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Autore: Scarlett92    17/05/2012    1 recensioni
Violare la mente dell'assassino ... gli odori, le sensazioni ... la rabbia ... la perdita ... la vendetta. "Dove è il mio accendino? L'avete forse preso voi?"
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sapevo quello che facevo ... no, non lo sapevo.
Rincorrevo le ombre sul soffitto e soffrivo perché non ricordavo dove avevo messo l'accendino.
Sì, non mi ricordavo cazzo.
Doveva essere sulla scrivania, doveva essere lì eppure, puff sparito, scomparso, volatilizzato.
Come mi sarei acceso la paglia? Come avrei fumato la mia ultima sigaretta?
Tutto questo mi spaventava. Mi gettava nel panico. Avevo bisogno di una sigaretta. Subito. Ora.
La luna e le stelle mi fissavano con fare interrogatorio ...  mi giudicavano, lo so che lo facevano.
Mi guardavano con quegli occhietti indagatori! VIA VIA! Chi siete voi! Chi siete e che ne volete sapere di me?  Luci come flash!
Non potevo resistere, non ci riuscivo proprio ...  dovevo trovare il mio accendino rosso fuoco.
Alle undici di sera non ne avrei trovati altri.
Camminavo frenetico per la stanza, mentre tutto davanti a me si appannava. Come potevo restare immobile mentre il mio amico si era perso?
Rovesciai il divano, buttai per aria tutti i cuscini, uno a uno.
Quello stupido mobile che si risucchiava tutto, perfino la mia vita; lo odiavo.
Si era mangiato il mio accendino ne ero sicuro.
Perché tutti continuavano a farmi i dispetti? Perché?
Feci cadere tutta la pila di fogli che erano sul tavolo e il barattolo delle medicine che rotolò sul pavimento.
Lo rincorsi e lo presi stretto dondolando su me stesso, mi rassicurava dondolarmi. Mi dava pace. Ma il rossore di quel flacone mi turbava.
"Dove è ... dove è?" uscì flebilmente dalla mia bocca quel suono.
Mentre lei all'altro capo della stanza piangeva.
La sentivo mugugnare qualcosa. La udivo lamentarsi, ma lei non aveva perso niente! Non aveva perso il suo accendino!
Perché avrebbe dovuto piangere? Perché avrebbe dovuto soffrire?
La fissai.
Vidi il panico nei suoi occhi, ma l'unico spaventato doveva essere il mio amico. Il mio inseparabile amico! L'unico che mi dava pace.
Cercava di slegarsi povera scema. Come se le avessi legato mani e gambe con lo scopo di farla uscire!
Una risata si gonfiò nel mio petto. Ma mi sentii in colpa! Come potevo? Come potevo ridere se il mio accendino brillante si era smarrito?
Tornai a cercarlo sotto il tavolo e man mano perdevo la concezione di me stesso, sentivo le mani tremare, la rabbia salire.
Perché? Perché se ne era andato anche lui? Perché?
Mi fermai sorpreso dall'odore della pioggia, la finestra era aperta? Chi l'aveva aperta?!
Corsi rapido a chiuderla, quell'odore, quell’olezzo ...  la odiavo la pioggia! La detestavo!
Fissai i suoi capelli corvini, che le scendevano dritti lungo la schiena, mentre le sue gote rosse ...

Un’idea che mi fulminò la testa, rapida, dolorosa … Lei aveva rapito il mio piccolo amico.
Mi avvicinai con passo lento osservando la paura crescerle sul viso, i lineamenti che pian piano diventavano rigidi, gli occhi lucidi che si spegnevano, traditi dal dolore, dallo schifo, dalla passione.
Amavo quel momento, quella sensazione alla bocca dello stomaco. Quel desiderio selvaggio di odio e amore insieme.
In quei momenti, mentre affondavo il coltello, che portavo nella tasca sinistra, dentro la loro carne, sentivo un brivido scendermi lungo la schiena e amavo quel rossore tiepido che usciva dalla loro pelle candida.
Prima una guancia, mentre leccavo il sangue e le lacrime, e poi un braccio ... piccoli tagli, poco profondi, mentre i suoi singhiozzi diventavano sempre più grandi.
Odiami, almeno tu; odiami anche tu.
Una risata mi uscì, mentre i polmoni si contraevano, le accarezzavo il mento sollevandoglielo "Dove lo hai messo?"
Continuavo a ripeterlo ma lei non rispondeva! Non voleva rispondermi! Quella puttana non voleva dirmelo!
Le tirai uno schiaffo esattamente come faceva mia madre con me da piccolo.
Solo puttane, solo puttane incontravo!
Piccole e misere anime che risucchiavano la mia vita, come quel divano.
Mi guardava anche lei con quegli occhietti; quanto la odiavo, quanto la volevo?
Bramavo la sua vita! Anche se era misera e insensata.
Impugnai meglio il coltello mentre le sferravo la prima coltellata nel ventre. Così non avrà mai dei figli! Così non mi partorirà mai!
Il demonio nacque quel giorno! Il demonio! Io ti odiavo mamma!
“Mi hai lasciato! Perché? Ero un bravo bambino!”
Il suo respiro si spezzò, il suo dolore salì! Ma lei doveva soffrire, lei aveva rubato il mio accendino.
E poi la seconda e la terza coltellata, il sangue mi sporcò la camicia; mi segnò la faccia, mi imbrattò i pantaloni nuovi comprati al mercato a solo dieci euro.
“Mi odi puttana?”
Il suo corpo si afflosciò a terra. Iniziai a tastarle il seno e poi scesi, ma il mio accendino, dove era?
La pozza di sangue sul pavimento rifletté il mio volto.
Avevo gli occhi brillanti, avevo la rabbia ricalcata addosso!
Dove? Dove? Dove? Dove era il mio accendino!
Continuava a fissarmi, anche se ormai non respirava più ...  sentivo agonizzare il suo fiato, sentivo esplodere la sua anima che tra poco l’avrebbe lasciata per sempre ... forse sarebbe andata in un luogo più felice.
No, la felicità non era concessa!
Volevo il mio accendino ... toccai il suo sangue con le mie mani sporche ... Mi pitturai la faccia, lasciai impronte ovunque.

Volevo un segno della mia esistenza.

Mentre lei cercava di muoversi.
Risi della sua stupidità, le tirai un calcio "Voglio il mio accendino!"
Vidi che chiuse gli occhi, ma non poteva morire! Non poteva! Doveva prima dirmi, dove era! Doveva dirmi, dove era il mio accendino!
Ma ecco che spirò, con leggerezza, abbandonando questa terra e con lei ... anche il mio accendino scomparve.
La gioia di una vita spezzata, l'odio per me stesso ... io odiavo il mio accendino.

  
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