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Autore: Shade Owl    15/05/2012    3 recensioni
Dopo l'ennesimo attacco dei Cacciatori, Rin è rimasta ferita. Il suo amico Keith veglia sulla sua convalescenza, rimuginando rabbiosamente tra sé.
Sesta classificata al contest "[Original Scene] Il sonno e... l'inchino" indetto da Harriet Myres su Original Concorsi
Genere: Fantasy, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sesta classificata a contest "[Original Scene 2] Il sonno e... l'inchino" indetto da Harriet Myres su Original Concorsi.

Nick dell’autore: Shade Owl


Titolo: Il cavaliere a guardia dei sogni

Tipologia: One-shot

Lunghezza: 1113 parole (1297 con lo schema introduttivo)

Genere: Fantasy, sentimentale, slice of life

Avvertimenti: AU, Missing Moments

Rating: Arancione

Credits: nessuno

Note dell'autore: i personaggi principali, Keith e Rin, e la razza a cui appartengono, così come tutta l’ambientazione, provengono da una long-fic che tempo fa ho pubblicato sul sito di EFP (tra l’altro è anche stata la mia storia d’esordio sul sito), ora rimossa per motivi personali. Li ho “riciclati” in quanto sentivo di dovergli qualcosa, ripresentandoli in un momento che precede l’avventura con cui sono stati conosciuti dai lettori.

Introduzione alla storia: i giovani Keith e Rin, amici da molto tempo, appartengono a una razza che per vivere deve nutrirsi di sangue, chiamata Kolak. Diversi dai Revenant, i vampiri che gli umani conoscono e temono, i Kolak sono perseguitati da molto tempo, e ormai rimangono in pochi. Tra queste righe, un momento di quiete dopo un terribile pericolo, che mostra quanto le loro vite possano essere dure ma, al tempo stesso, rasserenate da un po’ di semplice affetto.


 

                                                                                                      


Il campo era fermo da quasi due giorni, ma già stavano pensando di spostarsi altrove. Solo quella notte erano stati attaccati, e i Cacciatori non avevano certo fatto prigionieri: erano arrivati a mezzanotte, mentre tutti dormivano, e avevano ucciso le sentinelle poste di guardia attorno alla piccola valle in cui si erano rifugiati. Subito dopo, con una sola salva di frecce incendiarie avevano dato fuoco a quasi metà delle tende, e poi si erano lanciati all’attacco, sparando contro tutto quello che si muoveva e affondando coltelli da caccia nei corpi dei feriti per finirli.
C’erano volute ore, ma grazie alla superiorità fisica (i Kolak erano, per loro stessa natura, almeno tre volte più forti di un essere umano) erano riusciti a ricacciare indietro gli aggressori, e adesso potevano leccarsi le ferite.
Keith in quel momento sedeva a braccia e gambe incrociate contro la parete di tela di una delle pochissime tende ancora in piedi, e ribolliva di collera.
Otto sentinelle erano morte, e almeno venti persone le avevano seguite, prima che i Cacciatori venissero respinti. Il numero dei feriti era quasi doppio, e molti non avrebbero resistito per più di un paio di giorni.
Addormentata davanti a lui c’era Rin, la sua amica. La migliore che avesse, forse l’unica di cui si fidasse tanto da affidarle la vita, se ne avesse avuto bisogno. Era stesa su una stuoia che la separava dal duro terreno umido, e gli dava le spalle. Era praticamente nuda, siccome avevano dovuto medicarla a causa di una ferita al petto e di una al braccio sinistro.
Fece correre lo sguardo lungo tutto il suo corpo, coperto fino alle spalle da un telo di lana, sulle quali ricadevano i lunghi capelli, candidi come quelli di ogni Kolak. Aveva ancora un fisico immaturo, minuto, quasi indifeso. Aveva appena trentadue anni, ma siccome i loro simili invecchiavano due volte più lentamente degli umani non ne dimostrava più di sedici: era solo una ragazzina, poco più giovane di lui. Il Cacciatore che l’aveva aggredita non si era posto alcun problema, non aveva temuto lo scontro con una persona del genere, proprio per il suo aspetto fragile. Dopo aver lanciato il gassatore e averla indebolita con le tossine si era gettato su di lei, sollevando un punteruolo d’argento. Aveva tentato di trafiggerla al cuore, ma era riuscita ad afferrargli il polso e a deviare l’arma.
Questo finché non era arrivato lui. Senza pensarci su due volte, aveva preso un sasso e aveva sfondato la testa di quel bastardo.
Si ritrovò a masticarsi la lingua, ferendola con i lunghi canini fino a sentire il suo stesso sangue scorrergli in gola.
Notò che la coperta di Rin era scesa troppo; si allungò per tirarla su, e lei si agitò nel sonno. Si immobilizzò un attimo, preoccupato di averla svegliata, ma quando si rese conto che era solo un incubo sospirò di sollievo. Pensò per un istante di svegliarla, così da strapparla ai brutti sogni, tuttavia accantonò l’idea: Rin era convinta che nessuno (o meglio, lui) sapesse della cosa… del fatto che, ogni notte, andava a dormire con la certezza di sognare morte e terrore. Se le avesse tolto quella convinzione senza che fosse lei a volerlo ci sarebbe rimasta molto, molto male. Non voleva vederla piangere ancora.
Si limitò a posarle delicatamente la mano sulla spalla esile e a muoverla lentamente, come a massaggiarla. Pian piano il sonno di Rin si acquietò, ma lui proseguì finché non smise di tremare. Il suo respiro si regolarizzò di nuovo e, forse, cominciò a sognare qualcosa di meno spaventoso.
Forse aveva rivisto l’immagine del Cacciatore che cercava di trafiggerla. O quella di due bambini a cui veniva ficcata una pallottola nella testa proprio di fronte a lei. Oppure lui, che si rialzava con la pietra insanguinata tra le mani, ansante, mentre il Cacciatore spirava con la testa sfondata.
Keith tornò a sedersi, ancor più amareggiato di prima.
Mi dispiace, Rin.Pensò. Prometto che un giorno troverò una soluzione… in qualche modo lo farò.
E avrebbe mantenuto la promessa, a costo di rimetterci la vita.
 
Rin si svegliò solo diverse ore più tardi, sbadigliando. Keith si era quasi assopito lì dov’era, ma si riprese non appena la vide tirarsi su. La coperta cominciò a scivolare via, e lei dovette afferrarla per evitare che cadesse.
- ‘Giorno.- grugnì Keith, con la sua voce rauca e un po’ aspra - Allora, dormito bene?-
Lei si strofinò gli occhi col braccio libero, ancora intontita dal sonno e dal gas inalato ore prima.
- Come stai?- fu la prima cosa che chiese, guardandolo confusamente.
Keith aggrottò la fronte.
- Come sto?- ripeté - Ti hanno infilzata come un pollo allo spiedo, hai un braccio con un taglio lungo venti centimetri che ti ha rotto due tendini e chiedi a me come sto?-
Rin si guardò con un po’ di sorpresa le ferite, tastandosi cautamente il braccio con cui teneva la coperta, avvolto nelle bende dal polso fin quasi al gomito, e la parte destra del petto, dove era stata colpita.
- Il sangue…-
- Sono riuscito a fartene bere un po’ mentre perdevi conoscenza.- brontolò Keith, alzandosi in piedi. Gli arti rattrappiti scricchiolarono leggermente - Ma poco. Faresti meglio a prenderne ancora.- e indicò una piccola borraccia in un angolo della tenda, vicino al bacile dell’acqua.
Lei lo guardò, annuendo lentamente. Sapeva che più sangue avesse bevuto e più in fretta sarebbe guarita.
- Mi hai salvata.- mormorò.
- Già.- grugnì lui - È la terza volta questa settimana. Spero che non diventi un abitudine, non posso passare tutto il mio tempo a starti dietro.-
Rin fece un sorrisetto, senza replicare: probabilmente non credeva davvero alle sue parole. In effetti, non ne era convinto sul serio neanche lui.
- Ora vedi di metterti qualcosa addosso.- brontolò - Io vado da mio padre, l’ho convinto a insegnarmi a combattere. Se mi cerchi sono da lui.-
Lei fece un sorrisetto.
- Mi conosci da quando avevo tre anni.- osservò - Non sei obbligato a uscire così in fretta.-
- Lo so.- grugnì semplicemente.
Mentre scostava il lembo della tenda che copriva l’ingresso la sentì parlare ancora:
- Sei proprio un cavaliere, lo sai?-
Keith s’immobilizzò, mentre un sorrisetto gli affiorava sulle labbra. Senza riuscire a farlo sparire dalla faccia si voltò verso di lei. Stava sorridendo a sua volta.
- Già, un cavaliere.- ridacchiò - Bhè, col vostro permesso prendo congedo, mia signora.-
Piegò la schiena, portandosi una mano al cuore, e allungò di lato l’altro braccio. Sentì Rin scoppiare a ridere di fronte a quel ridicolo inchino, e il suo sorriso si allargò un poco: farla ridere era sempre una soddisfazione. Solitamente non succedeva mai.
   
 
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