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Autore: N3trosis    09/06/2012    2 recensioni
Il vecchio taxi si mette in moto rombando e scalcagnando, mentre il telaio vibra e le placche rinforzate che ne costituiscono il corpo hanno un sussulto. Finalmente, il veicolo giallo rigato di nero sui fianchi si muove, lasciando dietro di se una scia densa e maleodorante. Maledetti scarichi difettosi, penso, maledicendomi nuovamente per aver saltato l'ultima revisione.
Guido per quel tanto che basta per rilassarmi e dimenticarmi la giornata passata, allungando il tragitto usando le vie secondarie e non la superstrada sopraelevata. Mi piace godermi la freschezza della notte, ed è anche per questo che faccio il turno notturno.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie dall' Agglomerato'
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Il tizio con la maschera fa di nome Mike.
Mal comune.
La sua stretta di mano mi ricorda quanto sia risentito per la ginocchiata incassata poche ore prima.
Mentre tento di riacquisire la sensibilità delle dita, faccio conoscenza con il resto del gruppo. Oltre alla ragazza in tuta da lavoro (Eveline) abbiamo un nero alto due pertiche con degli elaborati tatuaggi al neon verde acido impiantati sottopelle e un paio di mutati.

Il nero viene da Bombay City, uno dei distretti più bassi dell’agglomerato. Dai tatuaggi immagino sia un Rastafariano. I due mutati son meno loquaci: stanno tentando si rimontare al meglio un vecchio rottame a benzina quindi non mi degnano di molte parole. Vengono dall’Inferno, ovviamente, ma grazie a Mike e alla sua officina abusiva hanno trovato una via d’uscita.
L’inferno sono le rovine dalla vecchia città, sotto l’agglomerato. Alti edifici fantasma, strade sgretolate, fogne a cielo aperto… tutto sepolto sotto le strade dell’Agglomerato.
E io che mi lamento del Dirty.
Non è la prima volta che ho a che fare con i mutati.

Non sono esattamente “umani”, ma delle creature create in laboratorio il secolo scorso come operai per lavori pesanti in condizioni estreme.
Pallidi, le iridi nere, a seconda del settore dove dovevano operare presentano delle modifiche morfologiche più o meno ampie. Braccia più lunghe, muscolatura sviluppata, occhi sensibili agli infrarossi… e così via.
Un esercito di schiavi, pronti all’uso per qualsiasi occasione.
 Crearli in laboratorio divenne illegale dopo la prima decade, visto che non si riusciva a sterilizzarli e loro continuavano a riprodursi nel modo “classico”.
Dopo trenta si creò il primo sindacato di mutati, che chiedeva a gran voce diritti umani anche per quegli operai che ogni giorno lavoravano in condizioni inumane.
Fu la loro disgrazia: improvvisamente non furono più convenienti.  Non quando un droide poteva fare la stessa cosa senza lamentarsi, o richiedere uno stipendio.
Vennero promulgate delle vere e proprie leggi discriminatorie, che impedivano ai mutati senza lavoro di vivere ai livelli dell’Agglomerato, confinandoli tutti di fatto nell’inferno, sotto le strade degli ultimi livelli.
Dopo quasi un secolo le cose non erano cambiate, e se erano cambiate erano cambiate in peggio.

I due mutati ostentano indifferenza, guardandomi con sospetto.
Io monto la faccia severa, incassando quel poco di collo che ho e facendo gli occhi scuri. I due mutati commentano qualcosa che non capisco e riprendono a lavorare sulla carcassa,  strappandomi la promessa di bere qualcosa assieme la sera stessa.

In un mondo che ti discrimina, chi fa l’amicone è il primo che vuole incularti, e loro lo sanno bene.
Lascio perdere e mi avvicino a quel che resta del mio taxi.
Ormai hanno tirato fuori quasi tutto: le portiere e i pneumatici magnetici sono ammucchiati in un angolo, mentre l’albero portante dell’esoscheletro è appoggiato all’intelaiatura: il numero di serie raschiato con l’acido.
Noto con piacere che le prime due lettere sono sopravvissute al lavaggio, e mi chiedo se sia un caso o se Deb l’abbia chiesto espressamente.

Il Rastafariano sta smanettando con i banchi di memoria e con l’Osaka del veicolo, con un cavo che gli parte dal cranio e scompare nelle macchine, le mani che volano sul Deck.
Deb è al suo fianco, a guidarlo nel suo volo.
Mike e la sua ragazza stanno discutendo di qualcosa che non capisco e non mi interessa.

Tutti lavorano.
Nessuno spiega.
Cazzo.
 
Mi stacco il derma esaurito dal polso, lo lancio in un angolo e esco all’esterno: mi manca l’aria.
Un porta mi conduce ad una scala antincendio, che uso per salire di un piano e accedere al tetto del palazzo dove l’officina si trova.
Mi viene offerta una stupenda visuale di Chandigarh, il quartiere orientale dell’agglomerato, uno dei livelli medio-bassi, come il dirty boulevard.  Siamo in alto, almeno trenta piani d un palazzo scalcagnato, con le finestre infrante o coperte da assi di legno.

Chandigarh, trenta piani più in basso, è rumorosa e fumosa come sempre. In lontananza, una parete schermo che occupa l’intera facciata di un palazzo sponsorizza pillole dimagranti miracolose, mentre un dirigibile si fa strada pigramente fra le nubi scure che coprono il cielo.

Mi appoggio alla ringhiera e lascio vagare lo sguardo sulla città. Ho bisogno di fare mente locale.
Non avevo capito un cazzo, come al solito.
Deb aveva preso il controllo del veicolo eliminando il blocco della Orizon e aveva guidato fino a Chandigarh, dove Mike la aspettava per smontare il mezzo.
Lo scopo di questo era accedere all’Osaka e resettare i programmi, facendo tra le altre cose credere alla Orizon che il loro mezzo fosse stato ritirato e sigillato in archivio.
Deb mi aveva accennato al fatto che non voleva essere resettata, come invece la procedura avrebbe previsto, e che aveva delle cose da fare.  Assieme a me ovviamente.
Deb… avevo sentito parlare di questo virus. Donava alle IA l’autocoscienza, facendole diventare instabili e imprevedibili.
Potevo fidarmi di un programma impazzito?
Certo, questo risolveva un bel po’ di problemi.

Alla fine avrei conservato il mezzo, e con quello potevo fare richiesta per una licenza privata.
Se mi giocavo bene (ma molto bene) le mie carte, avrei potuto continuare a fare quello che facevo privatamente.
Non era il massimo: zero copertura assicurativa e tutte le spese a mio carico. Ma meglio di niente.

Il lavoro, all’Agglomerato, è vita. Senza un lavoro ti ritrovi sulla strada, e sulla strada si tende a scomparire, a quei livelli.
Un cigolio mi fa voltare: qualcuno sta salendo le scale.

“Ehi stronzo. Scendi, dobbiamo parlare di pagamenti.”
‘Mascherina’- Mike, simpatico come un raggio di sole, fa capolino dall’antincendio, mostrando quella sua bellissima faccina coperta.
Per la prima volta mi chiedo il perché di quel travestimento.

“Siamo fuori dall’officina capo. Che ti serve la maschera?”
Si irrigidisce per un attimo, lo vedo chiaramente. Ho fatto una cazzata  a chiedergli?
 Per qualche istante sento i suoi occhi indagare su di me, poi un pigolio ci sorprende entrambi.
L’indicatore di smog che entrambi portiamo al braccio squilla, informandoci che i livelli di tossicità nell’aria stanno salendo.

“Muoviti. Ti stanno aspettando anche gli altri.” commenta, prima di ridiscendere le scale.
Sospiro, nuovamente da solo.
Ho bisogno di qualche minuto ancora, prima di tornare la dentro.
E si che sta mattina volevo lavorare tranquillo….
Guardami adesso, cazzo.
L’indicatore nel bracciale continua a pigolare: do un ultimo sguardo a Chandigarh che vive sotto di me e mi decido a rientrare, prima di guadagnarmi un bel cancro ai polmoni.
Mentre rientro, gocce nere cominciano a piovere dal cielo.

Mi affretto giù dalle scale, bestemmiando quando una goccia di petrolio mi colpisce l'occhio.
Ma quando arrivo alla porta della balconata che da sull'Officina, la trovo chiusa.

"Cosa cazzo? Hey non è divertente!" 
ma la porta non si apre.

Il ticchettio dell'indicatore di inquinamento si fa oscenamente invadente, lo zittisco con una manata e pesco dalla tasca interna del giaccone due filtri usati, due cilindretti bianchi, e me li caccio su per la narice. 
Perchè cazzo mi avevano chiuso fuori?
Scendo la scala antincendio, arrivando al piano di sotto. Li ad aspettarmi c'è uno dei due mutati.

"Ci sono problemi, ti conviene sparire per un po."

Cosa?
Non mi è mai piaciuta la parola "problemi". Nel mio dizionario dei sinonimi la trovi accanto a "merda".
Davanti alla mia faccia perplessa, il mutato mi informa della situazione, con un irritante tono scocciato.

Pare che nell'officina di Mascherina-Mike sia in corso un ispezione.
E per ispezione si intende un gruppo più o meno folto di guardie armate che ribaltano tutto l'edificio in cerca di una scusa per mandare in galera tutti.
Merda, appunto.
"Non puoi restare qui. Scendi in strada, chiuditi in un bar, fatti i cazzi tuoi e aspetta che ci facciamo vivi noi."

"Cosa? No, non se ne parla."

Mi ignora ovviamente, e rientra nell'edificio, chiudendo a chiave dietro di se.
Merda.
Tutti e trenta i piani si riempiranno in breve di stronzi poco simpatici... devo andarmene. 
Merda... scendere per strada.

A Chandigarh.

Merda merda merda "Merda!"
  
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