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Autore: missredlights    21/05/2012    1 recensioni
ISPIRATO A DOLCE FLIRT.
Era mattino. Le prime luci dell’alba filtravano dalle persiane della mia finestra, andandosi a posare proprio sui miei occhi. Era un qualcosa di fastidioso ma allo stesso tempo di sollievo. Mi facevano capire che era passato un altro giorno, un altro giorno che avevo vissuto e che ero ancora viva. Mi stiracchiai le braccia e mi alzai dal letto. Cercai le mie pantofole, senza successo, e mi incamminai a piedi nudi fuori dalla stanza. Peccato che il mio corpo fosse scollegato dalla mia volontà di coordinazione dei movimenti. Sbattei il mignolo del piede proprio nello spigolo della porta, cosa che fece scaturire dalla mia bocca parole non proprio adeguate per una ragazza.
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA - WORK IN PROGRESS]
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Era mattino. Le prime luci dell’alba filtravano dalle persiane della mia finestra, andandosi a posare proprio sui miei occhi. Era un qualcosa di fastidioso ma allo stesso tempo di sollievo. Mi facevano capire che era passato un altro giorno, un altro giorno che avevo vissuto e che ero ancora viva. Mi stiracchiai le braccia e mi alzai dal letto. Cercai le mie pantofole, senza successo, e mi incamminai a piedi nudi fuori dalla stanza. Peccato che il mio corpo fosse scollegato dalla mia volontà di coordinazione dei movimenti. Sbattei il mignolo del piede proprio nello spigolo della porta, cosa che fece scaturire dalla mia bocca parole non proprio adeguate per una ragazza.
 “ Maledizione, porca di quella trota infame. Stupidissimo spigolo dei miei stivali!”
Qualche porta si spalancò e ne uscirono fuori tre ragazzi parecchio assonnati.
 “ Non dirmelo. Hai sbattuto di nuovo il mignolo del piede nello spigolo della porta vero? Cercherò di comprarti le tute di gomma che mettono alle persone che non riescono a muoversi, bambina.”
Guardai male la persona che aveva appena pronunciato quelle parole, ovvero mio fratello Alex. Lui era due anni più grande di me, completamente diverso dalla sottoscritta sia per l’aspetto fisico che per quello caratteriale.
Lui era quello solare, estroverso, ma difficile da avvicinare, da “conquistare” oserei dire. Alto, moro, occhi verdi, era il classico tipo che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi. Non passava inosservato, soprattutto per il tipo di abbigliamento che usava portare, in altre parole jeans con camicia e trench. Molti lo avrebbero definito il classico fighetto del cazzo figlio di papà, che al solo schiocco di dita poteva avere tutto quello che voleva. In realtà non era così.
Il mio, come il suo passato, era molto diverso da quello che la gente pensava di noi. Tutti pensavano che avessimo avuto un’infanzia felice, fatta di amore e di attenzioni, cosa alquanto diversa dall’effettiva realtà. Molte persone non credevano neppure che io e lui fossimo fratello e sorella ma sottoscritta Ginevra, poteva dimostrarlo con tanto di attestato di nascita, e perché no? Anche facendo il test del DNA.
Lui era il giorno ed io la notte, lui era quello estroverso e io quella introversa, lui era quello socievole con tutti e io quella asociale. In verità non fui sempre così. Fino all’età di otto anni ero una ragazza piena di vita e di gioia di vivere, con la voglia di fare nuove conoscenze e di ridere. Tutto successe quel giorno, il giorno in cui la mia vita cambiò completamente senza punto di ritorno.

 
Facevo la terza elementare, mentre mio fratello la quinta elementare. Stavamo tornando a scuola da soli. Da mesi i nostri genitori non facevano altro che litigare tra di loro, alzando la voce, ma mai le mani. Quando succedevano questi litigi, io mi rinchiudevo in camera, tappandomi le orecchie con le mani, cercando di non sentire le urla rotte dal pianto di mia madre, e il ringhiare furioso di mio padre.
Mia madre incolpava mio padre di non prendersi le proprie responsabilità come genitore e come marito, facendo varie supposizioni, una delle quali che lui si fosse trovato un’altra donna. Lui, dal canto suo, respingeva tutte queste accuse, accusando mia madre di fare troppi ragionamenti strani e che lo stesse opprimendo. Non c’era bisogno che qualcuno mi facesse capire che il loro matrimonio era finito. Una bambina di otto anni capisce queste cose, anzi le intuisce ancor prima che avvengano. Da cosa lo si capisce? Da vari fattori, dalle piccole cose, come un bacio dato prima di uscire, un’occhiata particolare, una parola dolce, o addirittura un gesto. Tutte cose che non c’erano più da molto tempo.
Mio fratello veniva sempre in camera mia e mi abbracciava, poggiando le sue mani sulle mie, come se cercasse in tutti i modi di non farmi sentire niente. Le urla dei miei genitori erano un qualcosa che mi stava perforando il cervello, penetrava dentro di me come se qualcuno lo avesse marchiato a fuoco sulla mia pelle. Il tutto finiva sempre con una porta che veniva sbattuta seguita subito dopo dal silenzio. Mia madre si era data all’alcolismo per colpa di tutte le congetture e le ipotesi che poteva formulare nella sua mente. Non riusciva a capacitarsi del comportamento di mio padre che cambiò così bruscamente da un giorno all’altro. Tutto c’era nella mia famiglia, tranne l’amore.
Io e mio fratello ne parlammo solo una volta, trovandoci d’accordo che nostro padre non amasse più nostra madre. Arrivammo addirittura alla conclusione che il divorzio, e ancor prima la separazione, fosse l’unica via per non far cadere nostra madre nel baratro della depressione. Nostro padre cominciò a mancare per giorni interi, mentre nostra madre cominciò a non uscire più di casa. Solo una volta chiamammo qualche nostro parente per farci aiutare, ma nessuno volle darci il loro aiuto. Nessuno aveva visto di buon occhio l’unione dei nostri genitori, anzi erano quasi contenti che stesse succedendo tutto questo.
Io e mio fratello non eravamo preparati, tutto era nuovo per noi, e la cosa difficile fu far finta che tutto andasse bene, che non stesse succedendo niente del genere. Le persone non avrebbero mai sospettato della situazione familiare che avevamo vedendo i nostri volti. Ai loro occhi eravamo come tutti gli altri bambini della nostra età, senza pensieri tranne quello di giocare. Cominciammo a prenderci le nostre responsabilità troppo presto. Eravamo noi a fare la spesa, a cercare di tirare su il morale a nostra madre, ricevendo alcune volte solamente degli schiaffi, seguiti subito dopo dalle lacrime e dalle scuse. Eravamo cresciuti troppo in fretta, abbandonando il nostro ruolo di bambini per prendere quello di adulti.
Anche stare a casa era diventato pesante, tutto in quella casa faceva venire la voglia di andare via, scappare in un luogo lontano. Tutto successe in un’afosa notte d’estate. Mio padre non si faceva vedere da settimane. Nostra madre dormiva grazie all’aiuto dei tranquillanti. Dovevamo stare attenti pure alle dosi che prendeva, avendo paura che esagerasse con le dosi. Alex dormiva in camera, mentre io, svegliata da uno degli innumerevoli incubi che ormai infestavano i miei sogni, mi svegliai e andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Quando fui li, notai la sagoma di qualcuno seduto su una sedia del tavolo. Mi paralizzai all’istante pensando che fosse un ladro che era riuscito a entrare in casa senza che noi ce ne accorgessimo, ma quando i miei occhi si abituarono al buio, vidi che altri non era che mio padre.
 “ Speravo che fossi tu. Mi sei mancata così tanto.”
Si avvicinò verso di me e mi abbracciò. Le mie narici furono subito investite dal forte odore dell’alcool. Le mani di mio padre andarono subito a posarsi sulla mia maglia, cercando di togliermela, ma io per tutta risposta, cercai di allontanarmi da lui. Il gesto parve non piacergli, tanto che mi afferrò per un braccio e mi spinse sul tavolo, tappandomi la bocca con la sua grande mano.
 “ Ho sempre pensato che il tuo nome si abbinasse perfettamente alla tua persona. Sei irriverente, proprio come un alcolico, proprio come un Gin.”
Sempre tenendomi la bocca tappata con una mano, mi levò in fretta i pantaloni del pigiama. Cercai di allontanarlo, graffiandogli le braccia, mordendogli la mano. Per tutta risposta prese uno straccio che mia madre usava per asciugare le pentole, e con quello mi tappò la bocca. Quello che successe in seguito fu un susseguirsi di disgusto, odio e dolore. Quell’uomo che una volta era stato un padre amorevole verso di me, si era trasformato in un essere che aveva profanato sua figlia. Le lacrime inondavano i miei occhi, cadendo fino a frenare la loro caduta sul tavolo dove quel mostro mi aveva fatto stendere. A nulla servirono le mie lotte per liberarmi, per farlo andare via da me, era più forte di me sotto ogni punto di vista. Chiudevo addirittura gli occhi con la speranza che, una volta riaperti, tutto fosse finito, o nella migliore delle ipotesi non fosse mai accaduto. Forse fu la disperazione, o forse l’incoscienza della mia età, che mi fece far voltare la testa più volte, tanto che lo straccio non tappò più la mia bocca e mi fece urlare.
Mio fratello e mia madre scesero di gran corsa. L’ultima cosa che ricordo di quel momento, furono le luci che si accendevano e mio padre che veniva portato via da me. Il resto fu talmente sfuocato, che non riuscivo a dare il giusto ordine ai ricordi che si affollavano nella mia mente. Quando mi svegliai mi trovai in un letto d’ospedale. Mio fratello era accanto a me che dormiva. Aveva un bendaggio sul sopracciglio destro. Quando la nebbia che diradava i miei ricordi fu scomparsa, i ricordi affollarono la mia mente, facendomi urlare e facendomi agitare. Alex si svegliò di soprassalto, mentre i medici cercavano di calmarmi in qualche modo.
L’unica frase che rimbombava nella mia mente era che mio padre mi aveva violentato, il mio corpo era stato profanato da mio padre. Per molti anni dovetti vivere con il pensiero fisso che in realtà fosse stata solo ed esclusivamente mia la colpa di tutto ciò che era successo. Mi ero assunta io le responsabilità di un qualcosa delle quali non avevo colpa.
Venni a sapere che era stato Alex a far andare via mio padre, cercando di proteggermi da lui. Chiamarono la polizia e fu arrestato per violenza su minori. Nostra madre non resse il colpo e morì qualche anno dopo, dopo che la depressione la indusse ad ingerire troppi medicinali mischiati all’alcool, al gin tanto amato da mia madre. Avevo quindici anni quando lei morì, nove quando mio padre mi violentò. Mi aveva violentato il giorno del mio nono compleanno. Il suo era stato un regalo che non mi sarei mai dimenticata per il resto della mia vita. Un anno dopo Alex divenne maggiorenne e noi ci trasferimmo in un’altra città. Non avevo voglia di stare in quella cittadina dove tutti sapevano ciò che era successo alla nostra famiglia. Tutti cercarono di aiutarmi, dai servizi sociali, ai medici, fino a mio fratello, ma io mi chiusi in un ermetico mutismo.
Era stata mia la colpa di tutto, io ero stata l’unica colpevole, anche della morte di mia madre. Non riuscii nemmeno a piangere al suo matrimonio. I miei occhi erano stati prosciugati, non avevo più lacrime da versare.
Ci trasferimmo da due nostri cugini che avevano perso i genitori in un incidente stradale qualche anno fa. Loro non furono affidati ai servizi sociali come noi, Alistair, mio cugino più grande aveva diciannove anni, mentre il più piccolo, Lux, ne aveva quindici. Lux e Alex hanno la stessa età, si sbagliano esattamente due settimane. Andammo a vivere da loro e insieme formammo una famiglia, quella famiglia che io non avevo mai avuto. Loro sapevano del nostro passato, ma non avevano detto mai niente al riguardo, anzi! Avevano avuto sempre un occhio particolare per me, cercando di non farmi mancare nulla.
Me ne rendevo conto da sola che ero diversa. Ero diventata timida, avevo paura dell’altro sesso, avevo paura che i ragazzi si comportassero con me nella stessa identica maniera di mio padre. Alzai delle barriere invisibili contro tutti, fidandomi di poche persone. Cercarono di farmi sentire a mio agio, ma l’unica cosa che mi faceva stare veramente bene erano le gare di atletica leggera. Quando correvo mi sentivo libera, come se riuscissi a mettere quanta più strada possibile fra me ed il mio passato…

Li guardai malissimo e mi infilai in bagno prima che loro riuscissero ad entrare.
 “ Non starci tre ore come al tuo solito!” disse Lux, mentre Alistair borbottava qualcosa di incomprensibile, forse il suo disaccordo nell’essere stato svegliato in questo modo brusco. Chiusa in bagno mi feci una doccia veloce e mi preparai, andando in camera ad indossare qualcosa di comodo. Quello era il mio primo giorno di scuola nel liceo Dolce Amoris sia per me che per mio fratello, con l’unica differenza che lui e Lux erano al quarto anno, mentre io al secondo. Alistair lavorava come commesso in un negozio di musica. Tutti e tre erano musicisti. Alistair con il basso, Lux con la chitarra elettrica e Alex con la batteria. Qualche volta cantavo per loro, ma la sola idea di cantare davanti un mare di gente, mi faceva indietreggiare e mi faceva passare la voglia. Tutto ciò mi metteva in soggezione.
Infilai un paio di jeans e una maglia a maniche corte viola scuro. Cercavo in tutti i modi di passare inosservata, ma la sensazione che tutti sapessero del mio passato, era un qualcosa che faceva capolino costantemente nella mia vita. Raccolsi i capelli lasciando due ciocche di capelli che ricadessero ai lati del mio viso. Indossai un paio di Converse a scacchi, ma non mi truccai. Odiavo il trucco e non ero capace a fare quella semplice mansione che tutte le ragazze al giorno d’oggi sanno fare. Nessuno me lo aveva insegnato. Scesi sotto e trovai la colazione in tavola. I ragazzi scesero subito dopo e tutti facemmo colazione in fretta e furia.
 “ Ricordatevi. La prima cosa da fare una volta entrati a scuola è quella di andare dal segretario a dare i documenti della vostra iscrizione” disse Alistair, che bevve il suo caffè in un unico sorso ustionandosi la lingua. Alex e Lux risero sotto i baffi, beccandosi un’occhiata glaciale.
 “ Tranquillo fratellone, andrà tutto bene! Alex e Ginevra sono in buone mani con me!” disse Lux e io ebbi la netta impressione che le sue parole fossero l’esatto contrario delle sue azioni.
Ci preparammo ed uscimmo tutti di casa. Alistair ci diede un passaggio a scuola, già gremita di gente. Mi sentivo spesata, non sapevo che cosa fare a dire il vero. Era come se i miei piedi si fossero inchiodati al suolo e non volessero staccarsi per niente al mondo. L’idea di fuggire seduta stante da quel posto era un’idea alquanto allettante, ma rimasi accanto agli altri due ed entrai dentro l’edificio.
Come mi sarei trovata in quella scuola? Avrei fatto amicizia? Come se mio fratello fosse stato una calamita, tutte le ragazze si girarono al suo passaggio ed io alzai gli occhi al
cielo. Quanto mi irritavano queste cose!
 “ Hai finito di fare il fighetto di questo…” ma non finii mai la frase che andai contro qualcuno. Lux mi prese al volo e non caddi a terra, guardai distrattamente chi fosse. Era biondo, sembrava il classico principe azzurro che salva la principessa dai personaggi cattivi. Rimasi un attimo in soggezione, mentre il suo sguardo vagava su di me. Che cazzo aveva da guardare?
 “ Scusami, non volevo venirti addosso, ma con tutte queste carte non riuscivo a vedere dove andavo” disse, ma Lux mi precedette e cominciò a parlare.
 “ Nathaniel tranquillo! Stavamo cercando giusto te. Questi sono i miei cugini Alex e Ginevra. Sono nuovi e dovevano darti i loro documenti.”
 “ Fa sempre piacere avere dei nuovi studenti” disse Nathaniel prendendo anche i nostri fascicoli e dandoci anche i codici degli armadietti e l’orario. Presi il tutto ringraziando con un breve cenno del capo. Non riuscivo a parlare con le persone dell’altro sesso, a meno che non fossero mio fratello ed i miei cugini. Uscii dalla stanza e mio fratello mi lanciò un’occhiata fulminante. Che cosa pretendeva? Ero così, lui era quello popolare e io quella messa di lato. Che si godesse il suo attimo di gloria. Andai verso il mio armadietto e presi i libri per poi dirigermi in classe. I ragazzi stavano entrando e io feci lo stesso, sedendomi all’ultimo banco in fondo. Avevo appena posato i libri, quando una ragazza dai capelli ramati mi mise davanti a me.
 “ E’ libero questo posto?”
 “ Sì, certo” dissi cercando di calmarmi. Dovevo rilassarmi e non essere tesa come una corda di violino.
 “ Io sono Iris, piacere di conoscerti” mi disse quella ragazza e io timidamente la guardai.
 “ Io sono Ginevra” le dissi ma non potei dire nient’altro che il professore entrò in aula.
I miei cugini e mio fratello si erano raccomandati che facessi delle nuove amicizie, che non facessi l’asociale. Forse potevo fare una prova con Iris, no? Le due ore passarono velocemente, tanto che alzarmi, andare a prendere gli altri libri ed entrare nell’altra stanza, furono dei gesti automatici, come se fossi abituata a farli da una vita. Ero di nuovo con Iris in aula e di nuovo ci sedemmo nello stesso banco.

 “ Sei nuova, vero?”
 “ Sì, mi sono trasferita quest’estate con mio fratello. Abito con i miei cugini” dissi e lei sorrise.
 “ Tuo fratello era quel ragazzo bellissimo che appena entrato ha fatto girare mezza scuola?”
 “ Non mi dire che piace pure a te. Se lo vuoi prenditelo così evito di sopportarlo” dissi facendola ridere ancora di più.
 “ Non sarebbe una cattiva idea” disse e li finì il nostro discorso poiché era appena entrato il professore.
Le ore passarono velocemente ed altrettanto velocemente io, Lux e Alex tornammo a casa a piedi, dato che Alistair era ancora a lavoro. Non era andato male come primo giorno di scuola. Si poteva dire che mi fossi fatta un’amica. Ero così assorta nei miei pensieri che a stento mi resi conto che avevano suonato alla porta. Chi cavolo poteva essere a quell’ora? Andai ad aprire la porta, dato che i due cugini avevano sparato la musica a tutto volume nella camera delle prove.
Aprii la porta e mi trovai di fronte un ragazzo dai capelli rossi con dietro una chitarra. Incarnai un sopracciglio al suo sguardo. Che cavolo aveva da guardare?
 “ Mi dispiace non compro chitarre” dissi chiudendogli la porta in faccia e tornando in cucina, spegnendo il fuoco. Come se Alex e Lux avessero sentito l’odore, si catapultarono in cucina, mentre il campanello della porta suonava insistentemente. Chi cavolo era ancora? Lux andò ad aprire.
 “ Oh, finalmente sei qui!” disse per poi entrare in cucina con quel tizio dai capelli rossi.
 “ La prossima volta evita di chiudere la porta in faccia alle persone.”

 “ La prossima volta evita di guardare una ragazza come se non ne avessi mai viste in vita tua” dissi prendendo un pacco di grissini e andando in camera mia. Quel tipo mi irritava parecchio, tutti i ragazzi a dire la verità mi irritavano e mi incutevano timore, ma lui in maniera particolare, come quel Nathaniel.
Mi sedetti sulla scrivania e feci qualche compito e leggendo qualche libro. Quando sentii la porta della stanza delle prove chiudersi, uscii dalla mia stanza ed uscii fuori casa. Avevo voglia di farmi un giro in città, alla fine non c’era niente di male. Incontrai Iris e feci una passeggiata con lei, parlando del più e del meno e costatando che non era per niente male. Era davvero simpatica. Quando tornai era quasi buio e ora di cena. Stavo per aprire la porta, quando vidi uscire quel tizio dai capelli rossi in compagnia di un tizio dai capelli bianchi. Cosa era diventata quella casa? Un albergo dove tutti potevano entrare ed uscire?

Feci finta di nulla ed entrai in casa, mangiai e andai a letto. Ero troppo stanca per fare tutto. Non che avessi avuto una giornata pesante, ma era pesante ricominciare una nuova vita da zero, ti stremava mentalmente.

   
 
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