Capitolo 3: Il distacco
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il tenente Andrew S. Greason si era già abituato a riaprire gli occhi e a scorgere,
come prima cosa, il volto piacevolmente risoluto della sua “tutrice” dagli
occhialini con le lenti a spicchio… vista che, mano a mano che il tempo
passava, gli appariva sempre meno traumatica. Fenomeno, questo, dovuto in gran
parte al leggero ma costante schiarimento della grinta da parte della bella ma
inflessibile infermiera (era quasi arrivato a non considerare più così
sgradevoli nemmeno le iniezioni).
Sarà
quindi facile capire come la desueta presenza al suo capezzale del roccioso
colonnello Hardgison gli tornasse a rendere nuovamente brusco quell’inizio di
giornata!
“Buongiorno,
tenente!” gli disse il comandante del reparto, in tono secco.
“Ah…
oh…!! B… buongiorno a lei, signore…!!” farfugliò il ricoverato, balzando
immediatamente in su col tronco e salutando.
“Bene,
bene… ormai può alzarsi da solo, a quanto vedo.”
“Certo,
signore. Ho ancora le fasce, ma ormai sono solo un fastidio, più che un
impedimento.”
“Perfetto.
E, nel complesso, come si sente?”
“Beh…
abbastanza bene, direi!”
“Abbastanza
da pilotare un aereo…?”
La
bocca di Andy si allargò pavlovianamente[1] in un
sorriso, che però si smorzò subito. Solo qualche giorno prima il giovane pilota
non avrebbe esitato un attimo nel rispondere affermativamente. Ma ora che uscire
dall’ospedale, oltre a riprendere i voli, avrebbe anche comportato allontanarsi
dal suo adorabile cerbero, l’idea gli appariva un po’ meno allettante…!
Rispose
comunque con decisione, seppur con qualche secondo di ritardo: “Certamente sì,
colonnello!”
“Molto
be…”
“MA
NEMMENO PER IDEA…!!!”
Nell’udire
quella perentoria affermazione, l’ufficiale superiore si voltò di scatto,
constatando la presenza della caposala. Per la verità, era già entrata da qualche
minuto e si stava attardando a sistemare alcuni medicinali per dar tempo al colonnello
di togliere il disturbo. Nella camerata non c’era più nessuno, a parte Andy,
dal momento che il suo collega Sanders era stato dimesso dal giorno precedente.
L’infermiera
dalla mora coda cavallina si avvicinò risolutamente al superiore del suo assistito e si piantò a due passi da
lui, tenendo le mani incrociate davanti al grembiule dell’uniforme: “Signor
colonnello… il tenente sarà dimesso dopodomani. Nell’incidente ha riportato
lesioni non gravi ma importanti, che necessitano una completa rimarginazione. Farlo
rientrare in servizio oggi comporterebbe un rischio del tutto sproporzionato
alle circostanze!”
L’interessato
fece per aprire la bocca, ma un perentorio sguardo ferreo della ragazza gli
bloccò all’istante i muscoli mascellari. Dal canto suo, il colonnello Hardgison
si permise un sorrisetto ironico: “Di quali circostanze parla, signorina? Forse
le sfugge il particolare che non siamo precisamente in tempo di pace: stamattina
abbiamo perso quattro piloti, fra cui il capo-squadriglia del tenente. Siamo
rimasti decisamente sotto organico, mentre quei demoni gialli[2]
continuano a ricevere rinforzi. Capisco che questo ragazzo le stia a cuore… ma
purtroppo, oltre ad essere un emerito testone, è anche un eccellente pilota e
abbiamo bisogno di lui, lassù. Per cui…”
“Io
sto benone, signore…!” intervenne Andy Greason, in tutta fretta. L’intenzione
non era tanto quella di contraddire la sua “custode”, ma piuttosto di sviarne l’attenzione
dalla compromettente battuta del colonnello: Capisco che questo ragazzo le stia a cuore…!
Fosse
l’irritazione per essere stata contraddetta o per avere invece assimilato
quella frase sibillina, il viso di Flanny si fece subito rosso fuoco: “Colonnello”
sibilò “le ripeto che al tenente necessitano ancora due giorni di degenza. Io non
posso consentire che un paziente affidato alla mia sorveglianza venga dimesso
in base al suo proprio giudizio. Specialmente se, come ha ricordato lei stesso,
si tratta di un elemento particolarmente caparbio!”
“Ehi,
un momento… signorina…!” tentò ancora il
malcapitato “paziente”.
Quest’ultima
gli lanciò allora uno sguardo veramente fulminante. Anche perché, fortuita o
meno che fosse la cosa, era la prima volta che il ragazzo la chiamava così.[3]
“Lei
taccia, tenente” l’infermiera alzò decisamente la voce “sempre che l’ufficiale
medico non decida altrimenti, ho detto che la dimetteremo dopodomani. E così
sarà!”
“Si
calmi, miss Hamilton: ho già parlato io col colonnello.”
Gli
altri tre si voltarono. Il maggiore medico Michael Riley[4] era
entrato nella stanza, ostentando un’espressione decisa, pur se leggermente
contrariata.
“Data
la grave emergenza in corso, se il tenente ritiene di sentirsi in grado di
volare, possiamo consentire al suo momentaneo rientro in servizio… momentaneo: ha inteso, colonnello?”
Hardgison
annuì con severità, ma l’infermiera non se ne dette ancora per intesa: “Ma… ma
dottore: le incrinature del tenente Greason non si sono ancora del tutto
rimarginate… e qui non si tratta solo di volare, ma di combattere! Le
sollecitazioni che un pilota riceve da un aereo da caccia…” il tono della sua
voce, nonostante gli sforzi per mantenerlo misurato e professionale, era tutt’altro
che fermo.
“Flanny”
il dottor Riley guardò pacatamente la sua subordinata “ho già visitato il
tenente stamattina, come ricorderà e le sue condizioni risultavano straordinariamente
migliorate… grazie a lei, indubbiamente. Anche se condivido le sue riserve in
merito, ritengo che il rischio sia abbastanza calcolato. Va da sé che il
tenente dovrà risottoporsi a osservazione, una volta a terra.” concluse,
indirizzando un’eloquente occhiata al comandante.
“D’accordo,
maggiore” rispose Hardgison “e grazie per il suo beneplacito. Greason, si
sbrighi a prepararsi: il briefing è fra dieci minuti.”
“Signorsì!”
Il
colonnello lasciò la stanza e il dottore, dopo aver sussurrato qualche
disposizione all’orecchio di Flanny, le batté due volte la mano sulla spalla e
si ritirò anche lui.
Rimasti
soli, la caposala guardò dritto negli occhi il tenente, quindi esclamò: “Bene,
a quanto pare ce l’ha fatta a sgusciarmi dalle grinfie prima del tempo! Mm…?”
Di
nuovo quel luccicore in quegli occhi, vero o presunto che fosse.
“Mi
dispiace… sono certo che il dottore non avrebbe mai dato il suo consenso, se
non fossimo in guerra.”
“Di
questo può star sicuro. Ma in guerra è tutto lecito, no…?!”
Andy
osservò l’espressione di quel bel viso farsi improvvisamente molto dura e sentì
come una forte sensazione di disagio. Come se, all’improvviso, si rendesse
conto del dolore che provavano tutte le persone come lei - che avevano scelto
di dedicare la vita a lenire le altrui sofferenze - davanti al continuo
spettacolo di giovani forti e sani, ridotti in fin di vita dalla violenza della
guerra. Dolore mischiato al disgusto che, senza alcun dubbio, suscitava in loro
tutto quello spreco assurdo, che, tenendo forzatamente impegnati innumerevoli
sanitari nell’assistere i combattenti, impediva loro di occuparsi di tutti i
malati e i feriti che pure popolavano le cosiddette retrovie.
Ecco,
in quel momento Andrew Steve Greason, rampollo di un’agiata famiglia della
Costa Atlantica, sentì di poter dare un significato assai più nobile a quello
che i suoi colleghi davano di solito nell’appellare quelle eroine come “angeli
combattenti”!
“Purtroppo
è così… e non mi piace! Ma non l’ho fatta scoppiare io, la guerra, signora
Flanny.” l’appellativo gli venne spontaneo. Mai come in quel momento, nubile o
meno, la stava vedendo come una donna… e con
Lei
lo guardò intensamente, percependo come un tono di scusa nelle sue parole… che
indubbiamente apprezzò, anche se questo non le impedì di formulare questa
logica osservazione: *Però la sei venuta a combattere…!*
Tuttavia
si limitò a pensarlo, mentre gli faceva un cenno: “Venga, su: diamo una
controllata a quelle fasce.”
Andy
si avvicinò docilmente, slacciandosi la casacca del pigiama da ospedale. Lei
eseguì l’operazione con rara maestria, poi gli chiese: “Vuole che l’aiuti a
vestirsi?”
Il
tenente restò interdetto per un istante. Un diavoletto rosso sopra una spalla
gli suggeriva di rispondere di sì… ma l’angioletto azzurro su quell’altra gli
suggeriva esattamente il contrario. Del resto, l’avrebbe fatta preoccupare.
Ma
come rifiutare il suo aiuto senza sembrare scontroso? Il suo cervello, allenato
a rispondere istantaneamente per adeguarsi alle cangianti situazioni del
combattimento aereo, trovò la soluzione: “Non si preoccupi, ce la faccio”
rispose, con un caldo sorriso “altrimenti non sarei certamente in grado di
pilotare!”
L’infermiera
annuì: “Allora esco un attimo. Ci vediamo dopo.”
Dopo
che fu uscita dalla camerata, il pilota si avvicinò a un armadietto e ne trasse
fuori i suoi indumenti, indossando poi rapidamente i calzoni in avirex[5] color sabbia e la
camicia color cachi con l’aquilotto dorato sopra la tasca sinistra. Dopo
essersi allacciato la cravatta del medesimo colore, ne infilò l’estremità fra
due bottoni della camicia. Quindi s’infilò il giubbotto di pelle col bavero di
lana d’agnello e le spalline riportanti le sbarrette d’argento del suo grado.[6]
Dietro la schiena era dipinta la bandiera della Cina Nazionalista, con lo
stesso sole bianco inscritto in un cerchio azzurro che spiccava sugli stessi
aerei delle Flying Tigers.[7] Per
ultimo afferrò il berretto con l’aquila dorata sopra la visiera (era più
scomodo delle bustine, ma quelle non le aveva mai sopportate).
Quando
si mosse vide Flanny nell’atto di aspettarlo sulla soglia con qualcosa in mano.
“Se
dovesse accusare dolore” gli disse presentandogli un flacone di compresse “non
esiti: prenda subito un paio di queste.”
*Sempre
che sia in grado di farlo…!* commentò mentalmente lui. Ma prese la boccetta e
le sorrise: “Grazie… e non stia troppo in ansia per me: mi sento in forma,
glielo assicuro.”
“Bene…!”
replicò lei, a bassa voce.
“E…
a proposito: grazie di tutto…!”
L’infermiera
abbozzò appena un’ombra di sorriso: “Dovere, tenente.”
“Beh,
devo andare… ci vediamo al mio ritorno.”
Lei
annuì. Sembrava incapace di dire altro.
Rigirandosi
il berretto fra le mani, l’uomo si decise a schiodarsi da lì, prima che il suo
istinto avesse il sopravvento e gliela facesse stringere tra le braccia. Per la
prima volta il solito sfarfallio, da sempre avvertito nello stomaco prima di
decollare, non era dovuto alla tipica ansia da pre-combattimento! Ma si
trattenne; non tanto per il rischio di beccarsi un altro schiaffo, quanto per
quello d’irritarla involontariamente.
Mise
il berretto in testa e le voltò le spalle. Ma, al primo passo che fece, la voce
di lei lo ribloccò: “Buona fortuna, ten… Andy…!!”
Stavolta
ne fu più che certo: sentiva un tremito in quella voce. Rivoltatosi, le tornò
di fronte… sempre quel diavoletto rosso gli suggerì di ripetere il gesto del
primo giorno,[8] ma l’angioletto azzurro
ebbe di nuovo la meglio: si limitò a sorriderle di nuovo e ad accarezzarle,
esitante, una guancia.
“Tranquilla:
io ci ritorno sempre, a terra. Specialmente da adesso in poi…!”
A
questo punto fu l’angioletto di Flanny ad avere la peggio, poiché la ragazza
non resse all’istinto e lo abbracciò stretto, con una foga non proprio salutare
per le sue incrinature!
“Stai
attento… mi raccomando!” sussurrò, col mento appoggiato alla sua spalla.
“Promesso…!”
rispose lui, ricambiando l’abbraccio.
Rimasero
così per diversi secondi. Nessuno dei due capiva bene cosa fosse successo… non
era stato - nemmeno per Andy - uno stimolo da desiderio fisico, tanto che a
seguire non vi fu - almeno quella volta - nemmeno il bacio. Era solo il bisogno
di sentirsi vicini e, specialmente per lei, il bisogno di sentirsi importante
per qualcuno.[9]
In
quanto a lui… beh, diciamo che nessuna lo
aveva mai messo così in riga, fino ad ora!
“Andy…!
Stavo venendo a cercarti. Sbri…”
I
due si staccarono immediatamente e Greason poté vedere la faccia stralunata di
James Stone, il suo migliore amico dal tempo di West Point.[10]
Il
tenente non si scompose più di tanto: “Sì, arrivo… eccomi…!” fece un ultimo
cenno di saluto a Flanny e si mosse verso il collega.
“Beh,
ti muovi…?!” gli gridò nel passargli accanto.
Mentre
trotterellavano verso l’aerodromo, il buon James, un gran pezzo di ragazzone
virginiano, fu incapace di starsene zitto: “Cribbio, Andy… ma allora Vic aveva
ragione! Questa me la devi proprio raccontare!”
“I
fatti vostri mai, voialtri, eh…?!”
rispose lui, senza guardarlo nemmeno.
Dietro
i due aviatori, assai lieta che non potessero vederle le guance arrossate (che
sentiva comunque in fiamme), Flanny Hamilton li guardava allontanarsi immobile,
con la bruna coda di cavallo che svolazzava dolcemente alla brezza del primo
pomeriggio.
[1] In riferimento all’istinto del famoso cane di Pavlov, al quale veniva l’acquolina in bocca al suono di un campanello che sapeva precedere l’arrivo del pasto.
[2] I Giapponesi.
[3] In effetti, benché fosse sua coetanea e nubile, l’aveva sempre chiamata signora.
[4] Per chi non lo avesse già capito, è lo stesso personaggio che Candy incontra al suo arrivo a Chicago, durante il ricevimento alla villa degli Andrew.
[5] Nome del materiale di confezionamento, tratto dall’omonima fabbrica.
[6] Una sbarretta per i tenenti, due per i capitani, la
foglia di quercia per i maggiori, l’aquilotto per i colonnelli e le stellette
per i generali.
[7] Cioè della Cina governata dal Kuomintang di Chiang-Kai-Shek che, dopo il ritiro di quest’ultimo sull’isola di Formosa (1949), diventò la bandiera dell’attuale Repubblica di Taiwan.
[8] Vedi capitolo 1.
[9] Per nella sua “dimensione temporale alternativa”, il mio racconto vuole essere, per ciò che riguarda i trascorsi dei personaggi, assolutamente fedele alla storia originale. Non dimentichiamoci quindi che Flanny Hamilton, a causa dei suoi problemi familiari, si è sempre sentita molto sola.
[10] A West Point, nello stato di New York, c’è l’Accademia Militare. Quella Navale è ad Annapolis, nel Maryland.