Film > Sherlock Holmes
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Autore: Ephi    23/05/2012    0 recensioni
[Storia al momento ferma, causa altro lavoro in corso. Tornerà, Holmes, eccome se tornerà.]
- Sarà che forse, lavorando di testa, si vive di più.
- Mi sta dicendo che sarà immortale, quindi.
- E chi può dirlo – conclusi, ironico.
Sherlock Holmes alle prese con qualcosa che, nemmeno lui, saprà controllare.
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina attesi pazientemente il risveglio dell'intera dimora Watson, sorseggiando del tè che mi ero fatto precedentemente.
Avevo passeggiato nelle mura domestiche immagazzinando ogni particolare, fino a rendermi conto che il colore rosa antico mi disturbava parecchio. I mobili ben curati e tenuti puliti non lasciavano intuire nulla di nascosto, tutto, insomma, andava bene.
Eppure io non riuscivo a stare tranquillo.
Vagai per casa fino alle otto in punto, dopo di che mi sedetti e smisi per un istante di credere che qualche indizio si trovasse tra le mura, immaginando dove potesse essere.
Mentre bevevo il mio tè mi soffermai con lo sguardo sul quadro sopra al camino, dove vi era raffigurato il Signor Theodore seduto sulla stessa poltrona su cui vi ero io.
Era molto giovane, all'epoca del ritratto: i capelli castani, molto scuri, circondavano, concludendosi in basette, il volto allegro del ragazzotto rappresentato. Gli occhi erano accesi, parevano ancora vivi, osservanti, l'uomo era vestito di blu e grigio, un fazzoletto nel taschino, un anello sul dito della mano destra.
Mi chiesi se quest'ultimo fosse finito nella tomba con lui e incominciai a stilare una lista di domande che avrei sottoposto al mio amico Watson.
Marito e moglie scesero mezzora dopo il mio tranquillo tè.
- Buongiorno, Holmes - mi disse lui, sorridente - Pronte le valigie? L'accompagnerò entro le dieci, come le avevo detto.
Non risposi, continuando a osservare l'enorme quadro.
- Holmes? - disse Watson, cercando di attirare la mia attenzione.
- Holmes, mi sente o fa finta di non farlo? - chiese nuovamente, più vivace.
- La seconda, temo - risposi, accendendo la pipa con gli occhi fissi davanti a me.
Lui non parve sorprendersi e invece mi si avvicinò, osservandomi meglio.
- Cosa sta facendo? - mi chiese.
- La sua voce mi distrae - gli dissi, fumando.
- Da cosa?
- Mh, pensieri - risposi, lo sguardo ancora fisso.
Immaginai che lui avesse notato quell'espressione che in pochi casi avevo, essenzialmente e soprattutto mentre pensavo. Fu questo a preoccuparlo, l'idea che io avessi colto qualcosa ch enon andava, nel suo perfetto, profumato nido. Mi si sedette vicino, guardandomi meglio. Cominciai ad irritarmi.
- Holmes - cominciò impaziente.
- Stia zitto, Watson, sto pensando!
- Lo so, Holmes, e mi sto chiedendo perché!
Sbuffai, spostando per la prima volta lo sguardo dal quadro. Lo guardai aggrottando la fronte. - Lei è peggio di Mrs. Hudston, sa?
- E' un insulto?
- Lo veda come le pare.
Lui parve spazientirsi e si poggiò con la schiena al divano, spostando lo sguardo sul giornale e leggendolo.
- E poi scusi, lei non è più il mio assistente, Watson - gli dissi guardandolo con la coda dell'occhio.
Da parte sua provenne un mugugno indefinito e girò le pagine del giornale con una certa rumorosità.
Per tutta la colazione parlai semplicemente con Mary, evitando lo sguardo fin troppo sospettoso del mio amico. Odiavo che mi conoscesse così tanto, non avevo più il privilegio delle novità, con lui. Rimase a guardarmi corrucciato per una manciata di minuti, finché l'arrivo della figlia non lo distrasse.
- Buongiorno, papà, Signor Holmes- disse educatamente fermandosi alla porta.
Watson si alzò in piedi e le andò incontro, baciandola sulla guancia, e l'accompagnò a sedere, porgendole la sedia.
Mary Jane mi sorrise gentile, mentre la colazione le era servita e sembrò dirmi qualcosa, attraverso gli occhi indecifrabili. Poi parlò.
- Dormito bene, Signor Holmes? - domandò prendendo una brioche.
- Beatamente - risposi mettendo il tovagliolo al collo.
Ne mangiò un pezzo, sorseggiando poi il suo caffè. - Ha intenzione di andare via presto?
La guardai con sospetto, stavolta, certo di non aver sognato di avere avuto una conversazione con lei la sera precedente.
Lei sembrò far finta di nulla, fin troppo bene, guardandomi in attesa. Avevo capito.
- Oh, no, non troppo, anzi, Watson, la sua camera sarebbe disponibile per qualche giorno ancora?
A lui andò di traverso il pezzo di pane imburrato che aveva appena messo in bocca e tossicchiò prima di guardarmi. Fu allora Mary a rispondere, allegra.
- Ma certo che no, Signor Holmes, può fermarsi quanto vuole, vero, John?
Watson fissò prima lei poi me, che gli sorrisi beffardo, sicuro che dopo mi avrebbe bombardato lui con le sue domande.
Si limitò a sorridere alla moglie e a bere un sorso di tè, mentre il suo viso si dipingeva di una sottile, composta curiosità, quella che ogni volta gli veniva quando era la sua di mente a elaborare.
Mary Jane non disse nulla, afferrò la tazza di porcellana e la portò alle labbra, bevendo. Ero sicuro di aver notato un'ombra compiaciuta tra queste ultime e la ceramica.
- Gradirei fare un giro della vostra tenuta, quest'oggi- dissi allegro, asciugandomi poi la bocca nel tovagliolo.
- Oh, certo, Holmes, l'accompagno volentieri- disse Watson molto pià tranquillo.
- Mi perdoni se non accetto e se chiedo, invece, la possibilità che sia Mary Jane ad accompagnarmi- continuai volgendo il mio sorriso più convincente.
Lei alzò lo sguardo dalla sua colazione e mi guardò, prima di sorridere, annuendo col capo.
- Ma gli studi, tesoro?- chiese Watson all'improvviso.
- Oh, non si preoccupi, vecchio mio, questa mattina faremo un bel ripasso mentre passeggeremo, sempre se è d'accordo, Miss Watson.
Mary Jane annuì nuovamente con il capo e prese congedo, alzandosi. -E a tra poco, allora- disse, prima di sparire al piano superiore.
La salutai con un cenno di capo e mi voltai verso Mary, che pareva tranquilla e per nulla sospettosa di questa mia richiesta. Watson, invece, mi tirò per un braccio.
- La faccia studiare, Holmes, sono stato chiaro?- mi disse, sibilando tra i denti.
- Cristallino, mio caro.
I coniugi Watson sarebbero andati in paese a fare qualche acquisto, data la mia improvvisa fermata. Un po' mi sentii in colpa, un po' no: infondo era stato sempre Watson a dirmi che dovevo uscire di più, aprirmi di più al mondo, magari cominciare a vestirmi con qualcosa di più aggiornato.
Fermo sotto il porticato, entrata della villetta, mi guardai le scarpe, chiedendomi se potessero andare bene anche l'anno prossimo esattamente come andavano bene cinque anni prima.
Tirai un po' di tabacco e mi infilai le mani in tasca, osservando i due sposi partire alla volta del paese lì vicino. Che buffo che era vedere Watson così complice anche con quella donna. Io l'unico con cui lo ero mai stato, era proprio lui. Lo sapevo da una vita, ma lo ricordavo poco spesso.
La volta che provai ad essere complice, partecipe alla vita di una donna, scelsi quella sbagliata.
Pensare a lei non mi fece bene, tanto che una strana sensazione si impossessò alcuni secondi di me. Ricordavo ancora il suo viso, il profumo forte, l'andatura danzante, i capelli scuri, il suo nome: Irene. Erano ormai passati anni, ma capii che i ricordi, da qualche parte, dentro di noi, dovevano per forza mettere su casa e pure famiglia, dato che non se ne andavano mai.
Scossi il capo, scacciando l'assurdo pensiero nel quale ero caduto e mi concentrai sul cortile della casetta. Più in giù, in lontananza, le stalle appartenute al padre di Mary sorgevano, pennellate di un colore rosso scarlatto, estremamente risaltato dal dorato del grano.
- Che tempismo, signor Holmes.
Una voce, quella voce, mi costrinse a voltarmi di scatto. Tolsi la pipa dalla bocca e guardai Mary Jane scendere la piccola scalinata, sorridente come al solito.
Come al solito, inoltre, la mai mente si accartocciò, ben peggio di come aveva fatto altre volte in passato, in presenza di una persona sola e una soltanto.
Si sistemò meglio il berretto verde, nascondendo sotto di esso una ciocca che era scappata via, poi aprì l'ombrello, ponendosi sotto, all'ombra. Anche in quella circostanza appariva una dama da compagnia di nobili origini, educata e composta. Eppure sapevo che sotto quella ben disposta mascherata si nascondeva una donna del tutto diversa. La sola parola che mi balzò in mente fu: viva.
- Bene, vogliamo andare? - disse, aspettando che le porgessi il braccio.
Con stupore glielo porsi, infilandomi gli occhiali da sole e la pipa in bocca. Cominciammo a camminare in silenzio, finché non le chiesi che cosa stesse studiando, così da fare contento il suo caro paparino.
Mi parlò di astri, di volumi, di aree, pendenze, elettricità. Mi parlo anche di quando enorme fosse l'universo, quanto volesse arrivarci, lassù al cielo. Non me la sentii di interromperla e la lasciai parlare, propenso a conoscere e capire chi lei fosse.
Sembrava tante cose. Un momento una donna saggia e matura, un altro una sognatrice incallita, quello dopo una studiosa di quelle che ti sbranerebbero, se ti azzardi a negare qualche teoria. Poi all'improvviso rise. Rise e cominciò a raccontarmi di una strana lezione avvenuta all'università. Io feci finta di ridere a mia volta, continuando invece a studiarne la persona.
Non avevo mai studiato la psicanalisi, ma un cliente, una volta, mi aveva accennato qualcosa. Qualcosa che riguardava anche il linguaggio non verbale. Lo studio delle persone dal loro corpo, insomma.
Da Mary Jane, mio malgrado, non traspariva altro che l'immagine di una donna tranquilla e serena, passeggiante per un sentiero di campagna, fin troppo logorroica e di gradevole aspetto.
Non fraintendetemi, quest'ultimo era un dato puramente oggettivo.
- Nelle stalle avete cavalli? -le chiesi, abbassando un po' il capo.
- Oh sì, tre.
- Bene, torniamo pure a casa -conclusi, girando i tacchi e pronto a tornare indietro.
- Ma... perché mai?
- Problemi di natura intellettuale, odio i cavalli, sgradevoli, ciccioni, equini da passeggio - confessai, mentre la sentivo raggiungermi dietro.
- Pensavo volesse vedere le scuderie - disse lei, arrivata poi al mio fianco.
Mi fermai in mezzo al sentiero e mi voltai a guardarla. Di nuovo notai l'ardore del suo sguardo, lo stesso del nonno appeso nel quadro.
Se prima avevo detto che era di bell'aspetto, credetemi se vi dico che è una svalutazione bella e buona di ciò che vedevo in quel momento.
Il vestito verde smeraldo faceva risaltare ancora di più lo scuro dei suoi occhi e quello dei capelli, mentre al collo teneva appesa una rosa blu, come quella che aveva sua madre, il giorno del matrimonio. Non parlai per qualche istante, in balia della mia confusione.
- Crede che non me ne sia accorto, che non ha detto apertamente di essere stata lei a chiedermi di fermarmi? - le dissi spavaldamente, guardandola da sopra gli occhiali.
Lei trattenne un sorriso, abbassando lo sguardo, poi tossicchiò e parlò.
- E' stato gentile a non dire nulla.
- Perché non l'ha voluto dire?
- Perché non voglio che mio padre e mia madre sappiano, quello che lei non sa ancora di sapere già.
Mi meravigliai nell'udire quelle parole. Evidentemente Mary Jane mi conosceva bene, quasi quanto suo padre. Aver sentito racconti su racconti su di me dovevano averla condotta a pensare che solo io avrei potuto esserle d'aiuto, in una faccenda evidentemente complessa da poter risolvere da sola.
- Mi dica come posso aiutarla, miss Watson-dissi, mettendo via la pipa.
Il suo sguardo si illuminò un poco di più e sul suo viso non si formò alcun sorriso, ma la semplice consapevolezza di aver trovato ciò che cercava. Io dal canto mio mi dovetti trattenere dal lasciare che la mia mente pensasse qualcosa, qualsiasi cosa, poiché dovevo concentrarmi solo su ciò che lei aveva da dirmi.
Mary Jane prì la piccola borsetta che portava al braccio e cominciò a cercare qualcosa. Ne estrasse un piccolo foglio di carta spessa, evidentemente una foto, la foto di cui Watson mi aveva parlato il giorno prima.
Me la porse e attese, mentre me la rigiravo fra le mani, poi mi si avvicinò, fissandomi con quegli occhi talmente profondi che spensero ogni mio singolo input ancora attivo.
-  La guardi con attenzione - mi sussurrò, come se mi avesse lasciato un autentico tesoro. Poi si girò e mi superò, prendendo la strada di casa.
Mi lasciò solo con quella foto e la certezza che i cavalli non mi avrebbero attaccato.
Mentre me la rigiravo tra le mani notai quanto piccola fosse, tanti anni fa. La mia mente mi fece ricordare quanti anni avessi io, ora: troppi, a confronto di una ragazza come lei.
Lanciai un riso soffocato e gettai un'ultima occhiata alla foto, pronto a metterla in tasca.
Fu allora che notai una leggera piegatura nell'angolo in basso sulla destra. Afferrai la lente che portavo sempre in tasca e la avvicinai, decifrando le poche, minuscole, righe:
“Non ti fermare a ciò che ti diranno;

pensa, invece, a ciò che crederai”.



nota: ho adorato scrivere questo capitolo! Holmes entrerà in azione o pure no? lui, che non ha mai lasciato un caso al suo destino. e chi è l'autore della frase? perché Mary Jane non vuole rivelare nulla di ciò che sa, se non a Sherlock? tante domande, tante risposte nei prossimi capitoli! oppure no.. dipende tutto da Holmes.

  
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