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Autore: Luine    23/05/2012    1 recensioni
Nessuno di loro avrebbe scommesso un solo penny, all'inizio, su quella curiosa collaborazione.
Nathan Ford, l'uomo, il truffatore, la brava persona. Cento fanfiction per conoscerlo meglio, per entrare nella sua testa e nella sua vita.
La sfida è cominciata.
AGGIUNTI DUE CAPITOLI
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Perché?
Fandom: Leverage
Personaggio/Coppia: Nathan Ford
Prompt: 080. Perché?
Rating: Verde
Avvertimenti: Flashfic
Conteggio parole: 663
Genere: Commedia

«Perché lo fa, signor Ford?»
Nathan guarda il suo ultimo cliente, un ragazzino, prima di bere un altro sorso del suo caffè.  Quando l'aveva contattato, due settimane prima, gli aveva chiesto di aiutarlo a riprendere la sua vita di un tempo, adesso a rotoli: suo padre che si era suicidato per aver aiutato un uomo senza scrupoli a rovinargli la vita e lui era rimasto solo, con una madre che non sapeva reagire e un fratellino più piccolo fin troppo intelligente per non capire che non tutto andava per il meglio. Tutto era stato sulle sue spalle del ragazzo che Nathan aveva di fronte ed era arrivato arrivato al punto di cercare qualcuno che fosse disposto ad aiutarlo, anche al di fuori della legge. Nathan.
Ma ora è tutto a posto. Nathan è riuscito a mandare in galera quel bastardo che aveva distrutto una famiglia per bene e, con un po' di aiuto da parte di Parker, ha dato il denaro necessario a quel ragazzo, donandogli un po' di speranza persa.
«Perché aiuta degli estranei?» insiste il ragazzino, guardando da lui alla busta.
Nathan guarda la sala gremita, i membri della sua squadra che, sistemati di fronte al bancone, osservano la scena da lontano. Cosa può dirgli? Che aiutare le persone lo fa sentire bene, che soffoca i suoi sensi di colpa, che si diverte a raggirare quei bastardi? Che così riesce a fregare quella legge che non lo ha aiutato quando doveva? Magari che lui è quel ragazzo che suo figlio non ha avuto la possibilità di diventare. Le risposte sono tante, una meno adatta dell'altra.
«Dovresti nascondere quella busta.» gli suggerisce, in tono discorsivo.
«Oh, sì! Sì... giusto.» il ragazzo, a disagio, si sbriga a infilarli nella tasca interna della giacca e si guarda intorno, spaventato, come per cercare quale degli avventori del bar è pronto per rapinarlo. Per un attimo, Nathan si chiede come sarebbe diventato suo figlio e come si sarebbe comportato, se lui gli avesse dato una busta piena di soldi da custodire e sa che non avrebbe mai avuto la stessa reazione del giovanotto che aveva davanti.
«E non fare quella faccia, altrimenti richiamerai i ladri.» continua.
Il ragazzo gli lancia un'occhiata nervosa. «Lei dice?»
Un angolo della bocca di Nathan si solleva: eccome, se dice! Tace ancora e beve un altro sorso di caffè. «Buona fortuna. Per tutto. E se mai avessi bisogno di qualcosa...»
Il ragazzo risponde con un sorriso e gli stringe la mano che Nathan gli porge. «Grazie, signor Ford. Lei è una brava persona. E... e anche i suoi... beh, collaboratori. Si dice così, no? Siete stati fin troppo gentili, con me... e non voglio approfittare ancora della vostra gentilezza.»
Nathan inarca le sopracciglia, non sa neanche lui se per fastidio o per divertimento. Gli fa cenno di andarsene e gli raccomanda ancora una volta di fare attenzione. Solo quando è sparito fuori dal locale, nei meandri delle vie di Boston, beve un altro sorso e i suoi collaboratori si avvicinano, sedendosi con lui.
«Secondo voi, ce la farà ad arrivare a casa senza che nessuno si accorga di quei soldi che ha nella giacca?» chiede Parker, scoccando occhiate alla porta, come se si aspettasse di vederlo tornare di corsa, dicendo che lo avevano derubato.
«O senza che gli cadano.» completa Nathan, guardando un punto lontano di fronte a sé.
«Oh, insomma, dategli un po' di fiducia! Non perderà i soldi che gli garantiranno un futuro!» replica Sophie, in tono di bonario rimprovero. Poi si rivolge a Nathan. «Ma di che avete parlato?»
«Del suo futuro, più che altro.» mente lui, alzando le spalle.
E guarda il resto della sua squadra. No, non c'è niente da dire. Forse neanche loro saprebbero rispondere alla domanda. E, dopotutto, è superfluo farla; anche se la risposta fosse ovvia, se loro la conoscessero, è sicuro che a nessuno di loro vada di esternarla a voce alta. Non c'è bisogno. Quella sensazione sta bene dov'è.

  
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