sara chiuse il telefono e lo guardò con aria sconsolata “maledizione! mi toccherà prendere un taxi”. Grissom, che aveva ascoltato la conversazione, si ricordò che Sara aveva la macchina in riparazione per un guasto al motore così riaprì la porta quel tanto che bastava per affacciarsi all’interno.



Gil: "Sara mi sono dimenticato di dirti che verrò a prenderti io a casa tua, tanto è inutile andare con due macchine ok?"

Sara: “Và bene... ora penso proprio che andrò a casa a riposare” disse con calma. Sara si alzò, gettò con nonchalance il bicchiere del caffé nella spazzatura e passò dalla porta restando per pochi secondi a stretto contatto con Grissom. Dal canto suo lui rimase come folgorato dal dolce sapore della sua pelle e si ritrovò stupidamente a chiedersi a che cosa fosse dovuto quello splendido profumo. Una volta uscita dalla stanza Sara si diresse verso lo spogliatoio pensando a quanto il tempismo di Grissom fosse dovuto alla casualità.

I due giorni precedenti alla partenza furono privi di eventi importanti anche perché Grissom era così impegnato ad organizzare il suo intervento alla conferenza che Sara e Greg quasi non lo videro mai. Arrivò il giorno della tanto agognata partenza. Grissom e Sara avevano fissato che lui sarebbe andato a prenderla alle sette a casa e insieme sarebbero andati all’aeroporto. Erano le sei e mezzo e Sara stava bevendo tranquillamente un caffè; le valigie erano fatte, non mancava solo che aspettare Grissom. Il suono del campanello distolse la ragazza dai suoi pensieri che andò dondolando ad aprire la porta. Sara la aprì e si trovò davanti Grissom;

Grissom: “Buongiorno, so che è ancora presto ma…”

Sara: “Non c’è problema, entra… vuoi un caffè?”

Grissom: “Sì grazie”

Grissom entrò nell’appartamento e iniziò a vagare nel salotto guardandosi attorno mentre Sara preparava il caffè. L’ultima (e anche la prima) volta che era stato nel suo appartamento era stato quando lei era stata sospesa dal lavoro per una settimana a causa di un litigio con Cathrine. Fu in quella occasione che venne a sapere del suo passato. Allora non ebbe tempo di guardarsi bene attorno ma adesso notava i quadri appesi alle pareti, una teca con delle farfalle e delle foto. Quest’ultima caratteristica lo colpì molto: in una foto in particolare si vedeva una piccola bambina, all’incirca sui sei – sette anni con ai lati due bambini decisamente più grande di lei. La bambina doveva essere Sara ma non aveva idea di chi fossero i due bambini. Grissom si ritrovò all’improvviso una tazza che gli dondolava davanti agli occhi e non si accorse che Sara era da cinque minuti che era lì davanti che lo chiamava.

Sara: “Tieni, mi sa che ne hai bisogno!”

Così dicendo gli passò la tazza e gli regalò uno splendido sorriso. Sara: “Trovato niente di interessante?”

Grissom: “Stavo guardando questa foto; scommetto che questa sei tu” disse indicando la bambina della foto “ma non so chi siano loro!”

Sara: “Sono i miei fratelli! Quello biondo si chiama William mentre quello castano si chiama James. Sono due gemelli e hanno due anni più di me”

Grissom: “Non mi avevi mai parlato di loro…”.

Grissom era deluso. La conosceva da otto anni e non sapeva nemmeno che aveva due fratelli. Iniziò a chiedersi quante cose non sapeva di lei…

Sara: “Non c’è mai stata l’occasione di parlarne; A loro sono legati i ricordi più belli della mia infanzia e adolescenza. Erano loro che a scuola mi proteggevano dai bulli e a casa da mio padre… anche se poi alla fine il risultato era il solito, loro le prendevano il doppio per cercare di rimediare” disse guardando Grissom negli occhi mentre un triste sorriso si materializzava sul suo volto. Mezz’ora dopo erano sulla macchina che si dirigevano all’aeroporto. Qui fecero il cheek in e una hostess sorridente, anche se non molto giovane, gli guidò verso l’entrata dell’aereo. Durante il viaggio Sara leggeva un libro di Agata Christie mentre Grissom era completamente immerso nel suo libro.

Quando scesero dall’aereo Grissom e Sara si ritrovarono davanti un uomo che, a prima vista, doveva avere una cinquantina di anni, vestito con una camicia bianca, i jeans e un cartello in mano con scritto “CSI Las Vegas”. Grissom e Sara si diressero verso di lui.

Grissom: “Il signor Ted Jhonson suppongo”

Ted: “Signor Grissom!” disse con un largo sorriso, tendendogli la mano che prontamente Grissom prese e strinse “è un piacere conoscerla” disse ritirando la mano per poi portarla verso Sara che fece come Grissom “e questa deve essere la signorina Sara Sidle”

Sara: “Piacere di conoscerla signor Jhonson”

Ted: “Piacere mio! Allora per oggi avete la giornata libera per riposarvi o fare quant’altro voi desideriate. Se posso darvi un consiglio andate a fare una passeggiata sulla spiaggia al tramonto… è un bellissimo spettacolo!”

Grissom: “Grazie signor Jhonson, ci penseremo”

Ted: “Bene, adesso c’è una macchina all’uscita che vi sta aspettando per portarvi all’albergo. Voi andate pure, io devo restare qui per aspettare altri partecipanti alla conferenza che dovrebbero arrivare tra poco. Comunque ci rivedremo stasera a cena”

Grissom e Sara salutarono Ted e si diressero verso l’uscita dove gli stava aspettando la macchina. Arrivarono all’hotel circa mezz’ora dopo; l’hotel era sulla strada principale che costeggiava la spiaggia. Era un palazzo alto in stile gotico con i colori che variavano dall’oro al salmone chiaro con varie tonalità di mezzo. Entrati nell’albergo iniziarono a guardarsi attorno: l’atrio era grande e alto e il pavimento luccicava come se fosse stato un gigante specchio posto per terra. Ad un tratto notarono una donna abbastanza avanti con l’età che agitava le mani per l’aria con l’intenzione di farsi notare dai due nuovi arrivati. Grissom e Sara si guardarono divertiti prima di dirigersi dalla donna che a momenti avrebbe avuto uno stiramento al legamento della spalla.

Judy: “Salve signori e benvenuti al Santa Monica Holiday Inn! Io sono Judy e voi siete…”

Grissom: “Salve Judy noi siamo Gil Grissom e Sara Sidle, Las Vegas”

Judy: “Salve a voi, allora lei signor Grissom ha la camera 81 mentre la signorina ha la camera 82; le valigie sono state già recapitate nelle vostre camere” disse porgendogli le due chiavi. Dopo aver preso le chiavi Grissom e Sara si diressero verso l’ascensore.

Sara: “Veramente un bell’albergo non trovi?”

Grissom: “Sì, lo trovo veramente bello”

A quelle parole il cuore di Sara si fermò “Da quando ti piace il bello?” “Da quando conosco te”; Ricordò di quando Grissom gli aveva detto quelle parole, in quel momento lei aveva sperato che le cose fra di loro avessero finalmente preso una svolta per poi scoprire amaramente che era soltanto un’altra frase a cui Grissom non dava la minima importanza sentimentale. Lo sapeva bene che con lui non aveva la minima speranza, lei per lui era importante… ma non tanto da mettere in pericolo o in secondo piano il suo vero amore: il lavoro. Lo aveva amaramente scoperto durante l’interrogatorio di un caso mentre, senza essere vista, ascoltava da dietro il vetro. Quel giorno tutte le sue speranze erano sparite come bolle di sapone in una tormenta. Restarono in silenzio fino a che non giunsero davanti alle rispettive stanze.

Grissom: “Che ne dici di andare a fare quella famosa passeggiata? Se sei stanca e ti vuoi riposare non c’è problema, andremo un altro giorno”

Sara: “No vengo volentieri a fare un giro… dopo tutto questo tempo in viaggio sgranchirmi un po’ le gambe non potrebbe farmi altro che bene. Dammi cinque minuti per cambiarmi e arrivo”

Grissom: “Non c’è problema fai con comodo tanto anche io devo cambiarmi”

Ognuno entrò nella propria stanza e si guardò attorno. Era ampia e molto confortevole. C’era un letto a due piazze con una coperta di raso rosa e oro che riprendeva il colore tenue delle pareti. Ai lati c’erano due comodini; un grande armadio occupava una parete mentre l’altra era completamente fatta di porte a vetro che si affacciavano su una terrazza. Sara ci andò per vedere il panorama. Rimase lì incantata a fissare l’oceano; quando rientrò dentro decise di continuare l’esplorazione della camera. Gli mancavano ben due porte da aprire. Una di esse portava al bagno, anche questo abbastanza grande dello stesso colore della camera. Sara si diresse verso la seconda volta e, mentre si chiedeva cosa potesse esserci dietro, l’aprì. A Grissom quasi prese un infarto quando aprì la porta e si trovò davanti Sara.

Grissom: “Sara!”

Sara: “Grissom!”

Grissom: “Le stanze devono essere comunicanti, mi hai quasi fatto prendere un infarto!”

Sara: “A chi lo dici! Ehm… allora io torno a cambiarmi e ci vediamo dopo…”

Grissom: “Ok ci vediamo tra una decina di minuti qui fuori”

Grissom richiuse la porta ed andò a cambiarsi. Optò per un paio di comodi pantaloni color sabbia e un’ampia camicia bianca di lino aperta sul torace. Sara era in camera sua a meditare su cosa fosse meglio mettersi. Sapeva che ciò non avrebbe interessato Grissom ma tentare non costava niente e visto che c’era non poteva perdere l’occasione di farsi vedere da Grissom con qualcosa addosso che fosse diverso dai soliti abiti da lavoro. Comodi ma non molto attraenti. Decise di mettersi un vestito bianco con i lacci fini di raso ed una bella scollatura sul davanti. Si diede una sistemata ai capelli e un leggero trucco, si mise le scarpe, prese la borsa ed uscì. Grissom aspettava Sara davanti alla stanza quando la vide uscire: era bellissima; non aveva mai visto Sara vestita in quel modo, ma doveva ammettere che stava veramente bene. Dal canto suo lei si accorse che lui la scrutava come se stesse studiando le prove per un caso molto delicato: aveva lo sguardo scientifico, quello che Nick e Warrik avevano soprannominato lo “sguardo alla Grissom”. “Obbiettivo colpito e affondato” pensò Sara con un enorme sorriso malizioso stampato sul viso “anche lui comunque è uno schianto vestito in quel modo!”.

Grissom: “Stai bene vestita così!”

Sara: “Anche tu! Dovresti vestirti così più spesso!”

Grissom: “Grazie ma non mi sembra un abbigliamento molto idoneo al nostro lavoro… comunque, andiamo?”

Sara: “ok”

Grissom e Sara presero l’ascensore e si diressero verso la hall dell’albergo per poi uscire ed andare sulla spiaggia. Quando stavano per uscire si avvicinò un uomo

Man: “Serve un passaggio in macchina signori?”

Grissom: “No grazie! Andiamo a piedi” detto questo fece una cosa che per un secondo lasciò Sara sconvolta: gli andò accanto e le mise una mano sopra la spalla guidandola verso la direzione che aveva intenzione di prendere.

Raggiunsero la spiaggia ma con i tacchi Sara non riusciva a camminare per bene quindi decise di levarsi le scarpe. Erano le sette e mezzo del pomeriggio e tra un po’ il sole sarebbe calato. Sara e Grissom arrivarono a piedi fino ad un tratto dove gli scogli finivano nel mare e decisero che quello poteva andare bene per attendere il tramonto. Si misero a sedere nel punto dove gli scogli finivano e l’oceano iniziava, dove le onde vi si infrangevano contro riempiendo il cielo di minuscole goccioline.

Sara: “è un posto veramente stupendo non trovi?”

Grissom si limitò ad annuire incantato dalla visione di Sara. Con quel panorama il suo volto si illuminava mentre lasciava che le gocce provenienti dalle onde infrante le carezzassero dolcemente il volto. Grissom si ricordò di aver portato la macchina fotografica così, senza che Sara se ne accorgesse perché troppo impegnata a fissare l’immenso oceano per occuparsi di lui, le scatto una foto. Una volta visto il tramonto decisero che era ora di tornare all’albergo per la cena. Erano così impegnati a parlare di ciò che Grissom avrebbe detto alla conferenza che non si accorsero di qualcuno che gli stava guardando da lontano, nascosto dietro una palma. Quando Grissom e Sara raggiunsero l’albergo trovarono Ted Jhonson che parlava animatamente con altre persone, probabilmente, pensò Grissom, altre persone che come lui dovevano intervenire alla conferenza. Si diressero verso di lui che, quando gli vide gli fece cenno di andare da lui.

Ted: “Sono lieto di vedervi. La cena inizierà tra poco, vi siete riposati oggi pomeriggio?”

Grissom: “Sì siamo andati a fare quella passeggiata che lei ci aveva consigliato ed aveva ragione, il panorama era veramente stupendo!”

Ted: “Sono contento che le sia piaciuto signor Grissom… ed a lei è piaciuto signorina Sidle?”

Sara: “Mi chiami pure Sara, sì è stato uno spettacolo veramente bello!”

Ted: “Bene! Bene! Sono contento che ti sia piaciuto Sara… il vostro tavolo per la cena è pronto… se non sbaglio è il numero 4!”

Grissom: “Grazie e buon appetito”

Ted: “Buon appetito a voi”

Grissom e Sara si diressero verso il loro tavolo… per due! Il tavolo era infatti apparecchiato per due persone con tre bellissime candele al centro. Grissom si sentiva a disagio, gli sembrava una cena intima e questo non gli andava giù. Aveva deciso di tenere il suo rapporto con Sara su un piano prettamente professionale, anche se alcune volte era molto difficile… lo aveva fatto per il suo bene; lei meritava qualcuno di meglio, qualcuno più giovane, che la capisse, cosa che, come aveva prontamente ribadito lei durante la loro ultima lite, lui non era in grado di fare. Si misero a sedere al tavolo e Grissom si immerse subito nel menù senza dire una parola sulla situazione che si era venuta a creare. Anche Sara si era accorta del clima di imbarazzo che in cui si trovava Grissom, ma non sapeva perché, d’altronde, era solo una cena! Durante la cena lui non disse niente, il suo imbarazzo cresceva, specialmente quando si accorse che tutti nella sala gli stavano guardando. Sara non ne poteva più del suo comportamento e decise di chiedergli cosa lo rendeva così nervoso.

Sara: “Grissom si può sapere che cosa succede? Non hai detto una parola da quando siamo entrati in sala… si può sapere cosa ti rende così nervoso?”

Grissom: “Io… non sono… ehm… nervoso…” disse mentre continuava a torturare un angolo della tovaglia come se fosse stato un bambolotto anti – stress;

Sara: “Grissom smettila di mentire… si vede da lontano un miglio che sei nervoso; è inutile che continui a dire di no perché non ti credo!”

Grissom: “Non è niente, davvero… è solo che ci guardano tutti e mi da fastidio! Non mi piace essere osservato..”

Sara: “Ti da fastidio che le persone ti guardino e ti da fastidio che le persone ti guardino perché ci sono io?”

Grissom: “…..”

Sara: “lo sapevo! Allora, visto che il problema sta nel fatto che ti guardano perché io sono con te, il problema sarà risolto! Io me ne vado in camera mia! Ci vediamo domani!”

Detto questo si alzò velocemente dalla sedia e lasciò uno sbalordito Grissom al tavolo da solo. Sara non poteva credere alle sue orecchie, questa era la goccia che faceva traboccare il vaso! Un essere normale non avrebbe mai pensato di dire una cosa normale ad una ragazza che era a cena con lui… sorpresa! Aveva detto bene… ad una “ragazza”! peccato che l’associazione Sara = Ragazza nel cervello di Grissom non risultava esatta; era una cosa del tipo Sara = Agente = Amica (quest’ultima messa molto in discussione negli ultimi tempi). Si chiese se Grissom sarebbe mai stato capace di vederla in un ruolo diverso da quello che comprendeva un microscopio in mano e tanti termini scientifici in bocca! Sara arrivò alla sua camera e vi entrò sbattendo la porta. Si levò le scarpe al volo e si gettò sul letto. Era stanca di stare dietro agli sbalzi d’umore del signor dottor Gilbert Grissom! Soltanto tre ore prima gli metteva affettuosamente la mano sulla spalla ed ora si lamentava che la cena era troppo romantica, quando lei non ci pensava nemmeno ad una opportunità del genere! Come già detto ci aveva rinunciato! Grissom si alzò lentamente dal tavolo e si stropicciò gli occhi. L’aveva fatta arrabbiare di nuovo e non sapeva nemmeno precisamente come aveva fatto… Decise che era arrivato il momento di parlare seriamente di ciò che la faceva stare male. Arrivò davanti alla sua camera e bussò. Niente. Provò di nuovo. Niente. L’ansia stava iniziando a farsi sentire, d’altronde lui non era mai stato uno che riesce a comunicare bene con il sesso opposto, a parte Cathrine, ma con lei era tutto più facile perché la vedeva come un’amica e sapeva che anche per lei era lo stesso. Sara per lui era molto di più di un amica ma ciò che lei provava per lui doveva essere una cotta passeggera altrimenti come si sarebbe spiegato che una ragazza bella e intelligente come lei si fosse potuta innamorare di uno come lui? Perché allora queste cose non riusciva a dirle a lei? Perché non ce la faceva a farla smettere di soffrire per lui? “Adesso basta” si disse Grissom per farsi coraggio “tu sei l’unico che può fare qualcosa, ma soprattutto, che deve fare qualcosa”.

Provò nuovamente a bussare ma ancora non ci fu risposta quando gli venne in mente un idea. Entrò nella sua camera e lentamente si diresse verso la porta che faceva comunicare la sua camera con quella di Sara. L’aprì lentamente e la vide: le scarpe erano malinconicamente abbandonate sul pavimento della stanza e Sara era distesa sul letto. Grissom dalla sua posizione e soprattutto a causa del buio della stanza non riusciva a capire se dormiva o se solamente non gli importava niente del fatto che lui fosse entrato nella stanza. Perché sapeva bene che Sara aveva capito che era lui… lo riconosceva dai passi… fece un respiro profondo e si accinse ad avvicinarsi al letto. Sara era sveglia. Aveva sentito bussare ma non aveva voglia di andare ad aprire, specialmente se si trattava di Grissom, perché sapeva che con i suoi soliti giri di parole sarebbe riuscito a farle dimenticare tutto ciò che era successo e la loro situazione sarebbe rimasta sempre al solito punto.

Ad un certo punto però sentì aprire la porta che collegava la sua camera con quella di Grissom e lui fece il suo ingresso nella stanza con passo leggero. Lo sentì quando si fermò per un momento prima di dirigersi lentamente verso il letto dove lei si trovava. Ad un tratto si sentì toccare la spalla dolcemente. Quel solo contatto aveva fatto riscaldare il suo corpo. Ma come faceva un uomo tanto gelido come lui a trasmetterle un tale calore? Grissom aveva capito che lei era sveglia ma non voleva forzarla a parlare se non ne aveva voglia, così le tolse lentamente la mano e fece per andarsene quando si sentì toccare la mano che prima aveva appoggiato sulla sua spalla; Grissom si girò e vide che Sara lentamente si stava alzando.

Lei si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò dolcemente “resta”. Quelle parole fecero sì che la schiena di Grissom fosse percorsa da un brivido ma in quel momento così delicato non gli parve il caso di mettersi a pensare ai sentimenti che lentamente si stavano risvegliando in lui mentre lei lo guardava; sentimenti che lui trovava tremendamente sbagliati e questo, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto farlo capire anche a lei. Sara si mise a sedere sul letto e così fece anche Grissom, facendo però attenzione a non sedersi troppo vicino a lei. Sara accese l’abatjour con calma, come se prendesse tempo per pensare a quali parole potesse dirgli. Grissom iniziò a parlare con calma, come si fa con i bambini: “Sara, non so cosa ho fatto di tanto grave stasera per farti fuggire via in quel modo però…” Sara non gli dette il modo di finire la frase che lo interruppe parlando a voce molto alta “Non è per stasera che sono scappata via in quel modo” ora stava veramente perdendo la pazienza. Come poteva pensare che si riferisse tutto a quella sera la rabbia che aveva dentro? Grissom la guardò con aria incerta per poi chiederle “E allora come mai te ne sei andata via in quel modo?” “Perché non ce la faccio più a sopportare questi tuoi comportamenti contraddittori! Prima mi abbracci e poi ti vergogni di startene ad un tavolo da solo con me… io non riesco più a capirti… e sinceramente non ne ho neanche più le forze”. Grissom ci rimase di sasso. Provò a pensare a qualcosa da dire che l’avrebbe potuta far sentire meglio ma non trovò niente; era disarmato davanti alle sue parole, gli faceva quasi paura il tono sconsolato della sua voce. Fu allora che si rese conto che lui non solo non l’aveva mai capita, ma cercando di razionalizzare tutti i comportamenti di Sara aveva fatto proprio la cosa che si era riproposto di non fare: ferirla. Il male era che lo stava facendo da così tanto tempo da non accorgersi che tutte le volte che lei andava da lui con il suo cuore in mano, pronta a perdonarlo per la sua incapacità, lui aveva preso quel cuore e trafiggendolo con milioni di aghi per poi renderlo a lei con un sorriso. Fu così che decise che, per non peggiorare la situazione sarebbe stato meglio andarsene ma quando si alzò e si diresse verso la porta per lasciare la camera Sara riprese a parlare “E bravo Grissom! Scappa pure, tanto è quello che fai tutte le volte che succede qualcosa di importante nella tua vita! Per te conta solo il lavoro e nemmeno in quello dimostri un minimo di sensibilità” a Grissom venne quasi voglia di ridere… non ne azzeccava veramente una, quando credeva di fare una cosa per il suo bene finiva con il ferirla ancora di più; fu in questo momento che la voce di Sara tornò a farsi sentire, stavolta a voce sempre più bassa ma non abbastanza da impedire a Grissom di sentirla “tranne in quei rari casi speciali durante il quale non ti si può parlare da quanto sei teso… come il caso di Debbie!” Sara pensò che visto che ormai erano in ballo tanto valeva ballare per bene. A Grissom sentire quel nome fece gelare il sangue nelle vene; si ricordò di quello sfogo che aveva fatto con il dottore prima che lasciasse l’aula dell’interrogatorio. Ma c’era solo Brass oltre al dottore e al suo avvocato nella stanza, quindi Sara non poteva sapere ciò che lui aveva rivelato quella sera. Sara si accorse di aver colpito nel segno, si alzò dal letto e iniziò a passeggiare per la camera mentre continuava a parlare “Fai bene a preoccuparti” disse “io non ero presente all’inizio dell’interrogatorio perché avevo fatto tardi e, sapendo che non ti piace che qualcuno ti interrompa sono andata nella stanza accanto” guardò Grissom negli occhi prima di rivelargli la fine ma già vedeva la paura nei suoi occhi “mi sono persa l’inizio ma ho fatto in tempo per ascoltare il lieto fine…” non diede però il tempo a Grissom di rispondere che continuò a parlare “quelle cose avresti dovuto dirle a me… non ad un perfetto estraneo solo perché quel cadavere mi assomigliava”. Grissom ora era veramente sconvolto; non avrebbe mai pensato che qualcuno, specialmente Sara, avesse ascoltato ciò che lui disse in quell’occasione. Non sapeva che cosa avrebbe detto ma sapeva altrettanto che doveva parlarle, e stavolta doveva farlo seriamente. “Sara, io non ti ho mai detto quelle cose perché avevo paura di farti soffrire… e di soffrire anche io”. Sara lo guardava con attenzione, attenta a cogliere anche il minimo cambiamento del suo viso o del tono della sua voce. Era la prima volta che lo sentiva parlare apertamente in quel modo; decise quindi di non interromperlo e restò in silenzio lasciandogli il tempo di riprendersi dall’ultima affermazione. Sapeva che per lui era difficile esprimere i suoi sentimenti, specialmente a lei. Con calma Grissom fece un profondo respiro per poi continuare; “Avevo paura di far soffrire te una volta che avresti scoperto che non sono l’uomo che credi, quando quello che ho da offrirti non ti basterà più ed allora mi lascerai solo, a ricordarmi di tutti i bei momenti che avremmo passato insieme, e a soffrire ancora di più quando tu sarai felice con un altro uomo migliore di me e io sarò dietro un angolo a vederti, felice, regalare quegli splendidi sorrisi a qualcun altro”. Sara aveva le lacrime agli occhi; non riusciva a credere alle sue orecchie. Pensava che Grissom non l’amasse e che per questo l’avesse allontanata da lui e invece aveva scoperto che lui l’amava anche più di quanto lei amasse lui, se possibile. Il suo cuore non voleva smetterla di battere in quel modo così veloce da essere dolce e doloroso allo stesso tempo. Guardò Grissom negli occhi; aveva gli occhi lucidi anche lui.

In quel momento gli sembrava più uomo che mai; un uomo che lei amava con tutta se stessa e che in quel momento si era totalmente aperto a lei da restare indifeso. Sara si diresse con passo lento da lui, che nel frattempo si era rimesso a sedere e guardava il pavimento ai suoi piedi, per paura di incontrare gli occhi di lei. Arrivatagli vicino gli regalò una dolce carezza facendogli alzare il viso e fu a quel punto che parlò, i suoi occhi fissi in quegli di lui.

“Gil, io ti amo. Se tu me lo permetterai io ti starò sempre accanto. Non ti lascerò mai; e non dire che potrei trovare qualcuno meglio di te perché nessuno è meglio di te!”.

Detto questo si chinò su di lui e lentamente posò le sue labbra su quelle calde e morbide di lui. Sara non riusciva a ricordare da quanto tempo aveva aspettato questo momento. Il bacio iniziò come qualcosa di estremamente dolce, fatto di carezze e di piccoli baci. A Grissom sembrava di essere in paradiso. Il suo corpo tutto ad un tratto era diventato bollente. La vicinanza di Sara era sempre riuscita a fargli questo effetto, ed era per questo che negli ultimi tempi aveva fatto a meno di toccarla. Ma ora era tutta un’altra cosa. Lei lo amava, glielo aveva detto chiaramente e tutte le sue paure erano svanite alla vista di quella donna che l’aveva baciato in modo così candido e, nello stesso tempo, passionale. Grissom provò ad approfondire il bacio. Fece un po’ di pressione con la lingua e sentì Sara che, senza timore né ripensamenti schiudeva la sua bocca alle dolci carezze di lui. Ad un certo punto si staccarono, entrambi riuscendo a sentire la mancanza del calore che avevano provocato l’uno nell’altro con quell’unico bacio. Grissom guardò Sara negli occhi e, sempre mantenendo quel contatto, si distese sul letto facendo cenno a Sara di distendersi accento a lui. Si addormentarono così, l’uno abbracciato all’altro mentre Grissom accarezzava dolcemente i capelli di Sara, pensando che quello sarebbe stato l’inizio di un favoloso periodo della sua vita che sperava sarebbe durato il più possibile, accanto alla donna che amava e che ricambiava il suo amore.
  
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