Anime & Manga > Bokurano/Il nostro gioco
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Autore: Subutai Khan    02/06/2012    2 recensioni
Questa storia è un breve riassunto della trama, filtrata attraverso gli occhi di Jun.
Attenzione, gentile clientela: la seguente opera è piena zeppa di spoiler pesantissimi. Leggete a vostro rischio e pericolo e non venite a lamentarvi con la direzione, grazie.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ogni storia ha un protagonista.
Prendete un qualunque libro, un qualunque film, una qualunque forma di fiction: sarà indubbio trovare un personaggio, magari in mezzo a una moltitudine di facce, che è giocoforza il motore catalizzante della vicenda. O su cui, se non altro, si concentra attento l'occhio della telecamera.
Un punto focale. Qualcuno più importante degli altri.
Per noi non è stato così.
La nostra è una di quelle storie a cui non credi neanche quando ci sei invischiato in prima persona fino alle ginocchia. Troppo inverosimile, troppo assurda, troppo.
Eravamo quindici ragazzi che partecipavano a una scuola estiva. Alcuni di noi si conoscevano già da prima, come me e Kanji o Maki e Komo. Altri hanno fatto amicizia sul luogo, altri ancora si ignoravano. Ma devo dire che, nel complesso, eravamo un gruppo piuttosto affiatato. Tredici anni tranne Kana, su cui sono sicuro mi dilungherò fino a farvi odiare il nome, che ne aveva dieci. Otto maschi, sette femmine.
Quindici anime scelte per il capriccio di qualche divinità. O forse, direbbe un professorone di fisica quantistica, quindici casualità. Ma lo direbbe in modo più complicato e meno comprensibile.
Senza voler annoiarvi con i particolari inutili siamo finiti dentro una caverna e lì abbiamo incontrato Kokopelli, un signore biondo che tendeva a ripetere le ultime parole di una sua frase.
Ci ha proposto di partecipare a un gioco. Un gioco che consisteva nello sconfiggere quindici nemici usando un robottone alto come un grattacielo alto.
Waku, con quella sua irritante verve da ragazzino iper-energetico, ha praticamente accettato a nome di tutti. Il tizio ha materializzato una specie di foglio fluttuante su cui avremmo dovuto appoggiare la mano per siglare l'avvenuto accordo.
Tutti l'hanno fatto. Tutti tranne Kana, a cui l'ho impedito perché non volevo che potesse divertirsi, e...
Oh già, mi sono dimenticato di accennarvi un piccolo particolare: Kana era mia sorella minore.
E io la odiavo.
La odiavo perché pensavo che fosse colpa sua se nostra madre era morta mentre lei nasceva. Nonostante le proteste degli altri mi dava una grande gioia percuoterla al minimo sgarro, e spesso senza neanche bisogno di un pretesto. Specialmente Nakama, Maki e Daichi erano contrari a questa mia abitudine. Non che mi fosse mai interessata la loro opinione.
E la povera Machi era stata l'unica ad aver subodorato qualcosa di sospetto in quello che, all'epoca, ci appariva come un grande carnevale eccitante. Perché quell'infame di Kokopelli ci aveva detto che sarebbe stato un divertimento come mai ne avevamo gustati in vita nostra.
Sì, certo. Uno spasso. Credo di non aver passato sei mesi più schifosi e tetri di questi ultimi.
Prima di mettere la mano su quel coso aveva tentennato. Poi Waku non si era fatto pregare e gliel'aveva schiacciata contro la superficie, rimproverandola e dicendole di non preoccuparsi.
Machi...

“Tutto bene, ragazzo? Sono ormai ventidue ore che...” mi chiede il signor Sasami, preoccupato. Davanti a me Koyemshi continua a svolazzare come una zanzara, di quelle che quando le schiacci godi perché era tutto il giorno che ti rendeva la vita impossibile e aveva pure cercato di pungerti dentro l'orecchio.
“Tutto bene, tutto bene. Devo mantenere la striscia di vittorie consecutive, no?”.
In realtà è una menzogna spudorata: ho la nausea. Quel che sto facendo è orribile. Se non sapessi che l'eventualità è irrealizzabile giuro che, una volta fuori di qui, andrei a costituirmi di fronte alla Corte Internazionale per i Crimini di Guerra, lassù nel nord Europa.
Non che il risultato finale fosse diverso, ma almeno gli altri non si sono dovuti sporcare direttamente le mani così.
Non è stato semplice per nessuno. Ma giustamente chi chiude la porta ha sempre il compito più ingrato.
Mi chiamo Jun Ushiro. Ho tredici anni. Sono l'ultimo dei quindici piloti. Sto commettendo un universicidio.

Kokopelli ci ha mostrato in prima persona in cosa consisteva il suo gioco.
Il giorno stesso in cui l'abbiamo conosciuto, di fronte alla casa coloniale in cui stavamo sono apparsi due robottoni giganti, ma veramente giganti. Saran stati qualche centinaio di metri a testa, cinquecento stando alla stima di Kanji. Blu scuro e bianco, questi i loro colori.
E ci siamo ritrovati in un grande ambiente bianco con solo una cosa a darci qualche vago senso di spazialità: la serie di sedie.
Si erano materializzate al momento della stipula del contratto, pare. Ognuna diversa dalle altre, ognuna personalizzata per uno di noi. Alcune raffinate, altre misere. Alcune di forma strana, altre molto più comuni. C'era persino una culla.
Quattordici sedie. Di cui ancora non sapevamo nulla. E, in quel momento, ancora niente sedile da jet militare.
Ma dov'eravamo esattamente, potreste voler sapere. Molto semplice.
Eravamo nella sala di comando di uno dei due mecha. Quello scuro, per la precisione.
Kokopelli era seduto su un'ennesima sedia, un po' più avanti a noi, davanti a sé una specie di monitor futuristico che dava sull'esterno. E quella volta non era da solo.
C'era Koyemshi.
Come posso spiegarvi cosa... chi è Koyemshi? Non è facile, sappiatelo.
Proverò così. Immaginatevi una grossa, molto grossa palla da baseball senziente con due occhi, un ghigno satanico e la capacità di saper galleggiare per aria. Ah sì, e pure un pessimo carattere. Più o meno ci siamo, anche se la descrizione è parecchio imprecisa.
“Io combatterò la prima battaglia. Poi toccherà a voi. Sedetevi al vostro posto, tanto sapete perfettamente qual è”.
Non ci fu una sola protesta.
Ci venne spiegato il funzionamento del gigantone: rispondeva agli ordini mentali del pilota. La sua forza era direttamente proporzionale a quella di chi lo comandava. E ci venne anche detto come si concludeva la questione: distruggendo il punto vitale del nemico.
Punto vitale. Mai definizione fu più bugiarda.
Quando Kokopelli strinse le dita del robot attorno al... tsk... punto vitale, Koyemshi ci teletrasportò fuori facendoci tornare all'esterno.
Tutti noi sentimmo distintamente le ultime parole di quell'uomo: “Ragazzi, mi dis...”. Ma Komo fu l'unica, scoprimmo dopo, a dirlo ad alta voce: “Credo che ci stesse dicendo mi dispiace”.
Sarebbe stato il colmo se non gli fosse dispiaciuto, a quello str... shh Jun, non serve essere volgari.
La consapevolezza completa fu acquisita pian piano. Koyemshi gettò luce a cose fatte, spingendoci sempre più in profondità nel baratro.
“Come, quel coglione di Kokopelli non ve l'aveva detto? Idiota. Lascia sempre indietro le cose importanti. Questo affare si muove sfruttando la forza vitale di chi lo guida. Per ogni battaglia che vincete il pilota muore”.
Questo è ciò che abbiamo scoperto quando è stato il turno di Kodama e lui, dopo aver distrutto il punto vitale del nemico, si è afflosciato in avanti facendo cadere per terra gli occhiali che aveva fregato a Kokopelli.
Però Kodama è stato il secondo. L'onore di essere il primo toccò a Waku.
E quindi? Come poteva essere che non ce ne fossimo accorti subito?
Niente di più semplice. A combattimento finito andammo fuori, ancora immersi nell'atmosfera da anime di robottoni che sconfiggono gli alieni invasori.
Diedi una pacca di congratulazioni sulla spalla di Waku, sapientemente mascherata da rimprovero, e lui cadde in avanti come un sacco precipitando dalla piattaforma su cui ci trovavamo, appena sotto la testa di quello che abbiamo battezzato Zearth.
Col senno di poi era chiaro cosa fosse successo. Waku, prosciugato della sua energia, era già morto quando l'ho involontariamente spinto giù.
D'altro canto non era stato così forte.
Quindi eravamo cadaveri che camminano. Ho letto da qualche parte che in America si dice dead man walking, riferendosi ai carcerati condannati alla pena capitale.
Devo dire una cosa in merito: Waku e Kodama esclusi, visto che ne erano inconsapevoli, noi tutti abbiamo accettato la cosa con relativa tranquillità. Solo Kako ha avuto un piccolissimo esaurimento nervoso e si era rifiutato di farsi avanti, arrivando al punto di malmenare brutalmente Kirie quando quest'ultimo si era permesso di prenderlo in giro dicendogli che era veloce nello scappare.
Lì è successa la cosa che, fino a questo momento, ho conservato nella mia memoria come l'evento più atroce della nostra giocosa, collettiva marcia verso la morte: Chizu si è avvicinata ai due e, con totale noncuranza, ha tirato fuori un coltello dalla tasca piantandolo nel collo di Kako.
“Te l'avevo detto che l'avrei fatto”.
Ora quello è un ricordo come un altro, quasi. Sto ritoccando l'apice proprio in questi istanti.
Ecco la prima grande rivelazione. Senza ombra di dubbio la peggiore.

SBLORGH. COFF COFF. SBLORGH.
Ecco. Non era semplice sensazione di nausea, mi stava davvero salendo la bile.
Ho vomitato l'ultimo pasto che ho consumato. Sono ventisei ore che sono qui ad ammazzare gente.
Come, non lo sapevate? Quel cretino di Koyemshi non ve l'aveva detto? Idiota. Lascia sempre indietro le cose importanti.
I rimarchi ironici sul “punto vitale” del nemico sono presto spiegati: questo fantomatico oggetto non è nient'altro che l'abitacolo del robot avversario, guidato da disgraziati come noi. Persone di Terre parallele alla nostra che, esattamente come noi, combattono.
E per cosa combattiamo, noi e loro? Per la sopravvivenza della nostra dimensione.
Chi perde a questo gioco sarà il colpevole della distruzione del proprio universo. Per quello, prima, ho parlato di universicidio.
La seconda grande rivelazione, saltata fuori dal cilindro durante il turno di Maki. Si era insospettita quando, pur essendo otaku ed esperta militare allo stadio terminale, non aveva riconosciuto uno degli aerei che ci volavano attorno cercando vanamente di abbatterci.
Neanche il... capitano Tanaka, il nostro referente nell'esercito, aveva mai visto quel modello.
Da lì abbiamo capito tutto quando Maki ha aperto la sfera e dentro ci abbiamo visto una decina di persone, anche loro con le loro variopinte sedie.
Devo uccidere un singolo uomo, il pilota.
Ma c'è stato un intoppo e quello, aiutato dal suo Koyemshi, è fuggito dall'abitacolo dopo che l'ho squarciato.
Le battaglie si svolgono sul tuo o sul loro mondo, senza soluzione di continuità. Questa volta siamo finiti in trasferta.
E non ci è venuta in mente una sola idea utile, a me o a Koyemshi o al signor Sasami o al signor Tokosumi, per riuscire ad individuarlo senza ricorrere a un massacro indiscriminato.
I laser di Zearth sono in grado di sterminare l'intera popolazione terrestre in circa quaranta ore e le regole del gioco prevedono la morte di uno dei due contendenti in quarantotto ore dall'inizio della battaglia. Se non c'è un chiaro vincitore entro quel limite di tempo entrambi gli universi vengono polverizzati.
Già durante il combattimento di Komo avevamo avuto un problema simile, col pilota nemico che era riuscito a scappare. Per fortuna quella volta eravamo sulla nostra Terra, così suo padre ha potuto usare i suoi agganci con le alte sfere per organizzare una trappola. E, abbiamo scoperto più tardi, vedere l'ultimo concerto di piano della figlia.
Esattamente come Maki io sono disposto ad uccidere un intero universo per proteggere chi amo.
Non Kanji, che non c’è più.
Non Kana, che non c'è più.
Non il capitano Tanaka, di cui parlerò più approfonditamente poi, che non c'è più.
Bensì una sorella che non sospettavo di avere.
Complicato, eh? Le nostre vite, negli ultimi sei mesi, si sono trasformate in un casino ciclopico. Credo che la palma spetti a me e a Chizu.
Ognuno di noi aveva la sua storia difficile, senza dubbio. Ma a ben guardare Kodama, tanto per citare il primo che mi è venuto in mente, era un arrogante e viziato figlio di papà incapace di dare il minimo valore a una vita che non fosse la propria o quella dell'altrettanto viscido padre. Grossi problemi non ne aveva, non a quanto ne so.
E ne so abbastanza, visto che poco tempo fa io e Machi ci siamo presi la briga di attraversare l'intero Giappone per visitare le famiglie dei nostri compagni.
Oddio, non voglio pensare a com'è finito quel viaggio. Non ci voglio pensare. Mi potrebbe persino venir da piangere.
Respira, Jun. Respira. Recupera la compostezza, la missione te lo richiede. E poi hai sempre odiato i pensieri lasciati liberi di accavallarsi nella tua testa senza il minimo ordine.
Non sarà un evento marginale come la tua stessa morte a farti rinnegare ciò in cui credi.
Mi rialzo, la giacca di Kanji tutta sporca di poltiglia verde. Maledizione, che schifo. Sarò il primo assassino che lavora con i vestiti macchiati di succhi gastrici.
Koyemshi mi dice che dovrei cambiarmi gli abiti, ma gli rispondo che va bene così. Senti coso, non farmi perdere la poca voglia che ho di compiere un genocidio in gran scala.
Allora fa apparire di fronte ai nostri occhi un sacchetto che riconosco.
È uno di quelli che aveva portato Nakama. Dentro ci dev'essere...
Sì, come immaginavo. Le nostre uniformi.
Nakama si era impegnata anima e corpo nel cucirle, per tutti noi. Anche per Waku, Kodama e Daichi che erano già morti. Diceva che ci facevano sembrare dei supereroi. Sua madre ci ha anche detto che, pur di riuscire a finirle in tempo prima che fosse il suo turno, era disposta a fare enjo kosai tramite il suo pappone. Suo della madre, intendo. Ma la signora Nakarai, nonostante il mestiere che svolge, è una donna forte e di sani principi e questo veniva riflesso in sua figlia, in maniera limpida.
Sarà sentimentale e contrario all’immagine che Jun Ushiro ha sempre dato di sé, ma ammetto di essere affezionato a queste tute.
Simboleggiano la nostra unità come gruppo. Ogni membro sapeva che poteva contare sul sostegno e sulla vicinanza degli altri. Anche quando siamo rimasti io e Machi queste premesse erano comunque valide.
Valgono anche adesso che sono solo. E questo nonostante Koyemshi mi abbia sfottuto dicendo che avrei dovuto vedere le facce dei miei compagni morti in cielo.
Per quel che vale si è persino scusato.
“Capisco perché non mi hai voluto credere quando ti ho detto che era una trappola. Uno raccoglie ciò che semina e ho finito con il causarti ulteriore dolore. Mi dispiace”.
Incredibile. In quell’attimo mi è sembrato quasi capace di esprimere emozioni umane. E non mi sento di dire che non lo sia, perché a insultare e a trattar male la gente è un vero campione. Quale alieno sarebbe così bravo?
Appena mi sono cambiato sento una mano sulla spalla. Mi volto lievemente con la testa e vedo il signor Tokosumi che mi osserva con sguardo triste.
La prego, non mi dica che sta sovrapponendo la faccia di Anko alla mia. Sarebbe imbarazzante.
Imbarazzante ma comprensibile, per carità. È il padre di uno di noi ed era presente quando la figlia ha combattuto.
Piccola Anko. E si fa per dire, essendo mia coetanea. Ma lei occupa un posto un pochino più speciale, assieme a Kana e Machi e Kanji, dentro di me.
So di aver affermato che la nostra storia non ha protagonisti e non lo ritratto. Ma siamo umani, è normale avere delle preferenze.
Anko ha mostrato un coraggio e una determinazione esemplari. Si è presa addosso la colata di acido, o quel che diavolo era quella sostanza, per cercare di salvare Machi e così facendo si è bruciata le gambe.
Uno spettacolo da incubo. Nonostante quello ha continuato, imperterrita. Ha vinto la sua battaglia. E poco prima di andarsene ha anche trovato la forza di parlare in diretta tv, cercando di scusarsi a nome di tutti noi per i danni e i morti causati da Zearth.
Off. Sto straparlando. Salto di palo in frasca senza nessun collegamento. Presumo sia normale, con tutto il carico di pensieri e sensazioni e avvenimenti che ci sono stati scagliati addosso.
Io, che di solito sono freddo e razionale, ho perso completamente la bussola cerebrale e sto affogando in uno sproloquio di immagini che si sgomitano a vicenda.
Ripenso a Maki e al suo fratellino, a suo padre che le ha trasmesso il gene dell’otakuismo e si era pure comprato la miniatura di Zearth.
Ripenso a Kako, alla sua folle paura di fronte alla propria fine e a come una persona possa smarrirsi nel terrore supremo.
Ripenso a Chizu, alla sua tremenda storia, alla crudeltà del signor Hatagai e a come sia facile trasformare una tredicenne in una macchina assetata di vendetta per sé e per il figlio che porta in grembo dopo una violenza.
Ripenso a Waku, alla sua esuberanza, alla sua voglia di giocare a calcio, ai suoi poveri genitori e a un sogno infranto.
Ripenso a Kirie, al suo essere sempre passivo ma posato e alla grande generosità che ha mostrato prima di decidere che avrebbe affrontato il proprio destino.
Ripenso a Moji, alla sua arguzia, al suo cuore perfettamente compatibile con quello del suo amico malato e all’altruismo sconfinato che lo ha spinto a farglielo trapiantare dopo la battaglia per consentire a lui e alla loro amica comune di poter continuare a vivere insieme, come coppia, nonostante fossero entrambi innamorati di lei.
Ripenso a Daichi, ai suoi tre fratelli a cui doveva badare come se fosse loro padre, alla sua dedizione nei loro confronti e alla promessa di portarli al parco giochi, promessa che purtroppo non potrà mantenere mai nonostante le sue migliori intenzioni.
Ripenso a Komo, al suo adorato piano, al rapporto conflittuale col padre, a come sia servita una cosa tanto estrema come la morte di lei per riavvicinarli almeno un po’.
E poi... e poi non posso non parlare di Kana e del capitano Tanaka.
Mi scuserete se sono parziale, ma essendo parte in causa questo mi tocca in maniera più vivida rispetto al resto.
Kana era una bambina davvero particolare. A dieci anni sembrava a volte incanalare lo spirito di Buddha per la mostruosa maturità che mostrava, salvo poi scoppiare a piangere pochi istanti dopo. E io, da bravo fratello, non facevo altro che dargliele di santa ragione perché la ritenevo colpevole della morte di nostra madre.
Niente di più errato. Io e Kana non abbiamo la stessa madre. Neanche lo stesso padre.
Io sono figlio del capitano Tanaka.
Prima che toccasse a me pilotare Zearth ho avuto occasione di parlare con papà e ho scoperto tutto: lei era una sua alunna, una di quelle problematiche, sempre in brutta compagnia. Un giorno si è presentata alla sua porta, incinta di nove mesi. Dopo avermi partorito se n’è andata e non si è fatta mai più sentire. Gli Ushiro mi hanno adottato e sono cresciuto nella falsa convinzione di essere figlio loro.
Eppure, quando ho visto Kana cadere alla fine del suo scontro, non ho saputo trattenere un urlo.
Quale scontro? Lei non aveva appoggiato la mano.
Era quello che credevo anch'io. Ma è saltato fuori che, in un secondo momento, aveva convinto Koyemshi a farla entrare. Anche perché, per una serie di cose, eravamo in deficit di piloti.
Comunque, tornando a bomba.
Mia sorella era morta di fronte ai miei occhi.
No, non m'interessa nulla se non eravamo neanche vagamente imparentati. Kana Ushiro era mia sorella.
Ho vissuto dieci anni con lei. La maggior parte di questo tempo l'ho spesa prendendola a calci, ma non vuol dire che sotto lo strato d'odio non ci fosse altro.
Figurati poi quando ho scoperto, nientemeno che dalla sua stessa voce, che non mi aveva portato via la madre.
Ho proprio sentito come un nodo sul cuore che si scioglieva.
Dieci anni di soprusi, che fino a pochissimo tempo prima consideravo giusti e meritati, mi sono subito apparsi come il peggiore dei torti che un fratello potesse infliggere alla sorella.
Purtroppo, poco dopo questa confortante rivelazione, mia madre è di nuovo uscita dalla mia vita. Per sempre.
Eravamo su un'altra Terra. Lei aveva insistito per venire con il suo jet nascosto nella pancia di Zearth, visto che eravamo in territorio nemico e un po' di supporto avrebbe potuto farci comodo.
I caccia nativi, dopo aver mangiato tonnellate di polvere grazie alla sua invidiabile bravura, sono riusciti a colpirla sulla coda. Lei si è eiettata ma il robot nemico l'ha catturata con la sua manona.
Per evitare di distrarre Kana, e per non dare un ostaggio, si è sparata in testa con la sua pistola.
Quel giorno ho visto morire mia sorella e mia madre. Mai, mai, mai ho sofferto così tanto in vita mia.
Il mio tipico stoicismo mi permetteva di non esternare nulla, ma dentro ero un vulcano di dolore ribollente.
Per quello ho deciso di contrattare.
Jun, mi prendi in giro? Tu avevi già contrattato.
No, caro mio. Nella caverna me l'ero fatta sotto, per essere sinceri. Fra quel groviglio di mani e teste ero riuscito a far solo finta di toccare.
Però avevo deciso di rimanere comunque con loro. Mi era concesso, così come era concesso a Kana che ufficialmente non era della partita.
Ero restato per senso di colpa. Mi sentivo responsabile della morte di Waku. Naturalmente non è avvenuta a causa mia, e razionalmente lo sapevo pure perché l'avevo davvero appena sfiorato, ma il groppo allo stomaco aveva litigato col cervello e si era rifiutato di ascoltarlo.
Non solo per Waku, poi. Volevo anche stare vicino a Kanji fino alla fine.
E, in modo del tutto insensato, ho scelto di condividere il loro destino. Il loro coraggio. La loro incoscienza.
A me, nella firma del contratto, si è unita anche Machi.
Cosa? Ma Machi... dio, che bordello...
Sì, è un gran bel casino.
Machi aveva compiuto l'atto necessario a sigillare il contratto. Non si era tirata indietro, al contrario del sottoscritto.
Aveva però mancato di rivelarci una cosuccia: lei era già in un contratto. E questa cosa non si può fare due volte.
E perché era già in un contratto? Perché veniva da una Terra parallela. Oltre a essere la sorella di Koyemshi.
Jun, ti prego basta. Mi scoppia la testa.
Pensa a me quando ho scoperto tutto questo.
Tralascerò la parte “Machi sorella di Koyemshi e proveniente da un altro mondo”. Non l'ho capita bene neanch'io.
In compenso so cosa abbiamo fatto dopo aver firmato.
Il viaggio.
Ho tre ricordi indelebili e fiammeggianti di questa storia: Chizu che pugnala Kako nel collo, un leggero ghigno sul suo volto; il capitano Tanaka... mia madre che si suicida facendosi esplodere le cervella con un colpo di pistola; e Machi... Machi...
Non credevo che avrei avuto così tanta difficoltà nel dirlo.
Machi non ha mai potuto pilotare e morire per il bene della sua Terra d'adozione.
L'hanno uccisa prima.
Eravamo appena stati a casa di Katari, quel ragazzo che si era spacciato per uno dei piloti di Zearth quando la nostra bolla di segretezza era andata a farsi benedire e la notizia era giunta al grande pubblico. Il poveraccio, che parlando coi suoi genitori abbiamo scoperto essere una persona più che decente, si era beccato il proiettile del parente di una vittima degli scontri.
Una morte inutile che è pesata su tutte le nostre coscienze. Era giusto che, nel nostro tour, includessimo anche lui.
Questa deviazione è stata fatale.
Dopo aver consolato suo fratello minore, deluso dal fatto che lo credeva un bugiardo assieme ai genitori, si è avvicinato a noi uno con il cappello abbassato sulla faccia.
Ha tirato fuori una specie di blocco di metallo. Di sicuro non sembrava una pistola.
BANG BANG BANG.
Machi è stramazzata al suolo.
Stava per rivolgersi a me quando Koyemshi, che fino a quel momento ci aveva seguito come un'ombra e solo in quell'istante ci aveva lasciati soli per un motivo ben preciso, l'ha teletrasportato via. Successivamente ha detto a me e a Sasami che l'ha incenerito. Aveva il volto bloccato nel solito sorriso coi denti esposti, ma il tono di voce non sembrava smentire quelle parole.
Non era morta. Ma in condizioni disperate, con un tubo in gola e la faccia totalmente ricoperta dalle bende.
Non avrebbe potuto nemmeno soffiarsi il naso, e comunque era incosciente.
Koyemshi ha posto fine alla sua sofferenza e l’ha terminata personalmente. Conciata com’era non si sarebbe svegliata mai più e avrebbe solo atteso il momento di spirare, senza più una vaga ombra della vitalità e della sfacciataggine che l’hanno sempre contraddistinta. Ho provato per lui qualcosa che ricordava alla lontana la gratitudine.
Machi è forte e presente nei miei pensieri per un ulteriore motivo: poco prima che quello squilibrato la aggredisse si era dichiarata nei miei confronti. Era per questo che suo fratello, di solito così tignoso nello starci appresso, si era tolto dalle scatole. Non gli andava di sentirci essere puccy sguancy.
“Ushiro, tu mi piaci davvero molto”.
Per quanto possa sembrare impossibile anche Jun Cuore di Pietra si emoziona quando gli vengono dette cose simili.
Lei mi piaceva?
Come persona sicuramente sì. Era spiritosa, allegra, nobile. Si era sottoposta al contratto, rientrando nella gogna da cui era fortunosamente uscita, per pura volontà di seguire i nostri amici che già si erano sacrificati per pilotare Zearth.
Come ragazza? Non lo so. Non mi sono mai posto il problema prima dell’istante in cui mi ha detto quelle sei parole.
Anche se quel sorriso... quegli occhi... quella cicatrice sotto l’occhio sinistro...
Eh, può essere che se ci fossimo conosciuti in condizioni diverse avrei potuto sviluppare un certo tipo di sentimento nei suoi confronti. Non lo escludo.
Le basi di partenza sarebbero state sicuramente buone.
Non lo saprò mai, inutile star qui a caricare i mulini a vento.
Machi è morta. Fra non molto lo sarò anch’io. L’amore non si addice ai prescelti degli shinigami.

Trentaquattro ore.
Questo mondo non si è disintegrato, segno tangibile che non sono ancora riuscito a trovare chi cerco.
La testa mi duole. Ho i muscoli anchilosati. Mi fa male il sedere.
Sto cedendo.
Appoggio un palmo della mano sulla fronte, usandola come sostegno. Da sola non riesce più a sorreggersi.
Insisti Jun, insisti. Non puoi, non vuoi, non devi lasciare che gli sforzi di chi ti ha preceduto in questo abitacolo siano stati inutili.
Abbiamo fatto sparire miliardi e miliardi di individui dal creato. Dei tredicenni si sono consapevolmente sporcati le mani di infinito sangue, senza il minimo rimorso. Persino una persona gentile e mite come Kirie non ha ceduto il passo quando la bara è stata caricata sulle sue spalle.
E poi arrivi tu e mandi tutto in vacca perché hai un po’ di emicrania? Non esiste.
Ragazzi, mi mancate.
So di stare per raggiungervi, ma non posso fare a meno di trovare tutto questo... triste. Sì, molto triste.
Eravamo giovani, innocenti e pieni di sogni. Questo stupido gioco ha deciso che nessuno di noi avrebbe compiuto quattordici anni. Kana neanche undici.
Eppure, per quanto non sia piacevole da dire, mi tocca ammettere che questo è il funzionamento basilare della vita.
Adesso, a una manciata di ore dalla mia fine, mi sento investito da una chiarezza accecante.
Zearth è un giudice inflessibile ma, in fondo, giusto. Nel senso che ci ha messi di fronte alla fragilità dell’esistenza umana, che può finire in un battito di ciglia.
Non c’è scritto da nessuna parte che i genitori non dovrebbero mai seppellire i propri figli. Sono sciocchezze belle e buone, prese per cose corrette dal cosiddetto “senso comune”.
Papà mi ha detto che Kana, poco prima della sua battaglia, gli aveva fatto un complesso discorso su come ogni due secondi un bambino, da qualche parte nel mondo, muore di fame e su come lei non era diversa da tutti gli altri.
Poi dite che non devo pensare a lei come a un piccolo Socrate. Se non è precocità questa non ho proprio idea di cosa possa esserlo.
La verità è che si muore. Ogni giorno ci sono mucchi di cadaveri disseminati ovunque. Ma la gente non se ne avvede, gira gli occhi dall’altra parte, fa finta di nulla. Più facile credersi immortali, più comodo pensare che a noi andrà meglio.
Tutto sbagliato. Noi quindici ne siamo la, non più tanto viva, dimostrazione.
Si potrebbe obiettare che il nostro momento ultimo non era ancora arrivato, e probabilmente è vero. Ma resta il fatto che le disgrazie succedono e nessuno, nessuno può dirsene immune.
Mi asterrò dal ringraziare Koyemshi, Kokopelli e Zearth per questa lezione. Non sono così masochista. Inoltre, senza voler negare quanto ho appena detto, io avevo dei progetti per il mio futuro. E come li avevo io li avevano i miei compagni.
Ci è toccata così. Se non altro ce ne siamo andati per salvare coloro che per noi sono preziosi, per conceder loro la possibilità che ci è stata negata.
A conti fatti ci sono pochi modi più degni per lasciare questo mondo.
Non prendetemi per pazzo, vi prego, sentendo quanto sto per affermare. Ma posso dire che sono orgoglioso di morire per questo motivo.
Meglio così che costretto a letto da una malattia degenerativa. O investito da una macchina in mezzo alla strada. O crivellato dai colpi di un folle.
Machi, piantala di tornarmi in mente. La tua immagine mi fa un male del diavolo.
Mamma. Kana. Kanji. Anko. Daichi. Maki. Kodama. Kako. Komo. Nakama. Moji. Waku. Chizu. Kirie.
Fatemi spazio. Sono in rampa di lancio.
   
 
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